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LA MATTINA DEL 4 FEBBRAIO

 

Tutta la città si riversa in Cattedrale e per le vie di Catania per renderle omaggio, per ringraziarla di qualche grazia ricevuta, per il patrocinio sulla città, per essere la dolce eroina catanese, per essere la candida avvocata in Paradiso per la città e la diocesi.
L’attesa e l’impazienza è molto grande per i catanesi, che non vedono l’ora di rivedere, più sorridente che mai, la propria “Santuzza”.
Già molti alle ore 3,00 del mattino del 4 febbraio si svegliano per recarsi in Cattedrale, indossano il loro devozionale “sacco” bianco, e silenziosamente, in una città illuminata da una luna che riempie la grande “notte santa catanese”, arrivano sul sacrato della Cattedrale per poco ancora chiusa.

 

 

 

Alle ore 4,00 del mattino circa, già il sacrato è gremito di fedeli che premono e battono il grande portone della chiesa; dall’interno il custode toglie i ferri che fissano il portone e batte alcuni colpi come segnale ai fedeli per aprire la porta: di colpo il grande portone si apre violentemente ed i fedeli entrano bruscamente all’interno della chiesa dirigendosi di corsa ai piedi della cappella di S. Agata per accaparrarsi un piccolo posticino in piedi per vedere da vicino la Santa uscire dalla propria cameretta.
Nel giro di pochi minuti tutta l’intera Cattedrale si riempie di fedeli e devoti, in attesa dell’uscita delle sacre reliquie della Santa dalla cameretta, che avverrà un pò di tempo dopo, alle ore 5,30 circa, in cui i cancelli della cappella si aprono, e la gente entra bruscamente all’interno, riempiendosi del tutto, quasi a non dare spazio ai tecnici di prelevare le reliquie ed il simulacro.


 

 

 

 

Domenica 04 febbraio

Prima dell’alba ingresso dei fedeli e devoti in Cattedrale; sacerdoti saranno disponibili per le confessioni.

Ore 04,30: Nella Basilica Cattedrale recita del Rosario.

Ore 05,15: Esposizione delle Reliquie della Santa Patrona.

Ore 06,00: “Messa dell’Aurora” celebrata da S. E. Mons. Arcivescovo. Al termine l’Arcivescovo benedirà le Corone del Rosario per la preghiera guidata dagli “Amici del Rosario”.

Sante Messe in Cattedrale alle ore 8,00; 9,30; 11,00.

Ore 07,00: In piazza Duomo riflessioni di Mons. Barbaro Scionti, parroco della Basilica Cattedrale, che insieme ai devoti darà inizio alla processione delle Reliquie di S. Agata da Porta Uzeda. Davanti all’Icona della Madonna della Lettera S. E. Mons. Arcivescovo offrirà un cero alla Santa Patrona.

Davanti alla cappella del Santissimo Salvatore in via Dusmet, omaggio dell’Autorità Portuale e della Capitaneria di Porto. La processione proseguirà per le vie Calì, piazza Cutelli, via Vittorio Emanuele, piazza dei Martiri, dove renderanno omaggio i disabili, via VI Aprile, della Libertà, piazza Iolanda. In detta piazza riflessioni del Rev.do P. Francesco La Vecchia OP, Priore dei domenicani di Catania .

La processione continua per le vie Umberto, Grotte Bianche, piazza Carlo Alberto; dinanzi al Santuario della SS. Annunziata al Carmine omaggio dei Padri Carmelitani, riflessioni del Parroco, P. Antonino Mascali O.C.; indi si prosegue verso piazza Stesicoro dove S. E. Mons. Arcivescovo si rivolgerà ai fedeli per il tradizionale messaggio alla Città. La comunità cristiana catanese, nei luoghi, tradizionalmente riconosciuti, del martirio di S. Agata rinnova solennemente le promesse battesimali.

Lungo la salita dei Cappuccini e piazza S. Domenico le Sacre Reliquie raggiungeranno la Chiesa di S. Agata la Vetere. Celebrazione dei Primi Vespri della solennità di Sant’ Agata V. M., presiede S. E. R. Mons. Giuseppe Favale, Vescovo di Conversano, anima la liturgia la comunità del Seminario interdiocesano.

La processione prosegue per le vie Plebiscito, Vittorio Emanuele, piazza Risorgimento, via Aurora, Palermo, piazza Palestro, in detta piazza riflessioni del Rev.do Sac. Rosario Mazzola, parroco al Sacro Cuore al fortino e Vicario foraneo, indi per via Garibaldi, Plebiscito, Dusmet, rientro in piazza Duomo da Porta Uzeda.

 

 

 

 

 

L'altare dedicato a Sant'Agata e, a sinistra, la porta della "cammaredda"

 

Entra il capo vara con i suoi tecnici, il tesoriere della Cattedrale, che corrisponde alla persona del parroco della medesima chiesa, il sindaco ed il cerimoniere della festa, il comm. Luigi Maina.Essi hanno le tre chiavi della porticina della cameretta: aprono la prima porta, poi la seconda ed entrano dentro il segreto sacello; tutto il popolo invece rimane all’esterno ad aspettare.

Li dentro aprono la nicchia dove è custodito lo scrigno reliquiario ed il mezzo busto reliquiario della Santa; aprono una porta d’argento, e tirano una tendina in stoffa: appare improvvisamente il candido volto di S. Agata ai loro occhi. Il simulacro di S. Agata si trova nella parte superiore mentre in basso si trova lo scrigno. Il simulacro viene prelevato, gli vengono montate le ali dei due angeli posti accanto alla Martire e lentamente viene sceso su un piccolo elevatore; successivamente il simulacro viene fatto scorrere su dei binari in legno e S. Agata esce dalla cameretta e viene accolta da tutti i suoi devoti che la aspettavano all’esterno. Il simulacro viene fatto scorrere sulla piccola “varetta” a spalla, legato per non farlo cadere, e tra il grande panico per contendersi un posticino sotto la “varetta” per avere il privilegio di portare a spalla la Santa Patrona, S. Agata viene traslata lentamente sull’altare maggiore, avendo molta difficoltà ad avanzare per la grande calca.

 

LA MESSA DELL'AURORA

 

Subito dopo viene fatto scorrere sui binari anche lo scrigno argenteo che esce anch’esso dalla cameretta e trasferito sulla sua “varetta” a spalla.

Le porte della cameretta vengono subito chiuse perchè è vietato l’accesso al resto del popolo e le opere artistiche d’immenso valore, tra cui vari affreschi e tesori, sono alla vista delle pochissime persone che hanno il privilegio di entrarvi.

Appena S. Agata esce dalla cappella, è un tripudio di festa per tutti i devoti verso la Santa Patrona, che dopo un anno di grande attesa ritorna tra i suoi devoti e si consegna alla sua città.

Questo è un momento di grande emozione: chi piange, chi grida, chi applaude, chi prega, chi canta l’inno popolare.

Tutti i devoti sventolano i loro fazzoletti bianchi in saluto alla Santa Vergine e Martire. S. Agata si dirige sull’altare maggiore, muovendosi dalla navata laterale destra verso la navata centrale della Cattedrale.
Arrivata al centro della navata centrale, il mezzo busto reliquiario viene rivolto con lo sguardo verso la piazza Duomo che si scorge dall’interno: si dice che questo è il momento in cui S. Agata saluta la sua città.

 

 

Sarà tra un po’ e noi qui come sempre ad aspettarti per riempirci gli occhi di Te.

Sarà la Calata della Marina, la Salita dei Cappuccini, i fuochi del mio BORGO

a riempire i tuoi Santi occhi del tremolare dei nostri bianchi fazzoletti,

che come farfalle che sbattono le ali,

anticiperanno un’altra dolce Primavera.

Una sola cosa da chiederti quest’anno per la mia “Cantania”

 e per i miei Cittadini e Cittadine: fa che possano tornare, gli antichi SORRISI

perché Tu lo sai…Tu u sai chi voli riri essiri Catanisi!

Vincenzo Spampinato

 

 

 

 

Il simulacro sale lentamente sopra l’altare maggiore indietreggiando, senza dare la spalle ai suoi devoti, e viene sistemato su un piedistallo al centro dell’altare, in attesa dell’inizio della S. Messa dell’Aurora.

Il simulacro di S. Agata viene chiamato mezzo busto reliquiario perchè al suo interno contiene la calotta cranica della Santa Martire, mentre all’interno dello scrigno è contenuto la maggior parte del proprio corpo all’interno di vari reliquiari argentei.

 

 

Lo scrigno non viene mai traslato sull’altare maggiore, ma soltanto le reliquie al suo interno il giorno dell’ottava della festa, il 12 febbraio, e il 17 agosto, giorno dell’anniversario della traslazione delle sacre reliquie da Costantinopoli a Catania.

Alle ore 6,00 in punto incomincia la S. Messa dell’Aurora presieduta dall’Arcivescovo di Catania, ed al termine, intorno alle ore 7,00, S. Agata, accompagnata dallo scrigno, esce trionfalmente dalla Cattedrale, tra una piazza Duomo gremita di fedeli.

 

 

  

 

Nei pressi del grande portale centrale della chiesa, il simulacro di S. Agata viene accostato per far passare avanti lo scrigno che fino a quel momento seguiva il simulacro. Lo scrigno esce per primo dalla Cattedrale perchè sul fercolo è posizionato dietro il simulacro; subito dopo esce S. Agata, accolta dal suono delle campane, lo sparo dei fuochi d’artificio e da gran parte della città presente per dare il primo saluta alla propria Santa Patrona.

 

 


 

 

 

 

 

«Le tradizioni vanno rispettate in tutti i passaggi della festa». Confusione lungo tutta la via Etnea, la giornata festiva ha permesso a molti di non mancare l'appuntamento dell'offerta della cera. Una signora polacca: «Mai vista una festa così»

Lucy Gullotta - La Sicilia, 4 Febbraio 2013

 

Non c'è angolo della città che non pulluli di gente. In auto e a piedi le persone attraversano le vie del centro. Mamme e papà con passeggini e bimbi che già indossano il costume in maschera. E devoti che vestono con il sacco. La città freme e vive i momenti dedicati ai festeggiamenti di Sant'Agata con un entusiasmo ritrovato, seppure tra mille difficoltà. Ogni catanese, anche il più ritroso, non riesce a rimanerne estraneo; ha sempre un pensiero rivolto alla Santa. Un sentimento difficile da spiegare e forse anche impossibile; così forte da avere la sensazione di superare qualsiasi ostacolo. Beninteso, i catanesi non dimenticano la crisi; quella tanto detestata spending review che viene di necessità operata dall'amministrazione comunale, e verosimilmente nelle case di ognuno di noi. Ma per tre giorni si riesce comunque a riporre in un cassetto le problematiche. Tanto restano là, e ci si dedica a Sant'Agata. Si assapora la festa, con la sua tradizione, il suo folklore e le sue mille contraddizioni. Tra bancarelle che vendono oggetti legati al culto della Santa e quelle che offrono il torrone piuttosto che la "calia". Tra i palloncini colorati e le candele votive.

 

 

Ieri è stata una domenica "speciale". I festeggiamenti sono entrati nel vivo con la tradizionale sfilata della carrozza del Senato e l'offerta della cera. Da lontano, provenendo da via Vittorio Emanuele, la confusione dinanzi a Palazzo degli Elefanti salta subito alla vista. All'uscita della carrozza, grande entusiasmo: i bambini vengono issati sulle spalle dei loro genitori e guardano incuriositi il passaggio delle autorità e dei valletti con la parrucca bianca e l'abito azzurro. Poi i primi commenti, tra entusiasti e disillusi. Patrizia e Giuseppe si voltano contemporaneamente, per loro l'occasione di poter vedere la processione si è resa possibile solo perché di domenica. «Di solito non possiamo perdere una giornata di lavoro e quindi è un passaggio della festa che di rado seguiamo» commentano. Per Antonio, invece, è la prima volta, lui è fermo da oltre un'ora in piazza Duomo in attesa dell'uscita della carrozza del Senato, non sa nulla dell' "applausometro" e non gli interessa proprio: «Per me è una novità assoluta, queste carrozze sono veramente stupende» afferma con lo sguardo rivolto al Comune da dove escono le antiche berline settecentesche che portano la sigla S. Q. P. C. (il Senato e il Popolo Catanese). In uno degli sportelli il simbolo del Comune, nell'altro invece spicca la figura di Sant'Agata. «Trainate dai cavalli, sono uno spettacolo» conclude. A bordo il sindaco e altri rappresentanti istituzionali. La signora Felicia, con in braccio la nipotina vestita da principessa, storce un po' il naso al passaggio delle autorità, non è contenta dei tagli fatti ai fuochi d'artificio: «La gente ha poco e aspetta questi momenti per distrarsi». I commenti sono i più disparati: qualcuno si aspetta qualcosa di più dagli abiti dei cocchieri, qualcun altro invece spiega ad amici venuti da fuori città cosa accadrà da lì a poco, dettagliando l'ordine della parata e il perché.

Lungo via Etnea la gente si sistema per ammirare da vicino la processione al rientro in Cattedrale. Sono momenti frenetici. La signora Maria parla al telefono con il marito e gli indica il posto dove trovarla. Lei è polacca sposata con un «catanese doc» ma non ha mai assistito da vicino alla festa. «È una sensazione stupenda - afferma raggiante mentre ripone il cellulare dentro la borsa - vedere così tanti giovani durante una festività religiosa è importante, così si tramandano le tradizioni. Una festa così non l'ho mai vista da nessuna parte al mondo e mi creda - conclude la donna - ho viaggiato molto e ne ho viste tante». Dorotea e Clelio, occupano da un'ora la posizione dinanzi all'ingresso della chiesa della Collegiata sono sistemati sul bordo del marciapiedi. «Per noi è una tradizione» affermano i coniugi. Poco distante il signor Mauro si è addirittura portato da casa una piccola sedia per attendere il passaggio con assoluta calma. La famiglia Mannino, invece, segue tutti gli appuntamenti della festa. C'è un po' di amarezza per il tagli sui fuochi di piazza Borgo, ma in fondo in coro affermano: «Se si pensa che tanta gente è senza stipendio da mesi è anche corretto... ». «Sì - aggiunge un altro componente della famiglia - ma bisognerebbe tagliare altre spese. Comunque, va bene si penserà di più a pregare». Per la signora Giorgia l'unico momento ancora autentico dei festeggiamenti è quello della messa dell'Aurora. «Anche quest'anno mi recherò in Cattedrale per seguirla».

Intanto dagli altoparlanti le note dell'Angelus echeggiano e emanano serenità. Una voce spiega ai cittadini cosa accadrà da lì a qualche minuto, e chi sfilerà. Poi alle 12 le campane risuanono in festa. Il corteo comincia ad apparire e la gente si entusiasma. In testa al lungo corteo c'è la piccola Siria, dell'associazione Madonna dell'Aiuto, che emozionata tiene tra le braccia un mazzo di rose bianche. Dietro di lei, ugualmente emozionati, due ragazzi che portano lo stesso nome Marco, e tengono ben saldo tra le mani un cesto rosso con un mazzo di candele bianche. Il corteo comincia ad entrare in cattedrale. In pochi rimangono dietro le transenne, vi girano intorno per vedere più da vicino i "personaggi" importanti del mondo della chiesa e istituzionale. L'emozione infine viene smorzata da una pioggia di coriandoli. I due volti di una festa che unisce da sempre il sacro al profano.

 

 

 

 

"Catania ha bisogno di uomini e donne che come Sant’Agata sappiano portare la croce delle loro responsabilità"

L'omelia dell'Arcivescovo Renna durante la Messa dell'Aurora

 

 "La croce di sant’ Agata, ovvero il rischio di essere cristiano. Ecco cari fratelli e sorelle, autorità civili e militari, presbiteri, diaconi e consacrate, è davanti ai nostri occhi il busto reliquiario di Sant’Agata, accanto all’altare dove si rinnova il sacrificio di amore di Cristo. Nella bella effigie che ammiriamo, la nostra Santuzza stringe in mano la Croce gemmata, lo strumento di supplizio divenuto manifestazione dell’Amore di Dio, che ci viene presentato in tutto lo splendore con cui lo canta la liturgia del Venerdì santo: “Ecco il vessillo del Re, rifulge il mistero della Croce, attraverso cui la Vita sopportò la morte e rese con la morte la vita”. Nelle mani di sant’ Agata quella croce è un trofeo della vittoria che ha conseguito ripercorrendo nel carcere, nelle torture e nel supplizio i patimenti di Cristo; nelle sue mani risplende la croce gloriosa perché attraverso di essa si è fatta simile al Suo Sposo per amarlo e non rinnegarlo; oggi Sant’ Agata la ripropone a noi come il trofeo di vittoria che è il suo vanto.

La nostra Aituzza è la perfetta discepola di cui Gesù ha detto nel Vangelo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Agata aveva deciso di seguire il Signore, come tanti uomini e donne in un tempo nel quale essere cristiani era molto rischioso: si rischiava l’emarginazione, perché si era minoranza; o l’arresto, perché si era guardati come una setta; si rischiava di essere messi a morte se non si rinnegava Cristo e si sacrificava alle divinità pagane. Eppure lei ha scelto di essere cristiana in tempi rischiosi. Ma pensate che ci sia un tempo nella storia dell’umanità in cui non è rischioso essere e rimanere cristiani? E’ stato rischioso per don Pino Puglisi, perché un parrino a Palermo, al quartiere Brancaccio, doveva rinnegare o la croce o la mafia che voleva mettere le mani sui giovani della sua parrocchia. E’ stato rischioso essere un magistrato che come cristiano portava la croce di occuparsi di criminalità organizzata, scelta consapevole con la quale Rosario Livatino ha abbracciato la sua responsabilità sotto la tutela di Dio. E così Biagio Conte: ha corso il rischio di non girare la testa dall’altra parte davanti alle povertà, e di rinunciare a stare sereno e quieto nei salotti che frequentava: ha venduto tutto ed ha seguito Cristo, per fare qualcosa che infondesse speranza ai poveri. Ecco, il Signore ci ha dato in Sant’ Agata, nei martiri e nei testimoni di carità a noi vicini nel tempo, l’esempio di come si porta la croce dietro Cristo e ci insegna che la fede è per uomini e donne che vogliono correre il rischio di seguire il Signore.

 

 

 “Chi vuol salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”. Cosa significa rinnegare se stessi, portare la croce, perdere la vita? Non è la rinuncia per un qualsiasi motivo alle legittime esigenze e ai diritti che ciascuno ha, ma la scelta di abbandonare le ristrettezze del nostro “io” per un motivo più grande. Rinnegare se stessi è l’atteggiamento del discepolo che, come il Cristo non è più rivolto ai propri interessi, anche a quelli legittimi, ma è totalmente libero per gli altri. “Prendere la croce” significa essere disposti ad accogliere tutte le conseguenze della scelta fatta e avere il coraggio, come Gesù, di trasformare il sacrifico in un gesto di amore. Noi pensiamo spesso di salvare la nostra esistenza chiudendoci in noi stessi, alzando barriere nei confronti degli altri, calcolando vantaggi svantaggi in termini umani, usando anche la forza e forse anche la violenza. Noi tante volte non vogliamo rischiare di portare la croce dietro Cristo, ma preferiremmo essere come san Pietro, che voleva essere lui a dire a Cristo cosa doveva fare, cioè cosa non doveva rischiare.

 

 

Gesù Cristo invece propone al suo discepolo un progetto di vita diverso e rischioso: la vita si salva aprendosi a Dio, all’amore del prossimo, e donandosi. Gesù dice che la croce bisogna portarla “ogni giorno”: il rischio di essere cristiani non è un abito per i giorni di festa, ma è un impegno quotidiano, come la tuta da lavoro o il grembiule della casalinga che vengono indossati nei giorni feriali, che sono di più dei giorni di festa.

Catania ha bisogno di uomini e donne che come sant’ Agata sappiano portare la croce delle loro responsabilità, che corrano il rischio di essere cristiani tutti i giorni e in tutti i luoghi di questa città. C’è tanta gente che porta la propria croce in silenzio e dignitosamente: sono i “santi della porta accanto”. Portano la croce quelli che hanno un lavoro precario, che dalla mattina alla sera, forse anche portando a casa uno stipendio magro, mantengono integra la loro dignità, rinunciando ad essere messi al soldo della mafia. Portano con dignità la croce quei catanesi che non cedono al ricatto di un guadagno facile e disonesto. Portano la croce con dignità coloro che soffrono perché hanno una persona malata nella loro famiglia e se ne prendono cura senza conoscere un giorno di pausa, come la cosa più normale del mondo, perché è normale amare e non trascurare. Porta la croce di figli, mariti, mogli, che hanno problemi con la giustizia, e vuole correre il rischio di uscire dal cerchio magico che li ha ingannato; portate la croce voi che con grandi sacrifici state facendo di tutto perché i vostri figli, attraverso la scuola, costruiscano un futuro che non ha come obbiettivo la strada o il carcere. Portate la croce voi che abitate nei quartieri dove un Comune in dissesto finanziario da troppi anni non vi può assicurare alcun servizio, e in cui le luci delle strade sono così rade che vi siete rassegnati ad illuminarvi alla luce della luna, e in cui i negozi improvvisati sulla statale sono il mercato di periferie che non hanno neppure aree mercatali. Non abbiate paura di rischiare e di puntare tutto sulla fede, sull’onestà, sull’amore per la famiglia e per il futuro dei vostri figli. Riprendetevi la croce di dover decidere della vostra vita, di dover dire il vostro pensiero sulla città, sulla politica, sulle scelte di chi vi ha governato e vi governerà. E dico a me, vescovo e a voi cari presbiteri e diaconi, operatori pastorali e religiose: prendiamo la croce di ogni giorno, di costruire una comunità che sappia dare testimonianza di amore e di concordia, che non si fermi a giudicare la nostra gente con superficialità e scarsa empatia, ma sappia ascoltarla in questa stupenda stagione del cammino sinodale, che vuole restituirci il rischio di essere una comunità che segue Gesù Cristo e non vuole “insegnare” la strada al nostro Maestro. Chiediamo la pazienza di accompagnare, di aspettare, di scommettere sui luoghi in cui Dio stesso ha scommesso, le periferie dell’umanità. Se faremo questo avremo corso il bel rischio di essere Chiesa, la comunità dei discepoli del Signore, che porta la croce della testimonianza ed evangelizza, contagiando il mondo con la sua carità. E anche voi, uomini che avete a cuore il bene comune nell’amministrazione pubblica, nelle forze dell’ordine, in campo educativo: sappiate perdere la vita come Agata, portando ogni giorno la croce di chi rifiuta il compromesso e fa crescere l’onestà. Se voi porterete bene la vostra croce, la città risorgerà. Oggi Agata ci sorride e ci presenta la croce, perché il nostro popolo di devoti sappia portarla e dire con lei: “Ecco il vessillo della Croce, ecco il vessillo della mia vita. Un vessillo di amore”".

 

Sant'Agata ed i Suoi Gioielli

È l'alba del 4 febbraio; nel Duomo di Catania, centinaia di devoti attendono con trepidazione l'uscita della Santa Patrona catanese.
Sulla destra dell'altare centrale, la maestosa Cappella dedicata a Sant'Agata che, sulla sua parete sinistra, rivela una porticina dorata raffinatamente decorata che permette l'accesso alla cammaredda; chiamata così dai catanesi, la stanza sotterranea custodisce il Busto Reliquiario della Santa e lo Scrigno con le restanti Reliquie.

Poco prima dell'inizio della messa dell'aurora, il tesoriere, il cerimoniere ed il Priore della Cattedrale, si accingono ad aprire il cancello di ferro, con le tre chiavi da loro custodite. Quando la terza chiave toglie l'ultima mandata del cancello, tra l'esultanza dei fedeli, gioiosi di rivederla, ecco comparire Sant'Agata, dal volto sereno e sorridente.

Terminata la messa, inizia il pellegrinaggio dei devoti che accompagnano il feretro della Santa per le antiche vie di Catania; tra i garofani bianchi, la luce delle candele, il Busto e lo Scrigno della Santa luccicano dell'inestimabile tesoro di gioielli e preziosi.
Interamente in argento e lavorato a sbalzo con decorazioni a ceselli e smalti, il Busto della Patrona venne eseguito, nel lontano 1373, dall'orafo senese Giovanni Di Bartolo. Il suo interno, completamente cavo, custodisce le reliquie della testa, del costato e di alcuni organi interni della Santa.

 

 

La Sicilia, 2 Febbraio 2013
Eccoli i giorni della festa, li senti avanzare come un pericolo o una benedizione, quasi sempre preceduti da regole, novità, ordinanze, commenti e sempre più spesso anche scandali. Sant'Agata a Catania non è una festa, è la Festa. E come per ogni avvenimento che si rispetti ai riti, alla processione, ai ceri, ai dolci e a tutto il variegato, e spesso controverso, mondo del cerimoniale della festa non possiamo far mancare i luoghi comuni.

 

Sono un patrimonio da preservare, frutto di "cunti" o saggezza popolare e arricchiscono l'esperienza di ogni ignaro viaggiatore che si trovi in quei fatidici giorni, suo malgrado, a far da figurante dentro la festa più sentita e vera che il triste mondo dell'appiattimento globale è riuscita ancora a preservare, la tre giorni da cui molti catanesi fuggono e di cui moltissimi altri non riescono a fare a meno, per fede o per costume, per abitudine o per vezzo.

 

 

CATANIA - Non sappiamo se la mattina più dolce per i catanesi sia quella del quattro o del cinque febbraio, come riporta la pubblicità di un noto pastificio che nei scorsi mesi ha suscitato non poche polemiche.

Di certo è che la cosiddetta messa dell’Aurora, quella dell’uscita di sant’Agata dalla sua stanzetta, è condita da un’attesa unica che solo i catanesi più veraci sanno raccontare. Immutata da sempre, nonostante le preoccupazioni per il vento di dissesto che si è abbattuto sul Palazzo comunale.

Da stamani l’abbraccio tra Catania e la sua patrona è di nuovo evento.

La santa è stata accolta da una Cattedrale divisa in settori, per motivi di sicurezza tutt’altro che metabolizzati dalla folla di devoti e curiosi.

Nel pomeriggio di ieri, la folla accorsa per il tradizionale spettacolo pirotecnico di piazza Duomo, ha forzato e abbattuto le transenne poste sul varco di via Garibaldi. La processione del fercolo parte stamani, mentre il meteo annuncia turbolenze lungo tutte e due le giornate agatine. Nel calendario di oggi c’è

 da segnalare l’iniziativa di carità dal titolo “Un cero in meno, un pasto in più” promossa dall’Oda in collaborazione con la Basilica Cattedrale e la Comunità di sant’Egidio: un pranzo di beneficienza per i più poveri offerto nella chiesa di San Nicola L’Arena (piazza Dante).

Un gesto concreto, ma anche l'invito a ridefinire i tratti salienti della devozione verso "le periferie esistenziali" e non in direzione dello "scialo" delle cere sull'asfalto cittadino.

 

https://catania.livesicilia.it/2019/02/04/santagata-luscita-del-busto-annullato-il-giro-delle-candelore_487175/

 

 

 

Se si volesse stilare una classifica dei luoghi comuni più abusati dovremmo innanzitutto inserirci quella sull'età e sulla provenienza della santa, visto che per alcuni ci sono ancora dubbi sul fatto che la giovane fosse quindicenne e catanese, secondo una tradizione che la vede ritratta anche diaconessa, titolo per cui doveva essere comunque di un'età non inferiore ai 21 anni e palermitana, tra questi "dubbi" rientra anche quello

 

 

 

 

 relativo al martirio della giovane Agata, le atrocità subite da Quinziano variano di racconto in racconto, insieme a quelle relative alla figura del proconsole, che diventa di volta in volta senatore, console, in pochi casi imperatore al posto di Decio o del suo predecessore Settimio Severo, o declassato al grado di soldato, sul fatto che sia romano sono però tutti d'accordo; molti lo fanno perire nell'incendio in cui fu bruciato il corpo della martire che rinacque a nuova vita, ma in realtà il vigliacco, secondo documenti latini e cronache di cui si avvale anche la tradizione, reo di aver utilizzato a suo piacimento un editto di persecuzione che Decio aveva già abrogato, ovvero la legge per cui si doveva ricorrere all'apostasia per aver salva la vita e quindi ripudiare il Dio dei cristiani, per piegare la giovinetta ai suoi voleri o molto più probabilmente per impossessarsi dei suoi beni, morì annegato nel fiume Simeto, trascinatovi dal suo cavallo imbizzarrito.

 

 

Poi non mancano le spiegazioni sull'origine del sacco, per molti è più "esotico" narrare che ricordi il pigiama che indossavano i concittadini al momento in cui le reliquie della santa tornarono in patria o la veste delle processioni legate al culto di Iside, che non accogliere la triste verità sul fatto che sia un saio devozionale il cui nome deriva dal greco-bizantino "sakkos", con la "scuzzetta" che non è il berretto da notte, ma ricorda il capo cosparso di cenere di ogni devoto che faccia atto penitenziale.

 

Le leggende sono numerose anche sulla figura di Afrodisia, tutrice della giovinetta, per molti donna dissoluta, per alcune fonti storiche probabilmente "vestale" dei culti pagani e dedita alla "prostituzione sacra", a cui Quinziano la affida per farle ripudiare la fede, senza successo.


Insomma la festa agatina non è solo un misto di sacralità e folklore ma è anche un miscuglio di leggende e tradizione, di fonti storiche e credenze popolari. Poco importa, probabilmente, quale sia la versione più fedele, il bello di una festa che accende ceri e cuori, che fa gridare allo scandalo se la si priva di una fiera o di un tradizionale angolo di folklorica esplosione di fuochi d'artificio, ma non indigna se dietro l'uno o l'altro ci siano intimidazioni ad ufficiali pubblici o rispetto per il momento di crisi o che esige legalità nel rispetto di una linea di condotta chiara e unica, creando un comitato che allontani l'ombra della mafia dalle celebrazioni e turba gli abusivi delle varie categorie, sta proprio nel perfetto equilibrio delle sue contraddizioni.
  

 

Fino alla fine degli anni 50 il giro esterno seguiva il percorso delle mura. Cioè da piazza Cutelli prendeva via teatro massimo per arrivare in piazza Bellini e poi da qui prendeva via Rapisardi, via Coppola, piazza Spirito Santo e via Santa Maria di Betlem. Poi da via Amato arrivava in via San Gaetano alle grotte e quindi in piazza Carlo Alberto dove alle 12 entrava nella chiesa della Madonna del Carmine. Tempo della messa e attraverso via Pacini e poi via Etnea arrivava in piazza Stesicoro per poi effettuare la Salita dei Cappuccini ed arrivare alla chiesa di Sant'Agata la Vetere dove alle 17 venivano recitati i vespri. Poi dopo qualcuno ha avuto l'idea di modificare il giro e gli orari pian piano sono andati a farsi benedire.

Antonio trovato

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Sono oltre 250 i preziosi gioielli che ricoprono il suo busto, tra cui una corona, tempestata di gemme preziose che, per tradizione non confermata e senza che se ne abbia riscontro, fu un dono di Riccardo I d'Inghilterra chiamato "Riccardo Cuor di Leone" di passaggio a Catania dopo aver combattuto una Crociata.
Tra i più importanti gioielli donati alla Santa si scorge una collana incastonata di smeraldi, donata dal popolo catanese intorno al 1400; in tanti, però, attribuiscono questo dono al Vicerè Ferdinando De Acuana. Nello stesso periodo, il compositore catanese Vincenzo Bellini donò alla Patrona la Croce di Cavalier della Legion D'Onore che gli era stata precedentemente regalata dal popolo francese.


Nel corso dei secoli, alla fine dell'Ottocento, la Regina Margherita di Savoia, donò un elegante e prezioso anello di zaffiri.
Così di seguito, papi, vescovi e cardinali ricoprirono la Santa di collane, oggetti preziosi e croci pettorali aggiungendosi a quelli dei fedeli che, ancora oggi, continuano ad offrire alla nostra Patrona.
Stretta dalla mano sinistra della Santa una tavoletta sulla quale è incisa la frase in latino: Mentem Sanctam Spontaneam, Honorem Deo et Patriae Liberationem (Mente Santa Spontanea, Onore a Dio e Liberazione della Patria).
Alle prime ore del mattino del 6 Febbraio, il luccichio della Martire, Santa, Patrona di Catania fa rientro in Cattedrale, così, con devozione, si aspetta il prossimo incontro per l'ottava e per il 17 agosto.
Melania Costantino http://www.oggimedia.it/component/tag/santagata.html

 

Successivamente, dopo la sistemazione sul fercolo, è tradizione che il parroco della Cattedrale faccia un suo discorso alla cittadinanza, e subito dopo il fercolo si dirige verso la Porta Uzeda per l’inizio del tradizionale “giro esterno” della città, in cui la Santa anticamente percorreva l’estrema periferia della città e che al giorno d’oggi non è più così perchè con gli anni la città si è di parecchio ingrandita. La Santa patrona viene preceduta dalla processione delle undici candelore, che rappresentano gli antichi ceri che servivano per illuminare la via alla Patrona che passava per le vie della città.

 

 

Nel primo giorno di processione il fercolo, o vara, è addobbata con garofani rosa, colore che indica il sangue versato dalla Martire, proprio alla vigilia della morte carnale; il giorno seguente, giorno della nascita al cielo della Santa, i garofani sono di colore bianco, simbolo della purezza e castità della Vergine.

IL PERCORSO DEL 4 MATTINA

 

PASTA E CECI

Secondo la tradizione, oggi a Catania si dovrebbe Risultati immaginimangiare pasta e ceci.

Un piatto che i pescatori Civitoti preparavano il 4 febbraio, da parecchie generazioni, per chiedere alla santa patrona prosperità e salute per l'anno a seguire.

Pietanza propiziatoria oggi sostituita da polpette di cavallo dentro carta stagnola di non so quale zio, per strada.

E' il menù del quartiere catanese della Civita nel giorno del giro esterno di Sant’Agata, il 4 febbraio, quando il Fercolo passando dagli Archi della Marina e arrivando a piazza dei Martiri abbraccia la borgata dei pescatori.

Significano abbondanza, devozione e fanno parte della tradizione della festa.

Vengono cucinati da generazioni e le donne che mettono a tavola le pentole fumanti abbandonano la loro cucina solo per offrire una candela alla Santa.  Le nonne e le bisnonne tramandano questa usanza a figlie e nipoti e, racconta qualcuno, che una volta la pasta e ceci, il giorno della Festa, si mangiava a colazione.

 E oggi, nelle vie della civita, vi possiamo garantire, l’odore di pasta e ceci, fa ancora venire l’acquolina in bocca.

 

 

 

Poco più che ventenne, alla fine degli anni Settanta ho avuto il privilegio di comandare il picchetto che doveva fare gli onori militari a Sant'Agata lungo il suo percorso in via Dusmet il 4 febbraio.
Quando la "vara" si fermò all'altezza dell'ingresso portuale, il sottoscritto e la truppa (sceglievano apposta sottufficiali e marinai catanesi) erano già abbastanza emozionati a pensare al "presentat'arm", terrorizzati di sbagliare il protocollo.
Subito dopo l'onore delle armi alla Patrona di Catania, mi fecero avvicinare al fercolo per offrire il mazzo di fiori della Capitaneria di Porto.
Non lo so se lo fanno ancora ma allora mi sentii il sangue gelare, vestito d'autorità (soldato catanese fra i catanesi che ricordano la principale catanese) nel porgere un omaggio ufficiale alla concittadina Agata.

Mimmo Rapisarda

 

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Via Dusmet col mare sotto le case.

 

Catania riabbraccia Sant'Agata, ritrova la sua amata patrona, portando il busto reliquiario in processione

 Pinella Leocata - La Sicilia, 4.2.2014

 

La suggestione dei fuochi d´artificio in piazza Duomo, ieri sera, per uno degli appuntamenti più ...

Catania riabbraccia Sant'Agata, ritrova la sua amata patrona, portando il busto reliquiario in processione. Una no stop cominciata all'alba di oggi che si concluderà soltanto giovedì mattina, con il rientro del fercolo in Cattedrale. Una festa religiosa ma che riguarda trasversalmente la città tutta.

L'"anticipo". Ieri i primi due bagni di folla: al mattino per l'offerta della cera e la sfilata della Carrozza del Senato, di sera il pienone in piazza Duomo per lo spettacolo piromusicale "da sira 'o tri".

Il giro esterno. Dall'alba la vara è sulle strade della città, per un giro infinito partito dalla Cattedrale e che toccherà il "cuore" pulsante di Catania, dalla Civita a piazza Carlo Alberto (l'arrivo nel primo pomeriggio), da via Plebiscito a piazza Palestro (in nottata una delle tappe più suggestive).

Piazza Duomo e le strade vicine sono gremite di adulti, anziani e bambini, tutti immobili, con il naso all'insù, stregati dalla magia primordiale e cangiante del fuoco che si fa fontane di luce, stelle cadenti, rose di fiamme, cascate di brillanti, lance d'oro, sbuffi d'argento e spruzzi di rubino e smeraldo che, al ritmo della musica, disegnano nella notte sempre nuovi arabeschi che ora illuminano la facciata della cattedrale ora la nascondono dietro nebbie multicolori.

 

 

E' l'incanto dei giochi pirotecnici che si ripete, che gremisce terrazze e balconi, a partire da quelli del palazzo comunale che, come ogni anno, si apre al ricevimento del sindaco che, come suggerisce il capo del cerimoniale Luigi Maina, meglio sarebbe chiamare «incontro con il popolo». E il popolo cambia, almeno in parte, con il cambio dell'amministrazione. In questo caso, Enzo Bianco, sindaco per la quarta volta, richiama volti nuovi, a partire dai nuovi assessori della sua squadra, e gli amici di sempre. Così, per tanti, è un ritorno, dopo 14 anni, e, per questo, tanto più atteso e apprezzato.

 

Come da cerimoniale Bianco riceve i suoi ospiti alla sommità dello scalone monumentale, con a fianco la compagna Amanda Jane Succi, vestita con sobria eleganza, giacca di velluto di seta nera, al collo un foulard grigio e pantaloni in tinta. La novità del «ricevimento» è che quest'anno non raddoppia al secondo piano, nella stanza della presidenza del consiglio comunale dove, per tanti anni, si era tenuta una festa parallela e più ricca di dolci e bevande rispetto a quella del piano nobile dove vengono offerti rigorosamente vermouth e olivette di Sant'Agata. Quest'anno ogni gruppo consiliare fa da sé, almeno quelli che hanno la fortuna di avere i balconi su piazza Duomo, e sono il gruppo di Bianco per Catania e di Forza Italia. Le altre stanze sono buie, chiuse. Da lì non c'è nulla da vedere.

 

 

Cosa sono le minne di Sant’Agata?

Il libro che le racconta.

 

La vera festa è nel salone Bellini, in sala Giunta, nei corridoi del primo piano di palazzo degli Elefanti. Qui ci sono tre ex sindaci: Nino Mirone, Francesco Attaguile e Lo Presti che dice di sentirsi a casa, e «non solo perché ho sostenuto Bianco». C'è l'ex segretario generale Gaspare Nicotri, tornato apposta da Palermo «perché Catania è una città da vivere», e il generale Giuseppe La Gala, arrivato da Roma solo per un giorno per «gustare la festa da semplice cittadino», dopo averla apprezzata da comandante provinciale dell'Arma. Ci sono i capi sindacali della Cgil, la deputata Raia, i consiglieri comunali di maggioranza e opposizione, qualche consigliere circoscrizionale, compreso uno del Movimento 5 Stelle. Ci sono tanti assessori delle precedenti Giunte Bianco, e quelli delle giunte di centro destra Santo Ligresti e Claudio Torrisi che, però, è qui, «come sempre, per l'Ordine dei Chimici». E ci sono, ed è una new entry, alcuni membri del «Comitato per la legalità della festa di Sant'Agata». L'arcivescovo Gristina ne è convinto: «Si cominciano a raccogliere i frutti dell'attività di tante forze e della presenza delle associazioni». E ricorda che le offerte durante il pontificale e quelle raccolte dagli «Amici del rosario» andranno a sostegno degli oratori di città.

C'è la signora prefetto Maria Guia Federico, rapita. Per lei la festa è «bellissima, bellissima, bellissima». «Mi ha impressionata la grande partecipazione e la grande organizzazione e mi ha colpito il fervore e la devozione». Colpito anche il rettore Giacomo Pignataro e il vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello che dice di avere colto un clima di fiducia, nonostante la situazione difficile. «La popolazione è in attesa di qualcosa, dalla politica, da Bianco che è una presenza di garanzia. L'area della Sicilia centro e sud orientale ha un grande potenziale: sono sicuro che ripartirà prima». Eppure, secondo Francesco Sorbello di Cofcommercio, «da un decennio la festa non ha grosse refluenze e di turisti in giro ce ne sono pochi. Va bene solo il settore ristorazione, nelle aree della festa».

 

Passando da Porta Uzeda ed arrivando in via Dusmet, alla vara vengono agganciati i due lunghi cordoni con cui i migliaia di devoti in “sacco” bianco tireranno lentamente il sacro tempietto mobile che trasporta le sacre reliquie della Santa Martire concittadina. I cordoni sono lunghi circa 130 metri; uno di essi è più corto dell’altro per motivi tecnici.

 

 

S. Agata inizia il suo lungo giro esterno della città, attraversando tutti i quartieri più antichi della città: inizialmente, percorrendo la via Dusmet e la via Calì, passa dall’antico quartiere della Civita; arriva in piazza Cutelli ed imbocca l’ultimo tratto della via Vittorio Emanuele per dirigersi dappima in piazza dei Martiri, successivamente in via VI Aprile passando dalla stazione centrale.

 

 

foto di Salvo Puccio

 

 

 

 

 

 

Nel 1743 la peste infierì nella città di Messina seminando, per cinque lunghissimi mesi, morte e desolazione fra quella gente. I catanesi, provati da non troppo remote sventure, paventarono il contagio, tanto più che il morbo s'era preannunciato anche a Siracusa.
Presi fra due fuochi, cosa potevano fare per uscirne illesi? Tapparsi in casa o fuggire? Affidarsi alla cintura sanitaria imposta dal regio governo? No. Una sola cosa c'era, piuttosto, da fare: rivolgersi a Sant'Agata. A Sant'Agata si rivolsero; e Sant'Agata li salvò dalla peste.
Riconoscenti per lo scampato pericolo, vollero un monumento che, onorando la Santa, ricordasse ai posteri il memorabile evento. Così, nel 1744, la statua (che rappresenta Agata nell'atto di calpestare l'idra velenosa della pestilenza, ed è opera del palermitano Michele Orlando) scolpita in marmo di Carrara, venne alzata sulla sommità d'una colonna romana proveniente dall'Anfiteatro, e collocata nel centro dello spiazzo che, da quel momento, fu chiamato piano della Statua.
da Catania com'era (Lucio Sciacca)

 

La colonna eretta a Piazza dei Martiri, in onore a S. Agata per lo scampato pericolo

In più occasioni Sant'Agata pose benigna la sua mano sulla città anche a protezione dalle epidemie.[3] Nel 1576, quando la peste cominciò a diffondersi poco lontano da Catania, il senato pensò di ricorrere all'intercessione della patrona. Le reliquie furono portate in processione lungo le vie della città e, una volta giunte accanto agli ospedali dove erano ricoverati gli appestati, essi guarirono e nessuno fu più contagiato.
I catanesi ottennero un altro segno di protezione nel 1743, quando una seconda ondata di peste stava per diffondersi da Messina anche a Catania. Il miracolo ci fu anche stavolta: le reliquie furono portate in processione e la peste cessò. In ricordo di questo prodigio fu eretta nell'attuale piazza dei Martiri, una colonna romana (proveniente dal Teatro) sormontata da una effigie di Sant'Agata che schiaccia la testa di un mostro, simbolo della peste.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il presidente devoto

 Una piccola folla aspetta il proprio turno per stringere la mano di un uomo. Lui sorride, ricambia quasi con imbarazzo ma con gentilezza il gesto d'affetto. Tra la gente in attesa del fercolo anche Nino Pulvirenti, il presidente del Catania. Il presidente tra la gente e della gente, che non guarda la partita dalla tribuna coperta ma giù dal campo. O meglio sul campo. Nino Pulvirenti ieri voleva essere un devoto come tanti. Tra la gente. O perlomeno sperava di esserlo. Attendeva il passaggio all'angolo tra via di Sangiuliano e via Dusmet, insieme a qualche amico. Ma sappiamo la devozione per Sant'Agata e la passione per il Catania sono punti cardine per i catanesi, che non hanno perso l'occasione per scambiare qualche parola col presidente o farsi immortalare in una foto. Una signora gli si avvicina, stringe la sua mano con entrambe le sue e quasi sussurra: «Presidente faccia qualcosa, in curva soffriamo…». Lui ricambia la stretta di mano e accenna un assenso. Certo, scorgere il presidente tra la folla che attende Sant'Agata in questo periodo, spinge alla curiosità. Ma Nino Pulvirenti, uomo di poche parole, ribadisce: «Sono questioni intime…»..

 

 

 


La processione continua per viale Libertà fino in piazza Iolanda, dove avviene una breve omelia da parte di un sacerdote, e successivamente la processione continua per la via Umberto, verso la villa comunale. All’incrocio con la stretta via Grotte Bianche S. Agata si ferma, imbocca questa stretta via ed arriva in piazza Carlo Alberto, luogo di svolgimento della giornaliera fiera.

 

 


in piazza Carlo Alberto, ai primi del secolo scorso.

 

Si ferma davanti il sacrato della Basilica della Madonna del Carmelo per la celebrazione sul sacrato della S. Messa; anticamente il fercolo entrava dentro la Basilica ma adesso resta fuori durante la celebrazione.

 

 

 

 

 

IL PERCORSO DEL 4 SERA

 

 

 

 

 

 

 

Già si è nel pieno pomeriggio, ed intorno le ore 17,00 circa S. Agata riprende il suo percorso percorrendo via S. Gaetano alle Grotte alla volta di piazza Stesicoro, una delle piazze centrali della città, arrivando intorno alle ore 18,00 circa per la tradizionale omelia dell’Arcivescovo e la tanto attesa ed emozionante corsa della Salita dei Cappuccini.

 

 

 

S. Agata e il Santuario della Madonna del Carmine

...gli studiosi hanno identificato nel sepolcro romano che si trova all'interno del monastero carmelitano (oggi caserma Santangelo Fulci) il luogo esatto della prima sepoltura di Sant'Agata. Questo spiegherebbe il motivo per cui la vara fino agli anni '50 del 900 entrava nella chiesa del Carmine. Usanza purtroppo persa insieme alla memoria storica..... Sempre secondo studi recenti il corpo di Sant'Agata venne poi trasferita presso la chiesa paleocristiana dello Spirito Santo (i cui resti si trovano sotto un condominio di via dottor Consoli) nei cui pressi si trovava anche la tomba di Iulia Florentina. Da qui venne portato probabilmente poi all'interno delle mura della città nella vicina chiesa di Sant'Agata (la vetere). E da qui nel 1040 venne prelevato da Giorgio Maniace per essere portato a Costantinopoli. Nel 1126 le reliquie fecero ritorno a Catania e da allora si trovano in Cattedrale (costruita nel 1091).

Antonio Trovato

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Il luogo è testimoniato dalle storie di san Leone Vescovo di Catania che scrive di una chiesa dedicata a santa Lucia dove vorrebbe essere sepolto, C'è un anacronismo nella spiegazione riportata poiché fino all'editto di Costantino che liberalizza il culto cristiano i cristiani non potevano possedere come tali un pezzo di cimitero. Cosa che avvenne infatti dopo il 313 quando i corpi dei martiri furono spostati sulla parte collinare del cimitero nella zona di via Androne dove è stata rinvenuta la stella di Iulia Florentina che indica in quel sito le sepolture dei martiri e dove fu edificata una basilichetta cristiana.

Padre Antonino De Maria

 

 

 

 Il fercolo effettua di corsa la ripida salita di via dei Cappuccini, divisa in tre momenti per motivi tecnici dovuti alla lunghezza dei cordoni e del fercolo che non potrebbero riuscire ad effettuare le curve in rapido movimento.  In queste tre corse S. Agata passa dai luoghi del suo martirio, svoltosi proprio in quella giornata, il 4 febbraio del 251 d. C.

 

 

 

 

 

 

Un fiume bianco di cittadini oggi "inonderà" il giro esterno

 Il giro esterno del fercolo segna il trionfale inizio del peregrinare delle reliquie di S. Agata lungo il tracciato murario della città cinquecentesca.

Dopo la maestosa uscita da Porta Uzeda, dedicata al patrocinio agatino, il fiume bianco dei cittadini col sacco devozionale, preceduto dal festoso incedere dei 12 ceri votivi, tira la vara per via Dusmet con soste davanti alla Fontanella della Traslazione, all'edicola marinara della Madonna della Lettera e S. Agata, alla chiesetta del Redentore o S. Agata alla Marina, per l'omaggio delle istituzioni del Porto.

 

 

L'attraversamento della Civita richiama i siti della Porta di Ferro di Tunisi, dell'eremo S. Francesco di Paola, del Collegio Cutelli (omaggio dei convittori), della statua di S. Agata in piazza dei Martiri (protezione dalla peste del 1743) con i diversamente abili e gli animatori degli oratori.

Grande attesa per il passaggio della vara davanti alla chiesa Signore Ritrovato nella via che ricorda l'insurrezione antiborbonica al grido di "W S. Agata e l'Indipendenza! ", e poi per viale Libertà (omaggio Inps), via Umberto, con sosta davanti alla parrocchia Crocifisso dei Miracoli e omaggio dei commercianti di piazza Vittorio Emanuele.

 

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L‘ingresso in via Grotte Bianche richiama le memorie della necropoli e delle catacombe legate al primo sepolcro della martire, con la rappresentazione del martirio al Carmine e il canto greco a S. Gaetano alla Grotta di S. Agata. A piazza Stesicoro (Porta Aci), davanti all'anfiteatro testimone degli eventi del febbraio 251, tappa commovente per il rinnovo delle promesse battesimali e il messaggio alla città dell'arcivescovo, che trova la sua apoteosi devozionale nel complesso martiriale della Fornace, del Carcere e della Vetere dove vengono cantati i vespri.

Il giro, termine che ne indica l'originario carattere "laico", riprende snodandosi per via Plebiscito (già della "Vittoria di S. Agata" sulle lave del 1669) con tante manifestazioni di devozione popolare (ospedali S. Bambino e Ove, parrocchia S. Cuore Cappuccini, quartieri S. Berillo Nuovo-S. Leone) e per il Fortino con il passaggio da Porta Garibaldi e il ricordo dei defunti del cimitero di Acquicella.

In piena notte il buon popolo di S. Cristoforo, dell'Angelo Custode e della Plaia si stringe attorno alla sua "Picciridda", benedicente dall'argentea vara che conclude il giro con la calata della Pescheria.

Cresce, intanto, l'attesa per domani, quando nel pomeriggio è prevista l'uscita del fercolo per il lungo giro interno che i fedeli attendono da un anno. Sarà, anche quello, il momento per la preghiera, il silenzio, la devozione. Il momento per chiedere una grazia e guardare al futuro con rinnovata speranza e fiducia.

La Sicilia, 4.2.2014 - Antonino Blandini

 

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Nella prima corsa S. Agata passa accanto la chiesa di S. Agata alla Fornace, luogo del martirio finale della Santa, bruciata viva su carboni ardenti, e poi si ferma accanto la chiesa del Santo Carcere, luogo in cui si custodisce il carcere in cui fu imprigionata la Santa.
I lunghi cordoni entrano in via Garofalo, tornano indietro e si dispongono lungo il secondo tratto della salita di via Cappuccini, cambiando direzione assieme al fercolo.

 

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Inizia successivamente la seconda corsa, dal Santo Carcere alla chiesa di S. Domenico in cui il fercolo sosta nuovamente.

I lunghi cordoni hanno proseguito in avanti per via S. Maddalena; essi tornano indietro cambiando la loro direzione nel verso opposto di marcia, facendo girare anche il fercolo in direzione della chiesa di S. Agata La Vetere, prima Cattedrale di Catania e luogo dove viene custodito il sarcofago vuoto della Santa e luogo del martirio dello strappo delle mammelle. Si effettua quindi la terza ed ultima corsa, e S. Agata entra infine all’interno della chiesa di S. Agata La Vetere per la celebrazione dei Primi Vespri Solenni e la S. Messa.

 

 

 

La maratona delle bande musicali che seguono le candelore anche per 14 ore nella giornata

 La Sicilia - Giovedì 06 Febbraio 2014

 

In giro per tutta la città "scortando" le candelore in ogni momento e accompagnando il loro passaggio al suono della musica. Oltre che per i portatori, i festeggiamenti agatini rappresentano un banco di prova durissimo, di resistenza e passione, anche per le bande musicali. Trombe, tromboni, sax, piatti e tamburi sempre in prima linea per esibizioni che possono durare anche 14 ore nell'arco dell'intera giornata: " Si tratta di maratone durissime dove bisogna camminare e suonare allo stesso tempo- spiega Carmelo Infarinato -. La candelora si muove seguendo il nostro ritmo durante l'intero tragitto e noi dobbiamo sempre essere all'altezza della situazione facendo sentire la nostra esibizione in tutto il quartiere". Labbra gonfie e screpolate e vesciche alle mani. Questi sono gli inconvenienti a cui devono far fronte i suonatori dopo essersi esibiti per ore. "Nonostante il dolore bisogna comunque suonare - spiega il trombettista Guido Marletta - ciascuno di noi ha il proprio rimedio: cerotti, burro cacao e persino la coca cola. Qualsiasi cura va bene purchè la banda non interrompa il concerto".

 

 

Le esibizioni cominciano il mattino presto e terminano a tarda sera. Dalle hit del momento fino ai grandi classici, i musicisti non seguono una "scaletta" precisa. Un membro della banda accenna un accordo e gli altri lo seguono. Quando un elemento del gruppo è provato e non ha più il fiato o forza nelle braccia per continuare, i "colleghi" devono essere pronti a soccorrerlo suonando con maggior vigore. "E' molto sfiancante e se non adori il tuo lavoro non riesci a reggere per tutto questo tempo- sottolinea Rosario Calabrese con il suo tamburo- oltre alla durata, un altro problema riguarda il luogo dove ci dobbiamo esibire. Alla Pescheria, per esempio, il pericolo più grande è quello di scivolare. Spesso siamo circondati dalla gente e rischiamo continuamente di essere spinti". Inseparabili dai cerei, le bande musicali scortano le candelore fino a piazza Stesicoro, poi il 3 mattina il folklore lascia il posto alla processione religiosa. I suonatori ritornano in scena per accompagnare i cerei a casa.

Damiano Scala

 

L'arrivo a S. Agata La Vetere (video di Turi Giordano)

 

 

aSant'Agata la Vetere

L'attuale chiesa sorge sull'area che fu il più antico luogo di culto agatino: in quello stesso posto, infatti, nel 262, dieci anni dopo il mar­tirio, sorgeva la prima edicola dedicata a sant'A­gata.

L'edicola fu edificata per volontà del vesco­vo Everio nel luogo in cui sorgeva il palazzo pretorio distrutto dal terremoto del 251. In un primo momento non vi fu custodito il corpo della martire perché in periodo di persecuzio­ni i sarcofagi che contenevano spoglie di cri­stiani venivano confiscati. Per sessant'anni, prima che Costantino consentisse ai cristiani il culto, il corpo fu tenuto nascosto fuori dalle mura cittadine. Nel 313 le spoglie furono tra­slate nella chiesa di Sant'Agata la Vetere, di­ventata cattedrale della città, e lì rimasero fino al 1040, quando il generale Maniace ne fece bottino di guerra. Al rientro da Costantinopo­li, la chiesa di Sant'Agata la Vetere non era più cattedrale, ma in essa si continuò a con­servare il primo sarcofago di sant'Agata. Tale urna di pietra si trova ancora oggi al posto dell'altare maggiore. È lunga 2 metri, larga 80 centimetri e alta 60 ed è decorata con motivi dell'arte ellenistico-romana, della stessa epoca a cui risale la morte della santa. Il coperchio non è originale, ma di epoca più tarda.

All'interno della chiesa, la più grande a na­vata unica di Catania, si trova un'altra reli­quia: la cassa di legno nella quale furono con­servate le spoglie di sant'Agata per più di cin­que secoli. Un monumento settecentesco in marmo ricorda che quella fu l'area in cui Quin­ziano ordinò agli sgherri 'di recidere le mam­melle a sant'Agata.

In questa chiesa venivano celebrati solen­nemente i vespri del 4 febbraio, vigilia della so­lennità. Però, dopo il terremoto del dicembre 1990, la chiesa è stata dichiarata inagibile ed è al momento ancora chiusa alle celebrazioni.

Il carcere

E una chiesa addossata all'antico muro del­la città. Al suo interno si trova la celletta dove sant'Agata fu rinchiusa durante il processo, dove venne portata dopo il martirio, dove fu guarita dall'apostolo Pietro e dove il 5 febbraio 251 esalò l'ultimo respiro e rese l'anima a Dio.

La celletta buia, umida e tetra fu sempre un luogo di culto e, un tempo, un cunicolo, ora chiuso, la collegava alla chiesa di Sant'Agata la Vetere. Nel 1571 fu edificata una cappella che introduceva in questo luogo sacro e nel XVIII secolo fu ingrandita e abbellita con l'artistico portale che, dal tempo di Federico Il al terre­moto del 1693, aveva adornato l'ingresso prin­cipale del duomo.

Nel tempio sono custodite altre due reli­quie: la lastra di pietra dove sono impresse le orme dei piedi, che la tradizione vuole sant'A­gata abbia lasciato quando per la prima volta fu gettata in carcere, e la cassa di legno nella quale vennero trasportate le reliquie da Acica­stello a Catania al rientro da Costantinopoli.

Sia il terremoto del 1693 che le colate lavi­che che cambiarono la forma della città hanno sempre risparmiato la chiesetta. Oggi è meta di un gran numero di devoti che, ai piedi dell'al­tare, nel punto in cui Agata ottenne il miraco­lo da san Pietro, supplicano aiuto, invocano mi­racoli e innalzano lodi per grazie ricevute.

La fornace

Sul luogo dove sant'Agata subì il martirio del fuoco sorge una chiesetta a unica navata. Tuttora è visibile, nella cappella destra, attraverso un oblò, la fornace che al tempo delle persecu­zioni era utilizzata per le torture e che fu il luo­go dove si consumò il martirio di sant'Agata.

La chiesa della fornace, che i catanesi chia­mano anche «Carcara» e che è dedicata anche a san Biagio, subito dopo la caduta dell'impe­ro romano era una semplice cappella. Nel 1098 fu leggermente ampliata, ma non si poterono superare le attuali dimensioni, perché lo im­pediva il bastione del carcere romano che la af­fianca. Fu rimodernata nel 1589 e miracolo­samente preservata dall'eruzione del 1669.

Da questo luogo, prezioso in quanto docu­mento storico e di culto, il 3 febbraio di ogni anno si diparte la solenne processione per l'of­ferta della cera alla santa patrona.

 

 

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La crispella è un culto


La crispella è da sempre uno dei simboli della gastronomia catanese. Ma lavorarla e friggerla a regola d'arte è impresa difficilissima
Sabato 12 Gennaio 2013
La preparazione dell´impasto, la farcitura con acciughe e ricotta, la frittura: ... La crispella è un culto. E' frutto di maestria, c'è chi afferma persino che tutti possono imparare a diventare "pizzaioli", ma bravi "crispellari" no.
«La tecnica, raffinata e veloce, nel manipolare la pasta quasi liquida, è qualcosa che veramente non s'insegna: la tecnica del "virtuoso" è un dono ancestrale e il popolo segue con rapita ammirazione il lavoro, fatto a "vista", del bravo crispellaro» afferma il signor Ciccio, che da oltre venti anni crea crispelle nella sua friggitoria poco distante dal centro. Le crispelle sono uno dei piatti caratteristi della tradizione culinaria catanese. Tutti le riconoscono dalla forma: rotonde sono quelle col ripieno di ricotta; dalla forma allungata, invece, hanno all'interno dei piccoli pezzetti di acciughe. Esistono "luoghi di culto" della crispella in città, friggitorie che risalgono agli inizi del ‘900, dove le crispelle vengono fritte nella "sugna", ossia lo strutto o grasso di maiale, in enormi calderoni.

 

 

 

Osservare un "crispellaro" al lavoro è sempre coinvolgente e affascinante: con grande maestria e rapidità gli addetti ai lavori riescono a modellare le crispelle creandole da una pasta sofficissima, quasi liquida, lasciata lievitare almeno tre ore. Sui bordi del padellone, solitamente di oltre un metro di diametro e profondo circa cinquanta centimetri, il "crispellaro" sistema un piatto con le acciughe diliscate, ridotte a pezzetti da tre-quattro centimetri e un altro piatto con la ricotta fresca setacciata. Poco distante un recipiente colmo d'acqua per bagnare la mano una volta lasciata la pasta farcita nello strutto bollente. Per preparare le crispelle d'acciuga, si modella velocemente la pasta dando una forma allungata, affinché copra completamente il pezzetto d'acciuga, che deve rimanere celato al centro.

 


«La pasta, a contatto col liquido bollente, s'increspa immediatamente per questo è stato dato il nome di crispelle - racconta Ciccio - ed è pronta quando assume un colore dorato compatto. La crispella viene estratta dalla padella con un lungo ramaiolo realizzato con cerchietti di metallo concentrici. Alle crispelle farcite con la ricotta, invece, viene data una forma rotonda; ma friggono tutte contemporaneamente e poi si mettono, fumanti, a sgocciolare nell'apposito recipiente. La frittura, per essere perfetta e croccante deve essere fatta in due tempi, il secondo ciclo rende l'esterno più croccante» conclude il "crispellaro" Ciccio. Quasi impossibile farle a casa per una questione di "quantità" e di esperienza.
Lucy Gullotta

 

 

 

 

Al termine, intorno le ore 21,00, ma di anno in anno sempre più tardi, S. Agata riprende la sua processione percorrendo la lunga via Plebiscito, passando dagli antichi quartieri dell’Antico Corso e dei Cappuccini, fino ad arrivare all’angolo con la parte alta di via Vittorio Emanuele.

 

 

 

 

La Sicilia, 2 Febbraio 2013
Indagare e mostrare le fondamenta storiche e tradizionali delle feste barocche siciliane, dedicate alla celebrazioni dei Santi, e puntare alla loro salvaguardia e tutela. È anche questo il contenuto e l'obiettivo dello splendido studio, ricco di documenti e immagini, edito da Domenico Sanfilippo Editore, condotto dalla professoressa Lucia Trigilia - docente associato di Storia dell'Architettura Moderna e Storia della Città e del Territorio nella Facoltà di Architettura dell'Università di Catania con sede a Siracusa - dal titolo "La festa barocca in Sicilia".
Un titolo al singolare, non a caso, rappresentativo del fil rouge e del comune contesto che unisce la tradizione delle feste popolari religiose della nostra isola. Non solo fede, ma anche spettacolarità, in linea con l'origine barocca e dunque chiassosa, ampollosa e immaginifica, di festeggiamenti che, oltre a coinvolgere quelle che la Trigilia chiama capitali della festa - ovvero i maggiori centri urbani siciliani - riguarda anche piccoli e piccolissimi paesi, di montagna e di mare, da occidente a oriente.

 

 

 

S. Agata imbocca questa via in direzione di piazza Risorgimento; successivamente per via Aurora e via Palermo, fino ad arrivare in tarda nottata, intorno alle ore 3,30 del 5 mattina, in piazza Palestro, o “Fortino” per i catanesi, luogo dello sparo del tradizionale spettacolo pirotecnico.


Inevitabile, in quest'ottica, occuparsi anche della festa di Sant'Agata che - seppure precedente all'età barocca, risalendo addirittura all'XI-XII secolo, basti pensare che la stessa vara è del 1300 - risente fortemente di tutte quelle caratteristiche di spettacolarità e teatralità così tipiche del '600: «Sant'Agata si inscrive a pieno titolo nel panorama delle capitali siciliane della festa, insieme a Palermo con Santa Rosalia, a Siracusa con Santa Lucia e a Messina con la Madonna della Lettera - spiega la professoressa - Il mio libro si occupa anche dell'analisi della fisionomia storica dei festeggiamenti e dei riti, nell'ambito di quella "retorica della persuasione", adottata dalla chiesa cattolica all'indomani della Riforma luterana e della conseguente Controriforma.

Ovvero, organizzare, sostenere e incentivare le feste religiose popolari era un modo, da parte dell'istituzione ecclesiastica, per riaffermare il potere e attirare consensi, attraverso una logica non molto diversa dalle strategie politiche adottate parallelamente nella Francia del Re Sole, Luigi XIV. Le feste duravano per giorni - ecco come si spiega il persistere della cosiddetta "ottava", non solo per S. Agata - e impiegavano uno sforzo e un investimento di forze e di idee che coinvolgeva tutta la città, molto più di quanto non si possa immaginare. Io definisco questo aspetto come "arte della città". Le strade, le piazze, persino le facciate dei palazzi civici e nobiliari, si trasformavano e divenivano il teatro, il palcoscenico della festa. I migliori architetti dell'epoca progettavano macchine, scenografie e allestimenti che trasformavano la fisionomia cittadina.

 

 

No agli «arrusti e mangia» in strada L'ordinanza.

Per proteggere la pubblica incolumità vietati bracieri e bombole di gas. Arriva il regolamento per i tanti «arrusti e mangia» che si dispongono lungo le strade della processione. Il sindaco, con propria ordinanza, ha vietato «nel periodo delle festività agatine, l'accensione dei fuochi per la vendita e il consumo di alimenti lungo il percorso del fercolo».

In particolare, la disposizione vieta Domani e dopodomani, giorni della processione «lungo il percorso del Fercolo e nei siti e vie adiacenti, lo svolgimento di qualunque attività commerciale che dia luogo all'accensione di fuochi con bombole e bracieri per le attività di vendita e consumo di alimenti».

«L'ordinanza - spiega il Comune nasce dalla prevedibile grande affluenza di cittadini, fedeli e turisti ed è finalizzata a evitare situazioni di pericolo per la tutela della salute e dell'incolumità pubblica».

I siti interessati dal divieto sono: domani, giorno del giro esterno, divieti in piazza Duomo, via Dusmet, piazza Giovanni XXIII, viale Libertà, via Umberto, piazza Stesicoro, salita Cappuccini, piazza della Borsa e vie adiacenti.

Giovedì 5, giorno del giro interno divieti in piazza Duomo, piazza Università, via Etnea, piazza Stesicoro, via Caronda, piazza Cavour, via Antonino di Sangiuliano, via Crociferi, via Garibaldi, e vie adiacenti.

«La mancata osservanza della disposizione - recita l'ordinanza - sarà punita ai sensi dell'art. 20 della L. R. n°18/'95, con la sanzione da 516 a 2.582 euro per chi esercita il commercio abusivo. Prevista anche la confisca delle attrezzature e della merce oltre alle eventuali sanzioni amministrative e penali».

03/02/2015

 

 

 

 

Oggi gli archi che illuminano le strade al passaggio delle vare o i fuochi d'artificio, non sono altro che il retaggio delle luminarie barocche e delle macchine del fuoco, impiegate allora per gli spettacoli pirotecnici. L'arte della città - continua con dovizia di particolari la professoressa Trigilia - era ravvisabile anche nel singolo ruolo professionale e artistico svolto da argentieri, indoratori, scenografi e anche musicisti e letterati. Ogni celebrazione religiosa o patronale, infatti, aveva il suo libretto della festa. I prospetti e le facciate dei palazzi più importanti venivano decorati e adornati con ricchi drappeggi o con elementi scultorei. Il tutto naturalmente sostenuto anche dal Senato delle rispettive città, che impegnava denaro ed energie per la piena realizzazione di tali momenti».
Oggi, in proporzione, questi preparativi e corredi sono stati notevolmente ridotti. La città non è più un teatro, questo tipo di "arte" è svanita, ne rimane ben poco. E potrebbe rimanere ancor meno in futuro, visto che tanti mestieri artigiani un tempo fondamentali per queste feste - i già detti indoratori, argentieri, cartapestai o falegnami - stanno scomparendo. E allo stesso modo rischiano di scomparire anche queste tradizioni e i retaggi popolari.

Ma non è tutto, la prof. Trigilia, in "La festa barocca in Sicilia", si occupa anche dei fortissimi legami esistenti tra gli itinerari della processione e la struttura urbanistica della città. «Le strade percorse dalle vare o dai fercoli, questo vale anche per S. Agata - spiega - corrispondono e sono sempre corrisposte ai luoghi più significativi delle città o dei paesi, e non solo da un punto di vista religioso o miracolistico. Il doppio percorso agatino, i cosiddetti "giro esterno" e "giro interno", si spiegano tenendo conto di questi assunti».

Insomma, quello che a Catania si ripete quasi immutato e immutabile dal '600 a oggi, è il frutto di una tradizione che affonda le proprie radici anche nelle influenze della dominazione spagnola sull'Isola, ma con un quid in più, come sottolinea lo storico del Settecento Antonio Leanti, citato dalla Trigilia: «La Sicilia con le sue feste è di gran lunga superiore a qualsiasi altro paese d'Europa». Spagna compresa. Ed è chiaro come qui entrino in gioco anche delle ragioni antropologiche e sociologiche relative al popolo siciliano. Elementi questi ultimi visibili anche nella sfrenatezza dei festeggiamenti agatini. «Questa sfrenatezza - chiosa la prof. Trigilia - non è altro che il retaggio di un passato storico. Durante la festa del santo patrono i pagamenti di tasse e gabelle venivano sospesi, così come gli arresti. Quelli erano giorni di gioia e spensieratezza assoluta».
Tornando a Catania, molto è rimasto tale e quale dalla fine del XVII secolo a oggi; molto invece nel bene e nel male è cambiato. La festa, ogni festa, è animata in eguale proporzione da fede e spettacolarità. Una spettacolarità che nella maggior parte dei casi, ha radici secolari, da conservare e tutelare - nella città etnea e non solo - e che non può permettersi di scivolare nel protagonismo e in un esibizionismo aggressivo e fine a se stesso. La festa di Sant'Agata è storia e cultura, passione e tradizione.

 

 

La processione prosegue per via Garibaldi e nuovamente per la via Plebiscito, passando durante la notte dagli antichi quartieri di S. Cristoforo, Ursino e Angelo Custode.

 

La piazza meno «turistica» con un grande cuore per Agata

  La Sicilia - 06 Febbraio 2014

Agata, Agata, fortissimamente Agata. La venerazione e l'amore verso la Santa assume un sapore particolare nel rione del "Fortino" e affonda le radici nella consapevolezza che qui il passaggio del fercolo è uno dei momenti in cui c'è solo Lei e il suo popolo. Lontano dal folklore più esteriore dove i turisti sono pochi ma la devozione è enorme.

Sant'Agata la martire, Sant'Agata l'amata, Sant'Agata la sorella di ogni catanese. E' la notte con il bagno di folla che ogni anno aumenta. Anche ieri il "Fortino" è stato all'altezza della sua fama e nessuno ha voluto perderselo.

Come sempre lo spettacolo finale ha ripagato ampiamente di sacrifici e fatiche. La levataccia del mattino e la stanchezza, in fondo, sono normale "routine" per il devoto che aspetta trepidante l'arrivo del fercolo. Già a tarda sera, con le candelore che attiravano l'attenzione della gente, l'atmosfera si animava e da piazza Palestro si alzava, inconfondibile e spessa, la coltre di fumo degli "arrusti e mangia" sparsi per tutta la zona.

 

E' la Catania da mangiare e da assaporare. Cibo da strada a volontà tra il dolce e il salato. Pane, carne e crispelle per il palato di tutti: "Anche questa è tradizione - spiega Ludovico Catania - nell'aria c'è un intenso odore di grigliata che rende la piazza un mix di colori, profumi e suoni. Io e i miei amici al panino imbottito con la carne di cavallo non ci rinunciamo mai». Il cielo sopra il Fortino è limpido e il viaggio di Sant'Agata nel rione rappresenta un connubio tra emozione e commozione per una preghiera da recitare in silenzio. Come hanno fatto Giovanni, Gaetano e Giuliana: «Viviamo un momento speciale perché Lei (con la "L" maiuscola) abbraccia un quartiere che l'ha sempre amata - spiega Giovanni - qui si vive un contatto diretto con la nostra Patrona che ci guarda e ci protegge soprattutto in questo particolare periodo di crisi».

 

 

Sono già le 23 e davanti al suo altarino la gente è in raccoglimento. Tra loro anche Dario D'Emanuele di 34 anni che tiene tra le mani un cero di decine di chili per una grazia ricevuta. Non è il solo, pochi minuti e arrivano altri devoti che portano sulle spalle "colonne" di cera pesantissime.

I ceri illuminano la notte, i fedeli sono inginocchiati. Qualcuno non ha più voce, tutti sono ricoperti dalla cera. L' attimo di silenzio è rotto dal richiamo che tutti conoscono: «Cittadini semu tutti devoti tutti? Cettu, cettu». E' un coro unanime, un grido d'amore per la nostra patrona. Un devoto viene aiutato dagli altri a mettere un mazzo di fiori sull'altarino. Partono gli applausi scroscianti. Ci si ferma ancora qualche istante in adorazione. Al segnale si riprende in spalla la cera e si prosegue per via Garibaldi. «Quanto manca? Dov'è la Santa? Piazza Risorgimento? Via Aurora? » E' un tam tam con i cellulari, un passaparola continuo tra la gente della "Palestro". Tra loro ci sono le coppie di fidanzati Danilo e Deborah, Dario e Jessica: «Rispetto al passato il fercolo è in notevole anticipo - dice Danilo - nel 2011 arrivò in piazza alle 5 di mattina. Adesso non vediamo l'ora di vederla per ringraziarla e per chiederle una grazia».

 

 

La piazza è in trepidazione in un crescendo che raggiunge l'apice con i fuochi d'artificio. Minuti intensi di spettacolo pirotecnico che illuminano il rione. Una danza di ombre e luci. Godimento puro e tutti, con il naso all'insù, per ammirare questo gioco di colori. Un "antipasto" a quello che sta per succedere. Finalmente, dopo un'ora, il fercolo fa il suo ingresso nel rione. Una piazza devota con le mani giunte in atto di preghiera perché bisognosa dell'aiuto della sua Patrona. Attorno a Lei, la città diventa una cosa sola: ammutolita, estasiata, attonita in preghiera. Gli occhi si fanno lucidi e sono in pochi quelli che riescono a trattenere l'emozione. E' un coro continuo: «Viva Sant'Agata». I devoti pregano gomito a gomito. Chi ha conquistato un angolo se lo tiene stretto mentre la Vara attraversa la porta ferdinandea. Pochi minuti e il fercolo lascia la piazza tra applausi e lacrime di commozione dei fedeli. Una dormita di poche ore per rigenerarsi e prepararsi al giro interno.

Damiano Scala

 

 

  

Nelle prime ore della mattinata S. Agata ha appena percorso tutta la lunga via Plebiscito fino ad imboccare la via Cristoforo Colombo alla volta degli “Archi della Marina”, fino ad arrivare nuovamente in via Dusmet, dove di corsa si dirige in Porta Uzeda ed infine in piazza Duomo, intorno alle ore 8,00 del mattino circa, quindi più di 24 ore di processione.

 

 

VICINO ALLA "MARINA", A RICORDO DELLA LAVA CHE LI' SI ARRESTO' NEL 1669

Chissà quanti catanesi si sono mai accorti di questo bel palazzo di via Plebiscito,la sua facciata al primo piano presenta una lapide marmorea con un mezzo busto di Sant'Agata accompagnato da una scritta latina ormai sbiadita ed illeggibile. Io stessa ,la prima volta che me ne accorsi ,sconoscevo la motivazione di questa lapide, ma ,dopo studi e ricerche, ora so. Si tratta di una lapide commemorativa poiché qui si fermò improvvisamente la lava nel 1669 a pochi passi da piazza Duomo e fu attribuito il miracolo a Sant'Agata tanto che tutta la via fu chiamata "Strada della Vittoria " e tale fu fino a quando, dopo il 1860 ,divenne via Plebiscito (ingiustamente).Per lunghi secoli la festa di Sant'Agata seguì solo la processione di ciò che oggi viene definito "giro esterno"(4 febbraio)

Mi piace riportare un articolo del giornalista Saverio Fiducia pubblicato negli anni cinquanta......

Milena Palermo

 

 ALEGGIA LA STORIA TRAGICA DI CATANIA ATTORNO ALLE RELIQUIE DELLA PATRONA (di Saverio Fiducia)

- Nel tripudio delle feste Agatine,in cui sembra che il cuore del popolo ritorni puro come ai primordi,mi piace rievocare un evento memorabile:la fatale primavera del 1669.

La spaventevole e travolgente imponenza dell'eruzione famosa che raggiunse e in parte seppellì Catania, ai cittadini atterriti dovette mostrarsi tale fin dal pomeriggio dell'11 marzo,nell'ora stessa che, squarciatasi nella contrada detta <<dei Nicolosi >>il fianco della montagna, il fiume di fuoco inghiottì in pochi minuti il villaggio, e circondato il vecchio cratere avventizio di Mompilieri ,fece a sera altrettanto con Massa Annunziata, il primo paese che incontrò sul suo cammino.

Tutta la notte la città vegliò col cuore in gola, guardando il tremendo spettacolo che arrossava il cielo di mezza Sicilia, dall'alto dei campanili, dalle terrazze delle case, dai <<belvedere >>dei monasteri, dal mare; il pericolo fu riconosciuto e vagliato.

Ma che fare per arrestarlo?I vulcanologi calcolano in 989 milioni di metri cubi il magma scaturito dalla immane fenditura, e il fenomeno non durò che 68 giorni:non v'era e non v'è forza umana che possa opporsi a tanta ruina;è naturale, quindi, che i poveri catanesi volgessero nel frangente le loro più ardenti preghiere a Sant'Agata, la dolce, la sempre sorridente Patrona. Le processioni cominciarono l'indomani dell'apertura delle bocche eruttive ai Nicolosi.

I più precisi cronisti locali dell'evento sono un Tedeschi e un Mancino,spesso dai nostri storici citati. I due tramandarono qualche cosa che può dirsi il diario di quei giorni paurosi:esso va dal martedì 12 marzo al lunedì 9 giugno, durata massima dell'eruzione.

Dico durata massima, perché in effetti la ramificazione della colata generale, la quale sopra un fronte di 3 chilometri minacciava la città nel suo cuore, il 30 aprile, sabato santo, s'era arrestata a 300 metri dal Duomo, nel punto dove oggi, in principio della via Plebiscito, una lapide col busto della Santa ricorda l'evento;ma dieci giorni dopo,dal braccio che aveva circondato le mura tra il bastione del Tindaro e quello degl'Infetti e che sembrava spento, sgorgò improvvisamente un nuovo torrente di fuoco che, investito e travolto il rione popolare del Corso,le fabbriche, i giardini e la chiesa stessa dei Benedettini, il monastero delle Verginelle e le case della Cipriana, si fermò nelle immediate vicinanze dell'Odeon e del Teatro antico. E ancora il 9 giugno un'altra emissione di liquido magma, scaturita dai fianchi della corrente principale, nei pressi del Castello Ursino, colmò i fossati che recingono il mastio della mole federiciana costringendo il castellano e i soldati della guarnigione a rifugiarsi nella torre di don Lorenzo Gioeni, a Montevergine.

Il 12 marzo, dunque, una processione era uscita dal Duomo recando il Sacro braccio e fermandosi a San Domenico fuori le mura, tra Porta Aci e Porta Reale,il punto più a nord della città.

L' indomani è la volta del Velo,e chi lo porta è il vescovo Bonadies, le cui pacate sembianze vediamo nella sacrestia del Duomo, sotto l'affresco che ricorda l'eruzione e mostra in sintesi l'imponenza del fenomeno. Le aste del baldacchino venivano rette dai Senatori in persona.

Durante tutta la durata del flagello, le reliquie rimasero esposte sul maggior altare del Duomo;ma il 1 aprile, divenuto il pericolo imminente, esse vennero portate in processione attorno alle mura,dalla Porta di Aci a quella della Decima nei pressi della Naumachia, il punto maggiormente minacciato.

 

Dopo questa funzione solenne,il popolo, in quei giorni terribili dovette esservi come un'esplosione di fede, volle che il Velo fosse portato addirittura verso le bocche eruttive;la qual cosa venne fatta il 18 dello stesso aprile.

Ma già 17 paesi e villaggi erano stati investiti, travolti e seppelliti ;l'ultimo a scomparire era stato Misterbianco;di alcuni (Antogni, Potichelli, Carusati, Marletta, Fallacchi, Santacroce)non rimane che il nome;quand' ecco, il 20 aprile, Sabato Santo,una nuova corre di bocca in bocca, si propaga, e un grido, il grande grido di Catania esultante erompe:<<Vittoria;miracolo!>>.La lava si è fermata, cupa e fumante, ma corre esausta, stanca di tanta ruina.

In questi giorni di festa, le Sante reliquie agatine vengono esposte e offerte alla venerazione dei fedeli:un appressarsi curioso ,uno sguardo intenso d'amore, un bacio. Ma quale vastità di ricordi sollevano esse, anche in coloro che sono refrattari ai misteri del dogma!

Tutta la storia, può dirsi, di Catania, vi aleggia attorno.

(Saverio Fiducia da "Passeggiate sentimentali ")

 

grazie a Milena Palermo

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