Grazie.

 

Ciao Dixi, dove sei?

è già da un po' che sei andato via, ma non riesco ancora a dimenticarti.

Come potrei? Ancora adesso, quando mi alzo da tavola sto attento a non calpestarti convinto che tu sia ancora lì sotto; ancora adesso chiudo le porte per non farti passare in zone per te una volta proibite; ancora adesso la sera vado in cucina quasi in punta di piedi per non svegliarti. Poi mi accorgo che invece non ci sei, non ci sei più, e la realtà mi schiaffeggia continuamente per svegliarmi da quell'illusione, bella ma beffarda illusione. Inevitabilmente, la sera passo in veranda e come un robot accendo la lucetta di cortesia per farti luce per la notte. Poi mi accorgo che la veranda è vuota, che al posto della tua lettiera ci cono altri mobili; è sgombra delle tue cose, di tutto il tuo personale corredo, soprattutto sgombra di te. E' rimasto solo un adesivo con la tua foto dove avevo scritto "attenti al gatto". Ti confesso che la veranda mi piaceva molto di più con i tuoi residui di segatura e di croccantini e provo una profonda nostalgia di quella piacevole puzzolina, ora che tutto è schifosamente pulito come se fosse passato Mastro Lindo. 

Sembra ieri quando sono cominciate quelle due settimane in cui non hai voluto più mangiare. Però eri sempre presente nella nostra vita, ma ignaro che quei quindici giorni erano quelli di un condannato a morte. Noi però, al contrario di te,  conoscevamo la sentenza ed è stato terribile accompagnarti all'ultimo giorno.

La tua assenza, quel silenzio che c'è in casa privo dei tuoi miagoli di benvenuto, mi fa avvertire ancora di più la lontananza da te, di quant'eri bello, di quanto ti amavamo. Con Lory ci stanno pure venendo sensi di colpa. Ci chiediamo se in passato, per caso, qualche volta ti abbiamo trattato male. Addirittura provo un po' di scrupolo su mie eventuali mancanze ed analizzo tutte le cose che ho fatto o che avrei potuto fare per aiutarti, per evitarti di morire. Mi sono chiesto tante volte "potevo fare di più per salvarlo? ho fatto abbastanza?" Allora ho messo sotto processo la mia coscienza torturandola con estenuanti interrogatori, ma alla fine mi sono convinto che non avrei potuto fare nulla. Nulla, oltre alle lacrime che hanno accompagnato i tuoi strazianti lamenti durante la fine, oltre alle nostre ultime carezze che hanno consumato la tua bellissima pelliccia, oltre a tutto l'amore che ti abbiamo dato e che abbiamo avuto ricambiato in questi vent'anni assieme.

Sei nato quasi vent'anni fa (il 4 aprile - lo stesso giorno di nascita di De Gregori - poteva essere altrimenti per il mio gatto?) e quando sei arrivato a casa io avevo un po' di titubanza nell'accoglierti. Avevo quasi ripugnanza e paura del contatto e quindi non ero favorevole all'adozione di un cosetto "peloso" in giro per casa. Poi, man mano che il tempo passava ho cominciato ad amarti, nonostante tu fossi molto ma molto vivace. In parole povere, mi hai fatto diventare un "gattofilo".

Ricordo le tue diavolerie, i tuoi agguati da dietro i divani. Di quella volta, d'estate, mentre ero tranquillamente seduto sulla sdraio con un boccale di birra gelata in mano: attuasti un attacco improvviso da destra da far saltare il cuore in gola. Tutta la birra si sollevò in aria e poi mi cadde ghiacciata in testa, mentre tu mi guardavi strano.

Oppure di quando salivi sul televisore per acchiappare la palla dei calciatori, di come seguisti attentamente con la tua testolina la famosa parabola di Van Basten in una finale europea. I ricordi sono tanti, adesso mi vengono tutti in mente: ricordo come ti beavi sulla lavatrice godendo delle vibrazioni del movimento centrifugo, delle ore passate a fissare il tuo amichetto pesciolino rosso bevendogli (poveretto) anche l'acqua, di come "galoppavi" appena ci vedevi arrivare da lontano, delle notti insonni che ci procuravi perchè volevi dormire con noi e quasi smontavi la serratura della porta, della maledetta goccia d'acqua che scivolava dal rubinetto e che non riuscivi ad acchiappare.

Adesso sono soltanto io, ogni sera, a cercare di acchiappare con le mie mani qualcosa che non c'è ma che riesco ad immaginare quando fantastico carezze su un musetto invisibile. Su quell'ipotetico fantasma mi concentro a tal punto da trarne beatitudine, ma poi mi rendo conto che sto accarezzando solo aria, aria. Perchè tu non ci sei più.  

Rispetto ad altri padroncini sappiamo di essere stati dei privilegiati, che abbiamo goduto della tua esistenza per ben vent'anni. Però, più gli anni passano e più l'affetto aumenta e quando arriva il distacco è sempre una tragedia. Perchè deve finire tutto? A volte penso che il buon Dio abbia fatto degli errori di calcolo durante la Genesi. Essendo lui lo scrittore del nostro destino, sapeva già che cani e gatti sarebbero diventati amici dell'uomo ma ha loro concesso una vita brevissima rispetto a quella longeva di altri animali che per la vita che fanno, se potessero, smetterebbero di vivere molto tempo prima. Cioè, perchè una povera tartaruga si deve trascinare cent'anni e, invece, bellissimi animali domestici devono morire molto prima? Perchè? Che senso ha? 

Forse era previsto anche questo, perchè così  l'uomo impara a conoscere il dolore, a sapere cos'è la morte. Ma, buon Dio, non si poteva fare una piccola eccezione?

Dixi, dove sei? Chissà se ci stai cercando sperduto in un buio che non riconosci, se da solo vaghi in luoghi dove non ci sono le nostre mani rassicuranti, le nostre voci amiche. O se stai piangendo disperato perchè ci cerchi e non ci trovi. L'altra sera la tua padroncina mi ha detto "voglio il mio gatto, fai in modo che ritorni". No, stavolta non posso. Se esistesse la minima possibilità che tu sia vivo, salirei pure sulla luna per riprenderti, ma di fronte a quella signora vestita di nero non posso far nulla.

Posso solo raccomandare a chi adesso ti è vicino di trattarti bene come abbiamo fatto noi, dirgli che hai paura dei tuoni e del buio, che non sopporti le porte chiuse, che ami il pollo crudo, che ti piace star seduto nei punti più strategici per controllare tutto, che col caldo una strana micosi ti fa letteralmente ballare, che quando fai pipì i tuoi miagolii sembrano un abbaiare (con l'ultimo, tenerissimo, alla scrollatina finale).

Se invece sei solo, non preoccuparti, noi da quaggiù vigileremo su te con i nostri pensieri. Se hai paura rammenta le nostre mani sulla tua testolina e il terrore passerà; se hai freddo ricorda il calore della coperta che ti scaldava nel nostro lettone grande, e il gelo cesserà; se hai fame sogna tutte le leccornie che riuscivamo a trovarti, e la tua fame si placherà; se senti il tuo cuore gonfio di malinconia pensa a quant'è gonfio quello nostro, se questo ti potrà consolare; se la nostalgia dei bellissimi tempi ti farà piangere immagina tutto il nostro infinito amore per te, bellissimo mammifero, e il tuo musetto si asciugherà. Così le tue lacrime si trasformeranno in stelle d'argento e sapremo che quelle più splendenti nella notte sono le tue fusa che ci manderai dal cielo.

Grande amico mio, credici sempre in tutto quello che sto per dirti, noi ti saremo sempre vicini....  così non avrai mai paura. 

Ho letto quella leggenda del Ponte dell'Arcobaleno, quella collina davanti al Paradiso dove tutti gli animali vengono messi in una sorta di asilo nido in attesa che arrivi il momento dei loro padroncini, per entrare finalmente con loro nell'Eden.

Lo so, lo so che quando arriverà il mio momento e mi vedrai passare da quel Limbo farai finta di non vedermi, anche se la voglia di venirmi incontro è grande. Ma il ticket che ti hanno dato per lasciare definitivamente la collina è soltanto uno e tu vuoi sfruttarlo al meglio. So pure perchè farai questo: aspetterai Lory, il tuo grande amore di quand'eri quaggiù. La amavi a tal punto che ci eravamo convinti che in te si fosse reincarnato qualcuno che si era tremendamente innamorato della padrona. Eri la sua ombra, mentre lavava o cucinava o si struccava. Sempre sotto i suoi piedi!

Lo so che vuoi bene anche a me, ma io ero quello che ti strapazzavo con le mie mani pesanti, che come un demente ti cantava famose canzoncine d'amore quando tornavo a casa, che disturbava il tuo sonno infilando il dito nel tuo petto pelliccioso, che ti mandava bacetti da lontano e tu sembravi sospirassi, con rassegnazione, a quelle scemenze. Tuttavia,  chiudevi sempre gli occhi in segno di gratitudine, accettando le mie coccole. Però lo ammetto, per te ero un autentico rompiballe!

Se sarò il primo ad arrivare al Ponte dell'Arcobaleno, costeggiandolo camminerò ancora un po' e mi fermerò davanti all'ambita Porta (sempre che io vada in Paradiso) non osando andare oltre, anche se quello che intravedo mi alletterà parecchio.

Attenderò, so aspettare.

Quando sarà il momento, mentre giocherai con i tuoi compagni ti accorgerai di lei, staccherai il biglietto e "galopperai" di corsa dalla collina per correrle subito incontro, e assieme vi avvierete lungo il viale che porta in Paradiso galleggiando su una nuvola di "pppprrrr, pppprrrr", con la tua coda alzata che le solleverà la gonna un po' a destra e un po' a sinistra.

E all'entrata dell'Eden troverete anche me, che ho aspettato tutto quel tempo senza sfruttare quel privilegio a due passi.

Perchè aspetterò?

Perchè quando attraverserai quell'ultima porta, con te voglio esserci anch'io.

 

Mi manchi da morire, panzerottino di papà..... gioca e cerca di fare il bravo. 

A presto.

 

In una delle tue posizioni preferite: sul tavolo, pronto a ricevere coccole.

 

 

 

 

 

 

 

ll Ponte dell’Arcobaleno

Leggenda Navajo

 

Tra la terra e il cielo esiste un ponte chiamato "Ponte dell'Arcobaleno".
Quando un animale, che è stato particolarmente vicino a qualcuno, muore, raggiunge questo ponte.
Lì ci sono prati e colline, e i ruscelli scorrono tra di esse e i nostri piccoli amici con la coda possono correrci e giocarci insieme.

Trovano sempre il loro cibo preferito, l'acqua fresca per dissetarsi, il sole sempre splendente per riscaldarsi, e sono felici.

Se in vita erano malati o vecchi qui ritrovano salute e gioventù, se erano menomati o infermi qui ritornano ad essere sani e forti.
In questo luogo gli animali che abbiamo tanto amato stanno bene, tranne che per una piccola cosa:
sentono molto la mancanza di chi li ha amati.

Viene un giorno che durante il gioco qualcuno di loro si fermi improvvisamente e scruti oltre la collina.

Tutti i suoi sensi sono in allerta, i suoi occhi si illuminano, si stacca dal gruppo e le sue zampe iniziano la grande corsa: ti ha visto, e quando lo incontri lo stringi tra le braccia con grande gioia, come allora, e le tue mani accarezzano nuovamente l’amata testolina, ed i tuoi occhi incontrano ancora i suoi così sinceri che tanto ti hanno cercato e che da tanto erano usciti dalla tua vita ma che mai erano stati assenti dal tuo cuore.

 

Allora insieme potrete attraversare il Ponte dell'Arcobaleno, per non lasciarvi più.