James Taylor, una lezione di semplicità
Giuseppe Attardi - (La Sicilia, 10.3.2012)


CATANIA. Guardandolo alto, magro, con la pelata e il volto spigoloso, è quasi impossibile mettere sullo stesso piano il James Taylor di oggi con il pelo lungo, icona pop degli anni ’70 che visse una vita molto pubblica di successi, flirt, matrimoni, divorzi, dipendenza, recupero, nascite, decessi, depressione e celebrazione. Gli occhi azzurri accattivanti e quel sorriso affascinante, che mette subito a proprio agio uno sconosciuto, sono in netto contrasto con una persona che è sopravvissuta a questa straordinaria quantità di cambiamenti di vita.
E quando lo senti cantare, con la sua voce calda e melodiosa, perfettamente intonata, sembra che il tempo per lui si sia fermato. Seduto su uno sgabello con a tracolla una chitarra acustica, compagna fedele di una carriera lunga quarant’anni («Anche di più, perché ho cominciato nel 1965, ma era il 1968 quando ho firmato per la Apple, l’etichetta dei Beatles»), snocciola canzoni capaci di evocare ricordi e sogni a un pubblico di coetanei, ma che riescono ad emozionare e coinvolgere anche i più giovani, come è accaduto nei giorni di Occupy Wall Street a New York, come si è ripetuto mercoledì sera a Catania in un teatro Metropolitan tutto esaurito, con spettatori provenienti da ogni parte della
Sicilia. 

Accompagnato delicatamente da un piccolo trio batteriabasso-tastiere, nel quale spicca Steve Gadd che ha prestato le sue bacchette a tutti i
grandi della Musica della West Coast e non solo, e da un vecchio registratore a bobine sul quale sono incisi i cori,
riprende i suoi evergreen, quelli che gli sono valsi nel corso della storia ben 5 Grammy, più svariati altri premi e grazie ai quali è diventato l’icona di un’intera epoca della musica americana. La gente canta dietro classici come Carolina in my mind, Sweet baby Jane, il brano di esordio datato 1971, Mexico
o la trionfale, per accoglienza, You’ve got a friend, scritta da Carole King, sua vecchia amica, a cui lui dichiara di pensare sempre ogni volta che la ricanta. Senza dimenticare l’omaggio a un caro amico come Paul Mc Cartney con la cover di Yesterday. 

E poi il doppio bis con il pubblico in piedi ad osannarlo.
Una lezione di stile, eleganza e semplicità di un eroe d’altri tempi. «Mi rendo conto che non ci sono molte connessioni tra la mia musica e quella che viene prodotta oggi. Penso che il mercato stia cambiando. Ho sempre pensato che i soldi non
fanno bene alla musica".

 

James Taylor e la chitarra, un amore eterno
24 gen, 12 di Zeina

James Taylor racconta il suoi 45 anni di musica a Radio2, al programma di Max Giusti. Il chitarrista, cantautore statunitense, iniziò come violoncellista, ma ben presto si rese conto che quello non sarebbe stato il suo strumento.

Fu così che si dedicò alla chitarra, che gli regalò grandi emozioni sin da subito e che gli permise di rimorchiare più facilmente, questo per lo meno è ciò che racconta, e come dargli torto? In occasione dell’intervista a Radio2, James Taylor presenta anche il suo prossimo tour italiano, che toccherà importanti teatri per un totale di sedici concerti.

Per quanto riguarda il suo rapporto con la chitarra, Taylor specifica che “non ho avuto una formazione tradizionale. Ho preso qualche lezione di chitarra da piccolo, il resto è una mia invenzione. La tecnica è semplice, quasi pianistica. Mi serve per accompagnare la voce ed è una spina dorsale per gli arrangiamenti. La chitarra mi serve per comunicare con gli altri musicisti”, come si dice, l’importante è che passi la comunicazione.

Le date del Tour:

6 Marzo, Napoli – Teatro Augusteo
8 Marzo, Catania – Teatro Metropolitan
10 Marzo, Lucca – Teatro del Giglio
12 Marzo, Cagliari – Teatro Lirico
14 Marzo, Brescia – Teatro Grande
16 Marzo, Milano – Teatro degli Arcimboldi
19 Marzo, Torino – Teatro Collosseo
20 Marzo, Bologna – Auditorium Manzoni
22 Marzo, Ancona – Teatro Delle Muse
24 Marzo, Padova – Gran Teatro Geox
25 Marzo, Como – Teatro Sociale
29 Marzo, Genova – Teatro Carlo Felice
30 e 31 Marzo, Roma – Auditorium Conciliazione

 

 

 

 

NOSTALGICO TUFFO NEL PASSATO CON JAMES TAYLOR

La Sicilia, 13 luglio 2004. Taormina. 

 

Ci perdoni James Taylor ma la grande notte americana vissuta domenica al Teatro antico ci ha portatiindietro alla mente la dolce melodia di "Vincent" del collega Don Mclean: quella 'starry starry nigth' siciliana, per noi isolani una bella consuetudine, ha rappresentato anche per il musicista bostoniano una gradevolissima sorpresa che non ha mancato di segnarne l'intera performance. La notte delle stelle è stata  anche quella del pubblico degli aficionados di Taylor raccolti quasi in un rito propiziatorio per il loro beniamino: bastava ammirare le mille luci delle candeline offerte all’ingresso accendersi per "Carolina" e il gioco luminoso degli spalti si fondeva idealmente con la magica cornice del teatro. Pace è fatta con il grande rock dopo la deludente performance di Alanis Morissette della sera prima: per una volta i padri hanno fatto meglio dei figli.

E di figli veri tra i quasi cinquemila accorsi da tutta la Sicilia per il folk singer ce n’eran tanti. Taylor ha la capacità di attraversare le generazioni e di piacere a tutti. Piace ai cinquantenni suoi coetanei ancora memori del grande sogno americano che rivoluzionò i costumi a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, piace ai ventenni che riconoscono a Taylor la coerenza di un musicista e soprattutto di un uomo che ha superato 35 anni di sconvolgimenti personali e generazionali con la purezza di un messaggo musicale "evergreen".

E ovvio che oggi il country vellutato di Taylor mostra tutti i segni del tempo, assumendo un gusto retrò da manuale del rock. Ma si diverte ancora oggi il 56enne James ad intonare i 'cowboy tunes' che vedevano nella Grande Prateria il confine del progresso da raggungere: introdotto dal violino da saloon di Andrea Zonn, Taylor snocciola hit storici come "Sweet baby James", per arrivare ai suoi grandi classici come "Carolina in my mind", "Mexico", che risvegliano tutto il palcoscenico.

E se lo stile è datato, lo stesso non si può dire per la confidenza con la musica che fa di Taylor una pietra miliare imprescindibile. La voce è ancora perentoria e cristallina come sempre, il tocco della chitarra è un marchio di fabbrica inossidabile, l’odore di America è in pratica lo stesso dei primi anni Settanta quando il popolo yankee aveva voglia di dire la propria sugli abusi del potere.

Nei pochi momenti in cui si concede "in parola" al pubblico, Taylor ribadisce – se mai ce ne fosse bisogno – che la sua è anche Canzone Politica . "Vi canterò due pezzi di fila – annuncia -, il primo l’ho scritto quando Nixon ha lasciato la Casa Bianca (il riferimento è a Line’em up), il secondo l’ho scritto quando anche Reagan ha lasciato la Casa Bianca (il riferimento è a Shower the people). Sono pronto a scriverne un altro". Il riferimento alle imminenti elezioni americane che potrebbero vedere la sconfitta di Bush è chiarissimo e il pubblico coglie il messaggio con un caloroso applauso. Taylor, è cosa nota, è un sostenitore del candidato democratico John Kerry: per il 28 luglio era previsto un concerto elettorale proprio a Boston, città natale di Taylor, saltato all'ultimo momento per ragioni di sicurezza.

Dopo un paio d’ore di canzoni sorrette da un’ottima band – Jimmi Jhonson al basso, Steve Gadd alla batteria, Larry Goldings alle tastiere e Michael Landau alla chitarra (un vero pilastro della band) -, canzoni che hanno spaziato tra il country, il pop, il blues, il concerto si è chiuso con la glorificazione dell’eroe che non ha mancato di ringraziare i suoi adepti con l’attesissima "You’ve got a friend", scritta con Carole King, e un brano in più rispetto alla scaletta, la "Something in the way she moves" che George Harrison riprese in parte per la beatlesiana "Something".

(Gianni Nicola Caracoglia)

 

James Taylor non è stato solo uno dei maggiori cantanti del panorama internazionale: era l’incarnazione dell’artista sensibile e tormentato.

E quella sensibilità e quel tormento finivano in canzoni dalle musiche splendidamente melodiche e dai testi che non temevano confronti con la poesia scritta.

Questo era Mr. Taylor: una delle voci più autorevoli della sua generazione. Carismatico quanto può esserlo un artista bello e dannato. E rassicurante, come piaceva ai suoi coetanei che s'erano appena svegliati dai sogni di libertà degli anni Sessanta e preferivano un nuovo modo di far musica, più riflessivo e intimista.

Lui ne era capace e i fan l'adoravano perché, parlando di sé, in fin dei conti parlava anche di loro.

Nato a Boston nel 1948, figlio di lsaac e Gertrude Taylor, cresciuto in una famiglia benestante e numerosa (in tutto cinque figli: quattro maschi e una femmina), era stato folgorato sulla via dei folk nel 1963, quando aveva trovato uno spirito affine nel chitarrista Danny "Kootch" Kortchmar, con cui aveva formato un duo.

La scuola gli andava stretta: James voleva vivere di musica. Mollò tutto per fare il cantautore.

Ma qualcosa dentro di lui, nel profondo, non andava: fu costretto a ricoverarsi presso una clinica psichiatrica del Massachusetts, un’esperienza che gli dettò le prime canzoni.

Poi si trasferì a New York. Lì trovò sì una band (i Flying Machine), ma anche l'eroina.

Dovette trasferirsi a Londra per fare un disco: notato dai tipi della Apple Records di proprietà dei Beatles, pubblicò il suo primo, omonimo album prima di tornare negli Stati Uniti.

Fu il secondo lavoro, il celebre "Sweet Baby James", a fare di lui un punto di riferimento e dei suoi testi un "must" per una generazione disorientata che s'interrogava su se stessa e si chiudeva nel "privato" dopo dopo l'overdose di "pubblico" dei tardi Sessanta.

Lui quel ritorno all'intimismo lo sapeva cantare con tono confidenziale, dolce, suadente - e infatti i suoi album negli anni Settanta arrivavano immancabilmente in vetta alla classifica di vendita – ma pure con una capacità d'autoanalisi spietata e francamente estranea a certi colleghi dei periodo.

Il matrimonio con Carly Simon, che impazzava in radio con le note di

"You're So Vain", aumentò il chiacchiericcio che lo circondava.

Il primo ciclo della sua carriera si chiuse col "Greatest Hits" del '76: un classico tra i classici.

Negli anni Ottanta James Taylor ha rallentato sensibilmente la produzione discografica, producendo solamente tre raccolte di nuove canzoni.

Dopo il divorzio dalla Symon (1983) ha sposato Kathrin Walker (da cui avrebbe divorziato nel 1996) e ha continuato a girare in tour per il mondo, collezionando successi anche in Australia e America Latina.

 

Oggi è un’icona della musica cantautoriale, un mito vivente che si dà al pubblico con parsimonia.

Ma la sua reputazione è intatta e le sue esibizioni mantengono standard musicali e artistici sempre alti.

Il suo segreto? Forse sta nella scelta di non abbandonare mai la strada maestra del cantautorato intimista, evitando scivoloni e cadute di tono cui sono incorsi tanti colleghi coetanei nello sforzo di rincorrere la gioventù. Una questione di sensibilità.

Ecco perché chi è cresciuto con la sua musica continua a considerarlo, dopo tanti anni, una voce amica.

Siamo alla fine degli anni ’60 e James Taylor è ricco, bello e bravo a scrivere canzoni. Chiunque sognerebbe di essere al suo posto. Lui invece ha strani demoni in testa. Nel 1965, a 17 anni appena, si trova ricoverato in una clinica psichiatrica e poco dopo è alle prese con la dipendenza della cocaina. Dopo un infruttuoso viaggio a Londra, nel 1969 tenta la via californiana. Buffo come una scelta per quei tempi banalissima abbia un effetto tanto significativo. "Sweet baby James", pubblicato nel novembre 1970, riceve dalle sue esili spalle acustiche il fardello del disco epocale, addirittura dell’evento di costume. C'è chi lo giudica doveroso antidoto all'implacabile aggressività dei nuovi idoli inglesi Led Zeppelin, soprattutto c'è chi lo interpreta come ritratto della disillusione che seppellisce le grandi speranze dei decennio appena sfiorito.

James Taylor è la persona giusta al momento giusto perché, perso fra stanze ovattate oppure imbottite, di tutto questo non si è quasi accorto. Lui racconta storie sue, racconta dell'amica conosciuta in ospedale psichiatrico e morta suicida e colpisce al cuore quelli che hanno scoperto come la strada della rivoluzione li abbia riportati sul letto di casa a guardare smarriti il soffitto. Taylor non comporrà più niente della stessa tranquilla forza di "Fire and rain", canzoni simili riescono una volta sola perché una volta sola è concesso di trovarsi del tutto privi di senso e uscirne vivi: "Ho visto fuoco e ho visto pioggia/Ho visto giorni di sole che non credevo sarebbero finiti/Ho visto tempi oscuri in cui non trovavo amici/Ma ho sempre pensato che ti avrei rivista".

Il resto del disco riprende con voce tenue e "aplomb" tipicamente bostoniano le radici blues (Steamroller Oh baby, don’t you loose your lip on me) e folk (Oh, Susanna) dell'America rurale e trova momenti felici soprattutto nei quadretti trasognati di Sweet Baby James e Anywhere like heaven, perfetti esempi di country rock che arrivano con un anno in anticipo sugli Eagles.

E ancora adesso che sono passati trent'anni, il momento più atteso dei suoi concerti è ancora "Fire and rain."

(da un’intervista concessa nel 2002 a Radio Capital in occasione di un concerto tenuto nella Capitale per ricordare, dopo un anno, la tragedia dell'1 1 settembre)

"La mia musica risulta così familiare perché mi muovo sempre all'interno dello stesso territorio musicale. Credo ci siano dieci, massimo dodici moduli, in tutto. Ci sono tante canzoni che tendono ad assomigliarsi. Ogni canzone porta con sé qualcosa di un'altra. Quando ho cominciato, potevo concedermi soltanto di pensare a cosa sarebbe accaduto la settimana successiva. Adesso so cosa farò l'anno prossimo, forse anche nei prossimi vent'anni, visto che ho due bambini piccoli di appena un anno..."

E sull'11 settembre: "Eravamo in tour e non era facile spostarsi in America. Molti componenti della mia band erano preoccupati per i loro familiari: eppure suonare è stato bello, la musica era utile. E' stata un'emozione profonda suonare per la gente e la gente ce lo ha confermato. Preparare un discorso? Io non saprei neanche in che lingua parlare, italiano, inglese. L'unica cosa che posso fare è suonare, è la cosa che so fare meglio. La musica dirà più di quanto potrei dire io a parole"

- dal libretto del concerto di Taormina. (testi di Matteo Pappalardo, Sergio di Giacomo, Matteo Nucci, Antonio Vivaldi)

 

 

 

 

 

IL CONCERTO DELL'ESTATE 2004

A detta di Vincenzo Mollica, sul TG1, è stato definito il concerto dell'estate 2004. In effetti un concerto così non lo vedevo da tempo. Fantastico, assolutamente fantastico. La prova che i mostri sacri, cantando esattamente le stesse cose d trent’anni fa e allo stesso modo, attirano ancor oggi migliaia di ammiratori.

Taylor era già venuto in Sicilia un paio di anni fa ma l’accoglienza fu un po’ freddina, ma ieri sera sarà stata l’atmosfera, la temperatura corporea dell’estate che abbandona certe indifferenze invernali, sarà stata l’aria salmastra dello Jonio che si illuminava di luci alle sue spalle, ma Baby James si è accorto subito che c’era qualcosa di diverso: strane particelle già volteggiavano nell’aria all’ora del tramonto, atomi e neuroni entravano nell'anfiteatro, raccoglievano una polverina magica, parlavano per incanto il Greco antico e ricadevano giù in testa ad attori e spettatori, proprio come migliaia di anni fa.

Anche lui ha detto di essere rimasto affascinato dalla notte di Taormina, scusandosi per il suo italiano composto soltanto da "Grazie, buonasera!".

Ma quando durante l'esecuzione di "Carolina in my mind" ha visto quelle cinquemila candeline accese alla fine della canzone è rimasto un po’ spiazzato. Indietreggiando di qualche metro quasi impaurito da quell'insolita immagine, alla fine si è commosso e non sapeva che fare. Ha osservato la platea da curva a curva, si è frugato le tasche come per dirci "candeline non me ne ritrovo, altrimenti avrei partecipato anch'io a questa festa di colori"  e infine si è passato la mano sul petto mandandoci un bacio.

Come, fra l’altro, è rimasto spiazzato quando ha lasciato cantare il pubblico nel ritornello di "Shower the people". Non se l’aspettava, non pensava che il pubblico sapesse a memoria le sue canzoni. Ed ha ricambiato sfornando esibizioni da non scordarsele mai, fatte in modo impeccabile: Sweet Baby James, Country road, Fire and rain, Mexico, fino all’apoteosi della canzone che l’ha reso immortale: "You've got a friend", già portata al successo con Carole King.

Non è mancata qualche risata, come quando un siciliano (un siciliano "liscio", quindi catanese) gli ha gridato "la carne ci fai arrizzare!" (tragico tentativo di italianizzare "ci fai accaponare la pelle" – in siciliano sarebbe "ni fai arrizzari i carni!"). Risata generale. Lui non capisce e dice "What?…" e dalla platea: "bbbrrrrrrrrrrrrrrrravo" e lui "grrrrrrrrrrrrrrrrrrazzie!"

Grrrrrrrrrrrrazzie Baby James! Sei stato indimenticabile!

(M..R.)

 

 

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