"Arancina
o arancino?".
"This is the question". A spaccare
in due la Sicilia, è l'eterna diatriba linguistico-alimentare. Qualcuno pensa che non valga la pena affrontare il
problema, mentre altri si infervorano a tal punto da litigare con amici e
fidanzate fuorisede per stabilire quale sia la dicitura più corretta. La querelle trova spazio anche su Internet: nei forum e nei blog. Cominciamo da un esempio emblematico. Su un forum Peppe interviene sostenendo che la corretta dicitura sia 'arancina' perché la gustosa vivanda sarebbe stata inventata nel capoluogo siciliano, dove appunto prende questo nome ("Qui a Palermo è femmina e visto che l'abbiamo inventata noi abbiamo il diritto di chiamarla come vogliamo").
![]() Spostandoci sul forum della Rai troviamo una risposta di un "vero catanese" (così si definisce) che scrive "arancino (a Catania è 'masculo', a Palermo, dove credono di avere inventato anche il Padreterno, lo appellano al femminile)". Insomma, ci troviamo di fronte ad uno scontro sulla paternità del termine. È quella che abbiamo battezzato "teoria del copyright": chi l'ha inventata ha il diritto di darle il nome che vuole. C'è da chiedersi però se si possa stabilire con certezza l'origine dell'appetitoso manicaretto e in ogni caso se in principio a Palermo si chiamasse proprio 'arancina'. (ndr: masculu o fimmina, l'arancino è soprattutto CATANISI!) APPROFONDISCI
Adorate
dai Greci e dai Romani, simbolo del Festino di Santa Rosalia a Palermo, le
lumache sono una delizia anche per il palato dei più scettici.
I babbaluci, sono un alimento molto diffuso, e vengono consumate durante
l’estate e l’autunno.
L’utilizzo delle lumache a tavola risale ad epoche remote e almeno sin
dai tempi dei Sicani, da come è documentato dai ritrovamenti a Sambuca
di Sicilia nella grotta di Isaredda.
Mangiare “comme il faut” le lumache è segno
di riconoscimento: debbono succhiarsi direttamente dal guscio dopo che
con i canini si è creato quel forellino che ne permette la fuoruscita.
Insomma, sicilianità vuole che a ciascuna di loro sia riservato un bacio
post mortem. E’ chiaro che è previsto soltanto l’uso delle dita, della
bocca e una notevole forza aspirante. Soltanto alle giovinette di buona
famiglia fu “Cui vivi acqua ccu li babbalùci, sunàti li campani pirchì è mortu”: mai acqua, dunque, ma un bicchiere di buon vino. Da un bianco d’Alcamo a un nero d’Avola: dipenderà dalla salsa. PALERMO “Babbaluci a picchi pacchiu” Dopo averle lavate ben bene si pongono in un tegame il cui bordo si ricopre di sale umido facendo attenzione a non farlo cadere nell’acqua. Si comincia con un fuoco bassissimo che permette di fare uscire le malcapitate dal guscio. Appena saranno stordite si alza la fiamma, si aggiunge il sale e si lasciano bollire per qualche minuto e quindi si scolano. In tegame si fa soffriggere in olio d’oliva la cipolla tritata, si aggiungono dei pomidori pelati a pezzetti, sale e pepe quanto basta. A sugo ristretto si aggiunge il prezzemolo e le lumachine. Bastano pochi minuti per insaporire. “Babbaluci del Festino” Dopo la cottura come sopra indicato, si provvederà a preparare la salsa. In tegame si farà soffriggere l’aglio, rosso o rosa, in olio d’oliva, sale quanto basta, ma pepe nero abbondante. Aggiungere le lumachine e il prezzemolo. Anche in questo caso bastano pochi minuti per insaporire. “Crastuni del Monsù” Variante elegante, baronale, della ricetta precedente. Tolte dal guscio si fanno saltare in padella con burro e aglio. Si aggiunge il prezzemolo al momento di servire.
CATANIA “Crastuni fritti” Dopo la cottura, con l’aiuto di uno stuzzicadenti, si estrarranno dal guscio. A questo punto basterà togliere il filettino nero e passarle una ad una prima nella farina poi nell’uovo battuto e quindi nel pangrattato. Vanno fatte dorare nell’olio d’oliva bollente ponendocele poche per volta. Si servono ben calde. “Attupateddi ccu sucu russu” Dopo la cottura identica a quella di babbaluci e crastuni, si provvederà alla salsa rossa. In tegame si soffrigge la cipolla in olio d’oliva; quindi si aggiungeranno, poco alla volta delle nocciole di estratto di pomodoro ben concentrato, fino alla consistenza desiderata. Aggiungere sale e (molto) pepe e servire ben caldo. “Attuppateddi o crastuni arrustuti” E’ piatto tipico della Sicilia orientale. Le lumache si mettono su una griglia con brace viva per cinque/sei minuti. Sistemate in una zuppiera vanno condite con un ottimo olio d’oliva extra vergine, sale e pepe. Mescolare bene con cucchiaio di legno prima di servire.
I broccoli affogati
sono un contorno tipico della cucina siciliana, ed in
particolar modo della mia Catania. A Natale sulla tavola imbandita non
mancano mai!
Procedimento: In una padella disponete i broccoli, sopra questi
cospargete la cipolla affettata, le olive private del nocciolo e
tagliuzzate, sale, pepe, peperoncino, un goccio d’acqua (pochissima o
niente perchè i broccoli devono soffriggere) e l’olio, lasciando
cuocere il tutto a fuoco molto basso.
Questo e' un antico piatto siciliano in cui, erroneamente, in tutti i libri di cucina controllati (pochi per dir la verita`), si riporta, tra gli ingredienti, il formaggio parmigiano, da cui prende nome il piatto. Niente di piu' falso. Il nome parmigiana non deriva dal nome del formaggio forastero, bensi' dall'italianizzazione dalla parola dialettale parmiciana. La parmiciana e` l'insieme delle liste di legno che compongono una persiana. Esse sono messe una sopra l'altra, come le fette di melenzane nel piatto che andiamo a descrivere. Ingredienti: 8 melenzane, 1 kg. di pomodoro maturo, 2 cipolle, 100 gr. di pecorino o cacio cavallo (o se volete di parmigiano, va bene lo stesso), un mazzetto di basilico, olio e sale. Tagliate le melenzane a fette (mezzo cm. circa), mettetele a riposare in acqua salata per qualche ora, scolatele e friggetele in padella con olio di oliva abbondante e ben caldo. Preparare una salsa di pomodoro con la cipolla, i pomodori ed il basilico. Sul fondo di una pirofila versate qualche cucchiaio di salsa ed alternate strati di melenzane (a la parmiciana) coperte di salsa, pecorino grattugiato e foglie di basilico. Coprite l'ultimo strato con salsa e pecorino e passate al forno per circa 20 minuti. Servite tiepida.
Appena
aperto il frigorifero, la vide. La caponatina! Sciavuròsa, colorita,
abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone.
Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel
sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee,
gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell'Aida (Camilleri)
Il bilanciamento delle forze opposte si trova anche nella fantasiosa
caponata. Il nome deriverebbe da caupona, nome latino delle siciliane "putie"
dove inizialmente veniva preparata a base di pesce. Qualcuno fa risalire il
nome al pesce capone, che insieme ai polpi era uno degli ingredienti della
caponata. Il piatto, di origine
persiana ma portato dagli Arabi, ha subito tante metamorfosi e le varianti di
caponata sono tutte accumunate dall'agrodolce.
(da "I sapori lontani della cucina
siciliana" di Gino Schilirò - Lancillotto e Ginevra Editori
Queste alghe rosse, che si trovano nei fondali della
nostra zona tra aprile e giugno, erano un cibo tipico delle cucine di
catanesi e acesi. Di solito, le famiglie delle alghe rosse usate sono le
seguenti: Calliblepharis jubata, Gigartina acicularis, Chondrus Crispus e
Grateloupia filicina.
I catanesi erano soliti raccogliere ‘u mauru dal
fondale non profondo e consumarlo proprio sulla riva, insaporendolo solo
con una spremuta di limone. U Mauru, all’epoca, era un piatto
poverissimo e molto spesso si vendeva nei chioschi della città. I
catanesi si fermavano al chiosco, lo condivano con olio e limone e lo
gustavano insieme ad un seltz limone e sale. Un’usanza culinaria che era
tradizione catanese doc! Se si parla con gli anziani della città dicono
che co mauru si sciacquava a ucca!
Ingredienti per quattro persone: comprate 800 grammi
di mauro; due limoni; un buon olio extra vergine d’oliva; pepe. Come si
prepara: mettete u mauru in un recipiente senza lavarlo. Conditelo con
olio, limone e pepe. Poi mescolate con cura e lasciate riposare la
vostra insalata marina per dieci minuti. A questo punto, la vostra
insalata al profumo di mauru è pronta.
Dove trovare u mauru. Negli ultimi vent’anni degli
anni ’90, però, inizia a circolare la convinzione che le buonissime
alghe rosse di Catania racchiudevano tutto lo sporco del mare. Ed,
invece, una delle cose che ridusse il germogliare del mauru fu proprio
l’inquinamento dei nostri mari. Così si perse questa abitudine e del
mauru non si ebbe quasi più traccia.
Oggi ritrovarlo nelle pescherie è complicato. Sono i
pescatori dei piccoli porticcioli (tipo quello di Ognina) a rubare al
mare ancora oggi questa preziosa alga rossa.
U mauru nella nostra epoca è diventato un piatto
gourmet, che viene servito nei ristoranti a 5 stelle e2 di cui la
popolazione giovane della città non sa nulla. Alcune piantagioni
artificiali si trovano addirittura nel mare della Toscana.
Vi consigliamo di andare alla ricerca do mauru, di
servirlo in una di queste serate di fine estate e di godere anche voi di
un momento di tradizione nostrana.
fonte:
https://catania.italiani.it/u-mauru-uninsalata-al-sapore-di-mare-tutta-catanese/
3 Spicchi Aglio 50 G Semi Di Finocchio 1 Limone Grande (succo) 1 Limone (listarelle Scorza) Il celebre attore e mimo catanese Angelo Musco si piccava di essere un grande gastronomo, anche se talvolta si compiaceva di certi paradossi, come la seguente dichiarazione, che soleva ripetere quando qualcuno cercava di dargli non richiesti consigli: 'Nta me vigna ci chiantu mirruzzi' (nella mia vigna coltivo merluzzi). Questa ricetta, ricordata anche dal bollettino dell'Accademia della Cucina, non insegna a coltivare merluzzi, bensì a condire in maniera deliziosamente sicula le belle e carnose olive nere salate, che luccicano come ebano lustrato nei vivacissimi mercati di Catania. C'è bisogno di un bel barattolo di vetro con tappo a tenuta dove riporre le olive, assieme alle listarelle di buccia d'arancia e di limone,private della parte bianca amarognola. Spremere il succo di un grosso limone e mescolare gli spicchi d'aglio e i semi di finocchio. Tappare e servire dopo, almeno, dodici ore. E' questo il primo 'chiama vinu', per cui sorseggeremo con queste profumate olive, freschissimo, il Draceno dei vigneti della Valle del Belice.
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Letteralmente significa “pesce di uovo”. Il termine,
però, trae in inganno perché non è in realtà presente il pesce
all’interno della pietanza. Infatti, questo è uno dei piatti della
tradizione siciliana che prende il nome e le sembianze di un
ingrediente, ma che in realtà viene preparato e condito con altrettanti
completamente differenti. Cos’è allora u pisci d’ovu? Pare che u pisci d’ovu sia nato da una leggenda. Diffuso principalmente nelle zone costiere della Sicilia, furono i pescatori ad inventarne il termine. Immaginate il porticciolo di Ognina o di Aci Trezza gremito di pescatori ansiosi di raccattare più pesci possibili, ma che all’alba tornano in riva a mani vuote. Immaginate la loro delusione nel constatare di aver “perso” un’intera nottata alla ricerca di pesce fresco da consumare l’indomani a pranzo. Tornando a casa, alla domanda della moglie se la pescata sia andata bene, il pescatore stanco risponde: “oggi pisci d’ovu!” per alludere al fatto che per quel giorno non ci sarà pesce per nessuno, ma solo quello “finto” d’uovo. Esistono diverse versioni della tradizionale frittata siciliana. Alcuni preferiscono prepararli piccoli e poco “arrotolati”, altri invece gradiscono un po’ di formaggio fuso al loro interno. Noi oggi vi riportiamo la ricetta de u pisci d’ovu arricchito con pomodoro scritta da Peppe Giuffrè nel magazine Sapori di Sicilia. Ingredienti: – 4 uova, 50 grammi di pecorino grattugiato, 150 grammi di pangrattato, aglio, cipolla, prezzemolo, pomodoro, basilico, olio, sale e pepe. Sbattete per bene le 4 uova e aggiungete il sale, il pepe, l’aglio, il formaggio grattugiato, il pan grattato e il prezzemolo. Fate riscaldare la padella a fuoco medio con l’olio e, quando inizierà a frigolare, versate dentro il composto preparato. Quando vedrete che la parte a contatto con la padella inizierà a rassodarsi, fate scivolare il composto via dalla padella e iniziate ad avvolgere la frittata. Man mano che le varie parti della frittatina saranno cotte, ripetete l’operazione fino a quando tutto il composto apparirà ben cotto e arrotolato. Condite la frittata, che ha preso le sembianze di un pesce, con una salsa di pomodoro precedentemente preparata con cipolla e basilico. https://catania.italiani.it/u-pisci-dovu-piatto-povero-della-tradizione-siciliana/?cn-reloaded=1
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