Dopo gli ultimi click al Desert Wiev del Grand Canyon lasciamo l'Arizona e in direzione Est entriamo subito nella Navajo Nation, esattamente nel Painted Desert (Il Deserto dipinto) percorrendolo lungo la statale 160.

La prima sosta tecnica è a Cameron, piccola cittadina Navajo che una volta aspettava interminabili mandrie di bisonti per sopravvivere ed oggi, sempre per sopravvivere, aspetta interminabili mandrie di turisti da svuotare nei suoi negozi di souvenir indiani "made in China".

Dopo un centinaio di chilometri si arriva a un bivio storico di Kayenta: si abbandona la 160,  che arriva fino in Colorado, e si gira a sinistra per un'altra strada che è una leggenda della storia americana: la mitica U.S.163, meglio conosciuta come Navajo Road.

In quei pressi la nostra autista Anna, intuendo il motivo della mia agitazione, mi dice "Buenos dias, Mimmo.... sièntate aquí, junto a mì" autorizzandomi - come sempre, peraltro - a stare vicino a lei, ma quel giorno eccezionalmente in piedi sulla porta d'ingresso del bus (vietato negli States).

Grazie a quella messicana che non dimenticherò, potevo già vedere i primi capolavori della giornata. La "Navajo Road" si inginocchiava davanti ai miei occhi con la sua straordinaria, variabile, famosa prospettiva e come in una pellicola a tre dimensioni mi faceva rivedere in un colpo solo "Easy Rider", "Indiana Jones", "Odissea nello spazio" e, in fondo alla strada, un barbuto profeta che girandosi verso di noi mentre lo sorpassiamo ci dice "sono un po' stanchino, tornerei a casa". 

Caro Forrest, quanto avrei voluto darti un passaggio!

 

 

Quella strada, con i suoi effetti ottici all'orizzonte, mi correva davanti come i binari della Central Pacific e, man mano, mi presentava la sua produzione: le grandi mittens, sempre più vicine, familiari a chiunque e che nessuno al mondo potrà mai negare di riconoscere, o almeno credo. Caspita.... sui giornaletti, sulle scatole dei formaggini o nelle figurine Panini le avranno pure viste!

Quello che voglio dire è che ognuno di noi, nessuno escluso, almeno una volta nella propria vita ha avuto davanti a sè un'icona che rappresenti la storia di qualcosa, o di un movimento, una moda, una tendenza. Oppure di un luogo.

Prendiamo, per esempio, la Torre Eiffel. Anche un bambino direbbe subito che sta a Parigi e sarebbe riconosciuta anche da chi odia la Francia, a conferma che tutto è associato ad immagini, e tutte le immagini associate a un nome, più o meno noto. Quindi, in questa specie di geografia della memoria, tutti sarebbero capaci di dare un nome a qualcosa che visivamente ricordano.

Ma se dicessimo "Monument Valley?

Più della metà risponderebbero "No, non la conosco". 

Non è vero, la conosci. La conosci e non sai di saperlo. L'hai vista centinaia di volte nei fumetti di Tex Willer, di Zagor, di Black Macigno e di Capitan Miki, sulle strisce di Jacovitti. Inconsapevolmente l'hai vista passare davanti ai tuoi occhi in film che hanno ripassato mille volte in tv. L'hai vista sui diari di scuola, sulle etichette dei jeans, su mille e mille poster. 

A dir la verità, per molti anni non è stata proprio niente, soltanto un gruppo di stupendi monoliti rossi in mezzo a questa sterminata e meravigliosa valle all'interno della  riserva Navajo, esattamente al confine fra l'Arizona e lo Utah, e che fino agli anni Trenta aspettava soltanto di essere valorizzata, conosciuta, apprezzata. Oggi è famosa non tanto per il suo nome, ma per le immagini delle sue sagome diventate leggendarie grazie all'opera di un  leggendario cineasta americano che plasmò quel paio di forme di granito con la storia americana fino a farle diventare le principali icone del West. E poi, soprattutto, per un poco conosciuto Mr. Harry Guildings che per aiutare i Navajos sfruttò giustamente la bellezza di quelle pietre rosse facendole conoscere a John Ford, certo che avrebbero fatto presa nella fantasia del suo genio.

Quando Harry riuscì a far lavorare i suoi indiani come comparse nei film di Ford pensate a cosa dev'essere stato per un popolo  che nella sua terra è stata confinato in una riserva e in questa, pur di campare, doveva addirittura recitare la parte del cattivo che perseguita coloro che invece l'hanno buttato fuori di casa. Purtroppo quei nativi americani sapevano qual era la verità; sapevano perfettamente chi erano i buoni e chi i cattivi, di come andò esattamente la storia e di come, al contrario, fu scritta.

 

 

Grazie a Guilding e signora, e al cinema di Ford,  la valle diventò famosissima e nacque  un vero e proprio villaggio, tutt'ora esistente a San Juan County, e che si mantiene soltanto col turismo.  Ma gli indiani non dimenticarono chi li aiutò, e prova di questa riconoscenza sono tutte le lapidi e gli oggetti appartenuti ad Harry e la sua consorte Leone (detta Mike) e che si possono vedere al museo a loro intitolato, accanto al camerino che John Wayne usava per i suoi film.

Già arrivare sotto i monoliti rossi di San Juan County, scorgere quel fin troppo famoso orizzonte abbagliato dal sole dell'ovest, fermarsi di fronte a quella bandiera americana che sventola in una veranda in legno che ricorda tanto l'ultimo avamposto dell'esercito dell'Unione nella guerra contro Cavallo Pazzo, credetemi, fa davvero tremare le gambe. Chi è appassionato (non solo, ci metto anche i profani) di cinema americano può capirmi.

Quello spiazzo sarà stato largo duecento di metri, ma ogni passo sapeva di Settimo Cavalleria, di Spaghetti Western, di Sergio Leone, di di bisonti al galoppo, di incolonnamenti a cavallo per due, C'era una volta il West, Mucchio selvaggio. Ecco, tutto.... tutto, ogni granello rosso trasudava Western, leggendari duelli fra mitici pistoleri e sfide all'Ok Corrall; con la fantasia si poteva addirittura avvertire l'odore di polvere da sparo sprigionato dalle canne dei Winchester. Bastava sedersi in quella veranda, chiudere gli occhi, respirare profondamente e immaginare di far confessare a Geronimo il piano per distruggere Custer a Little Big Horne. 

E questa, credo, sia stata l'esatta sensazione che Ford avvertì non appena si affacciò in questo paradiso che era un po' casa sua. Infatti una zona della valle gli è stata dedicata proprio perchè qui il grande regista amava sedersi al tramonto per ripassare i copioni. Il posto si chiama John Ford's Point.

 

 

Come poteva rimanere insensibile di fronte a quel set cinematografico in cui non doveva toccare niente, colui che ha fatto "vedere" al mondo la conquista del West? In quella sceneggiatura già pronta azionò parecchie volte i suoi ciak leggendari e, come si fa con i soldatini, animò la scena mettendoci dentro gli indiani cattivi che insidiavano i bianchi salvati all'ultimo momento dalle giacche blu del grande John Wayne. Arrivano i nostri, tutti felici e contenti al suono della tromba della Cavalleria.

Già siamo all'ingresso del ristorante del Guilding's. I camerieri sono Navajios con il loro perenne umore: triste, con un'aria scura e corrucciata; mai un sorriso, una battuta. Niente. Sembra che le loro facce ricordino ancora la grande amarezza, tramandata da generazione in generazione, che il Governo Americano causò in loro quando furono confinati nelle riserve. Ancora non  hanno dimenticato e li vedi lì, costretti a guidare le jeep invece dei loro mustangs, vendere ai turisti bijotteria fatta dai cinesi e spacciata per artigianato pellerossa. I loro volti sono ancora fieri come un tempo, ma il loro animo è devastato.  

Ecco, vi porteranno sul grande parcheggio che si affaccia sulla valle e....... trovarsi all'improvviso lì, davanti a quegli altari, senza scattare una fotografia è un grave peccato. Almeno prendete pollice e indice sinistro, pollice e indice destro, uniteli in diagonale davanti ai vostri occhi, inquadrate quelle meraviglie e immortalatele nel photoalbum della vostra vita perchè sono flash indimenticabili.

Siamo sulle jeep che le guide indiane usano per i loro tour nella valle. Le strade nella valle non sono asfaltate e per questo sollevano una gran massa di fine polvere rossa che si insinua nelle vostre narici e nelle fotocamere.  Il nostro autista Navajo era l'unico, fra i suoi compagni, dotato di un pizzico di spirito. Allo scorgere di ogni nuovo, stupendo paesaggio, ci scimmiottava con espressioni di meraviglia italiote: "Mammmma mmiia" ma con la tipica cadenza pellerossa. Quale nome di battaglia immaginavo Aquila Rossa, Lupo della notte, Alce tonante. Macchè, si chiamava Bernardo!

Gli indiani ritengono questo luogo sacro, e quei panettoni che svettano in cielo i Totem lasciati in terra dalle loro divinità. Sembrerà una sciocchezza, ma venendo qui e affacciandosi su questo autentico altare ti vengono addosso autentiche crisi mistiche.... e a quel punto capisci che gli indiani hanno proprio ragione. Dopo aver visto questo luogo magico, chi può dar loro torto? Maometto, Manitù, Buddha, Odino, .......sono tutti qui.

Quel giorno sapevo esattamente dove stavo per mettere i piedi. Ero emozionato già da qualche chilometro perchè ho semre pensato di non riuscire mai a vederla, che in vita mia l'avrei solo immaginata rileggendo qualche fumetto antico. Peggio di un frate gesuita, nei pacchetti di viaggio l'ho cercata con ostinazione fino ad ottenere ciò che volevo; non ci avrei mai rinunciato perchè un viaggio negli USA non è niente senza vedere questo autentico simbolo americano. Invece quel giorno l'ho vista, respirata, toccata, calpestata. 

Mentre i miei compagni di viaggio consumavano  megabit di clik su quelle pietre di ferro rosso disegnate da Dio, su quella jeep facevo un po' di conti con la mia esistenza calcolandole l'IVA, l'IRPEF e tutto il resto. E' inevitabile, chiunque passi da qui si autorilascerà una ricevuta fiscale sul proprio cuore facendo pace con se stesso, rimettendosi in regola con l'Ufficio Tributi dell'anima.

In tal senso io sono stato un grande evasore fiscale, ma quel pomeriggio ho sanato i debiti perchè in questo luogo sacro, in queste cattedrali tagliate dal vento e sorvolate dalle aquile, ho pagato tutte le tasse alla mia coscienza. Il mio commercialista è stata Madre Natura.

Cpl. Rapisarda - 7th U.S. Cavalry Regiment (from Forth Apache)

 

non importa come si chiami l'architetto, ma qui lo dici davvero: quella cosa lì... esiste!

 

 

la versione completa di questa tappa