tutte le foto e i commenti sono di Saro Lo Schiavo
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Crispeddi: si chiamano così le sorprese più croccanti della cucina popolare catanese. Sono dei piccoli involucri di pastella fritta, farciti con ricotta o acciuga, sono lo street food per antonomasia dell’autunno etneo. Le crispeddi sono un classico cibo da strada della tradizione catanese. Quelle frittelle lievitate e fritte vanno riempite di ricotta ed acciuga. Esiste anche una versione dolce, quella delle crispelle di riso al miele. Ma è tutta un’altra storia. Le crispeddi catanesi vengono chiamate anche sfinci o sfingi, un chiaro richiamo alla loro origine. Il termine sfingi, infatti, deriva dall’arabo sfang, che indica la pasta fermentata e fritta. La tradizione vuole che le crispelle alla ricotta siano di forma tonda, mentre quelle all’acciuga devono essere allungate. Il nome crispeddi deriverebbe dal fatto che la pasta lievitata, a contatto con l’olio bollente, s’increspa immediatamente . Secondo la tradizione catanere, queste piccole frittelle salate venivano cucinate e distribuite dai monaci alla popolazione in occasione delle festività maggiori. Realizzare le crispedde catanesi è una vera e propria forma d’arte. Protagonista indiscusso è il “crispiddaru“: quando realizza quelle meraviglie croccanti si rimane incantati per l’eccezionale abilità nella manipolazione della pastella. Ecco gli ingredienti per le crispeddi catanesi sono : 1 kg di farina di rimacinato di grano duro 25 gr di lievito di birra 15 gr di sale 8 dl di acqua, 500 gr di ricotta di pecora 150 gr di acciughe salate olio di semi di girasole La ricetta per le crispeddi catanesi Le regole per preparare le crispelle sono ferree ed ogni piccolo errore ne compromette il risultato. Prima di passare alla fase dell’impasto vero e proprio prelevate un bicchiere di acqua dal totale e scioglietevi il lievito. L’acqua deve essere tiepida. Versate la farina in una ciotola molto capiente, aggiungete il sale e mescolate bene. Con l’ausilio di una forchetta iniziate versando l’acqua con il lievito e, poca per volta, incorporate la restante parte. Impastate per circa 20 minuti fino a quando avrete ottenuto un impasto molto morbido e soffice, quasi liquido. Lasciate la pasta a lievitare coperta da un panno caldo e lontano da correnti d’aria per almeno 3 ore. Alla fine del processo di lievitazione la pasta dovrà avere raddoppiato il volume. Appena pronto lavoratelo nuovamente un paio di minuti facendolo sgonfiare. Nel frattempo mettete sul fuoco un pentolino pieno d’olio, e iniziate la preparazione delle crispedde. In questa fase è importante avere a disposizione una recipiente contenente acqua con cui inumidirsi le mani per evitare che l’impasto si appiccichi. Prendete una piccola porzione di pasta e stendetela sul palmo della mano inumidita, adagiatevi sopra un cucchiaio di ricotta o un filetto di acciuga. Chiudete bene il fagottino avendo cura di non lasciare fessure per evitare la fuoriuscita dei liquidi o che possano aprirsi durante la cottura. Non appena tuffate nell’olio ben caldo le crispelle si gonfieranno e si incresperanno (da qui il nome). Friggetele man mano che le andrete preparando fino a doratura, rigirandole da entrambi i lati quindi scolatele con una schiumarola su carta assorbente. Ripetete l’operazione fino ad esaurimento degli ingredienti. Servite ben calde.
Maria Paola Scaletta
polpette di alici. deliscare le alici e lavarle bene, tagliare a pezzetti, aggiungere pecorino siciliano stagionato grattugiato (potete sostituire con parmigiano), prezzemolo tritato,uova,sale e pepe nero,(se piace pochissimo aglio).mescolare il tutto e a cucchiaiate friggere in abbondante olio di girasole caldo.
Pasta e patate: soffitto di cipolle con olio d'oliva,patate a tocchetti un po' della mia passata di pomodoro, coprire con acqua,sale e pepe,a fine cottura aggiungere acqua quella necessaria per poter cuocere la pasta,5 minuti prima che finisca la cottura aggiungo pezzetti di Pecorino stagionato o caciocavallo insieme a pezzetti di parmigiano.buon pranzo a tutti.
Zuppa di fagioli con bietole selvatiche, mettere a bagno la sera prima i fagioli, l'indomani sciacquarli bene coprire con acqua e mettere a cuocere, a metà cottura aggiungere le bietole selvatiche bel lavate oppure degli spinaci freschi e il sale.a fine cottura aggiungere olio d'oliva
Macco di piselli secchi. Faccio un soffritto di cipolla e qualche rametto tenero tritato di finocchietto selvatico,aggiungo i piselli secchi sciacquati , acqua quanto basta , sale, quando i piselli diventeranno una crema sfaldandosi aggiungo gli spaghetti spezzati e dell'acqua calda se necessario, si mescola spesso perché tende ad attaccarsi sul fondo della pentola...a fine cottura aggiungere Pepe Nero macinato fresco.
Risotto ai funghi Soffritto di cipolle ho aggiunto i funghi lavati e tagliati a pezzetti, sfumato con vino bianco, aggiunto prezzemolo tritato e pepe nero,a parte ho tostato il riso con un filo d'olio d'oliva ho aggiunto i funghi ed un mestolo di brodo caldo, ho continuato man mano che si assorbiva il brodo ad aggiungerne altro ,a fine cottura ho spento ho aggiunto una noce di burro ed ho mantecato e servito con prezzemolo tritato finemente.
Olive nostrane (coltivate da mio fratello) che ho schiacciato e condito con olio d'oliva,aceto bianco, origano,aglio, peperoncino, su possono aggiungere carote e sedano freschi a pezzetti se vi piacciono. Oppure la giardiniera( ortaggi sott'aceto).le olive precedente sono state schiacciate e messe a bagno cambiando l'acqua mattina e sera per 4 giorni circa l'ultimo giorno o si mettono a bagno con la salamoia (80 gr di sale ogni litro d'acqua) oppure continuare sempre con acqua dolce ed aggiungere il sale quando poi si condiscono.
Rocculi affucati ricetta catanese (broccoli affogati)si alternano in un tegame i broccoli lavati ,con sale, pepe,cipolletta lunghe,olive nere, pezzetti si caciocavallo o pecorino stagionato,ci stanno formaggi saporiti, acciughe sottosale lavate e delicate, olio d'oliva ,e un bicchiere di vino, si coprono con coperchio (da qui il termine affogati)e si lasciano cuocere a fuoco basso per evitare che si brucino.io ho due padelle che si chiudono ad incastro così posso girarli senza problemi a metà cottura per farli rosolare da entrambi i lati
Nella dìagata
Il bollito di carne Mondate tutte le verdure: pelate la carota, tagliate la cipolla a metà e inseriteci dentro qualche chiodo di garofano, pulite e dividete a metà il sedano. Riponetele in una pentola capiente assieme al sale e a 3 litri d’acqua fredda. Aggiungete il pepe in grani, il mazzetto aromatico composto da alloro, timo e prezzemolo legato con lo spago da cucina e portate il tutto a ebollizione. Quando l’acqua bollirà in maniera vigorosa, aggiungete la carne per bollito. Abbassate il fuoco e fate sobbollire il tutto leggermente. Cuocete il bollito per almeno 3 ore. Inserite un forchettone nella carne per controllare la cottura: questa risulterà cotta quando non opporrà resistenza; a questo punto scolate il bollito. Tagliatelo a fette e servitelo subito accompagnandolo con le verdure cotte insieme alla carne, patate e carote...o con salsa verde o altre verdure a vostro gusto. 😋🍷😘 (Un’ora prima che la carne sia cotta, prendete le patate e le lavate; lasciate intere e proseguite la cottura fino al termine) (Il brodo filtrato e sgrassato potrà essere utilizzato per preparare una minestra con la pasta o con tortellini) Fabio Equizzi
Pasta e patate Ho soffritto un battuto di cipolla,sedano e carota,dopo ho versato la pancetta tagliata a striscioline,dopo dieci minuti ho versato le patate a cubetti,salato,pepato e tre mestoli di brodo di carne,a ultima cottura delle patate ho versato il peperoncino e le mezze maniche ,dopo che si sono cotte ho spento il fornello e ho versato il pecorino, spolverata di pepe. Consuelo Suella
Pasta e Patate alla napoletana di Pasqualina In Cucina Se dobbiamo farla dobbiamo farla bene!! Tempo fa ho comprato il libro “Maccheroni” di Rossella Guarracino, un libro ben fatto, pieno di ricette campane, piatti tipici . Ho provato la pasta e patate alla napoletana e ho scoperto che (ad eclusione della pancetta tesa) è praticamente uguale a quella che ha sempre preparato mia madre. Vi riporto la ricetta del libro, fatela è deliziosa e, per favore, usate la pasta mista (io la faccio con gli avanzi di delle varie confezioni di pasta)! Ingredienti per 4 persone 320 gr pasta mista 600 gr patate 100 gr pomodorini 70 gr pancetta tesa 1 crosta di parmigiano 1 cipolla (io scalogno) 1 costa di sedano 1 carota 1 dl olio extra vergine sale e pepe q.b Preparazione Grattare con il coltello la crosta del formaggio , fatela a pezzetti e fatela ammollare in acqua tiepida. Preparare un trito di cipolla, carota,sedano e pancetta e lasciare imbiondire tutto in una casseruola con l'olio. Aggiungere i pomodori tagliati a spicchi e fate asciugare lentamente. Intanto tagliare a cubetti le patate e aggiungerle al soffritto. Regolate di sale e pepe e fate rosolare per qualche minuto. Coprire con l'acqua necessaria alla cottura delle patate e portate a bollore. Lessate molto al dente la pasta mista, scolatela e versatela nel tegame con le patate. Unite le croste di parmigiano e completare la cottura lasciando asciugare completamente la minestra che dovrà risultare piuttosto cremosa. Decorate con foglioline di sedano e servite ben caldo. A volte, prima di impiattare, aggiungo provola affumicata o scamorza fatta a cubetti. Sublime!!! Aggiungo una nota in risposta a chi mi ha fatto notare l’usanza di cuocere la pasta nelle patate sin dall’inizio. Ovviamente nulla vi vieta di farlo, allungando l’acqua di cottura delle patate. A volte l’ho fatto anch’io ma il risultato mi sembrava eccessivamente “amidoso” per cui ho deciso di cuocere appena qualche minuto la pasta in acqua semplice per poi trasferirla nel tegame con le patate e far completare la cottura. Il risultato, vi assicuro che non cambia. Le patate sono ricchissime di amido e la cremosità si crea ugualmente.A voi la scelta!
Caturro o Cuturro, l’antica polenta siciliana. Il piatto unico della tradizione povera Una tradizione culinaria, ma anche un pezzo di storia del territorio. In pochi la conoscono, ma la sua storia è molto affascinante. La nostra ricerca delle tradizioni culinarie siciliane ci porta oggi a Scicli e dintorni, per conoscere una particolarissima polenta siciliana. Il caturro era una forma di sostentamento, ma non solo. Alla fine dell’Ottocento, infatti, era un modo per sfuggire alla tassa sul macinato imposta dal Regno d’Italia. Chi non poteva permettersi la tassa, macinava in casa (contravvenendo, di fatto, alla legge). L’ingrediente principale è il grano macinato in casa, tra due pietra laviche, e cotto proprio come una polenta. Sebbene si tratti di una preparazione della cucina povera, era un piatto unico ricco di sapore. Buona parte dell’alimentazione delle famiglie si basava su questo piatto semplice, genuino e completo. Come si fa il Caturro siciliano Il grano duro, frantumato e macinato, si versava lentamente e a pioggia in acqua bollente e salata. Veniva dunque mescolato lentamente, con un cucchiaio di legno, per evitare la formazione di grumi. Per mezzo chilo di frumento, ci volevano circa tre litri d’acqua. Alla fine della cottura, si versava nei piatti e condito con vari ingredienti, come olio d’oliva, legumi, verdure o ricotta. Si poteva anche consumare freddo o fritto in padella, con un po’ di olio. Questo piatto della tradizione è quasi sconosciuto anche nei suoi luoghi d’origine. Al di fuori dei confini di Sicilia è noto solo a qualche studioso. La memoria del caturro è rimasta viva grazie allo scomparso medico e scultore Gaetano Mormina, che per decenni è stato cultore di questa ricetta. La versione del piatto che si prepara oggi è, indubbiamente, più ricca, con ingredienti diversi. Rimane, però, una testimonianza molto importante della tradizionale cucina siciliana, di quell’arte di arrangiarsi che ha reso la cucina povera un bene prezioso. Foto: judywitts – Licenza.
"SCRIGNO SICILIANO" In Emilia-Romagna lo chiamano "Scrigno di Venere" una delicata copertura di pasta briseè dove all'interno si trovano i tortellini conditi con il ragù alla bolognese. Qua possiamo fare la stessa cosa con una melenzana ripiena con uno dei primi piatti più diffusi della Sicilia, "gli anelletti al forno"; e adesso vi spiego il procedimento: Svuotate la melanzana (una tunisina scegliete la più grande), con le dita la ungi un po' dentro e fuori, ci metti il sale e la informi per 15 minuti (deve cucinare un pò ma senza perdere la forma), L'interno della melanzana lo tagli a pezzetti e lo fai saltare in una padella appena unta. Prepara 100gr. di pasta con la salsa, aggiungi una mozzarella tagliata a cubetti, i pezzetti di melanzana saltati, del pangrattato e del basilico fresco sminuzzato. Riempi la melanzana, spolvera di formaggio e di pangrattato e inforna per una ventina di minuti a 200 gradi (deve completarsi la cottura della melanzana contenitore e deve gratinarsi bene sopra). Una volta terminata la cottura, servite a tavola e buon appetito a tutti! Fabio Equizzi
Cùscusu di vitello, verdure selvatiche, zucchine, patate e funghi Angelo Benivegna Non c’era matrimonio o banchetto che fosse, a cavallo degli anni 60/70, che non avesse in menù i pomodori ripieni di cùscusu, e già qualcuno aveva provato le arancine e i timballi di Cùscusu, io col Cùscusu ci farcivo i calamari ed a Favignana, di li a poco, un cuoco avrebbe presentato, ovviamente con scarsissimo successo, delle teste di polpo ripiene di Cùscusu. E meno male che finalmente si cominciava a sperimentare, andando magari per tentativi ed errori, e a “pensare” il Cùscusu in maniera diversa. Adesso ci possiamo anche ridere su, ma una cinquantina di anni fa questo piatto, il Cuscusu, una delle colonne portanti della cultura gastronomica trapanese, stava per scomparire, dimenticato, memorizzato, ancora, soltanto come piatto delle grandi occasioni. Ma ancora per quanto? Era finito il tempo che tutte, e dico letteralmente tutte le donne trapanesi sapevano incocciare il Cuscusu, quando le bambine trapanesi incominciavano a incocciare stando in piedi su una sedia, a fianco della mamma o della nonna, imitandone i gesti e in una qualunque piccola insalatiera “ giocavano” a incocciare. Addirittura, in alcune famiglie, le bambine imparavano a incocciare in mafararde in miniatura, quelle che oggi usiamo come ciotole per le patatine. Se non sapevi fare un Cùscusu decente, che ti potevi sposare? Ma nonostante, o forse proprio a causa di questa diffusione a tappeto, il Cùscusu non era mai entrato nel menù delle poche trattorie aperte in città. Quasi tutte le trattorie esponevano il cartello “Venerdì Cùscusu” sottolineando, senza assolutamente averne contezza, il carattere penitenziale che aveva il Cùscusu di allora: altro che piatto di festa! Il Cùscusu era un piatto povero e familiare, un piatto “comodo” da portare al lavoro, e non poteva essere altrimenti già che era nato come piatto nomade, tramandato poi di generazione in generazione dalle donne trapanesi per più di mille anni! La cultura del Cuscusu era andata nei secoli radicandosi in noi trapanesi così tanto che era normale distinguere tre tipi di incocciate: quella fine per i Cùscusu di pesce, quella media per quelli di verdure e quella grossa per i Cùscusu di carne. E non andavano mica ad occhio le nostre antenate, usavano dei crivelli ovali, di alluminio, ed il sottoscritto tornava nella mafararda per essere incocciato ancora. Inutile sottolineare le dispute, da derby calcistico, sulle migliori incocciate, piuttosto che sulla migliore ghiotta. Può qualcosa tramandato per più di mille anni rischiare di scomparire? Sembra impossibile eppure si, il Cùscusu trapanese, sottolineo trapanese perché il Cùscusu è stato cucinato per più di mille anni esclusivamente lungo la fascia costiera che va da San Vito lo Capo a Mazara e che ha come epicentro Trapani, stava scomparendo. Tutta colpa del 68. Non ridete, il 68 o meglio il 69 e la ventata di ribellione giovanile che animò quei mitici anni spinse, finalmente, anche le ragazze siciliane fuori di casa, e non soltanto letteralmente. Le ragazze siciliane cominciavano a ribellarsi al guinzaglio corto che le teneva legate alla famiglia, e insieme ai reggiseni buttarono nei falò anche la cucina tradizionale. E fu peggio che se avessero scordato del tutto la cucina di casa: la volevano cambiare! Volevano fare Cùscusu nuovi, scatenando sciarre familiari che avevano pari soltanto con le dispute sulla lunghezza o cortezza delle gonnelle! Ma, mentre dappertutto il Cùscusu si avviava tristemente a diventare un piatto di festa, ricco ma spento, sostituendo alla ormai scarsa frequentazione un eccessivo, snaturante abbellimento fatto di saraghi, orate, gamberoni e aragoste, come gli interpreti di una passione assopitasi che si vedono ormai di rado, più per cortesia che per vera voglia e si esibiscono mentre prima si amavano, il Cùscusu vero continuava a esplodere, notte dopo notte, una piccola osteria nel quartiere dei pescatori, in una baracca di legno, dove una famiglia di trapanesi nati in Tunisia vendeva Cùscusu e birra. Quello la famiglia Giudice preparava e serviva in quella taverna era vero Cùscusu trapanese e contemporaneamente non lo era, era diverso. O meglio era diversa la ghiotta con cui la Zia Ninetta l’aveva abbivirato: non era filtrata come facevano tutte le donne trapanesi, era passata al passaverdure. Alla maniera delle donne del Midì, quando preparano una Bouillabaisse. Quando si dice un cerchio che si chiude. Questa è una della tante storie che hanno come interprete il Cùscusu, nato più di mille anni fa dal Cous cous magrebino, il cibo per eccellenza. Questo Cùscusu di carne e verdure non è tradizionale, è una mia invenzione, un piatto che cucino da una trentina di anni. Da sempre, nei miei ristoranti, ho avuto in menù diversi Cùscusu, sia di carne che di verdure o di pesce, e per non diventare matto ho adottato un sistema: distinguo i brodi con cui li abbiviro, dalle ghiotte con cui li condisco al momento di mandarli a tavola. Uso un brodo di ossa per i Cùscusu di carne, un brodo vegetale per i Cùscusu di verdure ed un brodo di pesce alla trapanese per tutti i Cùscusu di mare. Il Cùscusu abbivirato col brodo di pesce lo posso servire con una ghiotta di scampi, o di frutti di mare, o con uno scorfano lessato nella ghiotta con cui l’ho abbivirato. Allo stesso modo, abbivirando il Cùscusu col brodo di ossa, poi lo condisco con un aggrassato verde di agnello o un vitello aggrassato con verdure e funghi, ecc. Do per scontato che sapete cucinare il Cùscusu, e passo direttamente a raccontarvi la ghiotta che l’accompagnerà, vi ricordo che per cuocere mezzo chilo di semola vi basteranno 50 grammi d’olio. Come carne ho usato il muscolo, il taglio di vitello che preferisco, assieme ai guancioli, per cucinare l’aggrassato: cottura lunga, fra due e tre ore, ma non sfilaccia. In una padella antiaderente a due manici ho messo dieci grammi d’olio, mezzo chilo di muscolo tagliato a pezzi, e due grosse cipolle bianche affettate sottilissime. A fuoco bassissimo e padella coperta ho atteso che cominciassero ad uscire i sughi della carne prima di cominciare a condire e mescolare l’aggrassato: ho aggiunto due peperoncini verdi tritati, un rametto di salvia, uno di rosmarino e qualche foglia di alloro. Il sale dopo, che voglio prima sentire la sapidità della carne. Ci vorranno almeno due ore perché l’aggrassato cominci a rosolare, e quindi potrò irrorarlo di Vino vecchio. Ed ho iniziato a preparare le patate: tagliate a spicchi e fritte per immersione in olio evo. Intanto ho sceso il Cùscusu, l’ho frisculiato, ho tolto le foglie di alloro, ho controllato il sale e l’ho abbivirato col brodo di ossa. Imbracato in un paio di plaid riposerà per un’ora e mezza. Verificata la cottura della carne, ho aggiunto le patate, ho fatto insaporire per un minuto e poi ho allungato il fondo di cottura con un mestolo di brodo di ossa, ed ho spento. In un’altra padella ho trifolato in dieci grammi d’olio evo il primo qualeddru dell’anno con una chilata di prataioli affettati, e due zucchine verdi affettate grossolanamente, quindi li ho aggiunti all’aggrassato ed ho fatto insaporire il tutto. Ormai l’ora e mezza è passata, quindi libero la mafararda dall’imbracatura che ha mantenuto il Cùscusu caldissimo, lo frisculio con un ramaiolo bucato, verso sopra l’aggrassato e porto a tavola. Ogni ospite prenderà Cùscusu e conza e li mischierà nel proprio piatto. Per favore non vi fate prendere dallo sfizio di imitare i professionisti impacchettando e pressando il Cùscusu in tortini, coppette, piramidi & Co. Il Cùscusu deve essere soffice, sempre, figuratevi che i muratori o i contadini usano il termine Cùscusu come sinonimo di qualcosa di soffice e leggero. Buon pranzo trapanesi, e non
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