Mettiamoci allora anche noi a tavola e viviamo, come in un viaggio a ritroso del tempo, il Natale delle tradizioni: è la vigilia e la cena è stata preceduta, - dal prescritto digiuno, (specie per i preti, recitata un un’anonima ottava) oggi coatto per la corsa stressante all’acquisto dei regali. Le nostre nonne preparavano invece un menu “ricco”, e faticoso!, di almeno sette verdure: cauliceddi, bastardi e broccoli (lessi o “affucati”) cadduni in pastella, cacoccioli chini ca’ muddica, minestra maritata, “ciconia”, e sinapi, come antipasti o contorni insieme a zuzzu (gelatina) di maiale che si ammazzava il 21 dicembre. Per per ricavarne anche salsicce preparate “al ceppo” con budello, non sintetico come oggi, finocchietto o con la variante, da Linguaglossa ad Acireale, di condimenti vari: peperoncino, formaggio con pepe, cipollina e pomodoro. Puculiarità rimasta in tutti i paesi etnei in gara con le Dop e le Doc a colpi di suino nero dei Nebrodi e Nerelli mascalesi che vivacizzano scoppiettanti cenoni meglio di quanto possano i mortaretti. E i forni, sia quelli in casa che nelle rosticcerie, lavoravano sin dal mattino per essere pronti ad accogliere scacciate, con tuma e acciuga, e cipollina fresca; o con ripieni di verdura. Massare e monsù friggevano crispelle tonde di ricotta o, allungate, con ripieno d’acciuga.

 

Diceva una vecchia pubblicità degli anni Sessanta: £La tua squadra ha vinto? Festeggia con Stock 84; La tua squadra ha perso? Consolati con Stock 84". Ma se la tua squadra - cioè u Catania - ha pareggiato, consolati invece con mezzo chilo di crispeddi c'angiova e 'ca ricotta!

Forza Catania, sempre.

 

 

Famosi a Catania i Pistorio (anche oggi), i Lorenti e i fratelli Stella, rubicondi e ben pasciuti nella rosticceria di S.Berillo. Piatti forti della tavola, il pesce a cominciare dal baccalà, a frittelle o lesso con olio e limone, acciughe in salamoia, caponi, sgombri per le tavole più modeste, anguille e capitoni. E dolci a profusione. Dopo “u scaccio” di noci, nocciole, mandorle, fichi secchi e pistacchio, tradizionali ingredienti della pasticceria, monacale e casalinga, della provincia di Catania. Ad ogni paese il suo dolce, a cominciare da quelli comuni a tutti: cannoli di ricotta o cioccolato, maxi a Randazzo come ad Acireale (modello Piana degli Albanesi ed Avola) nucatoli e mustazzoli li ritroviamo a Vizzini e Mineo apprezzata dal “cuoco” Luigi Capuana, preparati da lui dalla zia Memè, dolci di Riposto… a Caltagirone, e ancora Acireale, torroni a Belpasso antenati di quelli del “Cavaliere” e mostarda di fichidindia a S.Cono e Militello.

 

 

Ad ogni paese il suo dolce, a cominciare da quelli comuni a tutti: cannoli di ricotta o cioccolato, maxi a Randazzo come ad Acireale (modello Piana degli Albanesi ed Avola) nucatoli e mustazzoli li ritroviamo a Vizzini e Mineo apprezzata dal “cuoco” Luigi Capuana, preparati da lui dalla zia Memè, dolci di Riposto… a Caltagirone, e ancora Acireale, torroni a Belpasso antenati di quelli del “Cavaliere” e mostarda di fichidindia a S.Cono e Militello.

In Sicilia, la tradizione natalizia è molto sentita, non solo dal punto di vista religioso ma anche da quello culinario e gastronomico.
Ancora oggi, infatti, si possono assaggiare piatti appartenenti alla più antica tradizione siciliana, che sono stati tramandati con cura a distanza di secoli, di madre in figlia.

Certo, la grande varietà di ricette e soprattutto, l’originalità degli accostamenti tra i vari ingredienti che rendono così particolare la cucina siciliana, sono sicuramente un retaggio delle varie popolazioni che in tempi passati hanno conquistato questa bellissima terra lasciandole in dono le proprie usanze gastronomiche.https://www.mimmorapisarda.it/2023/455.jpg

Nel periodo natalizio, la Sicilia si trasforma in un vero e proprio laboratorio del gusto e dei sapori con le sue ricette stuzzicanti e particolari.

Al contrario di molte altre regioni, in Sicilia non c’è un menù prestabilito per la Vigilia ed un altro per il pranzo di Natale, ma ci sono semplicemente dei piatti tipici e tradizionali che vengono preparati a piacere.

Tra i più usuali ricordiamo senza dubbio il “timballo di riso” e le “lasagne cacate”, un tipico piatto di Modica preparato con la ricotta ed il ragù.
Famoso è anche il “pasticcio di Natale”, un vero e proprio miscuglio di carne, pasta, verdura, formaggio, che può essere servito anche come piatto unico.
Tra i secondi piatti, uno dei preferiti è sicuramente l’ “impanata al pesce spada”, anche se il pesce è un alimento molto presente nella gastronomia natalizia.

Altra ricetta tipica è lo “sfincione di San Vito”, una sorta di pizza che si consuma prevalentemente la sera di San Silvestro ma che fondamentalmente viene consumata durante tutto il periodo di natale.

Come contorno, ricordiamo il “pasticcio di spinaci” o “pastizzu” che può essere preparato anche con i broccoli.
Anche la Sicilia, per quanto riguarda i dolci, può vantare una grande e gloriosa tradizione natalizia.
Il dolce che solitamente “apre” le festività natalizie è la “cuccia di santa Lucia” che viene preparata il 13 dicembre in occasione, appunto, di Santa Lucia.

Altro dolce natalizio è il "Buccellato", una specie di ciambellone che può essere preparato anche nella variante dei "buccellatini", ovvero delle piccole ciambelle ricoperte poi di miele.

Abbiamo poi i “nucatili”, tipici biscottini natalizi a base di miele, i “mostaccioli”, presenti anche in altre tradizioni, e le “frittelle”, chiamate in dialetto siciliano, “sfinci”.

Come non ricordare la famosissima “cassata”, preparata in diverse varianti in base alla ricorrenza in cui si prepara.
La versione natalizia prevede come ingredienti principali, il pan di spagna, la crema dei cannoli e la glassa.

Citiamo, infine, i “cuddureddi”, dolci tipici natalizi per antonomasia, hanno una particolare forma ad anello ripiena di vino cotto, spezie, mandorle, cannella e canditi di arance locali.

 

 

 

 

 

di Giuseppe Valerio (In Viaggio allegato a La Sicilia - dic. 2008

 

Le feste di fine anno sono un'occasione per riscoprire l'enorme patrimonio gastronomico siciliano. Protagoniste scacce, scacciate, 'mpanate, sfincioni e cudduruni, variazioni sul tema delle tradizionali delizie da forno

Prima a che diventassimo tutti dei soggetti ipernutriti, grondanti colesterolo e etti di sovrappeso, le Feste di fine anno erano l'occasione "per farsi una bella mangiata".
Secondo la tradizione siciliana, le celebrazioni, e con esse le tavolate, iniziano co
n l'Immacolata, l'8 dicembre, giorno festivo dedicato alla realizzazione del Presepe e dell'Albero di Natale.

Dopo un breve periodo di "riposo gastronomico", ecco arrivare la sera della vigilia.

La cena del 24 dicembre, sempre secondo la tradizione, dovrebbe essere "di magro": pasta con le acciughe, baccalà e bastaddi affucati. In molte zone della Sicilia, per non dire la gran parte, però si preferiva, e si preferisce ancora, deliziarsi con focacce ripiene cotte in forno.

Detta così, però, non si avverte la minima poesia (perché in fondo è di questa che stiamo parlando): il termine focaccia è italiano ed è praticamente inutilizzato dalla tradizione siciliana che invece si esalta con scacciate, scacce, 'mpanate, cudduruni, fuate, fuazzedde, sfincíoni e altre delizie.
Di fatto esiste un termine preciso per ogni luogo ma la zona geografica è generalmente molto limitata. Un esempio classico è quello di Catania e Misterbianco.

I due centri sono confinanti, eppure se nel capoluogo si mangiano le scacciate, nel grosso centro etneo si preferiscono le 'mpanate.

E non si tratta di due nomi diversi dati alla stessa pietanza, le differenze di realizzazione sono sostanziali.

Lo sfincione di Palermo è completamente diverso da quello catanese (il primo è una sorta di pizza salata, il secondo è fatto con riso e zucchero), e via dicendo.

Il dato positivo è che a tutte le longitudini è tutto buonissimo.
 Così, nella provincia iblea, imperano le scacce. Premesso che sono a loro volta diverse da scacciate e 'mpanate, sia per "filosofia costruttiva" che per gusto (ma ancora una volta una delizia per il palato), tutte queste realizzazioni da forno non possono più essere considerate un piatto tipico, e
soprattutto, esclusivamente natalizio.

Durante tutto l'anno, anche nei mesi estivi, è infatti ormai possibile trovare il panificio che realizza focacce ripiene.
Ma semel in anno licet insanire, dunque a Natale, se abbiamo avuto la forza di non
abusarne durante il resto dell'anno, pensiamo a goderci le prelibatezze della cucina siciliana in tema.

Le scacciate catanesi, ad esempio, per tradizione dovrebbero essere due semplici dischi di pasta di pane sovrapposti e farciti con tuma e acciughe, nella loro versione più povera, o con cavolfiori, olive e acciughe in quella più elaborata. Accreditata anche una versione con salsiccia, cipolla, olive e pomodoro a filetti, ma in realtà oggi le scacciate sono condite esattamente secondo il gusto dei commensali: se ne trovano facilmente farcite al prosciutto, con ricotta e spinaci, con funghi e salsiccia, insomma senza limiti alla fantasia del cuoco e col risultato sempre garantito di soddisfare tutti.

La scaccia ragusana viene lavorata con un apposito mattarello, u lasagnaturi: si tira una sfoglia rotonda, larga e piuttosto sottile di pasta di pane lievitata, quindi viene condita a piacere e ripiegata a più riprese fino a prendere la forma di una borsa a busta. Le scacce sono chiuse con un ricamo di pasta detto riefico. Il condimento varia secondo gli ingredienti stagionali: la base è il pomodoro condito con basilico fresco e il caciocavallo, con una spruzzata di olio d'oliva, sale e pepe, le varianti sono la melanzana, la cipolla, la ricotta, le patate, il prezzemolo.
Piatto di festa sono anche le 'mpanate, spianate di pasta con pane a forma di mezzaluna o circolari, ripiene di brocco e spinaci nel periodo natalizio, di baccalà alla vigilia di Nat
ale, di agnello alla sera del sabato santo. Ma in alcune zone, soprattutto a Natale, vengono realizzate 'mpanate ripiene anche di patate.
Ma la madre di tutte le focacce, quella più
antica e tradizionale, è la "facci 'i vecchia" (faccia di vecchia), prepara con pasta di pane lievitata, olio extravergine di oliva, origano, sale e niente altro. Un piatto povero ma di indubbio gusto che ha fornito la base per la realizzazione di tutte le "varianti sul tema" di cui abbiamo disquisito sino ad ora.
Figlio diretto della facci 'i vecchia è la fuata", una sorta di pizza spessa, con unico condimento un po' di pomodoro, cipolla e acciuga.
Nella Sicilia occidentale, nella zona del palermitano soprattutto, lo sfincione è il piatto del menù delle vigilie più importanti nel ciclo natalizio.
Si tratta anche in questo caso di una sorta di pizza molto spessa, condita sobriamente con cipolla, pomodoro, acciughe, origano e pan grattato, che ha la particolarità, secondo molti, di diventare più buona e gustosa uno-due giorni dopo la sua cottura. Secondo una certa tradizione, anzi, andrebbe preparata e poi lasciata appoggiata sul pavimento anche per un paio di giorni Le focacce della tradizione siciliana non sono certo tutte qui: ogni città, ogni singolo paese ha la sua ricetta tipica e le sue varianti sul tema. E andarle a gustare tutte è la vera sfida.

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Non esiste nient’altro che riconduca ogni anno al Natale. Stiamo parlando della scacciata, prodotto da forno artigianale tipico catanese che può essere farcito con verdura (cavolfiori o broccoli) e con formaggi. Il formaggio non può essere qualsiasi formaggio, ma solamente uno è degno di stare all’interno di questo dono di Dio: la tuma.

Si, è il caso di dire che la tuma ha l’esclusiva. Non senti parlare di tuma durante l’anno, come se non esistesse. Poi magicamente ne senti il profumo, ne gusti il sapore, ne immagini la sua fusione con il tuo palato quando è ancora calda o il suo essere “cadduso” l’indomani mattina.

E’ vero che la scacciata la si trova ormai in tutti i panifici qualsiasi giorno dell’anno, ma per Natale è come se quella stessa che possiamo mangiare ogni giorno assuma un sapore diverso, un appeal unico.

VAI ALLO SPECIALE SCACCIATA

Esistono due fazioni in tal senso: quelli che “no a scacciata si fa a casa, picchì comu a fa a nanna non ci n’è ppi nuddu” e quelli che “iu pottu a scacciata ca mi spicciu prima”. In questo secondo caso stiamo parlando della scacciata da panificio, quella che secondo la leggenda inghiumma dopo un paio d’ore, ma che ha un suo perchè.

Come dicevo all’inizio le varianti di farcitura sono quasi un must per il catanese: o bastaddi, o broccoli, o cche patati o tuma e prosciutto (ppe picciriddi solitamente). Però viviamo in un periodo storico in continua evoluzione e se cambia la società cambia talvolta anche a scacciata.

E’ quello che ci dice Manuel, il titolare di Perlage Pizzeria Gourmet sita in Via Giacomo Leopardi, 89 a Catania, che propone quest’anno una scacciata davvero particolare: tuma sicula, speck di suino nero dei nebrodi, patè pistacchio di Bronte D.O.P e granella di pistacchio, allora è un buon Natale. ( la puoi ordinare  anche su Whatsapp 3926865476 ) visita il sito www.perlagepizzagourmet.it

Insomma anche la scacciata subisce delle variazioni importanti in termine di gusto e fantasia.

Non importa se la prepari a casa o la commissioni, la scacciata unisce le famiglie, determina l’atmosfera della festa e contribuisce all’armonia del Natale.

La scacciata è vita.

Andrea Carollo

https://lalisciacatanese.it/2018/12/20/come-il-catanese-vede-la-scacciata-durante-il-natale/?fbclid=IwAR0R55jSjL6XN6DqDx_DGTmhCdTY8gpW9eEp5L1-SEVMm8pS82-Wsui40IU

 

 

 

 

Natale in Sicilia: viaggio gastronomico nella storia culinaria dell’IsolaImmagine correlata

di Liliana Rosano

La cena di Natale è un omaggio alla secolare tradizione siciliana, rispettata anche dai sostenitori della nouvelle cuisine sicula che vuole rivedere i piatti tipici, interpretandoli in modo nuovo. Tanti i piatti nelle più gustose versioni, da Catania a Ragusa, da Trapani a Modica

Natale in Sicilia: viaggio gastronomico nella storia culinaria dell’Isola

Nessuno può sottrarsi alla cena e al pranzo di Natale in Sicilia. È un’istituzione vera e propria. Un appuntamento di cui le donne di casa cominciano a parlare già un mese prima.

E le vedi adoperarsi nella scelta del baccalà da comprare, per consacrarlo poi alla frittura con olive o condirlo con il limone per un’insalata da antipasto.

Il rito, che si ripete da anni, anzi da secoli, è un viaggio gastronomico che affonda le radici nella storia della cucina siciliana. Quella che ci hanno lasciato in eredità greci, spagnoli, francesi e arabi.

Ecco perché il menù natalizio siciliano, pur avendo degli immancabili piatti comuni da Trapani a Catania, varia di provincia in provincia. Anzi, spesso di paese in paese.

La cena di Natale è un omaggio alla tradizione siciliana vera, rispettata anche dai sostenitori della nouvelle cuisine sicula che vuole rivedere i piatti tipici, interpretandoli in modo nuovo, alleggerendoli.

Le famiglie, numerosissime, si riuniscono intorno ad una tavolata unica, imbandita a festa.

A Catania, nella parRisultati immagini per zucca rossa fritta con olivete orientale della Sicilia, il via alla lunga notte che sembra non finire mai, lo danno le crispelle con ricotta e acciughe e quelle di riso e miele. Le crispelle vanno rigorosamente fritte, devono galleggiare nel grande padellone con olio. Il loro profumo, nelle strade, nelle case, è un segno indelebile nell’iconografia olfattiva siciliana.

Le crispelle di riso dette "dei Benedettini" sono dei tipici dolci fritti catanesi. Sembra che a realizzare questo dolce siano state per prime le suore benedettine del convento di Catania nel XVI secolo, come risulta da antichi testi di cronisti catanesi. Questa preparazione sembra avere anche un antenato più economico: il pane col miele. Quando anticamente si diceva "Cc’è-mmeli,… cc’è-mmeli…!", lo si diceva per partecipare alla venuta al mondo di un neonato, per cui quale cosa migliore farlo a natale con conseguente distribuzione di fette di pane spalmate con miele?

Regina indiscussa della tavola natalizia è la scacciata, con la sua variante di scaccia nel Ragusano e Modicano. Forse non erano nemmeno esclusività della gastronomia di strada, anzi c'è a Catania chi sostiene che le scacciate siano nate in casa e che solo quando furono demolite le vecchie cucine provviste di forno a legna, cioè quelle delle case nobili e borghesi, le scacciate siano scese in strada.

Per i sostenitori dell'origine nobile, le Scacciate non nascerebbero quindi cibo popolare, è probabile che siano invece le eredi di nobili torte salate, dei pastizzi, dei timballi, magari un tempo preparate per rifocillare nobili e borghesi in gita in campagna.

Non sarebbe un caso raro, è tanta la gastronomia tradizionale, oggi popolare, che un tempo era appannaggio delle classi più abbienti e dei conventi. Un esempio per tutti: la messinese Mpanata di piscispada. Non è quindi un caso che all'aristocratica pasta frolla, o ad una pasta sfoglia, si sia sostituita la popolare pasta di pane.https://www.mimmorapisarda.it/2023/468.jpg

C’è la scacciata con cavolfiori affogati nel vino, arricchiti di aglio tritato, olive nere, primosale, acciughe, e pepe; una scacciata di cipolle, con cipollotti scalogni, acciughe, pepe e olio; una Scacciata di broccoli con broccoletti lessi e saltati in padella con aglio tritato, tuma, olive nere, acciughe, pepe e olio. Tutte varianti che sono rimaste usatissime fino ad oggi.

Un altro “pezzo forte” della cena natalizia  è la zucca rossa fritta con olive e i broccoli affogati con vino e olive nere. Si aggiungono poi la caponata, i formaggi tipici siciliani come il piacentino ennese, la tuma, il pecorino siciliano, la ricotta, il salame dei nebrodi, quello di suino nero.

A fine cena, ormai stanchi ma appagati, quando il vino rosso dell’Etna ha sposato felicemente le possibili e inimmaginabili variazioni, si fanno quattro chiacchiere davanti alla varietà di frutta secca: mandorle tostate, noccioline del Nebrodi, semi di zucca, pistacchio di Bronte.

C’è spazio però per il brindisi di mezzanotte. La tradizione vuole che sia il panettone classico, quello con frutta secca e canditi, sebbene non proprio appartenente alla tradizione siciliana,  a presenziare le ultime ore prima della capitolazione finale.

I dolci tipici siciliani, si riservano uno spazio nel giorno di Natale, quando oltre agli avanzi della sera precedente, si aggiungono le lasagne al ragù o agli spinaci, il pollo ripieno, l’arrosto con contorno. C’è chi preferisce anche la variante con carne di pesce, come il pesce spada.

Ma a Natale, nel pranzo più classico che ci sia, quello siciliano, i protagonisti sono i dolci. Cassata, cassatelle, cannoli, torrone sono i sempre eterni rappresentanti del patrimonio dolciario siciliano. A questi si aggiungono i dolci tipici del Natale: il buccellato, i nucatuli, la cubaita e i mostaccioli. Il cucciddatu come viene chiamato in dialetto siciliano il buccellato, è un impasto di pasta frolla, steso a sfoglia non sottile e farcita con un ripieno di fichi secchi, uva passa, mandorle, scorze d'arancia o altri ingredienti che variano a seconda delle zone in cui viene preparato, poi chiusa e conformata in vari modi, spesso a forma di ciambella.

Il ripieno di mandorle è costituito da un impasto di mandorle pelate, zuccata (zucca candita) e gocce di cioccolato. Il ripieno di fichi, più tradizionale, è invece costituito da un impasto di fichi secchi, frutta candita e pezzetti di cioccolato.Risultati immagini per buccellato

Il buccellato casereccio viene solitamente ricoperto di glassa, quello prodotto in pasticceria è ricoperto di zucchero a velo o di frutta candita.

Di tradizione araba, come quasi tutta la pasticceria siciliana, i nucatuli derivano dalla parola araba  nagal che vuol dire noce. Sono a forma di S, aperti sulla superficie, da cui esce la farcia, un impasto variabile di fichi secchi, uva passa, miele o mosto cotto, noci o mandorle, scorza d'arancia o limone e aromi.

Uno dei dolci preferiti dallo scrittore siciliano Andrea Camilleri, la cubaita, torrone tradizionale siciliano, dalle antichissime origini arabe (è araba la parola qubbiat che significa mandorlato) è un trionfo di mandorle, pistacchio, miele, cioccolato. Camilleri la descrive così: La cubaita è semplice e forte, un dolce da guerrieri, lo devi lasciare ad ammorbidirsi un pochino tra lingua e palato, devi quasi persuaderlo con amorevolezza ad essere mangiato. Ti invita alla meditazione ruminante.

Rende più dolce e sopportabile l’introspezione che non sempre è un esercizio piacevole.

Alla dolcezza del miele mischia l'“amarostico” delle mandorle tostate e il ricordo del verde attraverso il pistacchio. Diventa così una sorta di filosofia del vivere.

Ma non finisce qui. A chiudere il pranzo di Natale ci sono i vini dolci siciliani come il passito di Pantelleria, il moscato di Siracusa. Quando tutto sembra essere finito e il corpo e la mente sembrano aver ritrovato ristoro e pace, i siciliani si ritrovano ancora la notte del 25 dicembre per consumare insieme, stanchi ma non vinti, gli avanzi di due giorni interminabili dove sapori, tradizioni, atmosfere uniche sopravvivono e si tramandano negli anni.

http://www.lavocedinewyork.com/food/2013/12/23/natale-in-sicilia-viaggio-gastronomico-nella-storia-culinaria-dellisola/

 

 

 

Panelle, arancine e cuccia: si celebra Santa Lucia e a Palermo la tradizione è in tavola

La patrona di Siracusa e protettrice degli occhi ha un posto d'onore a Palermo nel giorno della sua festa: il 13 dicembre in suo onore si rinuncia al pane e alla pasta

 Niente pane né pasta per i palermitani il 13 dicembre, giorno in cui secondo tradizione cristiana è avvenuto il martirio di Santa Lucia: tra panifici chiusi e messe straordinarieRisultati immagini per arancine panelle però c'è la parte divertente di questa celebrazione.

Si, è a tavola che si rende onore alla santa protettrice degli occhi e di Siracusa con panelle, arancine e cuccia.

Tre piatti che la tradizione locale ha inglobato - forse la cuccia un po' meno - nel suo quotidiano ma che il 13 dicembre di ogni anno tornano con prepotenza in ogni casa e in ogni ristorante, bar, rosticceria & co.

Passata la festa dell’Immacolata il palermitano si proietta immediatamente verso le arancine e le panelle sapendo che è vietato mangiare il pane e la pasta. Ma perché (oltre alla gola)?

Lucia liberò Palermo dalla carestia nel 1646 facendo arrivare un bastimento carico di un alimento che la gente non vedeva da mesi, il grano (se ti incuriosisce la parte non mangereccia della festa leggi qui).

Dopo aver sofferto la fame i cittadini non volevano attendere anche che il grano venisse lavorato e preferirono, per fare prima, bollirlo. L'aggiunta di olio creò il piatto della cuccia, anche se più che altro oggi si consuma dolce con ricotta e scaglie di cioccolato.

Tornando al presente: i palermitani ogni anno ricordano l’evento celebrandolo in modo solenne.

Niente pasta né pane (i panifici sono tutti chiusi) ma rigorosamente riso, legumi e verdure che, come scriveva Giuseppe Pitrè, le ragazze del popolo credevano aiutassero ad avere dei begli occhi.

Un proverbio della tradizione palermitana recita: "Santa Lucia, pani vurria, pani nu nn’haiu, accussi mi staju" ("Santa Lucia, vorrei del pane, pane non ne ho e così sto").

 

 

"Sto" immerso nel fritto, almeno oggi, quando regna in città la fragranza che si spande da ogni bar e da ogni cucina domestica, luoghi in cui si trovano quasi esclusivamente panelle (e croquet/crocché/croccette) e arancine con la carne, al burro, alle verdure o pure con la Nutella.

E qui forse ci vuole un nutrizionista: leggi "Tra la panella e la crocché: le regole del fritto che devi conoscere se vivi a Palermo".

Arancine di cui non si sa bene la storia: alcuni dicono le abbiano inventate i Saraceni, altri che sono nate a Catania dove però sono a punta e sono maschi (arancini), altri che le idearono i cuochi di Federico II.

Ma oggi tutti possiamo farle: nel corso degli anni si sono ampliati i gusti e le pratiche quindi ecco otto ricette da fare in casa tra sapori esotici, incontri di tradizione ed esperimenti dolci.

Altri piatti forti del giorno sono il timballo di riso con melanzane, il riso a minestra o il gateau di patate ("gattò") condito con ragù o con formaggi e salumi o verdure o insomma come si vuole.

Buone feste e buon appetito.

https://www.balarm.it/news/panelle-arancine-e-cuccia-si-celebra-santa-lucia-e-a-palermo-la-tradizione-e-in-tavola-84876

I PRIMI PIATTI CONSIGLIATI DAL CUCCHIAIO D'ARGENTO

Ricetta Ravioli del Plin con ricotta e spinaci

 

 

Uno dei piatti principe della tavola natalizia è sicuramente il baccalà. Pietanza antichissima importata  dalla Norvegia, il merluzzo che diventa “stoccafisso” e “baccalà” non può mancare a Natale. 

Lo troviamo nel menù della vigilia, ma anche come spuntino a mezzogiorno del 24 dicembre. In questa lunga giornata che prepara la grande abbuffata del Natale, il digiuno è d’obbligo. Ma è un digiuno un po’ speciale, perché spizzicare è permesso e non solo a chi sta ai fornelli. Pizze di scarole e baccalà fritto aiutano a giungere a sera con un sano appetito, ma senza troppo soffrire!

 

 

 

 

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http://www.dissapore.com/ricette/pranzo-natale-sicilia/

 

Il Capitone, la tradizione in tavola

 

L’anguilla femmina, anche chiamata “Capitone”, è l’unico piatto che i napoletani non si fanno mai mancare a tavola per la vigilia di Natale. Malgrado si possano riscontrare alcune diversificazioni da famiglia a famiglia riguardo agli antipasti, al primo ed ai contorni, il perpetuarsi della tradizione culinaria delle feste si manifesta nel consumo di questo ambiguo pesce-serpente, che va comprato il giorno dell’antivigilia e che viene, solitamente, servito fritto od in umido.

LA STORIA – Le ragioni storiche che portano il Capitone sulle tavole campane si perdono nei meandri dei ritualismi e delle tradizioni popolari di una città che ha sempre vissuto di mare e pesca, motivo per il quale ogni anziano racconterebbe una storia diversa sul perché e sul come l’anguilla in questione sia diventato il piatto forte del cenone. Tuttavia le teorie più accreditate individuano le ragioni di tale consumo nella somiglianza tra questo pesce ed il serpente, simbolo del male: mangiare il Capitone esorcizza la malasorte e la malvagità, annullando l’oggetto portatore della negatività. Non stupisce, quindi, accorgersi che un popolo così superstizioso abbia continuato a scacciare la “malasorte” in questo modo per secoli.

 LE ABITUDINI DEL CAPITONE – Nello specifico, l’Anguilla Anguilla, questo il nome scientifico del Capitone, è un animale particolarissimo per le sue abitudini: vive in fiumi e laghi per la maggior parte del tempo, ma ad un certo punto del suo sviluppo abbandona i corsi d’acqua dolce per scendere a mare e così percorrere anche 8.000 km fino a raggiungere il Mar dei Sargassi dove inizia l’accoppiamento, la deposizione delle uova ed, infine, la morte. Le piccole larve, appena nate, intraprendono subito il viaggio in direzione opposta, ed in tre anni riescono ad arrivare sulle coste europee ed a passare nel Mediterraneo tramite lo stretto di Gibilterra. Qui viene pescato e distribuito, principalmente in Italia e in Nord Africa.

 Abbiamo parlato con un pescivendolo napoletano per parlarci del Capitone e delle usanze legate a questo piatto: Don Gennaro Russo, dell’Antica Pescheria e Baccaleria a Fuorogrotta.

 Qual è il pesce che vende maggiormente in questo periodo?

 Sicuramente il capitone, che si vende ancora tanto da queste parti. Poi tanti frutti di mare: vongole, lupini, taratufi…

 

 Ed il Capitone viene acquistato solo nel periodo natalizio?

 Lo vendiamo specialmente sotto Natale il 23 dicembre, come impone la tradizione, ma anche intorno alla fine dell’anno. Per Capodanno ne vendiamo quasi quanto per la vigilia.

Il prezzo del Capitone al Kg? 

Il prezzo si aggira tra i 18 ed i 20 euro al kg, e se ne trovi a meno vuol dire che non è un capitone quello che ti vai a mangiare! Si può fare confusione con il “Gorgo”, che però c’ha il muso meno a punta e sa di poco.

 Non c’è mai stato un calo nelle vendite, in questi ultimi anni?

 No, a dire il vero è sempre molto richiesto. Non so in passato come siano andate le vendite, ma da sei anni a questa parte non è cambiato mai molto. La tradizione continua, insomma.

 Lei ha parlato del giorno 23 dicembre come data per comprare il capitone. Viene ancora richiesto vivo o lo vendete già pulito?

 Assolutamente no! Si compra rigorosamente vivo il 23; la gente lo vuole vivo per poterlo cucinare fresco la sera della vigilia. Quelli morti vengono scartati, anzi si deve stare attenti che non soffrano assai nelle vasche troppo basse.

 E come viene cucinato di solito?

 Generalmente viene fatto fritto o in umido, poi però, visto che si mangia anche il baccalà fritto, spesso il capitone rimane anche per il giorno dopo. Allora tanta gente lo fa marinato alla scapece.

 Quindi, altri pesci che vengono venduti in questo periodo oltre al baccalà?

 Si vendono i frutti di mare per le linguine, gli astici, e poi solitamente vanno bene le spigole, le orate, le pezzogne… tutti i pesci che vanno fatti al forno. Poi anche un po’ di frittura tra gamberi e calamari.

http://www.campaniasuweb.it/attualita/il-capitone-la-tradizione-in-tavola/

 

 

 

 

Cozze al Menu di Natale, scelta giusta per conciliare gusto e salute

La Sicilia, 11/12/2016 - di Sabina Licci

 

Il Natale si avvicina e già nelle case si comincia a pensare ai piatti per il cenone. Complice proprio la tradizione natalizia, che in tante regioni prevede un menu a base di pesce, dalla classica pasta alle vongole, alle cozze gratinate, al salmone scottato, tanto vale fare le scelte giuste per conciliare gusto e salute.

Si scopre così che se le cozze sono ottime alleate per combattere i reumatismi, sempre più in agguato con il repentino cambio di temperature, le vongole sono delle perfette “aiuto-spazzine” dei vasi sanguigni, i gamberi un potente antiossidante salva-invecchiamento, mentre un bel trancio di salmone può conciliare il sonno. Si tratta di alcune delle proprietà terapeutiche spesso nascoste di Risultati immagini per cozzepesci e molluschi, come rileva la Federcoopesca-Confcooperative in un sondaggio sugli italiani in fatto di cibo e salute.

Tre connazionali su quattro, infatti, sanno che la dieta alimentare è un alleato fondamentale per rimanere in forma, ma poi sette su dieci, invece di modificare il proprio menu, si curano assumendo integratori, un po’ perché non sa, un po’ per pigrizia.

Tra le dieci specie fresche più acquistate in Italia ci sono proprio le cozze, ricorda la Federcoopesca, che grazie all’alto contenuto di glucosamina sono considerate un forte antinfiammatorio naturale che aiuta a protegge da artrosi e artriti; sono anche fonte di proteine nobili, di vitamine C e B e di diversi sali minerali, come potassio, sodio, fosforo, zinco e ferro.

Ad assicurare una vera sferzata di salute, basta seguire la moda optando per pasta cozze e pecorino, ottimo connubio di gusto e salute; il Pecorino romano e sardo, infatti, contengono un rapporto ottimale di Omega 3 e Omega 6, grazie al latte di animali alimentati prevalentemente al pascolo ricco di essenze foraggiare diversificate dall’alto valore nutrizionale.

Le vongole poi, come un po’ tutti i molluschi bivalvi, possiedono una notevole quantità di vitamina B12, particolarmente carente nei regimi alimentari vegani, essenziale per l’azione che ha sul metabolismo dell’omocisteina che contribuisce a tenere nei giusti livelli, evitando che si depositi troppo colesterolo nei vasi sanguigni. Per conciliare il sonno via libera poi al pesce, meglio se grasso dal salmone, al merluzzo, al pesce azzurro. Una ricerca dell’Università norvegese di Bergen ha dimostrato come adulti e bambini con bassi livelli ematici di omega 3 e di vitamina D presentino un maggior rischio di disturbi della qualità del riposo.

Insomma un cambio di menu potrebbe essere utile oltre che gustoso, visto che in Italia si consumano meno di 20 chilogrammi l’anno di prodotti ittici, di cui appena il 15% con alto contenuto di omega 3.

 

 

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«Una ricetta per il cenone? Chiedetela alle vostre mamme»Risultati immagini per cenone cappone

La Sicilia, 11/12/2016 - di Concetta Bonini

I consigli dello chef stellato Accursio Craparo, "cuoco delle due Sicilie"

 

Modica (Ragusa) - «Volete una ricetta per Natale? Ognuno potrà certamente chiederla alla propria mamma». Lo chef Accursio Craparo, che da due anni ormai ha aperto la sua casa-ristorante nel cuore del centro storico di Modica bassa e che per il 2016 è stato l'unica nuova stella siciliana, come ha stabilito la Guida Michelin, sotto le feste non rinuncia ai piatti della famiglia e dell'infanzia.

«La notte di Natale - racconta Accursio - non deve mai mancare alla mia tavola un signor brodo di gallina, con tutta l'intensità di quei profumi che ci riportano immediatamente nelle sale da pranzo della nostra infanzia, mescolato a quello delle scacce, impastate a regola d'arte, tipiche della tradizione della Sicilia orientale. E poi, un cannolo siciliano come pre-dessert per chiudere con un'immancabile fetta di panettone».

Il cuoco originario di Sciacca ma ormai modicano d'adozione - tanto da essere stato definito “il cuoco delle due Sicilie” - riconferma così l'impronta della sua cucina, fortemente legata all'identità culturale della sua Sicilia, un po' dell'est e un po' dell'ovest: «Ci ho messo molti anni prima di imparare a fare una zuppa di pomodoro come quella che portava in tavola mia madre, tanti di più (e ore di chiacchiere coi pescatori, sulla riva) prima di capire come esprimere i prodotti del mare: ora mi sforzo di guardare la Sicilia dall’alto e di restituirne un ritratto inedito, ma fedele, che accoglie le contraddizioni e si lascia influenzare dalle contaminazioni».

Risultati immagini per cappelletti brodoPer il pranzo del giorno di Natale, poi, il piatto assoluto di Accursio è il cappone, «ripieno non di riso ma di castagne - precisa - magari dopo un buon piatto di cappelletti in brodo». Proprio i cappelletti con il brodo di faraona sono una delle ricerte che domina la tavola di Accursio Ristorante in questa stagione: «Un menu - racconta il cuoco stellato - tutto intinto nei toni caldi dell’arancio, dell’amaranto e del marrone. Ci sono i piatti che, oramai, fanno parte della mia storia, nella loro versione invernale e poi ci sono delle nuove intuizioni, come il carciofo con l’anima di baccalà».

Il suo legame con la cucina della memoria, Accursio lo dimostra con un altro progetto per questo Natale. Si chiama “Legàmi” ed è dedicato al sud est, terra di legumi, che regnano sulla cucina contadina: «La fava cottoia, il fagiolo cosaruciaru, le lenticchie, i ceci - racconta Accursio - riscaldano le nostre case come un fuoco d'inverno e così pure il centro storico di Modica, attorno ad una piccola cucina. Dall'8 dicembre all'8 gennaio trasformiamo il nostro dehor in un focolare familiare, accogliente come la tavola delle feste, per farvi assaggiare le nostre ricette a base di legumi. Le fave si fanno vellutate, cremose e soffici, impreziosite dal profumo tipicamente ibleo del finocchietto selvatico. I fagioli Cosaruciaru, come delle perle avvolte dalla brezza marina, daranno corpo a un'insalata quasi di mare: senza pesci ma con le alghe, l'erba cipollina e tocco di agro di aceto. Le lenticchie, confortate dal calore della zuppa, si faranno compagnia con le verdure dell'orto e una filo dorato d'olio extravergine d'oliva. I ceci, infine, gialli come la pietra di Modica delle facciate barocche, si concederanno alla loro massima espressione minerale insieme agli ortaggi d'autunno».

foto di Alfio Bonina  http://www.dissapore.com/ricette/sicilia-5-timballi-di-natale/

 

La cura dopo il cenone . Come depurarsi dalle abbuffate
E’ ora di lasciarsi andare a tavola finalmente! Ma dopo come fare per rimediare agli inevitabili “sgarri” festivi?In Sicilia si sa il Natale porta con se tanti doni ma anche qualche chilo in più. Le specialità gastronomiche isolane non sono certo da classificare tra i piatti ‘light’. Tra carciofi in pastella, cassate, panettoni, stoccafisso e chi ne ha più ne metta, la prima cosa da fare dopo le feste è depurarsi.
E allora, per non soccombere alle abbuffate natalizie, secondo i consigli del nutrizionista Pietro Migliaccio, si può cominciare la giornata con 100 grammi di latte parzialmente scremato, caffè e un cucchiaino di zucchero, oppure uno yogurt magro da accompagnare a una fetta biscottata o un biscotto.
A metà mattina una mela, una pera o un kiwi e la sera 100 grammi di petto di pollo o di pesce, insalata, cicoria o zucchine con un cucchiaio di olio e quaranta grammi di pane.
La dieta di compenso è cosigliata solo oggi a pranzo, il 27 dicembre, il 29 e poi il 2 gennaio, il 4 e il 7. Il giorno successivo alle abbuffate possiamo optare anche per mezzo chilo di frutta al giorno o molta insalata.

 

 

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U Meli dû-Bbamminu

E’ il più semplice e genuino dolce natalizio: pane col miele. «Cc’è-mmeli,… cc’è-mmeli..»!Risultati immagini per trapani sfinci
Era questa un'antica esclamazione, legata alla tradizione natalizia, con la quale, originariamente, si annunziava a nascita dû Bbammineddu e che, in seguito, è stata utilizzata per partecipare la venuta al mondo di un neonato.
L’esclamazione «Cc'è-mmeli» rappresentava un invito ppê picciriddi : in occasione di la Santa Nàscita, infatti, si era soliti distribuire ai bambini, fette di pane spalmate col miele.
In segno di festa, mentre i “grandi” (i ranni) spalmavano u meli, i ragazzini (i carusiddi) ne prendevano na iditata dal barattolo….Gli adulti, dal canto loro, festeggiavano sturando una bottiglia di vinello genuino….
Il miele e il mosto erano ingredienti dei quali si faceva grande uso per preparare alcuni tradizionali dolci denominati meli. Questo termine indica diversi tipi di cosaruci ottenuti facendo rapprendere sulla fiamma - fino a raggiungere la consistenza della mostarda - succo d'uva o di fichi d’India. Meli d’apa sono invece denominati alcuni dolci confezionati con miele e zucchero e addensati mediante cottura a fuoco lento.
Dall’usanza di preparare questi dolci, trae origine il detto: «Sgarrari la cotta di lu meli d'apa» che, metaforicamente, significa «Non azzeccarne una».
I Stidduzz’i Natali

Sono dolcetti di mandorla o pasta frolla, a forma di piccola stella.

Li Ferri vecchi

Dolci di cioccolato a forma di tenaglie, martelli, chiavi, cardini, chiodi o altri oggetti in ferro, preparati fondendo il cioccolato, lavorandolo con burro di cacao e poi versandolo entro stampi che impartiscono la caratteristica forma di ferru vecchiu. Non appena il cioccolato rapprende, si cosparge con cacao in polvere che simula a-rrùggia (ruggine).
I Mustazzola

Si possono confezionare con miele (mustazzola di meli), vino cotto (mustazzola di vinucottu) o fichi d’India (mustazzola di ficurinia). Questi ultimi si preparano setacciando i frutti e cuocendone il succo fino ad ottenere uno sciroppo che si addensa con la semola e al quale si aggiungono cioccolato, scorze d'arancia, mandorle e cannella. A cannedda può essere utilizzata in forma di piccoli “cilindri” che possono essere ricoperti con zucchero (cannedda ncunfittata) o profumati con chiodi di garofano (cannedda ngalufarata).
I mustazzola casarecci si aromatizzano con alloro , vaniglia e semi di cardamomo  (Elettaria cardamomum With. et Maton). Talvolta hanno forma di piccoli rombi, denominati moscardini, termine che indica anche alcuni dolci che si prep
arano durante le festività natalizie, amalgamando, a fuoco vivo, acqua, zucchero, cacao, farina e chiodi di garofano. L’impasto ottenuto, ancora caldo, va mescolato lentamente, posto negli appositi stampi e fatto asciugare per un paio di giorni, quindi, infornato.
A Cutugnàta e a Mustarda

Sotto le invitanti luci dâ vitrina dû cosaruciaru risalta il bel colore ambrato cutugnàta, una confettura a base di zucchero e polpa di cotogne, decorata dai disegni dello stampo di terracotta smaltata (u stampu) entro il quale è fatta asciugare.
Accanto alle cotognate, i mustàrdi sulle quali vengono adagiate i fogghi sicchi d'addauru che conferiscono un particolare ar
Immagine correlataoma.
A mustarda di mustu, detta anche mustucottu, e a mustarda di ficurinia sono dolci a base di mosto o succo di fichi d’India, addensato con amido o semola (ccû-ll'àmitu o-ccâ simula), aromatizzato e condito con pezzi di mennuli munnati, cannedda, cardamomo, chiodi di garofano, scorze d’arancia tritate e infornate e, a piacimento, cacao o pezzi di cioccolato.
La mostarda o mustata si consuma sia fresca, sia secca (mustarda frisca o sicca) dopo averla fatta asciugare al sole, entro piccoli stampi di foggia varia.


U-Bbucciddatu

Tipico dolce natalizio, riempito con una farcitura (rriminatu) a base di vino cotto, fichi, pinoli, canditi, mandorle tritate e uva passa (pàssula di-rraçina ianca e-nniùra)
Simile al bbucciddatu è u nataleddu, un dolce a lunga conservazione, che si prepara con mandorle ricoperte di zucchero (mennùli ncunfittati), fichi, uvetta di Pantelleria o passulidda, l’uvetta passita che si adopera in pasticceria.
A Fondà

Nei giorni di festa, in piazza, tra le “praline, ”le radici di liquirizia e i "dolcetti" colorati, ordinatamente esposti supra u vancuni , non può mancare la cosiddetta fondà, a base di zucchero fuso e miele, generalmente ripiena di sciroppo di frutta e, in passato, anche di rrosolìu.
Da Natale alla festa della Befana, inoltre, è possibile trovare anche u carvun'i-zzuccaru, un dolce a base di zucchero e aromi che, nell'immaginazione popolare, a vecchia strina, portava in dono ai bambini.
Li Cuddureddi di ficu sicca

Insieme alla colorata frutta candita, ci sono le filze arrotolate di fichi secchi aromatizzati (dette anche cudduri o iunci), chiuse alle estremità con un pezzetto di canna; solitamente si mangiano insieme a noci e mandorle.
Cuddureddi sono denominate, comunemente, anche alcune focacce
a forma di ciambella, ripiene di miele, fichi secchi tritati o farina impastata con sàpa (mosto concentrato mediante cottura prolungata).
Con i fichi secchi tritati, si prepara anche il ripieno di alcuni tipici dolci natalizi detti cannilicchia.

I Filletti

Sono dolci tradizionali di Bronte, preparati con uova montate, farina, zucchero e, a piacere, pistacchio, e cotti in una padella di rame dal fondo conico, arroventata da due bracieri (i conchi) posti al di sopra e sotto di essa (ccû focu supra e u focu sutta). La brace, che può essere messa anche direttamente sul coperchio della padella, è raccolta utilizzando una grande paletta (u palittuni ra braçia).
Nel Brontese, le “fillette” sono molto note ed apprezzate: durante le feste, questi delicati dolci si regalano, in segno d’augurio o di gratitudine, alle persone “importanti”.
E’ anche consuetudine portarne na-bbella nguantera (un vassoio pieno) a chi ha avuto un lutto: nella triste occasione, infatti, i filletti, insieme a latte e caffé, sono offerte ai parenti del defunto, in segno di conforto e partecipazione.
A Cassata e i cassateddi

Quannu l'Arabbi-dduminiàvanu m-Palermu, alla Kalsa, i cuochi del palazzo dell’Emiro, crearono la cassata, un “.. dolce nuovo e rotondo..” che, nel 1575, il Sinodo di Mazara del Vallo, avrebbe definito come “indispensabile della Pasqua”. Dopo il suo positivo “esordio”, a cassata, manipolata dai cucineri delle famiglie patrizie e dalle monache dei conventi, comparve sulle mense più riccamente imbandite, durante le più importanti ricorrenze, prima tra tutte, il Natale.
Le cassate e le “cassatelle” sono a base di Pan di Spagna impregnato di liquore e ricoperto con ricotta impastata con vaniglia, zucchero, pasta ri mènnula di colore verde e pezzetti di cioccolato fondente. Il tutto è farcito e guarnito con frutta candita e zuccata, ossia con pezzi di zucca (cucuzza di cunfitteri) imbevuti di sciroppo e rivestiti con zucchero.
A cassata è uno dei più rinomati dolci siciliani: la sua indiscussa squisitezza è, spesso, utilizzata quale “termine di paragone” culinario… Quando, infatti, si vuole decantare la bontà di una pietanza, si suole dire: “E’-mmègghiu di na cassata!
 

Turruni

E’ un dolce d’origine araba, molto apprezzato, in Sicilia, anche durante le feste natalizie. Originariamente, si preparava con mandorle e sesamo (a-ggiuggiulena) ma anche con i ceci tostati e cotti nel miele (cicirata).
Il torrone, confezionato in pezzi o in stecche, può avere consistenza dura o morbida ed essere ricoperto con sesamo , cioccolato, oppure ccû-ll’òstia, os
sia con una sottile cialda di farina di frumento. I suoi ingredienti principali sono: zucchero, bianco d’uovo, cacao, miele, pistacchi, nocciole, arachidi, e mandorle, sgusciate e non, a seconda che si prepari il “torrone bianco” o il “torrone nero”(turruni iàncu o nìuru).U turrunaru prepara il torrone cchê mennuli cocendo e mescolando continuamente, mandorle sgusciate e zucchero, in una particolare pentola. Quando lo zucchero si scioglie e assume un colore dorato, toglie il tegame bollente dal fuoco; nel frattempo, con l’olio, unge un tavolo di marmo sul quale verserà il torrone profumato e fumante. Questo, ancora caldo, va spianato e lavorato velocemente, servendosi di appositi arnesi, per evitare che rapprenda. Quando il torrone si raffredda è tagliato in pezzi, con affilati e robusti coltelli e variamente confezionato.
A fastucata è una sorta di torrone fatto con «.. pistacchio sfarinato e zucchero che serve a diversi usi nell’arte dei pasticceri e dei bericuocolai..», ossia di coloro che preparavano il “bericocolo”, una sorta di pasta dolce a forma di mustazzolu, fatta con farina e miele ed aromatizzata con frutta secca.
Spesso, accanto al tavolo dû turrunaru, lavora un altro artigiano che, con una speciale attrezzatura prepara u-zzuccaru filatu.

 


A Frutta Marturana

La colorata e invitante frutta Martorana è un tipico dolce siciliano così denominato perché, originariamente, confezionato dalle monache di clausura del Convento della Martorana di Palermo. Le religiose che, col tempo, tramandarono la loro ricetta ai pasticceri della città, elaborarono una tecnica che consisteva nel cuocere in "acqua d'arance" (acqua aromatizzata con cannella, vaniglia e buccia d’arancia tritata) un impasto a base di zucchero, miele e mandorle sfarinate, per ottenere la “pasta di marzapane. U mpastu, ingrediente base per la preparazione della frutta Martorana, veniva cotto in un recipiente di rame e modellato prima che si raffreddasse, quindi, infornato.

Questa preparazione fu resa possibile grazie all’importazione dello zucchero di canna durante la dominazione araba. “Marzapane” deriva, infatti, dal termine mauthaban che, in origine, indicava una moneta, poi una misura di capacità (nel caso in specie, le giuste dosi di mandorle e zucchero da mischiare per preparare il marzapane) e, infine, il recipiente in cui riporre lo stesso.
La “pasta di marzapane”, squisita e delicata, divenne, ben presto, il “dolce” dei pranzi reali, meritando, così, l’appellativo di “pasta-rriàli”.
La consuetudine di preparare la frutta Martorana nei conventi, si diffuse sempre di più, distraendo le suore dalle loro incombenze: per tal motivo, nel 1575, il Sinodo della Diocesi di Mazara del Vallo ne vietò la produzione.

 

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Le varie forme con cui, anche oggi, è realizzata la frutta Martorana, sono scaturite a-ggustu e-ffantasìa dê “mònach’ i Palermu” che, già nel XII secolo, manipolavano piccoli marzapani dagli originali disegni, raffiguranti, perlopiù, ortaggi e
frutti quali mele, fichi, albicocche, fragole e alivetti, ricoperti con zucchero o cioccolato.
In un primo momento, i piccoli dolci colorati e allustràti-ccâ gumma aràbbica erano confezionati soltanto ppî-ttuttisanti (festa di Ognissanti); in seguito, anche ppô-ddui nuvembri. Nel giorno della Commemorazione dei Defunti, infatti, la “frutta delle monache”, insieme ad altri dolcetti (cosi dê morti) era ammugghiàta ntê panareddi cchê-nnocchi-rrussi e-rrialàta ê picciriddi (incartata in
cestini decorati con nastri rossi e regalata ai bambini).
La consuetudine delle famiglie palermitane di acquistare la frutta Martorana, si diffuse in altri centri della Sicilia e divenne comune anche durante le festività patronali e natalizie.
Con pasta-rriàli, infatti, è confezionato anche il piccolo
funcìddu russu che "sorveglia" la capanna della Natività, innevata con zucchero a velo e immersa tra li sfogghji di-ccicculatti di una invitante torta di Natale.
 

 

I Cassateddi d'Agira

Squisiti dolci, a forma di raviolo, tipici di Agira, nell'Ennese. A pasta dê cassateddi si prepara con acqua, farina, zucchero, sugna e uova. Per il ripieno, si utilizzano mandorle tostate, cacao, zucchero, bucce di limone tritate e-ffarina di cìciri. Tradizionalmente, i cassateddi sono cotte ntô furnu a-ppetra ove, prima dell'infornata, si fanno ardere scocc'i mènnuli. Dopo la cottura, le "cassatelle" sono spolverate con cannella e zucchero a velo.

I Muffulittedd'i-rricotta

Dolci, anch'essi, a forma di raviolo, la cui pasta si prepara come quella dê cassateddi. Noti anche come cosa duçi dû picuraru, sono ripieni di ricotta amalgamata con zucchero e, insaporita, a piacere, con cannella, pezzetti di cioccolato e canditi.

A Stidda di Natali

Confezionata ccû Pan'i Spagna e la crema dû pasticceri e ricoperta con panna e frutti di bosco, la torta a forma di stella, così chiara e "luminosa", ricorda a stidda cumeta e rende ancor più festosa l'atmosfera che profuma d'antico della vecchia cucina dove, attorno alla tavola imbandita, tutti si scambiano l'augùrii di Bbunu Natali.

http://www.dipbot.unict.it

 

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SUA MAESTA'

 

 

 

 

 

SE POI PROPRIO VOLETE FARVI MALE, QUESTI SIGNORI SONO PRONTI

A FARVI LE ..... FESTE!

 

 

 

 

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IL PANETTONE TRADIZIONALE, LA STORIE E LE REGOLE PER LA SUA TUTELA

 

 

 

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