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Qualunque persona, società, esercizio o rimembranza voglia essere presente in questa pagina, mi scriva. Sarò ben felice di pubblicare!

 

 

Catania, mare. Mare, Catania. Una delle due parole non può stare lontana dall'altra. Sembra che siano nate assieme, come se l'Etna le avesse fuse in un'unica scultura piroclastica che dura fino ai nostri giorni.

 

 

Anche se non ha tradizioni marinaresche come Genova, Venezia e altre grandi città di navigatori, Catania è una città di mare a tutti gli effetti e i suoi abitanti, fin da tempi remoti, nascono direttamente col piede marino. Se appena nati li metti a mollo galleggiano subito. Come se, oltre l'aria, per respirare avessero bisogno anche dell'acqua marina. E' una delle poche grandi città italiane ad avere tale privilegio, questo contatto così vicino al mare. Certo, anche Bari e Napoli hanno il lungomare in città, ma provate a farci il bagno.

E poi, stare a mollo nelle acque della sua scogliera, così trasparenti e profumate mentre magari vedi tua moglie o tua madre che puliscono il balcone di casa, e poi risalire ancora umidi sul lungomare che sei già in Centro o, al limite,  prendere l'autostrada in direzione di Giarre per salire in dieci minuti sull'Etna. Credetemi è una cosa davvero esclusiva. 

Per chiarire il concetto, la balneazione proprio sotto casa. Ma dentro la città.

A "calata" a mare.    di Mimmo Rapisarda

 

A maggio arriva per i catanesi "l'ura 'ddo bbagnu", non possono farne a meno. Anzi, i più tradizionalisti iniziano la loro stagione balneare dopo la festa della Madonna del Carmine a luglio. Solo allora cominciano a fare i bagni perchè convinti che, per ragioni climatiche e religiose, la temperatura marina diventa accettabile solo a partire da quella data. Comunque, il catanese che va al mare è davvero particolare.

Per la mia età età, posso soltanto ricordare i flash che ho immortalato nella mia mente quando osservavo "il bagnante" degli anni Settanta-Ottanta, che era fatto così:

Esce da casa ben rasato (è domenica e la stagione venatoria è appena cominciata); è tutto "disinfettato e ustionato" con il dopobarba Denim sul viso, quello dell'uomo che non deve chiedere mai (ma che appena a mollo chiederebbe certamente una crema rinfrescante per le infiammazioni causate dal sale sulla pelle); ha le basette, i baffi e un'acconciatura alla Franco Gasparri con riga laterale vaporosa che qui chiamavano "menza scrima", oppure una capigliatura alla Cugini di Campagna che nel suo aspetto generale lo faceva sembrare come l'Orso Capo in vacanza. 

Al primo bar che incontra consuma il primo caffè, perchè senza quello non connette;  poi dal tabaccaio compra le sue Marlboro e accende la prima della giornata. E si avvia.

 

Lasciamo stare l'abbigliamento settimanale - che era un tutto un programma - ma quello della domenica mattina era il seguente: polo La Coste (per i meno facoltosi Benetton ), pantaloncini bianchi sulla coscia Cerruti 1881; orologio Casio, che a quei tempi era già una sciccheria;  Ray Ban con vetri scuri che più scuri non si può, oppure Lozza sfumati sul celeste; borsello in pelle a tracolla (non c'erano ancora i marsupi).  E alla fine l'accessorio più importante, più in voga, più trend per quei tempi: gli zoccoli in legno del Dr. Scholls!

Erano due zatteroni incredibili in noce massiccio del peso di due chili ciascuno, col plantare sagomato da chissà quale operaio che per sbaglio li creò mentre stava lavorando al calco della pianta. Sono certo che il Sig. Pescura (ma esiste?), vedendoli, disse "Guarda, sembra proprio la pianta del piede, produciamole in massa facendo capire che sono anatomiche! Bravo!". 

 L'operaio fu promosso capo-reparto e quella fabbrichetta divenne quasi una piccola multinazionale producendo a milioni quegli strumenti di tortura, a danno dei nostri piedi. Tutti, ad ogni estate, come cretini compravamo quelle nuove, ma io aspettavo con ansia la fine dell'estate proprio per non calzarle più. Nate come sanitarie, provocavano delle vesciche pazzesche e crampi allucinanti ai polpacci perchè sollevarle da terra ad ogni passo, prima una e poi l'altra, era come andare due ore in palestra. Se poi, per sbaglio, poggiavi il tallone sullo spigolo del contorno laterale erano cavoli! Ma la cosa più importante, che andava contro ogni raccomandazione sulla confezione, era sbatterle mentre si camminava. Specialmente in discesa su una strada di Catania che porta al mare e che si chiama Via Zoccolanti! (in verità, il nome della strada deriva dagli zoccoli che calzavano i monaci della vicina chiesa S. Maria della Guardia).

Sbatterle e consumarle significava: 1) renderle più leggere perchè non si dovevano sollevare coi piede e quindi camminare finalmente in modo comodo e sano; 2) far colpo sulle ragazze grazie a quel  tipico rumore, quasi da nacchere madrilene; 3) ottenere un punteruolo  di legno e quindi un'efficace arma da difesa; 4) un paio di Pescura consumate da dietro, con i pneumatici lisci, avevano molto più valore di un paio nuove perchè appartenevano a un veterano che si era fatto due gambe così per ridurle a quel modo. E poi dai, indossarle già vecchie, con la fibbia verdognola arrugginita dalla salsedine, la pelle screpolata, sporca e ammorbidita faceva molto, ma molto fico! Oggi fanno ridere, ma per un ventennio (per essere più precisi, dal 1960!) hanno fatto epoca. Quando finì la loro moda, in milioni hanno tirato un sospiro di sollievo! 

Dunque, il nostro bagnante, con la sua capigliatura e il suo abbigliamento, col telo da mare Sergio Tacchini sotto l'ascella sinistra, con  il borsello sulla spalla, la sigaretta in bocca, scende finalmente al mare. Tutto è perfetto, ogni cosa è al suo posto, manca soltanto l'autoradio Voxon da mettere sotto il braccio, ma le cose si sarebbero complicate per i pochi appigli anatomici rimasti a disposizione. Facendo un rumore incredibile scende, scende a mare, anzi .... cala (a Catania non si scende e non si arriva:... si cala!). Cioè, così conciato e con quel ttac-ttac tutti capivano dove stava andando! Scusate, torna un attimo indietro perchè ha dimenticato di prendere il giornale: La Sicilia, legge solo quello! Quindi ritorna sui suoi passi (ahi!) ma dopo quella faticaccia è già sudato. Cosa c'è di meglio di una calda brioche all'uovo da inzuppare in una granita - rigorosamente di caffè con panna - seduto al tavolino?

 

 E dopo averla consumata, sfogliare il quotidiano di città? Così si attarda e legge, esclusivamente: la pagina dello sport per informarsi sugli ultimi acquisti del Catania, la cronaca cittadina per informarsi sugli ultimi acquisti della Questura e, infine,  la pagina necrologica per  ripetere ogni venti secondi la parola "nuzzunteddu!" ! Saranno già le dodici! 

Finalmente arriva allo stabilimento balneare, sulle rocce o sulla spiaggia non ha importanza. Si spoglia, rimane in costume che se non era Arena (o meglio ancora Speedo) non eri nessuno e ai piedi le infradito Samurai che facevano posto alle costosissime Pescura, perchè durante il bagno te le fregavano. In cabina, prima di fare la sfilata, si dà una controllata al suo aspetto: si guarda allo specchio, dà un assetto alla convergenza centrale per evitare che qualche pneumatico vada fuori strada, va un attimo in apnea per verificare il giro vita, accenna a piccoli movimenti di bicipiti e deltoiti. E poi dice "tanto non gli somiglierò mai!".  Ovviamente si riferiva al mito di quei tempi: Fabio Testi, irraggiungibile per tutti noi. 

Esce fuori. E se non accompagnato, si guarda attorno con i suoi RayBan a goccia e col suo telo da bagno comincia  a cercare un posto dove sdraiare tutto il suo corredo e lui stesso. Si gira, si guarda attorno, ma con movimenti che la dicono tutta sul noto gallismo etneo, che lui si porta dentro il suo DNA. Infatti è lì anche per "attraccare", per "tirare il filo" alla preda che potrebbe passargli davanti. Le sue armi di cattura? Il mezzo litro di Denim che si è spruzzato addosso e che lo sta facendo bruciare peggio del Coppertone, la folta pelliccia sul petto,  la catenina sul collo, la sua abbronzatura naturale, un sorriso smagliante ma soprattutto la sua genialità, capace di fabbricare le più brillanti battute per far cadere chiunque ai suoi piedi!

A questa scenetta c'è da aggiungerci pure una buona dose di pavoneggiamento tipicamente locale, sia per gli status-symbol che porta addosso sia per i suoi movimenti e per quello che dice, un atteggiamento che dovunque, in gergo, si dice "tirarsela" ma che qui a Catania chiamiamo semplicemente e senza mezzi termini "spacchiamentu".

Se la "caccia" è andata  a vuoto, non resta ca "farisi 'u bbagnu", da solo o con gli amici. Si avvicina al mare con fare circospetto e prima di tuffarsi resta immobile sulla scaletta o sul bagnasciuga a fissare l'acqua, anche un quarto d'ora, fino a farsi ipnotizzare dai bagliori dei riflessi marini. Sì, lo ammetto, lo so, è sempre stato e sarà sempre un freddolino. O meglio, la sua temperatura corporea, per natura supera abbondantemente i 37 gradi e come "Don Giovanni in Sicilia"che fa la doccia fredda a Milano, per lui quell'impatto è traumatico. Però lo attrae. Ma che guarda, che pensa? Forse con la sua presenza l'acqua si è riscaldata? No, è sempre uguale. Saranno passati dieci minuti prima di prendere il coraggio di entrare nell'acqua frescolina. Si attarda ancora un po' con la scusa di prendere una fettina di cocco dal venditore "bellu è u coccu picchì è friscu!".

 

Ma l'acqua gelida è sempre lì che lo aspetta. La tocca con l'alluce, poi si tocca le spalle, lo stomaco. Già, lo stomaco... pensa alla granita che ha mangiato e che lo farà morire a causa di una congestione. Colto da pessimismo cosmico, il suo pensiero finale è "ma cu m'ha fici fari?". Poi accenna a tentativi di segni della croce, ma si vergogna a farlo perchè il suo orgoglio prevale sul perdono divino prima di "morire ....... annegato!". Ha troppi peccati sul groppone. Mischinu!

La fila dietro è interminabile, composta da tanti come lui che non osano chiedergli il passo per tuffarsi. Anzi, se lui con gentilezza dice "Passi avanti, che ho tempi un po' lunghi", questi rispondono prontamente "Ma s'immagini, per carità! Faccia, faccia pure con comodo" (e cu si movi?).

Proprio per il suo innato senso dell'onore, si decide finalmente ad entrare in acqua. Ma prima di immergersi formula l'immancabile, fatidica domanda al bagnante che rientra: "com'è l'acqua?". Le risposte sono, ancor oggi, due: se proviene da un suo concittadino normale è "Comu u turruni!", se il concittadino è liscio........ la risposta è, come sempre, "vagnata!".

(Mimmo Rapisarda)

 

 

 

 

Catania sul mare: sole alla Playa o un tuffo alla scogliera?

 

Un viaggio fra le spiagge dorate di città e il nero della lava tipico delle calette selvagge. Ecco gli indirizzi per chi ama distendersi al sole sulla battigia o ballare fino all?alba con vista sulla scogliera

Playa o Scogliera? Questo è il dilemma che ogni buon catanese si pone nelle mattine d'estate prima di indossare il costume da bagno, inforcare le infradito e saltare sullo scooter per raggiungere il suo posticino in riva al mare. Chi sceglie Catania per passare un weekend sotto il sole non ha che l'imbarazzo della scelta per quanto riguarda il luogo di relax sotto l'ombrellone. Già raggiungendo la città si passa con l'aereo sopra la lunga lingua di sabbia dorata che è la Playa: il nome spagnolo indica gli oltre 18 chilometri di costa e lidi attrezzati per i bagnanti (aperti da giugno a settembre) con servizi e passatempi per tutti i gusti. Come nello storico Lido Azzurro, aperto già nel 1935 e mai passato di moda, dove cabine in legno e una grande spiaggia attrezzata con ombrelloni e lettini sono il luogo di relax preferito da chi ama l'abbronzatura perfetta e l'acqua bassa (ideale per chi viaggia con i bambini). I campi di beach volley, soccer e tennis sono sempre occupati dagli avventori più competitivi, mentre più in là fra i tornei di bocce e le partite con i tamburelli si gioca a tutti i livelli e la risata è assicurata.

 

 

(La riviera catanese non dorme mai e così la notte gli ombrelloni si accendono a lume di candela e le spiagge si trasformano in piste da ballo sotto le stelle come al Villaggio LaCucaracha, con l'Afrobar, che giovedì e sabato risuona di ritmi house e tecno, il venerdì si passa la musica dance, mentre la domenica è serata italiana (viale Kennedy 47, tel. 095.340880, ingresso da 10?). L'alternativa è Le Capannine, indirizzo sempre in voga del lido con palme e aree relax in stile caraibico (viale Kennedy 93, tel. 095.7357235). Per dormire nel cuore di Catania, c'è il B&B Globetrotter, in un palazzetto ristrutturato di fine ?800, che offre il soggiorno in camere accoglienti con TV, lettore Dvd e rete wifi gratuito, a due passi dalla colorata e pittoresca Pescheria, dove tutti i giorni si tiene il mercato del pesce e vicino al Castello Ursino, monumento rimasto integro dopo il terremoto che nel 1693 distrusse parte della città.

Chi ama nuotare in acque profonde può scegliere la Scogliera, con fondali più interessanti e ricchi di pesci da esplorare con maschera e pinne. Per esempio tuffandosi da uno degli scogli lavici di San Giovanni Li Cuti: la spiaggetta di sabbia nera è artificiale, ma il paesaggio è sempre suggestivo e frequentato da habitué che non sanno rinunciare a questo angolo di città che resta sempre un po'selvaggio ed è una specie di terrazza romantica sul mare, frequentata a tutte le ore del giorno e della notte. L'ideale anche per una passeggiata serale, prima di rinfrescarsi con i gelati e le granite squisite di Ernesto, il bar storico, sempre affollato e frequentato dalla giovane movida catanese, indirizzo prediletto anche per assaggiare l'arancino, l'irrinunciabile supplì di riso a forma piramidale, condito con salsa al ragù, alle melanzane o per esempio al pistacchio, tutt'altro che leggero (viale Ruggero di Lauria 91/93, tel. 095.491680, aperto tutti i giorni, tranne il giovedì, fino all'1 di notte).

 

La costa rocciosa continua in direzione nord, fra calette con fondali ora neri ora azzurri, servita da stabilimenti balneari che hanno costruito solarium sull'acqua, zattere e piattaforme in legno che permettono di prendere il sole sull'acqua o tuffarsi dove "non si tocca",e continua lambendo le suggestive Acicastello e Acitrezza, cittadine marinarein direzione Messina. L'indirizzo alla moda, su quella che viene definita la Riserva Naturale MarinaIsola dei ciclopi, è l'Esagono: di giorno lido con cabine e ristorante, di notte location per la nightlife che ama fare brindisi con cocktail esotici e ballare fino al mattino con vista sul mare (via Antonello Da Messina 46, Aci Castello, tel. 095271877). Per chi vuole rilassarsi su solarium scolpiti nella roccia lavica e per i più pigri anche nella fresca piscina scoperta circondata da palme e pini marittimi c'è il Grand Hotel Baia Verdedi Acicastello: il bianco candido delle sue stanze sono un oasi per il riposo, che  contrasta con l'azzurro brillante del mare che si scorge dalle sue finestre. Parrucchiere, baby sitting, personal shopper e personal trainer sono solo alcuni dei servizi che si possono richiedere.

 http://viaggi.corriere.it/viaggi/vacanze/mare/2012/maggio/catania-spiagge.shtml

 


 

A Catania voglia di mare a "chilometro zero" e a costi contenuti. I lidi offrono "pacchetti famiglia" a 40 euro con pasti compresi

I catanesi hanno voglia di mare a chilometro zero. La crisi non consente a tante famiglie di concedersi un viaggio né lunghi tragitti in auto. Le case di villeggiatura da prendere in affitto hanno prezzi alti. Dunque, quest'estate si andrà alla (ri) scoperta del mare cristallino della Plaja e di quello blu cobalto della scogliera. Insomma, il mare dietro l'angolo e a prezzo contenuto.
In quasi tutti gli stabilimenti balneari che da Vaccarizzo arrivano fino a Calatabiano, al confine con Taormina, i prezzi della stagione che s'è aperta ieri sono invariati rispetto al 2012, per espressa volontà dei gestori, nonostante gli aumenti dei canoni demaniali e di balzelli quali Imu, Iva o la vecchia Tarsu.

LA CABINA. I prezzi delle cabine oscillano tra 1.200 e 1.800 euro. La forbice così ampia si giustifica per i servizi offerti dal lido. Là dove ci sono animazione, piscina, palestra, campi di calcetto, di tennis, spogliatoi o altro ancora, i costi sono più alti. Dove ci sono "solo" spiaggia o piattaforma, lettini e ombrelloni, il prezzo è più basso.
L'INGRESSO. Tra 2 e 12 euro il costo minimo e massimo per l'ingresso nei lidi balneari. Anche in questo caso il prezzo dipende dai servizi offerti. Più paghi più hai: spogliatoio, lettino, ombrellone, accesso alle strutture sportive, alla piscina.
"PACCHETTO FAMIGLIA". Quaranta euro è il costo del cosiddetto "pacchetto famiglia". Secondo il Sib, ovvero il Sindacato italiano balneari, più di questa cifra una famiglia non spende per un giorno al mare. Con questi soldi si ha diritto a cabina, ombrellone e lettini, un pasto frugale e delle bibite. La famiglia tipo è di quattro persone, genitori e figli. Se il nucleo familiare è più numeroso, si troverà un accordo col gestore che comunque agirà secondo buonsenso.

LaSicilia 2.6.2013

 


Quando il marciapiedi era fatto di acqua salmastra

 

di Lucio Sciacca - Catania Anni Trenta - Vito Cavallotto Editore

Chi, oggi, volgendo le spalle a via Portícello, tagliando via Dusmet nei pressi dell'attuale semaforo, passando sotto gli archi della ferrovia, costeggiando il muro che delimita il demanio marittimo in piazza Alcalà, volesse dirigere i suoi passi verso mezzogiorno. stenterebbe a credere che, fino a una quarantina d'anni or sono, per fare pressappoco lo stesso tragitto avrebbe dovuto servirsi d'un veliero, d'un motoscafo, d'una barca qualsiasi che, scivolando sulle acque del mare, l'avesse preso a bordo.

In quel tempo, infatti, questa parte della città era mare, e la stessa via Dusmet era lambita dal mare.

Doppiate le aiuole e i platani della villetta Paciní, la strada mostrava il suo marciapiede di mezzogiorno delimitato da un robusto muraglione (piuttosto basso, con ringhiera di ferro) qua e là tagliato da scivole a gradini lavici che portavano a contatto diretto dell'acqua. Talché gli archi della ferrovia sorgevano, in quel tratto, dal mare; la sede della capitaneria di porto e gli uffici adiacenti erano circondati dal mare, anche dalla parte di tramontana; il Palazzo Vescovile e quello dei Biscari si affacciavano sul mare.

Per i catanesi degli anni andati, quello non era un tratto di mare qualsiasi. Era un mare domestico, il mare di casa, la Marina.

E non soltanto per i catanesi d ieri. Anche in un passato ormai lontano, quando la città mancava del porto o se ne cominciava appena a parlare, il Porticello Saraceno (così si chiamava allora quel tratto di mare), costituì il punto nevralgico dei traffici catanesi.

In quell'epoca (XV1 sec. e successivi, fino al 1693), la parte arístocratica della città gravitava attorno alla Civita, cioè verso il mare.
Tenuto conto di questo aspetto, ed anche della sua particolare posizione ubicato com'era in faccia ad una fra le più importanti porte della città (la porta del Porticello), a due passi dal balovardo di Sant'Agata e dalla platea magna il Porticello Saraceno svolse una funzione di primaria importanza.
Esso costituì, infatti, l'approdo più vicino alla città, attraverso cui affluivano rilevanti quantitativi di prodotti alimentari, specialmente grani duri e orzo.
Bisogna aggiungere che il Porticello, il 4 febbraio d'ogni anno, godeva d'un ambìto privilegio: gli passavano davanti le venerate  Relique della Santa; d'estate, poi, i catanesi lo assediavano da vicino per sfuggire alla calura e godersi la brezza, per cui tutta quella zona fu detta luogo di delizie.
Dopo il terremoto del 1693 - e fino agli anni Venti - se non luogo di delizie, il Porticello continuò ad essere certamente un angolo fra i più animati e pittoreschi della città.
I velieri e le paranze, con l'intreccio disordinato dei loro alberi svettanti oltre le arcate; le barche ormeggiate le une a ridosso delle altre o in lenta navigazione; le reti stese ad asciugare o ammassate lungo i frontoni della strada; le corde, le incerate, le nasse, le cassette colme di pescato ancor vivo di fremiti e di guizzi; i sacchi di sale augustano, i meloni di Marzamemi; l'odore penetrante delle alghe; i barbagli dell'acqua nel primo mattino, i riflessi dorati e le ombre lunghe nel tardo pomeriggio; la voce grave della battigia; e poi ancora quel brulicare di uomini e di ragazzi vocianti, quel pulsare di vita tipicamente marinara, a due passi della Cattedrale e dal Municipio, conferivano all'intera zona un aspetto suggestivo.
Ma, la Marina degli anni Venti non era soltanto questa; e non era fatta soltanto di barche e di pescatori. Serviva a tanti altri usi, come ben sapevano i bottai catanesi i quali, dopo aver ammassato botti, bottacci e barili a ridosso del bastione di palazzo Biscari, li trasportavano, poco alla volta, nel tratto di mare antistante (appositamente recintato con massi di pietra lavica perché i manufatti non prendessero il largo) e in quell'ampia vasca naturale li sistemavano.

Specialmente d'estate, essi giungevano d'ogni parte della città, a cassetta dei loro carri, isolati o in fila, e vi si spingevano dentro, persino carichi di mercanzia, per bagnare e lavare carri e animali.
Infine, una ventata di modernità investi il Porticello. Nel 1930, un motoscafo cabinato (il vaporetto) fece la sua apparizione sotto gli archi, all'altezza del palazzo Bíscari, e da quel posto di attracco, fra lo scoppiettare del motore e il suono della sirena, iniziò un servizio giornaliero di traghetto a beneficio di quelle persone che amassero giungere alla Plaia per la via del mare (le corse del vaporetto furono successivamente incrementate: una ogni ora, andata e ritorno. Sbarco sul pontile del lido Spampinato. Costo del biglietto, centesimi cinquanta a persona).
L'apparizione del vaporetto nelle calme acque della Marina fu il preludio dei tempi che incalzavano, un campanello premonitore, il principio della fine.
Molte cose, nel trattempo, andavano effettivamente cambiando. Le paranze pittoresche e silenziose, con tutta la poesia delle loro vele e dei loro alberi, cedettero il passo alle barche a motore; e la Marina andò spopolandosi, divenendo via via più piccola e deserta. I pescatori, quelli vecchi e ostinati, si trasferirono in un'insenatura dirimpetto al gazometro; altri a San Giovanni li Cuti, altri ancora a Ognina. Giorno dopo giorno, le acque si ritirarono da via Dusmet.
Sotto l'incalzare del materiale da riporto, l'antico Porticello scomparve del tutto, e col Porticello scomparvero le cose, gli uomini, gli animali che ne erano stati per tanti anni i coloriti protagonisti.

 

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Il vaporetto della Plaja

di Lucio Sciacca - Catania Anni Trenta- Vito Cavallotto Editore

Per le vacanze dei catanesi negli anni Trenta, nell'altro versante opposto alla montagna, c'è la Plaja alla portata di tutti, mentre il solleone batte sulla pelle dei catanesi e la sabbia, infuocata come quella del caliaro all'angolo di via Plebiscito con via Fortino Vecchio, arrostice le piante dei piedi.

E' alla portata dei ricchi, che vi fanno costruire ampie cabine e la raggiungono in carrozza o in automobile; è alla portata dei poveri che vi giungono a piedi o in tramvai o anche col vaporetto, e affittano, assieme col costume standard di maglietta nera, il camerino ad ore.

Nelle domeniche di luglio e d'agosto, i lidi sembrano alveari in crisi di crescenza.

Affollato lo Jonio, che apre la rassegna in faccia al faro Biscari, affollati il Ferrotranvieri, l'Else, le Sirene, il Parco delle Nereidi, l'Azzurro, lo Sport, affollatissimo lo Spampinato, che utilizza un'ampia superficie per bar, ristorante, giuochi vari, ballo, oltreché un ímpiantito di legno proteso nel mare, che accoglie il vaporetto stracarico di gente.

Il numero dei bagnanti cresce col crescere delle ore, fino a mezzogiorno, poi il flusso rallenta. Quelle della canicola sono ore cruciali, i tram arrivano roventi al capolinea, stracolmi di gente che ha già fatto un primo bagno durante il viaggio; rovente è l'acqua della pubblica fontanella installata all'ingresso del lido.

I ritardatari cercano affannosamente il refrigerio del mare, fanno il biglietto d'ingresso, entrano, ansiosi di trovare fili d'ombra e spazi inesistenti.

Il bagnino non c'è. " Ora arriva! " grida qualcuno. E arriva, infatti, dopo un'attesa che pare eterna. Nero di pelle come la pece, egli trotta a piedi scalzi sull'impiantito di legno, mugugnando contro gli spasolati avventori della domenica, che lo spingono di qua e di là per aprire e riaprire questo o quel camerino, e tentano, alla fine, strategiche ritirate per sottrargli la mezza lira di mancia!

Ora la spiaggia ha fatto il pieno, accoglie tutti e ogni cosa: uomini, donne, vecchi, bambini, barche, barchette, palle e palloncini, tamburelli, cerchiettí, sedie, sediolíne e tavoli, racchette da tennis, ombrelloni, carte da giuoco, cibarie, bottiglie e gazose.

La brezza disperde le voci della gente, trasferisce da un punto all'altro il profumo delle melenzane fritte, carezza la pelle, lusinga il palato, acuisce l'appetito.

I camerierí di Spampínato si danno da fare tra la cucina e i tavoli già affollati, mentre gli altoparlanti di Cucé diffondono a pieno volume la lieta novella che "è arrivato l'ambasciatore, con la piuma sul cappello_".
Arriva pure il vaporetto, ogni mezz'ora. Questa símpaticissírna barca, che fu cara ai catanesi degli anni Trenta, merita due parole di considerazione. Fece la sua prima apparizione nell'estate del '30, sotto gli archi della marina, dirimpetto al palazzo Biscari, per iniziativa dei fratelli Gerifflini, meccanici e imprenditori di prim'ordine, esperti di motociclismo, negozianti.
Con la trasformazione di un comune peschereccio, essi diedero vita ad un divertente mezzo di trasporto per quanti volessero recarsi alla spiaggia via mare. Attrezzato con alcuni sedili in coperta, munito degli indispensabili strumenti per la navigazione e d'una serie di salvagente, che lo incorniciavano nelle fiancate, pavesato a festa, il vaporetto disponeva del minuscolo equipaggio di un capitano, un nostromo, un macchinista e un mozzo addetto agli ormeggi. La corsa costava cinquanta centesimi, durava un quarto d'ora, era uno spasso.
L'imbarco, l'allegro suono della sirena, il pulsare del motore, la manovra, il doppiaggio delle barche a vela, la brezza refrigerante, lo sbarco sul pontile Spampinato erano sensazioni da assaporare fino in fondo.
Sul finire degli anni Trenta, le cose cambiarono.  Le ragazze accorciarono inopinatamente il gonnellino del costume da bagno, tenendo testa, senza tentennamenti e senza rimorsi, allo sguardo corrucciato delle mamme; i giovanotti mossero i passi verso più consistenti approdi; sull'impianto di legno del lido Spampinato, i balli pomeridiani sfumarono in cadenze sincopate; i melloni di Marzameni si arresero al dilagare del cono gelato; i tranquilli vialetti del Boschetto persero la loro tranquillità; e l'acqua del nostro splendido mare, perse il suo lindore.
Ma la Plaia d'estate, continuò a divertire i catanesi, finché non sopraggiunse il sinistro suono d'una sirena...la sirena del coprifuoco.

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IL LIDO SPAMPINATO

Lo «stabilimentino» Spampinato (detto Else) fu dunque il primo impianto di balneazione della Plaja. Dopo, come scrive Elio Micci Barreca, vista la frequenza e il numero sempre più alto di bagnanti che cominciarono ad apprezzare quell'arenile sabbioso (prima di allora del tutto sconosciuto ai più) sorsero il lido «Jonio», lo «Chalet Politini», lo «Chalet Reitano» e, successivamente, rispuntò il nuovo lido «Else». Seguiva una interminabile fila di cabine private, una diversa dall'altra, in cui i catanesi più abbienti soggiornavano durante il periodo dei bagni (16 luglio-15 agosto) e, ancora più lontano (pressappoco dov'è «San Giuseppe la Rena»), un Areodromo, inaugurato nel 1910 e particolarmente attivo.

La spiaggia cominciò ad essere servita dal tram (inaugurato in città nel 1905) che, partendo da Porta l'ammucchiata dei tranvai in arrivo e in partenza nello spiazzo adiacente il lido. Nel periodo di agosto l'afflusso dì gente alla Plaja, prima della seconda guerra mondiale, superava le ventimila presenze giornaliere. Oggi (2006) si è arrivati a circa sessantamila

 

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Il mezzo, partendo da porta Uzeda, si addentrava sull'arenile, mentre via mare facevano servizio dei vaporetti che, dall'allora porto peschereccio accanto alla villa Pacini, raggiungevano i pontili dei lidi «Jonio» e «Spampinato».

La viabilità era assicurata solo da una stradina che, dalla Rotonda della Plaja, si allungava per circa trecento metri sull'arenile al servizio di quei pochi stabilimenti esistenti.

 Gli anni trascorsero e il lido «Spampinato» cambiò totalmente fisionomia fino a diventare un prestigioso punto d'incontro del bel mondo catanese. Le prenotazioni delle cabine per le stagioni successive, come scrisse un cronista del pettegolo e salottiero periodico «L'intervista» di Peppino Fazio, ricalcano alba perfezione quel che accade nel nostro superbo Teatro dedicato al sommo Bellini ove nessun abbonato si sognerebbe di cedere ad altri il proprio palco.

 

Brani tratti da “La Plaja e i suoi primi Lidi “ di Aldo Motta – Edizioni Incontri

 

 

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E i giovani di oggi dove vanno?

 

di Valeria Arlotta e Noemi Coppola

 

I giovani? Preferiscono mare e sole in gompleta autonomia, spiagge libere, non dover pagare l'affitto delle strutture balneari. E' davvero cosi o a Catania è un'affermazione che rischia di trasformarsi nel più impreciso dei luoghi comuni? I numerosi e irriducibili sostenitori del mare low cost e 'fai da te" rimangono la maggioranza, anche se i servizi pubblici non sono sempre impeccabili. A questo proposito, indubbiamente eclatante è il caso della gettonatissima spiaggetta libera di San Giovanni Li Cuti, chiusa forzatamente con i sigilli imposti lo scorso 26 maggio, a causa del presunto abusivismo delle strutture e della impropria provenienza della sabbia nera utilizzata per ricoprire la spiaggia.

Certo è che per gli studenti il fattore "portafoglio" conta. E parecchio. E se la riapertura della spiaggetta è ancora un punto interrogativo, in città è sempre eterna scelta tra Plaja e Scogliera. Più a vantaggio della seconda, sembrerebbe. A volte causa forza maggiore. "Vado alla scogliera perché S.G io.vanni Li Cuti è chiusa, il mare è più pulito e in genere è frequentata sempre dalle stesse persone, quindi il pericolo di furti è minore rispetto a una piattaforma con molta più gente e facce sempre nuove.

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Non vado mai alla Plaja perché non mi piacciono nè la sabbia, nè i frequentatori del posto, nè i parcheggiatori abusivi", dice Daniele, 24 anni, laureando in Lingue. Insomma, idee chiare. Alla Plaja, comunque, tra i principali luoghi di incontro tra studenti restano solo le tre spiagge libere, in particolare la numero 2, più lontana dal porto rispetto alla numero 1, ma non troppo isolata e distante da raggiungere come la numero 3. "Preferisco andare alla spiaggia libera afferma Francesca, 22 anni, studentessa di Lettere perché rispetto ai solarium è meno affollata e più tranquilla, soprattutto durante la settimana. Ai solarium non ci si può muovere.

 

 


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Il mare di Catania

 

di Toto Rocuzzo

 

E' quello che Omero scelse per raccontare di Ulisse e dei Ciclopi. Quello che Verga scelse per "I Malavoglia" e Visconti per "La Terra Trema". Un mare dove si intrecciano da sempre storie e leggende, e dove la movida catanese trova i suoi punti di appoggio, tra granite, pesce e borghi marinari.

Il mare bagna Catania da oriente e presenta due scenari naturali molto diversi, separati dal porto e da una zona demaniale con la stazione e le linee della ferrovia. A sud le spiagge di fine sabbia dorata fino all'Oasi del Simeto e, oltre, fino al borgo di Agnone. A nord le lave nere della scogliera che si spinge per 30 chilometri fino a Fiumefreddo, in vista di Taormina. Così i catanesi si dividono in due fazioni: i fautori della sabbia e quelli degli scogli.

Verso sud, a partire dal faro Biscari, si svolge la grande "Plaia" costellata di stabilimenti balneari dove il mare diventa un fatto sociale e culturale, un mondo estivo di conoscenze, scambi e vicinato. Più ci si avvicina all'Oasi naturalistica gestita dalla Lipu e più ci si trova a contatto con la natura.

 

Il mare di scoglio verso nord lo si incontra a piazza Europa e, poco più avanti, nei due antichi, deliziosi borghi marinari di San Giovanni Li Cuti e di Ognina, con chiesetta, porticciolo e ristoranti con vista sullo Jonio. A partire dalla primavera sul mare luccicano le lampare, piccole barche, dotate di luci, per la pesca notturna di polipi e calamari. Lasciano il molo insieme ai pescherecci più grandi che escono a caccia di pesce azzurro e pescespada. Sulla strada che costeggia la scogliera nata dall'emersione di lave basaltiche, i grandi alberghi si alternano a lidi balneari, ristoranti e complessi residenziali. La litoranea s'interrompe davanti a una grande rupe sormontata da un maniero normanno. Il fascinoso castello di Aci ha terrazze a strapiombo sul mare, resti di torri merlate, portali duecenteschi e un giardino che ospita una collezione di piante succulente. Ai suoi piedi una grande piazza, cuore della vita sociale di Acicastello. Un chilometro più avanti si raggiunge Aci Trezza, l'antico borgo di pescatori nel quale Giovanni Verga ambientò "I Malavoglia" e Luchino Visconti girò "La Terra trema".

 

 Di fronte alle case arroccate intorno al porticciolo e alla chiesa si spiega lo spettacolo naturalistico e il fascino omerico delle isole dei Ciclopi. La più grande, l'isola Lachea, è un microcosmo tutelato con flora e fauna rarissime. Ospita una stazione per gli studi biologici e di fisica del mare gestita dall'Università di Catania. Sul molo non è difficile trovare barcaioli disposti a portare turisti e bagnanti in un giro per le isole, oppure a organizzare un'uscita notturna con pescatori. Alla sera non si contano locali, pizzerie, ristoranti, gelaterie: la movida catanese invade la costa. Tra le palme del giardino botanico del Banacher, uno dei locali notturni all'aperto più belli d'Italia, si tira tardi fino all'alba per l'immancabile granita con brioche al mercato ittico in piazza della Marina, sempre ad Aci Trezza.

Ancora qualche chilometro tra i limoneti e le scogliere e si incontrano Capo Mulini, la timpa di Acireale, il belvedere di Santa Caterina, borghetti marinari come Santa Maria La Scala, Santa Tecla (dove nuotare è ancora piacevole), Stazzo, Pozzillo, Torre d'Archirafi. A ovest l'Etna cambia volto mentre a nord la sagoma di Taormina si fa più definita.

(Toto Roccuzzo)

 

 

 

I ricordi di un catanese D.O.C.

Ercole Patti (Diario siciliano - L'adolescenza)

 

 

L'odore del mare di Catania nel 1920, quell'odore di vecchie tavole imbevute di salsedine, di scogli ricoperti di alghe verdi o avana pallido carnose e sensibili come branche di polipo. L'aria marina trascorreva tra i pali e le passerelle di legno dei vecchi stabilimenti balneari. Qualche riccio bluastro si vedeva sul fondo ingrandito dall'acqua limpida sotto la verandína battuta dalla brezza marina. Il mare salato penetrava nelle narici, attaccava le mucose, faceva lagrimare gli occhi durante i numerosi tuffi a chiodo fatti dal piccolo trampolino sporgente dalla scogliera di Guardia Ognina. 

Mentre l'acqua marina scivolava sul corpo felice i pensieri confusi del meraviglioso pomeriggio da trascorrere ronzavano nella testa sommersa sott'acqua. L'acqua scorreva sul corpo compatto e abbronzato in un desiderio struggente della pasta con le melanzane che aspettava a casa sotto un piatto capovolto ancora tiepida. Il desiderio, della pasta con le melanzane era simile come intensità a quello di vedere gli occhi della figlia dell'avvocato che si affacciava alla bassa finestra della casa di fronte. Il rombo leggero del mare che si insinuava fra gli scogli e ne tornava fuori con un movimento di risucchio scoprendo qualche patella che se ne stava leggermente sollevata sulla parete dello scoglio quasi per respirare pronta ad attaccarsi saldamente con la ventosa se qualcuno la toccava.
Durante quelle ore marine mentre l'acqua grondava e si asciugava subito sulla pelle la vita sembrava non dovesse mai aver fine ed era disseminata di ore bellissime, di risvegli dopo un leggero sonno pomeridiano nella stanza in penombra mentre attraverso  le stecche dello stormo abbassato arrivava il vento rinfrescato del meriggio.

La voce della zia  che giungeva dal fondo della casa e parlava pacatamente con la donna di servizio dandole istruzioni per la neve da comprare per metterla grattugiata nel bicchiere  del caffè freddo o nel pozzetto di legno che serviva per preparare le granite di mandorla da sorbire non appena ci si era svegliati dal sonno del pomeriggio. La neve dell'Etna raccolta in alto sui fianchi della montagna veniva trasportata dai muti in grosse balle pigiate e pesanti avvolte in un involucro di felci e tenute poi nel buio fresco della cantina del vinaio sotto una coltre di foglie secche. Il vinaio scostava un poco le foglie e tagliava un blocco di neve con una corta sega di falegname che affondava dentro con un leggero fruscío spargendo intorno una spruzzaglia di palline di gelo. 

 La letta di neve candida e granulosa tagliata esattamente sistemata su un lettuccio di foglie, arrivava a casa gocciolante nelle mani della cameriera e conservava il sapore dell'acqua di montagna. Messa nel bicchiere del vino o del caffè se ne imbeveva rapidamente colorandosi. Mentre il sapore della granita si scioglieva in bocca, c'era il pensiero della figlia dell'avvocato e dei suoi occhi nocciola che guardavano dall'alto del  balcone di antica pietra bianca. Uno sguardo profondo come il mare nel quale si poteva naufragare mentre si sentivano sotto la mano il proprio braccio o il proprio ginocchio elastici con tutti i tendini vivi e leggeri, le arterie che battevano con tenta e potente dolcezza e le palpebre si toccavano l'una con l'altra con un battito lieve d'ali di passero. La bocca della figlia dell'avvocato era appena ombrata da una lieve peluria, le mani erano sottili e lisce; a toccarne una un momento c'era da sentirsi andar via il sangue dalla testa e dalle punte delle dita. Verso le sei del pomeriggio sarebbe stata seduta con la famiglia a un tavolo dei caffè della Villa Bellini e si passava lì davanti per raccogliere il suo lungo sguardo nella luce del tramonto.

 Il mare rotolava sulla sabbia liscia della spiaggia. L'olio delle meduse marine vi galleggiava in piccole chiazze e causticava la pelle soltanto che la sfiorasse appena. Il braccio tenero bruciato dall'olio della medusa; si sentiva l'eco del grido di allarme dei ragazzi che risuonava fra gli scogli: "L 'olio a mare' L'olio a mare" Nelle narici c'era l'odore delle erbe carnose verdine e ondulate come una frangia di stoffa. L'estate dilagava nel cielo a grandi ondate silenziose.

 

Le serate fresche nei cinema all'aperto tra le file di sedili di ferro col cuscino di crine sopra. Le ragazze dalle gote arrossate dal sole della giornata marina .che entravano coi genitori guardando in giro con occhi da non poter dimenticare per tutta la notte. Il sonno, il bel sonno irresistibile nel lieve abbrustolito odore dello zampirone acceso per stordire le zanzare. Quella ragazza di quattordici anni dagli occhi ridenti quasi ricciuti e i canini aguzzi come quelli di un piccolo lupo, che aspettava al balcone per guardare e lasciarsi guardare. Durante quegli sguardi qualcosa di dolcissimo come un latte drogato penetrava nel corpo e la percorreva tutto.

E il vento salmastro fra le case di piazza dei Martiri i giorni in cui si marinava la scuola; il mare coi suoi sapori e coi suoi odori, il sapore degli spicchi color ceralacca dei ricci lattíginosi, il sapore delle patelle e degli occhi di bue, carnosi che rabbrividivano sotto le gocce di limone; il mare faceva un rumore fresco e frusciante sotto i pali di legno che sostenevano gli stabilimenti balneari, l'odore delle tavole imbevute di acqua salata che cominciavano a vellutarsi di erbe marine verdi, sulle quali posavano i piedi teneri delle ragazze che ancora dovevano cominciare la vita e volgevano intorno occhi nuovi nuovi. Il mare grande felicemente disteso a perdita di occhio che lasciava per tutta la giornata una sbavatura di sale secco sulle braccia dei ragazzi.

Un pomeriggio di quegli anni era fatto cosi: dopo mangiato tutti andavano a dormire. Gli storini erano abbassati e il sole vi batteva sopra lasciando passare delle striscioline luminose che si disegnavano sul pavimento. Nella penombra della stanza si indovinava fuori il solleone che diluviava sopra la piazza e sopra il monumento in bronzo a cavallo di Umberto I.

 Trascorse quelle ore caldissime la luce cominciava ad addolcirsi, era piacevole tirare su lo storino e lasciare entrare l'ultimo sole ormai senza più virulenza che non scaldava nemmeno i mobili sui quali si posava. Il pensiero era teso verso il pomeriggio di via Etnea i cui lastroni di lava erano stati innaffiati dai potenti getti dei fontanieri del Municipio coi pantaloni rimboccati sui piedi nudi immersi nel l'acqua. I tavolini della Birreria Svizzera erano allineati sui marciapiedi già in ombra e i camerieri cominciavano a servire i gelati. Il bel pomeriggio, le siepi di mortella della Villa Bellini innaffiati da poco, il suono degli ' zoccoli imbottiti di caucciù dei cavalli padronali che andavano al piccolo trotto tra i viali tirando i landò e i coupè mentre i cocchieri in livrea se ne stavano a braccia conserte seduti sul l'alto sediolino posteriore.
Ma ecco che il mare rabbrividiva, un vento un poco pungente arrivava fra le vecchie tavole degli stabilimenti e sulla sabbia liscia è già fredda sotto la pianta dei piedi. Da lontano appariva l'inebriante autunno più bello ancora dell'estate, con le sue lunge villeggiature, i castagneti, i lunghi, le vigne, le cantine d'ottobre le terrazze popolate di cugine, di genitori giovanissimi, il canto lieve e chioccio degli uccelli autunnali nelle vigne vendemmiate e fra i rami dei noci, le salsicce arrostite nei castagneti. L'odore dolce di petrolio che mandavano i fucili da caccia appoggiati negli angoli accanto ai cassettoni. delle case di campagna; i fucili dalle canne brunite e le incisioni sull'acciaio accanto ai grilletti che riproducevano quaglie e pernici in volo e si sentivano dolcemente ruvide sotto i polpastrelli. La parte superiore del calcio di legno stagionato liscio e snello che si poteva stringere nel pugno come il colto di un cigno; e il fondo del calcio con le sue scannellature di corno perché non scivolasse sulla spalla. Il fucile, calibro 24 e quello calibro 16 che si aprivano silenziosamente col piccolo estrattore che veniva avanti docile e unto e si richiudevano con uno scatto preciso e soffocato nella prima luce dell'aurora che illuminava le stanze della casa di villeggiatura e si posava sulle pentole appese nella vecchia cucina. Il rumore delle scarpe chiodate sulle antiche mattonelle. Il fucile saldo batteva piano sul fianco uscendo la mattina per andare in campagna, se ne sentiva il peso piacevole sulla spalla respirando l'aria netta dell'alba.

(Ercole Patti)

 

 

«Noi, al mare per lavorare ma quante soddisfazioni»

In spiaggia, per colpa di una crisi che non consente più a molti di partire, lavora una vera e propria industria delle vacanze che affianca le figure tradizionali - La Sicilia,  Luglio 2013 

Un'estate al mare, soprattutto se alla Plaia, lascia il segno. Lo lascia inconfondibile sulla pelle, grazie a una tintarella dorata dovuta ai riflessi intensi della sabbia; lo lascia nel cuore, perché le nuove amicizie e i nuovi amori che nascono sotto gli ombrelloni, giurano da quelle parti, rimangono per la vita. E allora, in una stagione che vede i lidi presi d'assalto a causa di una crisi che non consente più, a molti, di partire per le ferie, il litorale si riempie di famiglie con bambini, di coppie giovani e meno giovani, di ragazzi e ragazze pronti a divertirsi utilizzando il loro stabilimento preferito come fosse un villaggio turistico in cui non mancano musica, animazione, fitness, sport, danza e balli caraibici, tamburelli e bocce, pallavolo e corsi di nuoto. Insomma, ce n'è davvero per tutti i gusti e per tutte le età.

Ma il mare della Plaia non è solo divertimento. Non per tutti. C'è chi lavora perché tutto funzioni per il meglio, e lo fa quasi sempre a stretto contatto con la gente. Ma proprio per questo, nella maggior parte dei casi, vive il proprio lavoro come una passione. Irma Marletta, per esempio, è una catanese di 24 anni che lavora come receptionist in un lido. «Il mio rapporto con la gente è continuo - dice - con molti ci conosciamo ormai molto bene, c'è abbastanza confidenza, si scherza, si chiacchiera, si fanno battute. E' un bell'ambiente e non mi pesa affatto lavorare mentre gli altri si divertono». Irma ha conseguito diverse certificazioni di lingua inglese, francese e spagnola e l'inverno scorso è stata a Genova per partecipare a un corso di receptionist da nave. «Incrocio le dita e spero che mi chiamino. Sarebbe il coronamento di un sogno. E io credo ai sogni».

Stefania Bonifacio ha 20 anni e il suo grande amore sono i bambini. «Lavoro nell'animazione del lido e sono "miniclubista", mi occupo cioè di intrattenere i piccoli ospiti dai 3 ai 12 anni. Lo faccio solo d'estate, perché d'inverno studio Giurisprudenza e sono fiera di essere in regola con gli esami. Non mi pesa affatto stare qua, lo faccio con passione e tanta pazienza, quella che occorre per stare coi bimbi. Guadagno anche qualcosa, e ciò non guasta. Nella mia vita spero che i bimbi arriveranno e che io possa riuscire a diventare un magistrato. Qui ce n'è bisogno e io lo desidero davvero».

Tra gli animatori dei lidi della Plaia c'è anche un ragazzone brasiliano di 30 anni, Saulo Lima, che proviene da Salvador de Bahia. Da dieci mesi si trova a Catania e fino a maggio ha lavorato in alcune palestre della provincia come istruttore di capoeira, un'arte marziale brasiliana creata da discendenti di schiavi africani nati in Brasile, caratterizzata da elementi espressivi come la musica e l'armonia dei movimenti e per questo spesso scambiata per una danza. «Il mio non è un lavoro - dice Saulo Lima - ma una passione, un fuoco che ho dentro fin da quando ero bambino. La capoeira è una vera arte, e io voglio girare il mondo per diffonderla. Lo faccio anche sulla spiaggia della Plaia, che tanto mi ricorda i miei luoghi d'origine. L'insegnamento mi impegna 7-8 ore al giorno. E a fine giornata, quel che avverto è una stanchezza positiva».

Rocco Sciacca, 56 anni, catanesissimo, fa il bagnino ormai da 20 anni. «E' un lavoro che svolgo molto volentieri, anche perché ogni anno mi regala delle belle amicizie - dice -. Vivo così a stretto contatto con la gente, che il loro divertimento diventa il mio divertimento, la loro vacanza la mia vacanza. Potrebbe sembrare assurdo, ma garantisco che non lo è». Ma il lavoro di Rocco è fatto anche, e soprattutto, di responsabilità. «Dalla mia torretta controllo i bagnanti, la cui incolumità è quel che più conta per chi fa questo mestiere. Ogni tanto può succedere che ci sia qualcuno in difficoltà, e allora vai a recuperarlo e lo porti a riva. Per fortuna non è mai successo niente di grave».

Un giovanissimo collega di Rocco è Fabio Costante Amore, 18 anni. «Ho preso il brevetto di salvataggio lo scorso maggio perché mi fa punteggio - spiega il ragazzo -. Mi manca l'ultimo anno di scuola all'Enrico Fermi, poi tenterò di entrare nell'Accademia dell'Aeronautica e anche un'esperienza come questa può tornare utile».

La Sicilia, 29/07/2013

 

«Così ho trasformato la mia grande passione in un bellissimo lavoro»

vi.ro. - La Sicilia del 29 Luglio 2013

 «Sono riuscito a trasformare in lavoro quel che ho cominciato 15 anni fa per gioco. E oggi ci ritroviamo con una vera e propria azienda del divertimento che dà lavoro part time a tanti giovanissimi che, con passione ma anche sacrificio, amano stabilire un contatto con la gente».

Fabio Bonifacio ha 35 anni. E' laureato in Economia e specializzato in Economia del turismo. D'estate lavora principalmente negli stabilimenti balneari che vogliono offrire alla loro clientela un servizio d'animazione degno di un villaggio turistico. E infatti quest'estate il suo ruolo è quello di capo villaggio in un grande stabilimento balneare del viale Kennedy. «Coordino un gruppo di 8 persone e, insieme, ci occupiamo di far divertire la gente in tutti i modi - dice Fabio -. Dal fitness all'aquagym, dai giochi di società a quelli di gruppo, dai corsi di volley e nuoto al miniclub. Insomma, offriamo tutto quello che il fruitore di un lido può chiedere. Lo facciamo sempre con cortesia, gentilezza, col sorriso e la disponibilità che devono contraddistinguere chi lavora nell'industria del tempo libero».

Nell'azienda di Fabio orbitano circa 90 ragazzi. «Molti lo fanno perché alla passione uniscono la possibilità di guadagnare qualcosa, e nel frattempo studiano o fanno altri lavoretti. Non ci sono grosse cifre, si portano a casa circa 600 euro al mese ma l'impegno è di non più di quattro giorni a settimana e di 4-5 ore al giorno. E' un piccolo punto di partenza per quei giovani che credono, come me, in questa forma di turismo».

Fabio sa benissimo che il comparto negli ultimi anni, a causa della crisi, «ha visto ridotti arrivi e presenze» e che la situazione «non è ancora in procinto di migliorare. Ma nel mio settore c'è stata un'inversione di tendenza, con un aumento della richiesta dei servizi. E non solo in estate. Ma tutto l'anno. L'animazione nei centri commerciali, nelle piazze dei paesi, nei locali e nelle feste private tira più di prima. Ecco perché ho scelto di trasformare un gioco e una passione in una cosa seria».

 

 

lungomare di Catania - foto di Antonino Arrigo

 

IL DECALOGO DEL BON TON IN SPIAGGIA

 

Sulla scorta delle segnalazioni di protesta per la maleducazione che spesso impera negli stabilimenti balneari e sulla spiagge libere, il Codacons anche quest'anno, attraverso il segretario nazionale Francesco Tanasi, ha elaborato un decalogo del bon ton "ad hoc", frutto dell'elaborazione delle proteste ricevute, invitando gli stabilimenti balneari e i Comuni ad esporlo, così da rendere le vacanze più piacevoli per tutti. Ecco i punti qualificanti del "galateo stagionale"
TELEFONINO Al primo posto delle lamentele. Se proprio non potete farne a meno, escludete la suoneria, i toni della tastiera e conversate almeno a voce bassa. Se volete ascoltare la radio, infine, fatelo con la cuffia.
SPAZI Rispettate lo spazio a voi destinato. Perché invadere l'ombrellone del vicino? Inoltre i corridoi tra una fila d'ombrelloni e l'altra e i passaggi al mare sono destinati a tutti e, quindi, non vanno ingombrati né con la sdraio, né con i sandali o altre suppellettili.
SCHIZZI E' salutare entrare in acqua gradualmente. Si eviti almeno di tuffarsi con dei tonfi schizzando il vicino che sta cercando di adattarsi pian piano alla temperatura dell'acqua gelata.
DOCCIA No ai tempi lunghi così da evitare code chilometriche: la doccia al mare deve servire a rinfrescarsi non a lavarsi. Non usare saponi o shampoo: inquinano il mare.
RIMPROVERI Se volete rimproverare vostro figlio o farlo uscire dall'acqua, non fatelo a distanza, urlando e disturbando il vicino che sta cercando di fare un pisolino: alzatevi!
SPORT E CASTELLI La spiaggia non è un campo di calcio. Se c'è uno spazio allestito allo scopo, ben venga una partitella, altrimenti ci si ricordi che gli altri non sono contenti di ricevere pallonate in testa o sulla pancia. Stesso discorso per racchettone o frisbee. Va bene, poi, fare il classico castello, ma c'è un limite a tutto. Se il bambino vuol fare la pista per le biglie non può occupare mezza spiaggia costringendo gli altri bagnanti a salti mortali per non rovinare la pista. Sì alle gallerie, no alle fosse!
PIRATI Basta con i pericolosi e rumorosi acqua-scooter o barche a motore che arrivano fino a riva. Rispettate le leggi in materia.
PULIZIA Non gettate le cicche di sigarette o la carta del gelato sulla sabbia. I resti del pranzo non sono cibo per pesci.
AMBULANTI Sappiate che vendono merce contraffatta e di pessima qualità. In ogni caso, se non c'è niente che vi interessi, si può dire un fermo "No grazie".
CANI Laddove è permesso portarlo in spiaggia, ricordatevi di tenerlo sempre vicino a voi, con guinzaglio (o guinzaglio e museruola se è una razza a rischio di aggressività). Non lasciate che seppellisca zoccoli, lecchi chiunque si avvicini o sollevi valanghe di sabbia.
 


 

Nati tra fuoco e mare (di Santo Catarame)
(dedicato ai poeti del mar Jonio)

 

I campi di calcio dei"buggetti", ancora li possiamo vedere vicino a via porto Ulisse, e ancora si gioca a pallone come cinquant'anni fa. Un tempo non c'erano docce. Sudati, tanta buona volontà e il bagno lo facevamo "nda rutta".

 "A rutta" ovvero la grotta si trova ancora oggi. E' una cavità profonda vicino al mare. La lava dell'Etna ne fa di tutti i colori avvicinandosi all'acqua marina.

"Acqua e focu dacci locu". Acqua e fuoco governali con saggezza, sono pericolosi entrambi. La lava che s'incontra con l'acqua del mare, uno spettacolo che si è ripetuto dalle nostre parti, dall'inizio del mondo al 1669. 

Panico e stupore. La lava ha creato grotte, ponti lavici, alte scogliere, piattaforme. Un lido rimasto nella scogliera del lungomare è montato ancora sopra "a rutta". Il vantaggio di spogliarsi nella "rutta" era che potevamo cambiarci senza essere visti. Di sera era un buon nascondiglio per amanti che non volevano godere solo il rumore amico del mare jonio. Una volta là vicino c'era il Club della Stampa e la prua della finta nave che sorgeva su quel tratto di scogliera si vede ancora ancora oggi. Oggi è un luogo abbandonato, se volete ritrovare "a rutta" andate nei due lidi che si ricostruiscono d'estate nel lungomare di Catania. 

Prima della speculazione edilizia degli anni sessanta, la ferrovia statale passava sopra le lave del Rotolo. Bisognava attraversare i binari, rompersi le scarpe tra le pietre nere e qualche ciuffo di ginestra. Eravamo ragazzi, adolescenti, di "primu pilu, facevamo tuffi spericolati dalle alture di lava sul mare. L'emozione del volo arrivava dai piedi alle gambe, alte scogliere che ancora oggi si ammirano passeggiando.

Poi a Catania c'è la plaja, o come dicono ancora i catanesi: A praja. Non c'è più il lido Elsi e neanche il lido Casabianca. Sparito anche il bellissimo lido Spampinato con la sua architettura "gotica", maestosa, quasi aggressiva. Un prospetto incredibile dinanzi il mare, uno scenario che confermava Catania città d'arte. Romantiche sere passate a guardare il porto, il molo di Levante.

Un tempo si poteva anche dormire di notte nella cabina di legno. La gente si portava i fornelli a gas, oggi non è più possibile. Sulle ampie terrazze dei lidi, la sera c'erano gli spettacoli. Nel lido Spampinato si esibì pure Pippo Baudo, ancora incerto laureando di Giurisprudenza.

Gli innamorati, invece, sono sempre gli stessi. Quando le ragazze si sottraevano alla vigilanza di padri e fratelli, li potevate ritrovare con il fidanzato "ammucciuni" non solo vicino al mare ma, "senza dari all'occhiu", sulla sabbia, all'ombra o al buio di sera sotto le terrazze di legno che si costruivano per rialzare le cabine del lido. Al mare c'era l'acchiappo; in altre parole, si corteggiavano le ragazze senza tregua.

Belli i bagni. Belli se il bagnante che non sapeva nuotare era sostenuto sull'acqua da spaziose camere d'aria di camion. Sì, proprio quelli dei camion. In queste cinture di salvataggio c'entrava un'intera famiglia.

La mattina la sciabica tirata dai pescatori attirava la curiosità di noi bambini se per caso, solo per caso, c'eravamo alzati prestissimo. I cuzzulari e i pescatori con la sciabica sono immagini che ci facevano sognare e guardavamo la linea d'orizzonte con la speranza, un giorno, di navigare verso un paese lontano. "La Grecia dopo l'orizzonte c'è la Grecia" diceva un pescatore che raccoglieva cozzuli ddà praja. Ancora oggi raccolgono cozze lungo la costa fino al Simeto.

I tornei di tamburelli. L'elezione di miss lido creava qualche difficoltà ai genitori bacchettoni di una volta. La Sicilia è stata fino a quaranta anni fa di tradizioni islamiche pur essendo cattolica, apostolica e romana. "Me figghia non è comu i culumbrini ccà sfilunu cche cosci all'aria e u pettu tisu!.". Se la figlia culumbrina (civetta), per sbaglio, vincendo le resistenze della madre, riusciva a sfilare e vinceva il concorso di miss bellezza, allora era il caso di pensare seriamente a sposarla con un uomo "posizionato", di solito un avvocato. Gli avvocati siciliani, una volta, quante belle ragazze si sono godute! Probabilmente l'inflazione di legali e studi legali a Catania ha una giustificazione sentimentale.

Si ritornava con il filobus, che anche allora faceva servizio estivo per i lidi; oppure disperati per l'attesa, si ritornava con un'occasionale carrozzella tirata da un docile cavallo. Bisognava mettersi d'accordo prima col cocchiere, viaggiare in carrozza era un lusso. Si ritornava guardando il porto, il gazometro, u mulinu di Santa Lucia, fischiava il treno sopra l'acchi ddà marina. Pensavamo quando saremmo ritornati a praja, l'indomani oppure l'estate prossima.
Pensavamo pure che Catania sarebbe diventata la Milano del sud (così diceva mio padre), ammiravamo i "palazzuni" che crescevano, mentre sventravano l'antico San Berillo.
Sventrare!

Un termine perfetto per indicare un orribile delitto: Catania sconvolta urbanisticamente! Il foglio di via è stato imposto ai protettori delle prostitute di Via Maddem e dintorni. Strade e stradette che non ci sono più, e dove si aspettava di vedere a pianterreno: "Maria accupu" in mutandine e reggiseno o la "bolognese", che forse non era di Bologna, ma solo una sfortunata donna di qualche povero paese siciliano che si dava "l'aria del continente". Protettori politici e mafiosi subentravano ad occupare i posti "ddè ricuttari ppè fimmini" Il nostro avvenire assicurato? Senza più emigrare? Allora ci godevamo il mare e tanti sogni.
La corsa dell'Etna partiva da Piazza Duomo. Pure i "nuri", i divuteddi, di Sant'Alfio partivano da Piazza Duomo.
Cosa ci mancava? Nulla! Eravamo giovanissimi, quasi adolescenti. Nel lido della praja c'era già qualche ragazzetta smorfiosa che ci aspettava, domani, forse ci stava. 

Bella vita!

(Santo Catarame - Corrieredaristofane.it)

 

 

 

Sdraio di roccia per scelta. Il "partito" degli scogli che rifiuta la sabbia.

di Eva Spampinato (La Sicilia 14.7.2007)

 

A stretto contatto con la natura. Caldi scogli vulcanici e spruzzi di salsedine sul viso. Questo uno dei tanti aspetti che si ama della Scogliera di Catania. E che porta una buona dose di catanesi, e non solo, a scegliere il versante roccioso della città come luogo ideale per i propri bagni. Da sempre in città esistono due scuole di pensiero sui luoghi dell'abbronzatura: c'è chi il mare è solo Piaia e chi il mare è solo Scogliera. Quasi mai le due fazioni" trovano un punto d'accordo e d'incontro. Da Ognina ad Acitrezza, gli scogli hanno il loro fascino e i loro habitué.

Quelli che corrono a sdraiarsi sulle rocce non appena esce il primo raggio di sole. Anche in pieno inverno. "E' il piacere dei contatto con la natura racconta Andrea Spitalerí, impiegato trentenne con la passione per il kitesurf - senza sovrastrutture si respira la vera aria marina e l'acqua, inoltre, è pulita. Sono da sempre stato abituato così e quando vado nei lidi non mi trovo bene e poi qui ormai si è formato anche un bel gruppetto". Gli scogli, dunque, come luogo di ritrovo, punto di aggregazione e di fucina di nuove amicizie. Amori e dintorni. "Ho conosciuto il mio ragazzo proprio in uno dei tanti "scogli liberi" della zona dice Alessia, una giovane studentessa di Lingue che in estate frequenta la piattaforma rocciosa vicino al primo lido della Scogliera e da allora in poi non ho più cambiato spiaggia. Ormai ci conosciamo un po' tutti, si è creata una bella atmosfera e per noi questo angolo è come se fosse un lido".

Scogli liberi e lidi superorganizzati con ogni tipo di comfort e divertimento per i ragazzi. Perché i tempi cambiano e adesso i lidi si sono trasformati anche in palestra e sala giochi. Quelli più fashion, invece, hanno lanciato la moda dei weekend all'insegna dei cocktail e dei cestini di frutta da consumare sulla sdraio. Non solo mix di ombrelloni e lettini. Sempre meno vacanza sotto l'ombrellone e sempre più oasi di benessere, momenti di meditazione cullati dalle onde del mare. La vita da spiaggia cambia look e le ultime tendenze portano anche a Catania le idee più curiose e accattivanti, per una vacanza all'insegna del relax godereccio e salutare.

 

 

Mare a settembre .sapore di... quiete

Il mare di settembre è quello più bello, un momento in cui godere della spiaggia verosimilmente più tranquilla rispetto ai mesi clou dell'estate, e nei lidi si prosegue con le attività di sempre. Il sole, un tuffo dallo scoglio più alto o il tiepido e rassicurante calore della sabbia sul corpo, una sdraio, un ombrellone e un mazzo di carte: è questo il mare catanese, senza distinzioni dalla Plaia alla Scogliera. Ritmi lenti durante la settimana che ritornano a diventare frenetici durante questi ultimi weekend negli stabilimenti. Se le signore trascorrono il tempo chiacchierando sulla battigia per qualcuno altro il divertimento continua ad essere quello di giocare a racchettoni o tamburelli in riva al mare.
"Adesso c'è meno confusione - afferma Michele - e giocare a racchettoni è ancora più divertente". Per qualcun altro, invece, il divertimento rimane una sana e divertente partita a carte preferibilmente dinanzi la propria cabina o la classica lettura di un libro sulla sdraio. E chi non ama lo sport (tamburello, racchettoni, bocce, beach volley o beach soccer) può puntare su passeggiate sul bagnasciuga, o godersi il... dolce far niente sulla sdraio facendo le parole crociate o impegnandosi con un intellettuale sudoku. Senza la tralasciare la lettura del giornale. Già, una giornata al mare è una sorta di rituale che ognuno vive come desidera.

foto proveniente da "Vecchie foto di Catania di Salvatore Nicolosi - Tringale Editore

 

 

Sono stati decisamente un successo, i tre solarium sul lungomare di Catania che continuano ad essere frequentati dagli insaziabili del mare. Quello di Ognina, dinanzi all'istituto Nautico (questa stagione duecento metri quadrati più ampio di quelli realizzati in passato), la terrazza sul mare di piazzale Sciascia - piazza Europa la più grande e l'ultimo, costruito per la prima volta quest'anno vicino alla spiaggetta di San Giovanni Li Cuti, sono stati letteralmente presi d'assalto dai catanesi per tutta l'estate. In ogni piattaforma si è creato un gruppo di frequentatori abituali, ma in ogni caso i catanesi promuovono a pieni voti tutti i solarium: per tutti il comune denominatore della forza attrattiva delle terrazze è stato quello della comodità unita ad una innegabile forma di risparmio, che in questo periodo di crisi diventa fattore essenziale per tutte le scelte.
"Chi ha famiglia - afferma Annamaria - deve fare necessariamente i conti con il portafogli. Un gelato o un panino con una bibita a pranzo e in quattro spendiamo al massimo 10 euro, mentre al lido gli stessi soldi li avremmo spesi solo per pagare un ingresso. Spesso si viene anche nella pausa lavoro, si resta il tempo di un tuffo e poi via di nuovo al lavoro. Non prima di aver fatto una doccia e preso un caffè".

La Sicilia, 11/09/2010

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

Piccolo borgo marinaro interno alla trama urbana del capoluogo etneo, nasce alla fine del XIX sec. La tradizione fa derivare il suo nome al reperimento di una statua di San Giovanni rintracciata fra i ciottoli della battigia (i cuti), da cui deriva il nome del borgo.

La statua, inizialmente posta in un angolo della piazzetta, su un altarino più volte travolto dalle onde prima che fosse costruito il molo, oggi è collocata in un’icona di fronte la casa ad archi.

La costruzione a monte della ferrovia Messina–Catania nel 1866 e poi la costruzione del lungomare Ruggero di Lauria hanno limato e definito lo spazio del piccolo borgo. È un tratto di costa costituito da spuntoni di roccia di nero basalto (antiche falesie frutto delle trasformazioni operati dai moti marini che si alternano ai “cutuli”, ovvero blocchi di pietra lavica frutto della demolizione delle falesie che, caduti in acqua, venivano restituiti alla terraferma arrotondati dall’azione del mare, costituendo così una piccola spiaggia di ciottoli neri, particolarmente amata dai catanesi.

Più che di un porto, il Borgo è dotato di una darsena protetta da un molo di 80 m, con un fondale con profondità che varia dai 0,20 ai 2,0 m., frequentata solo da piccole barche da pesca locali e da imbarcazioni con pescaggio limitatissimo. Vige il divieto di ormeggio alle imbarcazioni da diporto, ma è possibile, se il mare è calmo, gettare l’ancora a sud del moletto e godersi il panorama sul piccolo borgo e le sue limpide acque.

Secondo voi cosa potrebbe fare un povero ricercatore del CNR di Catania, accaldato, sudato e stanco… nella pausa pranzo, cioè dalle 14 alle 16, di un luglio particolarmente caldo ed afoso…esattamente…avete capito benissimo…fare un tuffo nel suo splendido mare…lo Ionio…ma qui vi voglio…dove?

Chi conosce Catania potrebbe suggerirmi tanti posti...la scogliera ad esempio con i solarium comunali o uno dei lidi presenti alla Playa (zona a sud della città)…ed io vi rispondo subitissimo…nooooooooooo…nei primi c'è troppa confusione di fighetti e poi il sole si dovrebbe prendere in piccoli spazietti ricavati dando spintoni a destra e a manca su tavole di legno!!…nei lidi della Playa in cui la spiaggia è sabbiosa oltre al tempo che starei per raggiungerla, il mare non è poi il massimo della pulizia essendo la zona molto prossima al porto…quindi le acque non sono certo sempre cristalline… 

E allora che fare?...la risposta è semplice…almeno per me…si va a S. Giovanni Li Cuti…S. Giovanni Li cuti è un cosiddetto borgo marinaro che si trova praticamente in pieno centro (zona mare) a Catania…per anni ed anni è stato bistrattato e considerato solo un piccolo rione di pescatori il cui mare non era certo molto apprezzato ed i pochi locali che vi si trovavano non andavano certo per la maggiore…

S. Giovanni Li Cuti si estende in lunghezza per non più di 800 metri. E' in pratica una striscia di terra che divide il mare Ionio dal Lungomare di Catania, la cosiddetta circonvallazione a mare. In pratica non è neanche possibile annoverare come frazione…ma è un piccolo agglomerato di casette basse che si affacciano sulla spiaggia e sul piccolo porticciolo che però oramai è praticamente dimesso. Dello spettacolo che tale borgo offre la sera ne parlerò più tardi.

Ma ecco che qualche anno fa, alla amministrazione comunale di Catania è venuta l'idea di cambiare radicalmente l'aspetto di questa zona…ed allora ecco creata una spiaggia in quattro e quattro otto di grande fascino…fascino?...sì…fascino perché questa spiaggetta è stata praticamente creata quasi dal nulla…si tratta di una striscia lunga almeno 300 metri e larga una settantina tutta costituita da sabbia nera cioè sabbia di origine vulcanica…una vera e propria spiaggia "nera" molto simile a quella dell'isola di vulcano nelle Eolie…ma mentre lì a Vulcano possiamo parlare di sabbia finissima qui dobbiamo usare il termine sabbia "a grani grossi"…

 

Certo ammetto che può non piacere a molti come tipo di superficie…ma per uno che ormai da tre anni la frequenta posso dirvi  che non è affatto scomoda per prendere il sole mentre rispetto alla sabbia normale sia essa bianca o nera…ha un enorme vantaggio…non vi rimarrà "impicata" cioè appiccicata addosso fino a che a che una poderosa doccia casalinga non sarà stata fatta.

Per gli amanti del bagno e non della tintarella, vi posso dire che potrebbe a tutti sembrare assurdo fare il bagno di fronte ai palazzoni del lungomare catanese ed alle case che circondano lo specchio di mare…ed invece ecco il bello della spiaggetta di S. Giovanni Li Cuti…il mare è praticamente quasi sempre pulito e cristallino. Quest'anno ad esempio non vi è stato un giorno in cui abbia dovuto rinunciare alla mia nuotata ristoratrice…

Ma quali sono gli altri punti di forza di questa spiaggetta,…la presenza di un attrezzatura messa a disposizione dall'amministrazione della Città in modo assolutamente gratuito…e cioè le docce (ben 8!!!), gli spogliatoi ed i bagni chimici, nonché la passerella per i disabili, inoltre sono presenti due passerelle che portano a mare in cui sono presenti due scalette per permettere l'accesso comodo al mare…https://www.mimmorapisarda.it/antiche/color/40.jpg

Dimenticavo che nella spiaggia sono stati posti dei grossi massi tra la spiaggia ed il mare per evitare il danneggiamento della spiaggia per le ondate nonché per rendere fruibile la massima quantità di spiaggia per i bagnanti. 

Come raggiungere la spiaggia?...Allora…la stradina che percorre il borgo è interdetta alle auto ed alle moto (escluse quelle dei residenti…grande cosa). All'ingresso della suddetta stradina vi è comunque presente un piccolo parcheggio rigorosamente abusivo per i motorini e le moto. La macchina può anzi deve essere parcheggiata sul lungomare, in cui ahimè sono presenti le tanto odiate strisce blu…(1 ora di parcheggio 0.52 €). Si può comunque raggiungere la spiaggia usando gli autobus della AMT (dal centro si prendere il 534 che passa da Via Etnea). Io invece dato il poco tempo a disposizione e l'amore per le due ruote, vado sempre in bicicletta (da casa mia arrivo in 10 minuti) e posso posteggiarla proprio sulla spiaggia….

Concludo questa panoramica…parlandovi di S. Giovanni Li Cuti di sera…è una passeggiata a mare piacevolissima…senza smog, senza rumori di macchina, la strada non è illuminata a giorno quindi è proprio romanticissima…lì sono presenti un po' di bei locali…accoglienti in cui è possibile naturalmente gustare dell'ottimo pesce fresco o sgranocchiare un buona pizza…vi segnalo il "Porto San Giovanni" e l'"Andrew's Faro" oltre al ristorante biologico "Cuti lisci"…è molto carino e romantico anche comprare qualche pezzo di tavola calda, tipo un arancino, una cartocciata, una cipollina ed andarla a gustare in dolce compagnia sugli scogli in riva al mare dove una piacevolissima brezza mitigherà la calura estiva…

Spero di essere stato esauriente…ed avervi descritto bene questo bellissimo posto…dimenticavo…la spiaggia è ben frequentata e rappresenta un fiore all'occhiello per la città di Catania…

Un buon bagno a tutti

Antonio Magrì http://viaggi.ciao.it/altri_luoghi_in_Sicilia__Opinione_634931

 

 

S. Giovanni Li Cuti nel 1963 (foto Arrigo). Come si nota nelle prime due foto, la famosa spiaggetta era costituita solo da sabbia nera; successivamente molto materiale di scarto fu scaricato fino a riva a seguito della costruzione dell'attuale stradina. A destra gli stabilimenti balneari di allora, sempre innalzati su palafitte. Alcuni di loro non ci sono più o hanno cambiato nome. Fra i più in voga: il Lido Longobardo (il più famoso), Porto S. Giovanni, Mirasole, Smeraldo, Villa Teresa, Gambero, Lungomare.

San Giovanni li Cuti è il nome di un piccolo borgo marinaro di Catania con una delle spiagge più rinomate della città.

Ormai fagocitato dalla metropoli etnea, viene lambito dal bellissimo lungomare che inizia come Viale Ruggero di Laurìa e prosegue come Viale Artale Alagona attraversando le cinque piazze che si susseguono in successione.

Nell'ordine si incontrano: Piazza Europa, Piazza del Tricolore, Piazza Nettuno, Piazza Ognina e Piazza Mancini Battaglia.

Poste tutte sulla destra si protendono verso il mare seguendo l'andamento sinuoso di una costa caratterizzata da sciara ed affioramenti magmatici.

Frequentatissime, ben conosciute e prese d'assalto durante la stagione estiva sono accomunate dal fatto di essere realmente delle suggestive terrazze a mare, luoghi di ritrovo conosciuti ma al contempo delle tappe abituali per il turismo balneare dei catanesi.

 

 

San Giovanni li Cuti si trova nella zona coperta da varie colate laviche, in epoca storica nel 1169, 1329 e 1381 anno in cui venne coperta anche parte dell'antico Porto Ulisse; tale tratto di costa è chiamata appunto La Scogliera. Vi si accede dalla via omonima, traversa di viale Ruggiero di Laurìa, nel quartiere di Santa Maria della Guardia. La spiaggia è compresa tra il porto omonimo, utilizzato solo da piccole imbarcazioni di pescatori, ed alcuni lidi a cui si accede tramite la vicina Piazza Europa.

La spiaggia è formata da sabbia nera vulcanica e l'accesso al mare avviene tramite scogli sempre di pietra lavica. La maggior parte delle pietre proviene dagli scavi del 1956 fatti per l'interramento della ferrovia Catania-Messina nel tratto che va dal ponte di Ognina alla stazione centrale. Molto più tardi si è provveduto a rendere l'area fruibile per il turismo: ogni estate San Giovanni li Cuti diventa una spiaggia libera dotata di docce, spogliatoi, bagni, passerelle e scalette.

Inoltre, con l'apertura di alcuni locali, il borgo si popola anche di notte. Recentemente, però, la spiaggia è stata soggetta ad un degrado a cui l'amministrazione comunale ha solo parzialmente posto rimedio.
L'intitolazione San Giovanni fa riferimento all'omonima parrocchia che dipende dalla vicina chiesa di Santa Maria della Guardia.

Nel dialetto catanese si utilizza il termine "Li Cuti" per indicare delle formazioni di origine lavica o degli scogli sottoposti all'azione erosiva del mare. Ulteriore sinonimo è "scogli lisci, levigati" (che però viene tradotto con "Li Cutulisci"). Potrebbe inoltre derivare dalla metatesi di "Li Cutuli" ("i ciottoli"). Tale appositivo ha evidentemente risentito sia della natura dei luoghi che dell'influenza di due vocaboli latini particolarmente appropriati entrambi di genere femminile plurale: "cautes - cautis", che assume tra i suoi significati quelli di "scogliera, scogli, faraglioni o dirupi affioranti dall'acqua"; "cos - cotis", che può riferirsi sia alla comune "cote" intesa come "pietra focaia", sia per esteso a qualsiasi "pietra dura o particolarmente tagliente".
I suoi abitanti sono chiamati "Licutiani".

(Wikipedia

 

 

Il Lido Longobardo negli anni ‘70 era nelle mie zone un luogo di ritrovo per tutti noi ragazzi.

Io, di nascosto e con notevoli difficoltà economiche, riuscivo ad accaparrarmi un tesserino d'ingresso per una cabina (così chiamavamo gli spogliatoi) frequentatissima.

Il tesserino ambitissimo era in cartoncino azzurro e recava il nome dell'intestatario del contratto per tutta la stagione estiva. Spesso era il più grande del gruppo ad accollarsi tutta l'organizzazione, il pagamento, la documentazione da fornire ecc. La stagione iniziava il 15 Giugno, appena finita la scuola, e terminava, con molto dolore da parte nostra, il 15 Settembre sebbene le temperature erano altissime. L'ingresso dello stabilimento balneare era all'inizio del Lungomare, partendo da piazza Europa. Una grossa piattaforma di legno si restringeva quasi subito per potere consentire il controllo dei tesserini dalle persone addette. Caldo, luccichio del mare e odore del legno delle assi arso dal sole ci invitava non appena entrati a sbrigarci.

Peccato perdere tempo.

Dopo una trionfale camminata, vestita in mezzo a tutti gli altri in costume da bagno, arrivavo finalmente nel mio piccolo possedimento e dal numero e tipologia degli abiti e degli zaini o borse appese capivo chi avrei trovato in quei corridoi roventi o nel solarium o... in acqua. Dentro lo spogliatoio odore di creme solari, oli e unguenti mischiati a qualche maleodorante calzatura (inevitabile) facevano in modo che mi sbrigassi nell'operazione di... spogliatura.

Appena indossato il costume da bagno e rigorosamente in incognito andavo a cercare gli amici. Il bar, con i tavolini sul mare, era piccolo ma ospitale e accogliente.

 

I gelati Motta, nello storico frigo azzurrino con il Duomo di Milano stampigliato come nel panettone, facevano bella mostra vicino alla cassa. Io consumavo poco e niente perché avevo pochissimi soldi ed era già tanto essere in quel luogo di “perdizione”.

Qualcuno o qualcuna con cui condividere quelle due-tre ore a disposizione lo trovavo sempre, ma spesso questi momenti erano disturbati dall'incrocio con clienti di mio padre che poi dovevo pregare di non riferire d'avermi vista.

Per giustizia devo dire che nessuno mai mi tradì, probabilmente perché il reato era veramente irrisorio. Mio padre, se solo sentiva nominare quel luogo, andava su tutte le furie come se quest'ultimo fosse il più infimo casinò, il più schifoso ritrovo, la casa d'appuntamento più malfamata.

Non lo capii mai. Sicuramente con la sua benedizione quelle poche ore sarebbero passate più lietamente ma pazienza. Tutto non si può avere.

La cosa che più mi piaceva era lo scricchiolio delle assi al mio passaggio. Era l'unica volta che il peso e l'imponenza della mia stazza mi facevano piacere. Una scaletta piccolissima in legno ci portava direttamente in acqua, ecco perché quando cominciavi a scenderla non potevi pentirti... potevi solo tuffarti. Così facevo e, come Esther Williams, mi lasciavo cullare da quelle acque fresche e scure per la rocciosità dei fondali. Qualche lumacone pronto al corteggiamento era sempre in agguato ma difficilmente davo retta perché accettare la corte di qualcuno avrebbe significato isolarsi dal gruppo, avrebbe significato perdita di libertà e di pensiero. Mi piaceva troppo. Uscita dall'acqua, con un telo sempre di fortuna, mi mettevo sotto il sole pieno e giù, chiacchiera dopo chiacchiera, fino alle tredici, ora in cui purtroppo dovevo presentarmi a casa. A casa tornavo sempre un po’ arsa dal sole ma mio padre faceva finta di non accorgersene. Sapeva? Immaginava? Non lo sapremo mai.

Il pezzettino dal lido a casa era pesantissimo. Spesso con il costume ancora bagnato dovevo precipitarmi per arrivare puntuale, il doppio costume non l'avevo o magari non mi piaceva come l'altro e puntualmente restava nei jeans quell'orribile oltre che fastidiosissimo segno di bagnato. I capelli invece non erano un problema perché all'epoca, innamorata di look gitani, spesso portavo il foulard legato dietro la nuca.

Nel 1978, questa storia durata circa cinque anni, finì. Avevo un folto gruppi di amici nella spiaggia della casa di famiglia e non aveva senso avere questa vita parallela peraltro non autorizzata. Il tesserino lo conservo ancora tra i miei cimeli. Momenti di libertà di una vita dietro sbarre di zucchero.

Caro presidente Conte, nessuno potrà toglierci il mare quest’anno nonostante siamo in tempi di coronavirus. Non se ne parla proprio.

LAURA SCAGLIONE – La Sicilia 10.5.2020

 

 

 

 

L'EX BAGNINO CHE RIPULISCE LA SPIAGGETTA DI SAN GIOVANNI LI CUTI

È nato a 50 metri da Villa Bellini, ma ogni mattina, scende da Tremestieri, dove abita, per andare a pulire la spiaggia di San Giovanni li Cuti. E - in un mese - ha cambiato faccia all’unica spiaggia cittadina sulla quale i catanesi possano contare. Sabbia nera pulita, piante grasse e gerani messi a dimora tra i “cutilisci”, buche per la spazzatura evidenziate da rami di palme, punti di raccolta “differenziati” per le cicche di sigarette, i passaggi ben delineati per l’accesso al mare e alle docce (con tanto di scolo tracciato per evitare che l’acqua dolce arrivi sugli asciugamano dei bagnanti). Si stenta a credere che sia la spiaggia di San Giovanni li Cuti, la stessa che, domenica scorsa, è stata presa d’assalto da non meno di duemila persone, che la sera si trasforma in zona pic nic e che al mattino è un tappeto di cartoni della pizza e di bottiglie vuote.

Il merito di questo piccolo miracolo (segnalatoci su “Lo dico a La Sicilia” da un lettore-fruitore della spiaggia) è di Antonio Arrigo, un ex bagnino tuttofare della Plaia che, da pensionato, ha adottato la spiaggia della sua infanzia e se ne occupa quotidianamente come se fosse casa sua. «Armato» di retino ogni mattina, alle 6, pulisce la spiaggia da cartacce, cicche e bottiglie, raccoglie quattro sacchi di spazzatura e con l’acqua delle docce annaffia le piante con le quali l’ha abbellita. Poi, si stende meritatamente sulla sua brandina da spiaggia e si gode la giornata al mare, fino alle 13, quando chiude l’ombrellone per ritornare a casa. «Fino a quell’ora rimane pulita - dice - poi, dalla sera, gli incivili si scatenano. Stamattina ho trovato i resti di un festeggiamento con torta di compleanno, bottiglie e bucce di anguria, i ragazzi sporcano di più degli adulti. Però, pulire non è un problema, per me - afferma con semplicità disarmante - l’ho sempre fatto e, del resto, negli ultimi dieci anni è stato il mio lavoro, non mi pesa, so come si tiene ordinata una spiaggia. In tanti mi hanno fatto i complimenti, altri mi chiedono “chi te lo fa fare”, altri ancora si meravigliano del fatto che io tolga spazzatura prodotta da altri, ma devo dire che da quando ci sono le buche per i rifiuti, la mattina li trovo pieni, il 90 per cento di quello che prima trovavo sparso in giro ora è nei sacchi. Qualcuno getta ancora la spazzatura nel posto per le le cicche... mah, si vede che non sanno leggere».

Il nuovo “arredo” di San Giovanni li Cuti prevede, infatti, oltre alle buche per i rifiuti evidenziati da rami di palma, anche dei cartelli con perentorie scritte in italiano “non sporcare” e, a scanso di equivoci, anche in dialetto “n’alluddari”. I frequentatori di San Giovanni li Cuti apprezzano e ringraziano, soprattutto perché il lavoro di Arrigo colma una lacuna del Comune, cioè rendere fruibile (e godibile) un accesso al mare gratuito, cosa che, a stagione inoltrata, è ancora un rebus, sia per i solaria che per la Plaia.

Così è rimasta solo la spiaggia nera a simboleggiare lo “sfogo” al mare per chi non ha voglia, o non può permettersi, di pagare un ingresso in un lido.«La cosa più faticosa - racconta il signor Antonio - è stata spostare decine di pietre per restituire spazio alla spiaggia e ripristinare l’accesso al mare. Era un manicomio, c’erano pietre dappertutto: le ho tolte tutte, ho spostato la sabbia per creare la scaletta (dove sono state messe le piante grasse ndr).

Qualcuno mi ha aiutato a spostare le pietre, altri a mettere i cartelli che sono stati realizzati da alcuni ciclisti di un’associazione sportiva di triathlon, alcune piante le ho portate da casa e i cactus mi sono stati regalati da altri bagnanti. Ho trasferito sacchi di sabbia da un punto all’altro della spiaggia per renderla più larga e uniforme possibile, insomma è stato un bel lavoro. Il problema si porrà in mia assenza. Se non dovessi venire per un paio di giorni, chi toglierà al mattino i sacchi della spazzatura? Gli addetti della Nettezza urbana non si spingono sulla spiaggia, si occupano solo della strada, però mi forniscono i sacchi neri per i rifiuti. Mi piacerebbe che, in  mia assenza, togliessero almeno i sacchi pieni al mattino».

La spiaggia di San Giovanni li Cuti ha subìto, negli anni, molte trasformazioni e Arrigo è stato testimone di tutti i suoi cambiamenti, anzi della stessa “creazione” della spiaggia. «In 60 anni è cambiata tantissimo per via degli sbancamenti degli Anni Sessanta. Tutto il materiale che veniva estratto dalle fondamenta per costruire i palazzi del lungomare, veniva scaricato in mare sulla scogliera del «Caito» dove poi hanno realizzato dal nulla la strada a servizio del porticciolo turistico. Tutto quel materiale, via via nel tempo, è stato levigato dal mare e le pietre, con le mareggiate, sono diventate rotonde e sono arrivate fin qui a creare una sorta di “muro”. Fino a 10 anni fa il Comune se ne occupava: aveva spianato, aveva messo altra sabbia, poi da 8 anni a questa parte la spiaggia è stata completamente abbandonata».

«Il mio sogno sarebbe rivedere la spiaggia com’era volta, cioè allungata fino al confine con il primo lido e poi che venissero ripristinate le passerelle al mare. Bisognerebbe togliere un bel po’ di pietre perché, in fin dei conti, la terra sotto c’è ancora». Da allora di mareggiate” la spiaggia nera ne ha sopportate tante, anche giudiziarie, Nel 2007, come si ricorderà, venne anche sequestrata dalla Forestale su input della Procura perché il materiale utilizzato per “allargarla” non era sabbia vulcanica ma terra di sbancamento proveniente da un cantiere edile di Nicolosi e furono necessarie delle analisi per scongiurare pericoli per la salute dei bagnanti. Da allora San Giovanni li Cuti non venne più toccata. Antonio Arrigo è il primo che ha preso l’iniziativa di trasformarla. In meglio. «Ci vengo io - spiega - e la voglio vedere pulita. O lo faccio o l’abbandono anch’io, e poi la gente è felice e questo, tutto sommato, mi porta energia positiva».

 

http://www.lasicilia.it/articolo/catania-lex-bagnino-che-ripulisce-la-spiaggia

 

 

Questa foto, del 1953, è  fatta davanti all'ex lido Longobardo (ora sostituito in parte dal lido La Battigia), e mostra come gli scogli ancora non esistevano anzi, andando verso il mare, si trovava una spiaggia di sabbia nera. In fondo si vede un promontorio (il Belvedere) che oggi è sovrastato da "La Nave" in muratura (ex Club della Stampa).

Il promontorio si chiama Belvedere perché è l'unico che consente di vedere tutta la costa sia verso Acicastello che verso il porto.

A.A.A.

 

 

Bagni di sabbia e bagni di scoglio.

http://www.ilbotteghino-online.it/

 

Sul finire degli anni Venti e nel ventennio successivo, quando il più modesto degli impiegati lavorava in estate in giacca e cravatta con il colletto della camicia duro e inamidato; quando il bikini non era entrato nemmeno nell'enciclopedia britannica, una giornata passata al mare nella nostra incontaminata Plaja, può oggi apparire come una nebulosa. La Plaja entrò nei pensieri e nelle abitudini dei catanesi con l'arrivo del nostro secolo. Negli anni successivi sorsero le prime cabine private e i primi

stabilimenti pubblici. Il lido crebbe tanto rapidamente, divenendo un fatto di moda.

 

https://www.mimmorapisarda.it/antiche/color/37.jpg

I catanesi frequentavano le scogliere a levante della città, Guardia Ognina, Ognina, Acireale. I primi imprenditori che gestirono questi stabilimenti furono i Longobardo, i Guarnaccia, i Mancini e gli Scuderi. Questi stabilimenti nacquero connessi al bisogno di quelle fasce di persone che avevano bisogno di cure elioterapiche e delle bagnanti, soprattutto di sesso femminile che volevano sottrarsi a sguardi indiscreti per le quali la cabina aveva uno sbocco interno lontano da occhi indiscreti.
La scoperta della Plaja per i catanesi fu quasi un fatto sociale, si sbarazzarono di non poche prevenzioni e allargarono la superficie della loro pelle ai raggi solari. La cabina diventò una seconda casa. Il lido Jonio piazzò addirittura due altoparlanti che proponevano tanghi e mazurke, sul far della sera e di regola nei giorni festivi.
Il lido Else, il mitico lido Azzurro che ha visto nascere e crescere tante generazioni di catanesi, oltre allo svago mattutino, avevano delle piste capaci di soddisfare le esigenze di tante belle ragazze. Alla Plaja ci si arrivava con il tram che si prendeva a ridosso di Porta Uzeda. Le vetture stipate fino all'inverosimile, accoglievano quelle persone che andavano a trovare i loro familiari, che arrivavano con vettovaglie acquistate alla pescheria. Poi i Fratelli Gentilini ebbero una idea geniale, trasformarono un vecchio peschereccio in un vaporetto che faceva la spola nello specchio antistante Palazzo Biscari. La corsa aveva la sua fine presso il Lido Spampinato, costava cinquanta centesimi e suscitava nelle persone una gioia immensa..

Le cabine erano delle case in miniatura con tutti i confort, abitudine che è resistita ai nostri giorni. Il menù era vario, le signore catanesi pensavano ad ogni particolare, c'era una abbondanza di fritture e qualche rara insalata, i componenti della famiglia aspettavano questo momento con una gioia grande.
Nel romanzo "Giovannino" di Ercole Patti si può cercare di capire il fascino di quei tempi felici nel racconto della tavola salvagente della sig.ra Laganà. Poi le fanciulle accorciarono il gonnellino e i giovani allungarono gli sguardi rapaci. Peccato che la guerra cancellò questa felicità.

 

https://www.mimmorapisarda.it/antiche/color/38.jpg

 

Il Lido Longobardo negli anni ‘70 era nelle mie zone un luogo di ritrovo per tutti noi ragazzi.

Io, di nascosto e con notevoli difficoltà economiche, riuscivo ad accaparrarmi un tesserino d'ingresso per una cabina (così chiamavamo gli spogliatoi) frequentatissima.

Il tesserino ambitissimo era in cartoncino azzurro e recava il nome dell'intestatario del contratto per tutta la stagione estiva. Spesso era il più grande del gruppo ad accollarsi tutta l'organizzazione, il pagamento, la documentazione da fornire ecc. La stagione iniziava il 15 Giugno, appena finita la scuola, e terminava, con molto dolore da parte nostra, il 15 Settembre sebbene le temperature erano altissime. L'ingresso dello stabilimento balneare era all'inizio del Lungomare, partendo da piazza Europa. Una grossa piattaforma di legno si restringeva quasi subito per potere consentire il controllo dei tesserini dalle persone addette. Caldo, luccichio del mare e odore del legno delle assi arso dal sole ci invitava non appena entrati a sbrigarci.

Peccato perdere tempo.

Dopo una trionfale camminata, vestita in mezzo a tutti gli altri in costume da bagno, arrivavo finalmente nel mio piccolo possedimento e dal numero e tipologia degli abiti e degli zaini o borse appese capivo chi avrei trovato in quei corridoi roventi o nel solarium o... in acqua. Dentro lo spogliatoio odore di creme solari, oli e unguenti mischiati a qualche maleodorante calzatura (inevitabile) facevano in modo che mi sbrigassi nell'operazione di... spogliatura.

Appena indossato il costume da bagno e rigorosamente in incognito andavo a cercare gli amici. Il bar, con i tavolini sul mare, era piccolo ma ospitale e accogliente.

I gelati Motta, nello storico frigo azzurrino con il Duomo di Milano stampigliato come nel panettone, facevano bella mostra vicino alla cassa. Io consumavo poco e niente perché avevo pochissimi soldi ed era già tanto essere in quel luogo di “perdizione”.

Qualcuno o qualcuna con cui condividere quelle due-tre ore a disposizione lo trovavo sempre, ma spesso questi momenti erano disturbati dall'incrocio con clienti di mio padre che poi dovevo pregare di non riferire d'avermi vista.

Per giustizia devo dire che nessuno mai mi tradì, probabilmente perché il reato era veramente irrisorio. Mio padre, se solo sentiva nominare quel luogo, andava su tutte le furie come se quest'ultimo fosse il più infimo casinò, il più schifoso ritrovo, la casa d'appuntamento più malfamata.

 

 

Non lo capii mai. Sicuramente con la sua benedizione quelle poche ore sarebbero passate più lietamente ma pazienza. Tutto non si può avere.

La cosa che più mi piaceva era lo scricchiolio delle assi al mio passaggio. Era l'unica volta che il peso e l'imponenza della mia stazza mi facevano piacere. Una scaletta piccolissima in legno ci portava direttamente in acqua, ecco perché quando cominciavi a scenderla non potevi pentirti... potevi solo tuffarti. Così facevo e, come Esther Williams, mi lasciavo cullare da quelle acque fresche e scure per la rocciosità dei fondali. Qualche lumacone pronto al corteggiamento era sempre in agguato ma difficilmente davo retta perché accettare la corte di qualcuno avrebbe significato isolarsi dal gruppo, avrebbe significato perdita di libertà e di pensiero. Mi piaceva troppo. Uscita dall'acqua, con un telo sempre di fortuna, mi mettevo sotto il sole pieno e giù, chiacchiera dopo chiacchiera, fino alle tredici, ora in cui purtroppo dovevo presentarmi a casa. A casa tornavo sempre un po’ arsa dal sole ma mio padre faceva finta di non accorgersene. Sapeva? Immaginava? Non lo sapremo mai.

Il pezzettino dal lido a casa era pesantissimo. Spesso con il costume ancora bagnato dovevo precipitarmi per arrivare puntuale, il doppio costume non l'avevo o magari non mi piaceva come l'altro e puntualmente restava nei jeans quell'orribile oltre che fastidiosissimo segno di bagnato. I capelli invece non erano un problema perché all'epoca, innamorata di look gitani, spesso portavo il foulard legato dietro la nuca.

Nel 1978, questa storia durata circa cinque anni, finì. Avevo un folto gruppi di amici nella spiaggia della casa di famiglia e non aveva senso avere questa vita parallela peraltro non autorizzata. Il tesserino lo conservo ancora tra i miei cimeli. Momenti di libertà di una vita dietro sbarre di zucchero.

Caro presidente Conte, nessuno potrà toglierci il mare quest’anno nonostante siamo in tempi di coronavirus. Non se ne parla proprio.

LAURA SCAGLIONE – La Sicilia 10.5.2020

 

 

 

 

Il premiato lido longobardo
di Maria Antonietta Musumarra - inserto la Sicilia 1 agosto 2001

Oh il bel mare della Guardia! Lo raggiungevamo tutte le mattine, con i vestitini di lino bianco e i berretti alla marinara. Non avevamo bisogno di vetture, la distanza era modica e si andava benissimo a piedi. Mi rivedo ancora, insieme ad Antonio, ballonzolare all'inizio, poi correre lungo l'ultimo tratto, quello adiacente il convento dei monaci, e quindi sul tavolato poggiato sulle asperità di una antichissima lava. Divertiti dal risuonare del legno e già in vista dell'insegna del lido Longobardo, non fermavamo la corsa nemmeno dentro la sala d'ingresso, dove i grandi si fermavano per l'acquisto dei biglietti e la proprietaria, una bianca ed agguerrita vecchietta, si affannava a contare i bambini che le sfuggivano da ogni parte. Difficilmente ne perdeva uno. Preso possesso del "camerino" e inebriati dal buon odore di legno intriso di mare - mi ricordava tanto quello dei cocomeri - indossavano in fretta i costumi, ricorrendo ad acrobatici contorcimenti pur di non scoprirci più del necessario.
In men che non si dica tutti pronti per il tuffo. Di solito sceglievamo la via più breve, quella della botola che si apriva sul pavimento stesso dello spogliatoio.
L'acqua, all'ombra della costruzione, era gelida, ma bastava una piccola spinta per portarci al centro, dove il sole l'accendeva di mille e mille riflessi.
Il "premiato Lido Longobardo", tutto in legno, tranne la casetta dell'ingresso, si componeva di tre grandi scomparti rettangolari: uno per le donne, uno per le famiglie, e il terzo per gli uomini. In ogni scomparto
una piccola spiaggetta di sassolini - luogo, per i più piccoli, di brevi riposi e di infaticabile ricerca di gusci di paguro - e subito dopo la grande "vasca", un tratto di mare chiuso ai lati dalle file di camerini sorgenti dall'acqua come palafitte e in fondo da una barriera di grossi massi. Tirati su dal mare, lisci e di un bel colore grigio chiaro, venivano sistemati, uno sopra l'altro e uno accanto all'altro, in perfetto equilibrio. Al centro di detta barriera "la porticina" per il passaggio nel mare aperto.
Attraversare questo piccolo condotto di legno, per metà sott'acqua, era un problema un po' per tutti. Si camminava sballonzolati a destra e a manca dalle onde che tentavano di intrufolarsi nella vasca, per chetarsi non appena dentro. E c'era pure il pericolo di scivolare sul tappeto di muschio che copriva buona parte del pavimento.
"Attenta, c'è il lippo e "scillichi", avvertivano certe mamme, facendoci sbellicare dalle risa per quell'italiano storpiato.

 

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Gli uomini a volte, appollaiati sui massi prospicienti la vasca delle donne, sbirciavano. Non durava molto. Saltando da scoglio in scoglio, agile malgrado l'età, arrivava come un "cifaro" il bagnino don Matteo e "giovanotti itavinni" urlava minaccioso. Ed essi, uno dopo l'altro, saltavano in mare più svelti delle ranocchie.
Fulvia, io e Antonio, quest'ultimo a stento tollerato da scrupolose signore, restavamo nella vasca delle donne. I fratelli maggiori si riunivano invece al resto della comitiva, oltre la porticina, dove l'acqua, profonda e sempre in movimento, non lasciava scorgere il fondo. Tutti insieme si dirigevano di solito verso lo scoglio "a pizzo. Visto dalla porticina, lontano e solitario, sembrava disegnato nell'azzurro del mare.
Lisetta, accompagnata da fratelli e cugini, per la gioia di Gigi, non mancava mai. Erano perciò in parecchi a riunirsi, tutti bravi nuotatori, dei veri "lupi di mare", come si autodefinivano.

 

 

IL GLORIOSO LIDO LONGOBARDO OGGI. NON CI SONO PIU' STAZZONE E BONACCORSI, MA SI CHIAMA ANCORA COSI'.

 

Ma secondo me, Adriana, con i suoi tuffi a pesce e le sue capriole, vinceva tutti. Anche la mamma a volte veniva con noi. Scendeva dalla botola e, una mano alla maniglia della tavola di salvataggio, si allontanava nuotando di lato, con eleganza non comune. Mentre sante stoffa nera, le si gonfiava dietro come un pallone.
A casa, godendo ancora nel ricordo, raccontavamo le nostre prodezze. I numeri dei camerini che delimitavano la vasca in tutta la sua lunghezza, ci davano la misura del nostro coraggio.

 

VECCHIE FOTO DEL LIDO LONGOBARDO

 

(da "Vecchie foto di Catania" di Salvatore Nicolosi - Tringale Editore)

 

(da "Vecchie foto di Catania" di Salvatore Nicolosi - Tringale Editore)

 

 


 

 

"Oggi sono arrivata al numero 5, dove già non si tocca, informavo soddisfatta e ogni giorno, con Antonio, ci impegnavamo a conquistare nuovi numeri per essere alla pari di Fulvia che riusciva persino a nuotare oltre la porticina, senza temere le onde.
Non eravamo bambini vezzeggiati e colmi di giocattoli. Tutt'altro! L'educazione rigida che ci era stata impartita sin dai primi anni, ci rendeva responsabili dei nostri atti. Eravamo però ricchi di inventiva, di spirito di osservazione e di reciproca compagnia.
Ogni avvenimento, anche piccolo e non raro, come ad esempio il taglio di un cocomero, era per noi fonte di gioia e a volte anche di avventura. Sì,perché questo sarebbe potuto avvenire nel dondolio di una barca. Papà organizzava la gita nelle sere di luna, quando, tonda al massimo, inargentava mare, spiaggia e strade, dando alle cose l'evanescenza delle favole.
La barca scivolava lenta, spinta dai remi che un indolente barcaiolo affondava ed alzava, segnando infiniti cerchi. Spesso, allo sciabordio si univa il canto dei miei fratelli. In silenzio e col visino umido di succo, seguivo la danza delle bucce che si allontanavano, seguendo l'ondulare di piccole onde.

Il resto di quei ricordi  qui.

 

(da "Vecchie foto di Catania" di Salvatore Nicolosi - Tringale Editore)

 

E LE DONNE SCENDEVANO A MARE DALLE BOTOLE

A Catania prima della guerra gli accessi al mare organizzati con lidi ad uso pubblico e cabine in affitto a stagione oppure ad ore, erano la Plaia; la scogliera all'Armisi nei pressi della stazione ferrovia; la spiaggia di San Giovanni Li Cuti ; la scogliera nei pressi della parrocchia Santa Maria di Ognina davanti al porticciolo di Ulisse; la spiaggetta nella piazza Mancini Battaglia che fiancava la Terrazza Balsamo e lo scoglio del carabiniere di via Acque Casse. Insomma, putevi abbuddare unni vulevi. Avvertenza: chiamato Carabiniere solo perché lì c'era una vecchia putìa gestita da un carabiniere in pensione. E quella bettola, caso curioso, ha dato nome alla località.

Quanto al lido Porto di Ulisse, esso fu realizzato al barone Castorina, detto "arruggiatu", negli anni '40, non distante dalla Terrazza Balsamo: le cabine divennero famose per la botola interna che consentiva la discesa a mare delle donne in costume da bagno lontane da occhi indiscreti. I settori marini erano divisi, secondo il suggerimento del parroco (ca si puteva fairi l'affari so), da corde a fior d'acqua che separavano il settore famiglie da quello degli omini. Ci sono anche foto dell'epoca dove le donne mostrano solo metà braccia e metà polpacci. Insomma, non c'era chi taliari.

 

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Mentre le famiglie preferivano la Plaia per la sabbia che serviva anche a fare divertire i picciriddi, i giovani alla moda preferivano la scogliera di Ognina servita ogni giorno dal tram. Il porticciolo accanto alla Terrazza Balsamo collegava il mare alla piazza regalata alla benemerita famiglia Mancini Battaglia aIla città «con il vincolo che fosse riservata ai pescatori e servisse a stendere le loro reti per farle asciugare al sole». Poi naturalmente la piazza accolse altre attività. Una volta ci proiettavano i primi film con il macchinario che l'impresario Gangi aveva portato da Parigi. La gente pagava il biglietto e si sedeva a vedere la pellicola. Ma finì che, siccome gli sciauni si portavano i seggi da casa e non pagavano nenti, le proiezioni cessarono.

Tutta la zona a mare di Ognina è piena, oltre che di locali importanti, pure di ville di grande valore Nella villa del notaio Pittella ci fu per oltre un decennio il Club della Stampa, che poi si trasferì quando io nei fui presidente, nella zona a mare tra l'albergo Baia Verde e il ristorante Selene di Via Mollica. Qualche vecchio socio si ricorderà di quegli anni felici, gli anni da sudda.

Ma torniamo a Ognina, dove c'è un piccolo borgo marinaro di grande fascino, ma poco valorizzato, con la chiesetta extra moenia quasi in riva al mare che con il vescovo Riggio divenne parrocchia con il titolo di Santa Maria di Ognina. Non lontana c'era l'ancora più nica chiesetta di S. Euplio in polemica con la prima per chi doveva svolgere la funzione parrocchiale (in quanto spettava un aiuto economico da parte della Curia). La chiesetta di S. Euplio venne poi abbattuta per realizzare il Lungomare e al suo posto è rimasta un'edicola votiva che per fortuna non sa futtenu. L'unica chiesetta rimasta viene nascosta da quel disgraziato cavalcavia che la sovrasta soffocando il piccolo borgo marinaro attaccato alla discesa a mare dello storico Circolo Canottieri Jonica, che vanta 80 anni di storia e 600 famiglie socie (impedite a entrare al Circolo perché il Lungomare viene chiuso alle auto una domenica al mese per favorire il passeggio che potrebbe avvenire tranquillamente sui larghi marciapiedi).

Prima della realizzazione del Lungomare (che avvenne dal 1954 al 1970) c'erano un accogliente lido con particolari caratteristiche per bravi nuotatori, una zona affascinante che piaceva alla gioventù bene di allora: il lido Grotte d'Ulisse, uno stabilimento dal quale si accedeva al Circolo Canottieri Jonica. I luoghi erano scoscesi, ma portavano a un mare unico con arditi giochi architettonici di lava raffreddata costituita da scogli e caverne formati dai capricci naturali delle due colate laviche, quella preistorica di Ognina e quella del Rotolo del 1380. Le colate, adagiandosi sull'acqua del mare, hanno creato grotte affascinanti e camminamenti che solo i giovani, saltellando, potevano percorrere. Tra le rocce e le grotte naturali si crearono dei posti cabina, un angolo per la ristorazione, uno slargo comprendente due campi da tennis gestiti dal maestro Umberto e alberi di alto fusto.

Dopo la costruzione del cavalcavia cessa di esistere il lido Grotte di Ulisse in quanto il più penalizzato dall'esproprio del terreno e viene sostituito con caratteristiche diverse dal Circolo Canottieri Jonica che raccoglie da allora la migliore società catanese.

 

Tony Zermo - La Sicilia, 20.5.2018

 

 

da "Vecchie foto di Catania" di Salvatore Nicolosi - Tringale Editore

 

 

LA SCOGLIERA DELL'ARMISI

 

 

 

In piena estate, dopo la festa della Madonna del Carmine, prima timidamente poi con sempre maggiore disinvoltura — racconta Carmelo Musumàrra - le comitive lasciavano le loro case dirette ai «lidi» dell'Armisi. Le donne cominciavano a scoprire la caviglia sotto il lunghi camicioni con cui si immergevano nelle acque.

Il servizio dei vaporetti che collegava la «Marina» coi lidi Jonio e Spampinato non fu realizzato  dal Comune ma fu una «felice trovata» dei fratelli Gentilini che trasformarono dei normali  pescherecci in divertenti mezzi per il trasporto delle persone. Ogni vaporetto era composto di un capitano, un nostromo, un macchinista e un mozzo addetto agli ormeggi. A pieno carico ospitavano una quarantina di passeggeri e la corsa costava, solo andata, cinquanta centesimi. Metà prezzo per donne e bambini.

 

Un periodico catanese dell'epoca, «La Settimana», fa sapere ai suoi lettori che: «E in funzione per tutto il mese di agosto il comodo mezzo marino, contenente più di cento persone, che porta i signori amanti dei bagni alla Plaja». L'annuncio non precisa il luogo e l'orario di partenza. (Il «mezzo marino» era probabilmente una vecchia nave da carico adattata alla bisogna).

E lì che, nel vasto piazzale dei Martiri, il lunedì e il mercoledì, con inizio alle ore 20, la banda municipale o quella militare danno dei concerti fra la brezza del mare che si mischia ai bei profumi che emanano le eleganti dame e i nobiluomini della Catania raffinata (...) col sontuoso «Chalet dei Bagni», frequentatissimo ristorante-caffetteria-liquorìsteria, che sorge appresso i cessi publici di detta piazza («Guida del Viaggiatore-Catania e sue vicinanze», G. Galatola Editore, 1899).

 

«A due passi dalla Plaja, lungo lo stradale che s'allunga fino a San Giuseppe l'Arena, era allora la taverna di Don Sili, una baracca sconnessa e sgangherata con delle lunghe panche esposte ai tiri della pioggia e ai dardi del sole.

Don Sili! Nessuno lo vide mai; nessuno può dire se fosse stato un uomo o centauro; oste o pescecane. Nelle mattinate grigie, i nottambuli che erano corsi alla sciabica, portavano a don Sili i pesci che lucevano come monete tra le maglie delle borse di rete; e l'odore del fritto si effondeva per aria, solleticava l'olfatto dei carrettieri che passavano al lento e pesante rotolio dei loro carri. E questa era la Plaja di allora!» (da «L'intervista» del 1931)

 

 Brani tratti da “La Plaja e i suoi primi Lidi “ di Aldo Motta – Edizioni Incontri

 

 

I bagni all'Armisi (1920)

 

II toponimo Armisi deriva da un tempio dedicato alla dea Artemide, che sorgeva nella zona; e questa, dapprima denominata Artemisio!!, divenne poi, per sincope, Armisi. Dalla fine

dell'Ottocento, sulla scogliera dell'Armisi, dal porto all'odierna piazza Galatea, i eatanesi cominciarono a prendere i bagni di mare; furono costruiti i primi stabilimenti balneari di Catania; a Ognina si cominciò nei primi del Novecento, e ci si arrivava (dal 1905) col tram; a metà degli anni Dieci si scoperse la bellezza della spiaggia sabbiosa della Plaja, dove, soltanto all'inizio degli anni Venti, fu possibile, con l'istituzione della prima linea stagionale, recarsi in tram. La massa dei bagnanti, così, pur aumentando globalmente, cominciò a distribuirsi fra i vari lidi, col criterio della vicinanaza topografica, combinata con la personale preferenza per il bagno di sabbia o di scoglio. In questa foto di fine stagione si vedono la spiaggia e lo stabilimento dell'Armisi (al quale si arrivava attraverso un tunnel sotto i binari della ferrovia); l'autore Giuseppe Scalia, l'ha datata con precisione: 16 ottobre 1920.

 

 

L'Acqua Morta sugli scogli del Rotolo

di Alfio Zappalà Sègur - A Catania con amore

 

Studenti e garzoni assieme, a prendere il sole semisdraiati in posizione non certo felice per torturanti spigoli aguzzi che si ficcavano alle spalle e sui fianchi. Una tovaglia e un paio di sigarette erano le cose indispensabili (e il costume al posto degli slip, naturalmente). E se c'era qualche ragazza nei paraggi tanto meglio, una sbirciatina vogliosella non guastava.

C'era un bosco di ferule sonanti anche a un tocco di vento e una pianta di fico su un dirupo, in quel pezzo di "chiusa" che si doveva traversare per raggiungere il mare. Una pianta di fico eguale, si dice, ci fosse in un angolo alto delle Porte Scee.

 

Costa di lava, quasi sconosciuta oggi perché a picco sui suoi scogli vi sorge la Baia Verde, ma non dimenticata ancora da chi, per sfuggire allora alla sabbia e alla marmaglia della Plaja, si spingeva più in là dell'Armisi, di S. Giovanni li Cuti, di Ognina, per cercare la libertà e sfuggire alla schiavitù delle "cabine" o "baracche", come si chiamavano allora, dai "lidi" insomma, come ancora si chiamano.

Per anni furono sempre le stesse facce, più o meno le stesse coppie, a frequentare quella zona, desiderosi tutti di appartarsi come a dare un po' di spazio al proprio genio e fare anche un bagno in santa pace. E bisognava avere almeno una bicicletta, meglio se vecchia tanto da riuscire a superare il fondo stradale di terra e lava della via Mollica, bicicletta da nascondere poi fra gli scogli e da non perdere di vista. A completare l'abbigliamento bastavano allora un paio di zoccoli di legno.

Che rubassero la bicicletta, accadde raramente: i tempi erano diversi, né mi piacerebbe sentirmi dire da qualcuno che in quel tempo nessuno rubava perché niente c'era da rubare come se il ladro non fosse nato prima dell'uomo e non fosse il benessere a farlo rifiorire. Comunque per noi la bicicletta era l'unico capitale, tutto il nostro patrimonio.

La lasciavamo spesso (ma qualcuno veniva addirittura a piedi da Ognina), su quella spianata che la lava faceva al di sotto del "Salto del corvo" (u sautu dò Corvu). Sempre visibile dal posto dove ci si spogliava, rimaneva ancora più visibile dal mare quando si andava

al largo" e di là tutta l'ampia costa, allora disabitata, nera e piena di ombre, si controllava e quasi ci controllava a sua volta come in un grande materno abbraccio.

Era l'Acqua Morta: così si chiamava allora quella zona e oggi potreste riconoscerla a stento andandoci a nuoto, virando a destra quando scendete dall'unico posto rimasto 'accessibile a fianco del "Selene" a Cannizzaro. Ma a voi non interessa conoscerla più a fondo se non l'avete come noi amata per le sue acque profonde dai mille colori cangianti, ricche di pesci, i suoi bracci di scogli che si spingevano al largo come moli tanto da permetterei i tuffi più strani e spericolati, le alghe verde ambrato che tappezzavano gli scogli del fondo mobili come le chiome d'un Dio, odoranti di mare quando, a fasci, li portavamo a riva per liberare il fondale e pescare i primi ricci e i primi "occhi di bue".

Un posto per solitari, "l'acqua morta". C'era come una piscina naturale, una conca quasi rotonda, dove l'acqua entrava a sbuffi solo quando il mare era appena agitato e che per il resto stagnava, ingiallendo sul fondo, al sopravvenire della Grande Estate.

 

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foto proveniente da "Vecchie foto di Catania di Salvatore Nicolosi - Tringale Editore

 

Ai primi bagni, quando l'acqua era ancora fredda al di là della conca, superato l'euripo, ci reimmergevamo in quell'acqua ospitale per riscaldarci. Qualcuno nel passato aveva messo una carica di dinamite nel punto più basso della lava che delimitava l'acqua stagnante, per facilitare il ricambio, ma i risultati furono scadenti, né più altri tentò di migliorarne il deflusso, comprese le cannonate che le navi della Marina Inglese vi fecero arrivare dopo lo sbarco in Sicilia, nel tentativo di raddrizzare il tiro su Randazzo.

Anche nei giorni festivi i bagnanti non superavano mai la dozzina. Negli altri giorni si era in pochi, una o due coppie e, se ne arrivava una terza, le altre due, silenziosamente, come in un tacito accordo, si spostavano, doppiando il piccolo capo esistente sia a destra che a sinistra della grande grotta che sovrastava l'acqua e dove un'altra grotticella ospitale permetteva di stare in disparte a chiacchierare o a fare all'amore o qualcosa che allora così si chiamava, ma ben altra cosa era e ben poco, ma che sempre sapeva d'un forte profumo di mare e di sale.

Mi capita ancora di incontrare qualche faccia di quel tempo: giovani o ragazze, oggi donne o uomini maturi, di riconoscerli appena, ignorandone come allora i nomi e di chiedermi: "Chi era?!... Chi ha sposato poi quella ... e chi era quello che allora "stava" con lei formosa e slanciata ... ".

"Stava con uno" non usava dirlo allora. A quel tempo A "filava" con B e il filo era spesso, se non sempre, sottile e leggero, fluttuante nel vento, aereo, segreto, dolce e delicato, così almeno a me sembra oggi, fors'anche sublime: era un guizzo, come il volo del "pulcino di mare", l'Uccel Santamaria, fra lave e seni di mare.

Spesso si arrivava all'"acqua morta" sul "filo del mezzogiorno", quando gli scogli erano infuocati e si ballava sulle pietre per raggiungere l'ombra. Dopo l'una, più o meno, era l'ora del ritorno: ci si caricava la bicicletta sulle spalle per superare agevolmente le anfrattuosità del terreno e non rompersi il collo, ci si fermava presso il fico nella speranza di cogliere un frutto perché c'era sempre speranza: ancora duri la mattina, dopo tanti palpeggiamenti e controlli, erano quasi maturi a quell'ora e col caldo e poi ci si fermava ancora alla fontana (era una fermata d'obbligo) che stava all'inizio della strada, ora in salita, sudati come turchi.

 Si faceva lì una gran bevuta che valeva anche da doccia. Non portavamo asciugamani con noi allora, né stuoie e mai nessuno morì di polmonite se, quando ci incontriamo, ne parliamo ancora e quasi litighiamo nel ricordare, se il compagno o la compagna che ci capita di rivedere vive ormai a Milano, in Germania o addirittura negli Stati Uniti e qui torna solo periodicamente.

Noi che siamo rimasti a guardia di quel mare, di quel sole, di quegli scogli, dell'erbe che fluttuavano sul fondo come le chiome degli Dei, noi, non sappiamo come giustificarci oggi che tutto è scomparso, ferule, fichi, fontane e restiamo a guardare mortificati sul fondo, sul fondo senza Dei, del nostro passato.

 

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Il Porto Ulisse di Ognina in una cartolina degli anni Sessanta

I BARRACCHI (Il lido Porto Ulisse)

 

uscendo dallo «Scaru nicu» e andando più verso terra notiamo una spiaggetta sabbiosa che, per l'influenza dei marosi, non può essere adibita a rifugio per imbarcazioni. Ciò ne impedisce pertanto il pieno utilizzo. In passato i marinai vi asciugavano le reti nel periodo invernale, dato che è riparata dal vento di ponente.

D'estate, invece, era il posto dove veniva impiantato il Lido Porto Ulisse, quando ancora la balneazione nello specchio di mare antistante era possibile.

Ma, quando «'i barracchi» non vennero più ripristinati, la spiaggetta rimase inutilizzata fino a quando l'imprenditoria ogninese non ne ha fatto il punto di riferimento di uno scalo turistico molto conosciuto.

 

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ui troviamo due grossi scogli e uno «scugghittu»: ricordiamo i primi due per essere stati dipinti dall'Houel in uno scenario da favola; l'altro perché era il «trampolino di lancio» per nuotatori principianti e «l'ancora di salvezza» per coloro che non sapevano nuotare. E, nel segno della tradizione marinara del borgo, rammentiamo pure che — in ordine di tempo — vi trovano ubicazione i ristoranti «Scogghiu 'i Frisiu»  e Posillipo, che proponevano una deliziosa cucina nostrana e squisiti piatti a base di pesce del nostro mare. Oggi vi troviamo la «Costa Azzurra», uno dei locali più rinomati della nostra riviera.

Sulla piccola spiaggia — come si è detto — venne per lungo tempo ubicato il lido Porto Ulisse , uno dei luoghi dove, d'estate, si dava convegno una parte della media borghesia catanese, titolare delle poche «cabbini privati». Le altre si davano in affitto. Chi, invece, non aveva nessuna delle due possibilità si arrangiava entrando, come si dice, «di scapocchiu» , anche se poi doveva fare i conti con «'u zu' Pippinu 'u barraccheri», che perdonava quasi sempre.

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Non graziava, però — scovandolo dovunque — chi per avventura cercava di dare una sbirciatina (non proprio innocente) da sotto le cabine, attraverso l'immancabile «ciaccazza» (fenditura).

Se per i più il lido era il posto dove trovare la tanto sospirata distensione, per alcuni era, invece, l'avamposto per gli «scherzi di mare».

Si andava dagli scherzi leggeri, come «abbudduni a tinchitè»  e «bagni ccu tutti 'i robbi» , agli scherzi pesanti, come la memorabile «stuppata d'u lèggiu»  con affondamento assicurato della barca di qualche marinaio non proprio «cucìvuli» (accondiscendente ).

 

 

 

Ma il top degli «scherzi», e se vogliamo anche il più sofisticato, era una bella doccia con acqua, alghe e «pùlici 'i mari»  fatta a chi stava beatamente sdraiato sulla spiaggia, tentando il migliore dei pisolini.

Gli artisti di questa delizia erano, tra gli altri, due ragazzi, di nome «Turi», non esenti dal consueto ed eloquente soprannome: «Turi spinnatu» e «Turi piazzetta».

 

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Il tutto, ovviamente, in barba alla vigilanza spietata «d'u zu' Pippinu 'u barraccheri», che, oltre ad essere stato per lungo tempo uno dei protagonisti della vita nella borgata, fu primo attore, quando, nel 1933, venne organizzata una manifestazione per rievocare lo sbarco di Ulisse sui nostri lidi. Vestito come si conveniva, con abiti del tempo, con barba incolta, capelli lunghi e stuolo di marinai greci al seguito, prese posto su una paranza, che, attrezzata per l'occasione, voleva essere la riproduzione di una imbarcazione della tarda Età del bronzo, e sbarcò proprio nello «Scaru nicu» tra l'esultanza di una gran folla che assisteva al singolare spettacolo.

Ma chi, pur assistendo, non si dava pace era il figlioletto «Turiddu», a cui non era stato concesso il privilegio di seguire il padre sulla paranza: irrequieto e piagnucolante sin dal primo momento, «Turidduzzu» angosciò senza sosta la povera «za' Giuvannina», finché non gli inviò «l'occhiglauca Palla, sopitor degli affanni, un sonno amico».

da "Luci sulla scogliera" di Pippo Testa e Mimmo Urzì - Edizioni Greco in Catania

 

 

 

 

 

 

 

 

La scogliera catanese: l'Acapulco di Sicilia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Lido La Risacca

Lido Aquarius

lido Aquarius

 

 

Fantastica zona della sicilia, “La Riviera dei Ciclopi”, zona fra Catania e Acireale.
Omero definisce la Sicilia nell'Odissea come una terra vergine e selvatica, abitata da Ciclopi. Racconta la leggenda della cattura di Ulisse da parte del ciclope Polifemo, una creatura spaventosa, con un solo occhio in fronte, e della fuga di Ulisse.
Ulisse riesce a fuggire grazie all’astuzia, acceca Polifemo, anche perché, avendo detto di chiamarsi “Nessuno”, non viene inseguito dagli altri ciclopi, che, accorsi al richiamo di Polifemo, si sentono dire che l'autore dell'accecamento è stato “Nessuno”. Ulisse scappa e l’arrabbiato ciclope scaglia a enormi massi di lava in mare, sperando di colpirlo.

 

 

 

 

Il mito, quindi, identifica l'isola Lachea e i Faraglioni con i massi scagliati da Polifemo contro Ulisse. Questa leggenda, indica la Sicilia e Acitrezza come Porto di Ulisse. Esiste anche un altro mito, quello del fiume Aci, che ha dato il nome alle nove cittadine che attraversava. Aci era un tranquillo pastore innamorato della bella Galatea, ma Polifemo, impazzito di gelosia, perchè pazzamente innamorato di Galatea, uccide Aci, schiacciandolo con un grande masso.

  Gli Dei, vedendo Galatea in lacrime, trasformano il pastore in fiume, che, scorrendo perenne, trova pace e ristoro tra le braccia di Galatea, che l'attende nello Ionio, dove i due amanti si fondono in un abbraccio senza fine.
Inoltre, secondo la fantasia popolare, Polifemo sarebbe la personalizzazione dell'Etna, Galatea la spuma del mare, Aci il fiume che sfociava nei pressi di Capo Mulini.

 

 

 

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Le villeggiature ad Acitrezza  

di Francesco Strano - da Catania con amore

Il catanese che, oggi, pronto a tutto, pur di evadere da una città che sente sempre meno "sua", si avventura tra la folla, le colonne immobili di auto, il rombo delle moto, i gas di scarico, la sporcizia, il frastuono degli impianti stereo a tutto volume, la volgarità della gente, la cementizzazione sfrenata, la distruzione dell'antico, che oggi distinguono Acitrezza, non può immaginare quale paradiso fosse questo vecchio borgo di pescatori negli anni '50.

A quell'epoca, il catanese, ripresosi dalle rovine della guerra, cittadino orgoglioso di una città davvero viva e operosa, rivitalizzato dal primo miracolo economico, conquistati il frigorifero, l'automobile e i primi segni di quel benessere che si sarebbe in seguito trasformato nel consumismo più sfrenato, ma, ancora, egli, ingenuo e ignaro, scopriva la villeggiatura a mare. Superati i confini di Ognina, antico golfo, nel quale si mescolavano miseria e nobiltà, con i bagnanti portati in spiaggia  dai mezzi pubblici, che ammiravano, senza rancore e senza invidia, gli abitanti delle splendide ville sul mare non ancora inquinato e i soci del Circolo Canottieri Jonica, il catanese scopriva Acitrezza, angolo incontaminato di Sicilia e di mare, abitato da gente semplice e cordiale, accogliente come solo i puri sanno essere.

 

 

Ricordo ancora benissimo la prima casa di villeggiatura della mia famiglia, una piccola casa di pescatori, due vecchi sposi abbronzati e rugosi, con un esercito di figli, tutti sani e sorridenti, dediti alla pesca e ai genitori, in un'atmosfera ancora vagamente verghiana. Ricordo che all'imbrunire era quello il vero inizio della giornata dei trizzoti sulla spiaggia del porticciolo cominciavano i preparativi per la pesca notturna: le Iampare" portate giù da casa che si accendevano a una a una come enormi lucciole di speranza, l'odore dell'acetilene che si spandeva per l'aria, le barche calate in acqua a forza di braccia, scorrendo sulle 'Talanghe" scivolose di grasso, al ritmo di urla di incoraggiamento, le reti avvolte con cura a occupare i posti destinati, gli "specchi" lustri pronti a mostrare i magici fondali, il rumore dei remi, fissati agli scalmi, affondati con dolcezza e vigoria nell'acqua con la tipica voga dei pescatori. Tutto questo rappresentava uno spettacolo irrinunciabile per noi villeggianti, così come il ritorno delle barche, lo scarico del pesce ancora guizzante, dei polpi, dei ricci, dei crostacei; ed era una partecipazione gioiosa e sincera ai successi di quella brava gente, dalla quale acquistavamo i frutti di quel mare pescoso e profumato.

 La mattina, poi, a frotte noi ragazzini di città ci rovesciavamo sulle spiagge, gareggiando in agilità coi piccoli indigeni in temerarie corse a balzi sugli scogli neri e ruvidi, o in destrezza nella caccia agli "aranci di mare", servendoci di due corte canne, una, con una putrida sarda legata in cima, per invogliare i poveri crostacei ad allungare le chele, l'altra munita di un cappio rudimentale ma micidiale fatto col filo da lenza, pronto a stringere iii una presa invincibile la preda, tanto più ambita quanto più grossa e ribelle. Anche i gamberetti grigi, che ancora popolavano le rive, venivano catturati, questi con le mani, e subito sacrificati crudi al nostro fresco appetito. E con curiosità e rispetto stavamo a guardare (seri anche noi, perché, forse senza rendercene conto, comprendevamo che quello faceva parte del "Iavoro" e della lotta eterna dell'uomo col mare per strappargli da vivere) i lavori di rattoppo delle reti, stese ad asciugare al sole per tutta la loro lunghezza sulla spiaggia, lavori fatti dai vecchi, servendosi anche dei piedi nudi, con le dita infilate tra le maglie, per stendere la trama e cogliere le falle, che venivano riparate con veloce abilità.

 Tra questi due poli di partecipazione alla vita degli abitanti, noi villeggianti inserivamo le schegge del nostro essere cittadini e il nostro modo di vivere e godere di quella semplicità, in un'atmosfera di vacanza perpetua (almeno per noi ragazzi, perché la maggior parte dei padri pendolava tra il lavoro in città e il riposo in paese).

 

E ricordo i bagni molti con l'ausilio di salvagente (camere d'aria dismesse o grosse zucche legate ai fianchi) i tuffi sempre più audaci, le prime passerelle, in legno per non alterare il paesaggio e la natura, sulle quali consumare veloci intervalli tra interminabili raccomandazioni materne: "è da stamane che sei in acqua!", "guarda che dita grinzose!", "ti prenderai un malanno, non sei un pesce!". Su quelle spiagge, su quelle passerelle nascevano anche i primi amori giovanili, tra sguardi e mute promesse, che poi la sera si tramutavano in passeggiate mano nella mano, in baci furtivi, in promesse di amore eterno, che la fine dell'estate portava via con sé, a colmare uno scrigno senza fondo e senza tempo.

E non mancavano neanche allora i riti, semplici e spontanei: il mottarello o la coppa del nonno da acquistare nel piccolo chiosco della piazzetta (si trova ancora oggi lì nello stesso posto, dopo aver visto generazioni di mangiatori di gelati, resistente a tutto e a tutti), le serate all'arena allora ce n'erano due a servire gli abitanti di due zone diverse, che non si mischiavano mai, chissà perché nei cui programmi comparivano con feroce costanza i film con Nazzari, Vallone, Stanlio e Ollio; e anche lì, nel buio complice, le tenere coppiette consumavano le loro prime emozioni. I ragazzi più grandi organizzavano mitiche, e, per noi ragazzini, irraggiungibili, feste da ballo, la cui musica (Platters, Dallara, Modugno, Perry Como, Presley e altri divi dell'epoca) arrivava sfumata sulle spiagge, dove noi ne godevamo senza la sorveglianza dei genitori, tutti intenti a controllare i ballerini.

 

E i genitori, infine, la sera si riunivano per interminabili partite a carte, nelle quali facevano da padroni i classici poker e scopone, ma anche la canasta, allora in gran voga, e un gioco con carte siciliane, poi tramontato, lo "schipetaro", che provocava accese discussioni e grandi risentimenti, almeno per una sera; altre volte, in comitive, andavano alle famose serate al Lido dei Ciclopi, serate mai più eguagliate per divertimento e varietà di idee.
Quanto altro ci sarebbe da ricordare! Le gite sulle barche dei marinai, colme fino all'incoscienza e, a volte, al capovolgimento; una indimenticabile nottata su un cutter, passata a pescare "angileddi", che venivano sventrati, infarinati e fritti, passando in non più di cinque minuti dal mare ai nostri stomaci, attraverso palati stupiti di tanto sapore; i bagni notturni all'isola Lachea nelle notti di luna piena; una gustosa indimenticabile zuppa di tartaruga di mare, portata viva in casa e successivamente  macellata  e cucinata in un sugo mai più eguagliato, a mia memoria; le visite esaltanti nelle due più grosse e famose rivendite di pesce, quelle di Lorenzo "il giovane" e di Lorenzo "il vecchio",

 

 

 

 

 

che rivaleggiavano in varietà di pesce freschissimo esposto con arte e fantasia in enormi ghiacciaie, che attiravano curiosità e ammirazione per la varietà e i colori del contenuto; le scorpacciate di frutti di mare crudi, abbondanti fino all'autolesionismo; l'offerta devota, che immancabilmente i miei nonni, nel ripartire per Catania, dopo la loro visita domenicale, depositavano nell'altarino (ancor oggi esistente) posto di fronte alla fermata dell'autobus; i tanti amici di allora, le famiglie di villeggianti, che avevano formato con la nostra un microcosmo che si ritrovava ogni anno, tanti nomi e tanti volti, alcuni nitidi, altri più sfocati, ma tutti ben vivi nel ricordo di un'epoca indimenticabile e irripetibile, resa ancor più preziosa per me e mio fratello Nino, allora appena un bambino, dalla guida brillante, gioiosa, amorevole e ricca di valori dei miei splendidi genitori, Pippo e Ilia, sempre teneramente innamorati, sempre ammirati e ricercati da tutti.

 


E poi veniva settembre, e con settembre Acitrezza si svuotava dei catanesi che ripartivano, caricando i camion di masserizie, in un intrecciarsi, nel contempo allegro e malinconico, di saluti e foto frettolose; molti, come noi a Nicolosi, si trasferivano per
vivere diverse, ma ugualmente intense, vacanze in montagna, altri tornavano a Catania, ma in una Catania diversa da quella di oggi, una città dalla quale non si desiderava fuggire, ma che si lasciava per una villeggiatura da godere, come un'amante, per tornarvi sempre, immancabilmente e con desiderio, come dalla moglie amata

 

 

Un "tuffo" nei luoghi verghiani

di Enrico Blanco (La Sicilia, 14.7.2007)

Le vele non sono più segno di lavoro ma di diletto, le antiche speronare e le feluche sono state sostituite dai grossi pescherecci con uno o più motori, ma per i pescatori trezzoti i faraglioni restano sempre l'amico da salutare alla partenza e

che rianima il cuore nel momento in cui torni a casa; l'Etna poi, con la maestosità del suo apparire rimane il gigante buono che ti indica la strada nel cammino vicino o lontano da percorrere alla ricerca di seppie, calamari, pesce spada, masculiní e....

La pesca, con le attività ad essa connesse, rimane l'attività principale ad Acitrezza e il mercato del pesce non conosce mai soste, aprendo le sue porte ad avventori e turisti, dalle due della notte fino a quando il sole illumina il San Giovanni che domina il porto sempre "chinu, chinu comu l'ova" di barche, per dirla con i venditori di ricci che, da soli o conditi in un  fumante piatto di spaghetti, rimangono il "primo" (in tutti i sensi) appetito dei tanti che affollano ristoranti, pub, alberghi, magari misurandosi con  file, divieti e posteggi, che, in fondo, invitano a tornare alle sane passeggiate sul lungomare dei Ciclopi o nella via principale, tornando sui luoghi di padron Ntoni, di Mena, di Alessi, del parroco don Giammaria, della bettoliera, di Roccu Spatti e di quel mondo variegato che ruotava attorno alla Casa dei nespolo, da cui inizia anche oggi la visita a Trezza per tanti turisti.

Su tutto domina il mare: da gustare con la barchetta a remi lasciandosi scivolare in acqua vicino ai Faraglioni a vivere sensazioni uniche, magari guardando i fondali ricchi di vita, con la maschera o sulla barca a fondo trasparente dell'Area Marina Protetta, nuova e "discussa" protagonista dei nostro tempo. Anche se talvolta i divieti scatenano le nostre invettive, la riserva è il freno per il carico eccessivo a cui è stato sottoposto il mare dei Ciclopi dalla fine della guerra. Si vorrebbe che con la bacchetta magica fossero cancellati anche quegli scarichi che dalle colline tanti novelli e sporchi Polifemo lanciano verso il mare ma l'azione dell'uomo Ulisse è approdata intanto al progetto del collettore e attende ora anche i contributi degli dei per realizzarlo.

 

 

Il Castello di Aci

Si trova ad Aci Castello, in provincia di Catania. La fortificazione di incerta origine, fu il fulcro dello sviluppo del territorio delle Aci nel medioevo. Durante i Vespri siciliani, fu assoggettato alla signoria di Ruggero di Lauria, quindi in epoca aragonese fu di Giovanni di Sicilia ed infine degli Alagona venendo più volte assediato. Attualmente è sede di un museo civico.

Secondo lo storico Diodoro Siculo nel 396 a.C. nel mare antistante il promontorio, dove oggi sorge il castello, avvenne una battaglia navale fra Cartaginesi e Siracusani. Probabilmente le stesse acque furono teatro dello scontro navale fra Ottaviano e Sesto Pompeo, nella guerra civile, nel 37 a.C. circa. In quell'occasione la potente flotta del ribelle Sesto Pompeo inflisse un dura sconfitta ad Ottaviano, che in quelle acque, si narra, rischiò di morirvi annegato. I molti reperti subacquei di età greca e romana rinvenuti nei fondali antistanti il castello, confermerebbero in parte queste battaglie [1] .

Il promontorio basaltico dove il castello sorge, era separato dalla terra ferma da un braccio di mare, che fu completamente colmato dalla eruzione del 1169. Storicamente un primo castello fu edificato nel VII secolo d.C. (secondo altri nel VI secolo) dai bizantini su di una preesistente fortificazione di periodo romano forse del 38 d.C. e chiamato Castrum Jacis e volto alla difesa della popolazione dalle scorrerie.

È possibile risalire alla storia del territorio di Aci dal VII secolo al XIV secolo quasi interamente grazie agli avvenimenti accaduti nel castello.
Il qalat musulmano
Distrutta ed occupata la forte Taormina, nell'estate del 902 l'emiro Ibrahim stava per assaltare il castello di Aci. La popolazione sicura della sconfitta preferì capitolare, pagare la giziah e deporre le armi consegnandosi ai musulmani. Il paese fu lasciato intatto ma il castello e le fortificazioni saranno rase al suolo.

Nel 909 il califfo 'al-Mooz, fece riedificare sulla rupe una fortificazione (qalat), che doveva far parte di un più vasto sistema difensivo atto a proteggere l'abitato.

Nel X secolo sotto la dominazione araba il borgo fu chiamato 'Al-Yâg o Lî-Yâg, fu un importante centro della Sicilia orientale (secondo Al-Muqaddasi, storiografo che scrisse il Kitab 'ahsan 'at taqasim ). Forte e preminente rimase però l'impronta bizantina, tanto che lo scrittore Ibn al-Athir, nella sua opera Kamil 'at tawarih, racconta di una Aci quale centro della resistenza.
I regni normanno-svevi 
Giunti i conquistatori normanni Roberto il Guiscardo e Ruggero d'Altavilla, verrà introdotto in tutta la regione il sistema feudale. Vasti territori saranno concessi a vescovi e milites. In questo contesto nel 1092 anche il castello di Aci ed il territorio circostante furono concessi all'abate e vescovo di Catania Angerio da S.Eufemia [3] . Chiamato Castrum Jatium, si trattò del primo atto riguardante la Terra di Aci. Le pertinenze erano costituite dai territori degli attuali comuni di Aci Castello, Aci Sant'Antonio, Acireale, Aci Catena, Aci Bonaccorsi, Valverde ( già Aci Valverde). Il geografo arabo Edrisi descriverà nel suo Libro di Ruggero la terra di Aci come territorio importante.

Il 17 agosto 1126 il Vescovo abate Maurizio di Catania ricevette nel castello di Aci le reliquie di Sant'Agata, riportate in patria da Costantinopoli dai cavalieri Goselino e Gisliberto . All'interno di un ambiente che probabilmente era una piccola cappella, sono ancora visibili alcune tracce di un affresco che ricorda l'avvenimento.

L'eruzione del 1169 fu preceduta il 4 febbraio da uno dei terremoti più funesti che si ricordino. Le lave di quella eruzione investirono il territorio di Aci e, si narra, arrivarono sino al castello, colmando il braccio di mare che lo separava dalla costa. In quella occasione parte della popolazione si spostò nella cosiddetta contrada di Aquilio (derivante dal console romano Manlio Aquilio che si narra lì nel 104 a.C. sedò un tumulto di folla) e che sarebbe la odierna zona di Anzalone, da cui prese il nome di Aci Aquilia. (Secondo altri, invece, il nome risalirebbe direttamente al periodo romano).

Quindi il castello ritornerà al demanio nel 1239 quando l'imperatore Federico II di Svevia rimosse il vescovo Gualtiero di Palearia. Nel 1277 il borgo attorno al castello contava 1.200 abitanti (183 "Fuochi").
il Vespro e la guerra con gli Angioini

 


Ruggero di LauriaAlla fine del XIII secolo, durante il breve periodo angioino il castello passò di nuovo al vescovo di Catania. Durante i Vespri, a cui il borgo parteciperà, Federico III d'Aragona concesse l'«Università di Aci» all'ammiraglio Ruggero di Lauria nel 1297. La concessione prevedeva che annualmente, il giorno di Sant'Agata, venisse pagato un canone di ben 30 oncie d'oro al vescovo di Catania, cosa che poi in realtà non avvenne. Fu il riconoscimento ufficiale della «Università di Aci», formata dal castello e dal territorio delle Aci.

 

 

 

Dopo alcuni anni, quando Ruggero di Lauria passò con gli angioini contro la corte aragonese, il re Federico fece espugnare il castello, usando una torre mobile di legno chiamata «Cicogna», ripredendo così con la forza la fortezza nel demanio. Nel 1320 Federico III d'Aragona cedeva il territorio del Castello di Aci (ormai di proprietà di Margherita di Lauria, discendente di Ruggero) a Blasco II Alagona al quale successe il figlio Artale I . Nel 1326 avvenne il saccheggio da parte delle truppe di Roberto d'Angiò comandate da Beltrando Del Balzo (italianizzazione di «Beltrand de Boiax»).

Nel 1329 il territorio fu nuovamente sconvolto da un terribile terremoto e da una eruzione che ne investì in parte il territorio. Dalla nuova ricostruzione, stavolta più a nord nasceva «Aquilia Nuova» (nucleo iniziale della futura Acireale), così chiamata per distinguersi dalla precedente che fu detta «la Vetere»
Nel 1353 morì nel castello di Aci il re Ludovico d'Aragona, di soli 17 anni.

 

 

Nel 1354 il territorio di Aci fu devastato ed il castello espugnato dal maresciallo Acciaioli, inviato in Sicilia da Ludovico d'Angiò.

Nel 1356 il governatore di Messina, Niccolò Cesareo, in seguito a dissidi con Artale I Alagona, richiese rinforzi a Ludovico d'Angiò, che inviò il maresciallo Acciaiuoli. Le truppe, assistite dal mare da ben cinque galee angioine saccheggiarono nuovamente il territorio di Aci, assediando il castello. Proseguirono quindi in direzione di Catania cingendola d'assedio. Artale I Alagona respinse l'attacco e quindi contrattaccò con la flotta siciliana mettendo in fuga la flotta angioina. La battaglia navale, che si svolse fra la borgata marinara catanese di Ognina ed il Castello di Aci, fu detta «Lo scacco di Ognina» segnò una svolta definitiva a favore degli aragonesi nella guerra del Vespro.

 

 

Durante la rivolta anti-aragonese Artale II Alagona, insorse contro il re Martino il Giovane (nipote di Pietro IV d'Aragona), asseragliandosi nel castello. Solo dopo un lungo assedio del re il castello fu espugnato. Si narra che riuscì nell'impresa guastando il sistema di approvvigionamento idrico del castello, approfittando dell'assenza di Artale II (1396) . Nel 1398 sempre il re Martino il Giovane farà dichiarare dal Parlamento generale di Siracusa che «...le terre acesi dovevano restare in perpetuo nel regio demanio», probabilmente per evitare che tornasse in mano ai baroni e favorendo così lo sviluppo dei tanti borghi che componevano l'«Università». Nel 1399 venne dato un privilegio di «esenzione dalla dogana» al territorio. Nel 1402 il re Martino il Giovane fece del castello la sua dimora insieme alla seconda moglie Bianca di Navarra.

Nel 1404 il borgo contava 2.400 abitanti.

 

 

Ultimi baroni e demanialità
Nel XV secolo la terra di Aci passerà di mano diverse volte, fino al 1530. Nel 1421 il viceré di Sicilia Ferdinando Velasquez acquisì per 10.000 fiorini il territorio del castello e quello del vicino Bosco d'Aci. Il territorio quindi venne rinfeudata con molto malcontento popolare. Nel 1422 per sedare il malcontento della popolazione, il Velasquez su ordine del re Aragonese Alfonso il Magnanimo concesse la facoltà di organizzare una fiera senza dazi, chiamata la Fiera Franca, che ebbe notevole importanza. Dalla morte di don Velasquez (1434), la terra passerà all'infante di Spagna don Pietro e quindi ritornerà al re Alfonso (1437).

 

 

Giovanni VergaNel 1439 il castello e la sua università passeranno alla famiglia Platamone, ai Moncada, ai Requisens e poi nel 1468 ai baroni di Mastrantonio. Il 28 agosto del 1528, gli abitanti offrirono all'imperatore Carlo V la somma di 20.000 fiorini, per rientrare nel Regio Demanio e riscattarsi dal potere baronale. L'imperatore accetterà l'offerta il 5 luglio del 1530 concedendo il mero et misto impero, confermando inoltre la concessione della Fiera Franca. Nel sigillo della nuova universitas reale il castello di Aci fu il simbolo principale insieme ai faraglioni di Aci Trezza.

 

Dal XVI secolo ad oggi
Dalla metà del XVI secolo si perderà la Università di Aci: il castello sarà distinto di fatto da Aquilia Nuova e dai casali, che nel frattempo si renderanno indipendenti, verrà quindi destinato prima a caserma e poi a carcere. Nel 1647 il castello verrà ceduto da Filippo IV di Spagna, per 7500 scudi al Duca Giovanni Andrea Massa. Subirà quindi i danni del Terremoto della Val di Noto dell'11 gennaio 1693. Rientrerà nel demanio comunale in epoca borbonica nel XIX secolo. Nello stesso secolo Giovanni Verga vi ambienterà la novella Le storie del Castello di Trezza. Negli anni 1967-1969 verrà restaurato, e quindi dal 1985 è visitabile e sede di un Museo Civico.

 

 

 

Acitrezza in una cartolina degli anni Cinquanta

 

 

L'architettura oggi
Il castello sorge su di un promontorio di roccia lavica, a picco sul mare blu cobalto ed inaccessibile tranne che per l'accesso attraverso una scalinata in muratura. Il ponte levatoio in legno che oggi non esiste più, occupava parte della scalinata d'ingresso. Al centro della fortezza si trova il «donjon» la torre quadrangolare, fulcro del maniero. Rimangono poche strutture superstiti: l'accesso, che conserva i resti dell'impianto del ponte levatoio, il cortile dove si trova un piccolo orto botanico, diversi ambienti, fra cui quelli dove è accolto il museo e un cappella (secondo alcuni bizantina) ed un'ampia terrazza panoramica sul golfo antistante.

(Wikipedia)

 

 

 

 

di Maria Cristina Migliaccio - http://www.comune.acicastello.ct-egov.it/La_Citt%C3%A0/La_Natura/La_Timpa/index.asp

Parallelamente alla costa, per un certo tratto, per poi addentrarsi tra gli agrumeti della campagna di Acireale, corre, alzandosi  progressivamente di quota, il suggestivo costone roccioso della Timpa. Su di essa é ubicata Acireale; sulla costa, a volte a ridosso, sorgono le frazioni di Santa Tecla, Santa Maria La Scala, Santa Caterina.
Essa costituisce una unità di grande importanza geo-vulcanologica, perché vi sono rappresentati eventi vulcanici dai più remoti ai più recenti legati al nostro vulcano.

Rappresenta, pertanto, un gradino della più complessa struttura vulcanica che giunge fino a mare. Gli enormi basalti e le varie strutture geologiche dalle diverse forme architettoniche, atte a creare un magnifico paesaggio naturale, contribuiscono con un elevato interesse scientifico alla storia dell'Etna.

 


 

La Timpa durante il suo percorso (da Capo Mulini a Santa Maria la Scala), con i suoi 100 e più metri d'altezza, costituisce una possente rupe a strapiombo sul mare. In altre zone, invece, ha davanti a sé una costa ciottolata, che costituisce l'estrema propaggine delle correnti laviche. In alcuni grossi massi che si sono staccati dal roccione della Timpa é possibile trovare preziosi minerali a ciuffetti: l'aragonite raggiata, che sembra esplodere bianca come piccoli cristalli di ghiaccio dalle nere fenditure della lava.

La vegetazione della Timpa é il risultato di un insieme di fattori: la natura del substrato, la morfologia, i fattori climatici, l'intervento antropico. Oltre al finocchio di mare e al cappero, é possibile vedere una certa estensione di roverella (quercus pubescens), terebinto, bagolaro, carrubo e una vegetazione arbustiva sempreverde, tipica della macchia mediterranea: euphorbia dendroides, la ginestra, l'olivastro, il fico d'India, l'artemisia e formazioni vegetali caratterizzate da graminacee; tra le altre piante é diffuso l'asfodelo, usato dagli antichi Greci quale fiore dei morti.
È possibile ammirare la Timpa, sia costeggiandola via mare, sia attraverso i numerosi sentieri che la percorrono.
Attorno ad Acireale vi sono molti villaggi sul mare: Santa Caterina (con una suggestiva terrazza sulla Timpa, un'area naturalistica con una vegetazione originale, unica al mondo); Pozzillo (caratteristico villaggio di pescatori che sorge sulla pietra lavica, circondato dal verde dei limoneti); Santa Tecla (un paesino sul mare alle pendici di un costone ricoperto dalla vegetazione della Timpa, di limoneti e di oliveti); Santa Maria La Scala (un pittoresco villaggio di pescatori, che mantiene intatta la sua architettura originale); Stazzo (un paesinoaffascinante sulla costa); Capomulini (un aggregato situato sul golfo che abbraccia l'isola Lachea ed i mitici Faraglioni).

Santa Maria la Scala e le Chiazzette

di Teresa Grasso (La Sicilia, 14.7.2007)

Dalla Gazzena a Santa Tecla. Da Santa Caterina al vecchio tracciato della Timpa Falconiera. Terrazze, strapiombi sul mare, passi, rasole, saie e canalizzazioni. Una visione immersa negli odori di terra arsa e limoni. Bisogna procedere cauti. Privilegiata la visione da mare: risulta proiettata una natura da mille facce a tratti mitigata dall'uomo, a tratti esplodente nella sua incontrollabile forza.

La Riserva naturale orientata è stata istituita da quasi otto anni e racchiude 265 ettari di paesaggio costiero etneo rimasto sostanzialmente integro. Boscaglie, arbusteti, tipica macchia mediterranea a comporre la vegetazione. La riserva è punto di passaggio e rifugio per numerose specie animali (dalla volpe al cardellino). Ma è il fondo marino dei suo specchio antistante la Timpa ad offrire degli scenari di grande bellezza. Una vera gioia per i fotografi subacquei. Anche qui la varietà di scenari la fa da padrone. Fondali vulcanici, alghe rosse, verdi, brune. Corgonie, conchiglie, spugne molluschi apprezzati come gli occhi i bue e i "rizzi da 'Timpa".

 

Il litorale nella storia era luogo di avvistamento e di incursioni. Lo testimoniano alle Chiazzette i resti della Fortezza del Tocco detta anche il "Tocco del Cannone" e la torretta di Santa Tecla detta Garitta dell'Apa. A terra, dopo una visione a mare, scarpe buone e fiato, è irrinunciabile percorrere almeno un sentiero fruibile e rappresenta una buona sintesi la stradella delle Chiazzette. Un luogo simbolo della Timpa e di Acireale: un panorama impareggiabile. Natura immobile e qua e là, segnali dell'azione dell'uomo con le sue cappelle votive. L'antica "Scala d'Aci" era la più importante via di collegamento tra la città e il mare. Ingresso dal quartiere Suffragio, Statale 114. Superata la Fortezza del Tocco è una passeggiata non difficoltosa che offre scorci paesaggistici sug gestivi. Immersi nella luce e nelle ombre  della vegetazione e dei tornelli della Timpa, si arriva nel Borgo di Santa Maria La Scala. Svoltando a destra una ripida disce sa a ziz zag e si è sulla Spiaggia del mulino. Qui lo storico Mulino Vasta e la Sorgente dei Miuccio. Chiare fresche e dolci acque delle cascatelle per rinfrescarsi prima di un tuffo nella spiaggetta che diventa collante indissolubile con l'eterno mare.

 

Santa Caterina

Attraverso una stradina che si snoda tra fitti limoneti, case rurali e chiesette del XVI secolo. A strapiombo sul mare, tracchiusa tra le sue rocce. E' inaccessibile S. Caterina Non puoi passarci, devi proprio volerci andare. La frazione, raggiungibile dall'omonima strada è una sorpresa inaspettata con il suo
incantevole "Belvedere" meta di amori romantici e di spiriti inquieti. Situata in uno dei punti più alti della Timpa (176 metri), la piazzetta di S. Caterina offre una prospettiva privilegiata del costone lavico, abbellito qua e là da una rigogliosa macchia rnediterranea e della riviera acese. L'occhio può spingersi da
Taormina a Siracusa. Si può imboccare la strada accanto alla chiesetta, per un po' scendere lungo la scalinata che lì s'avvia e raggiungere in una
decina.di minuti una spiaggia incontaminata e solitaria. Un viaggio dell'anima. 0 meglio: un viaggio in una delle mille anime di Acireale.

 

 

Stazzo

di Teresa Grasso (La Sicilia, 14.7.2007)

Vive di eccessi Stazzo. Nei mesi dell'anno, nei giorni della settimana, nelle ore del giorno. E' come una pentola sul fuoco che cuoce a fiamma lenta inverno e primavera. Girata la fiamma in estate è tutto un bollire che sembra rovesciarsi da un momento all'altro. E' poco democratica Stazzo. Ti imbarazzano le mille barche ormeggiate al porto. E' vero, la puoi cogliere meglio solo se ti sposti al largo. E la domenica è il festival dell'imbarcazione. Quando sei già più lontano, al largo in un'unica macchia di nero e verde come mille formiche vedi muoversi variegate e rumorose orde di bagnanti. Nessuno rinuncia a spingersi tra le rientranze della scogliera. Ritagliarsi un pezzettino di privacy è il sogno comune. Ci si priva della comodità della passerella. E l'amore per la scogliera lavica si paga con le spine dei ricci infilzate nei piedi, o qualche escoriazione per un "incauto scontro con gli scogli".

 

Porticciolo, Urna, Piazza Mantova, Lungomare. Tutto qui. Basta e avanza. Si fondono con i luoghi i chioschi, i bar, i ristoranti. Cingono la piazza e ne scandiscono i tempi. La mattina si tira tardi almeno sino a mezzogiorno. Granita, stuoia, primo bagno. Appuntamento allo scoglio "Bertazzi" o e' Cale alla Madonnina. O a prendere l'acqua dalle fonti di Pozzillo, autentico set naturale dove sono stati girati film come Il Padrino, Bellissimo Novembre o un Buzzanca in difficoltà nella prima notte di nozze.

La sera alle luci della notte si parte da Stazzo alla volta di Scillichenti. "'U Pani cunzatu" ha stravolto le gerarchie della gastronomia ionica spodestando di gran lunga il principe arancino. E' tappa obbligatoria prima di ritornare al Lungomare stazzoto. Un'alternativa? Succulenti cenette a base di pesce sulla piazza in ristoranti affollatissimi dove la gestione familiare è ancora la regola. Stazzo ancora reggia dei villeggianti, sta imparando a fare spazio ai turisti. O viceversa sono i turisti che si stanno facendo sempre più spazio. Russi ad aprile, francesi a maggio, americani e tedeschi sempre. La vocazione dell'accoglienza ha preso piede e i pescatori sono divenuti spesso affitta-case o camere sul mare. Da furasteru. (forestiero) a stazzoto nel tempo di due giorni. Domina la calma , di scegliere il posto più giusto dove prendere il sole, comprare il giornale, prendere l'acqua nelle mille fontanelle che levano la sete. Nessuna attrattiva accessoria oltre il minimo indispensabile. C'è il mare blu pulitissimo, la spiaggia nera, il rapporto umano. Non manca nulla.

 

 

 

 

Praiola

di Salvo Sessa (La Sicilia, 14.7.2007)

Nell'estremo lembo di terra ripostese verso il confine con il Comune di Acireale, si trova la spiaggia acciottolata di Praìola, che durante l'estate si anima, ogni giorno, di migliaia di bagnanti e vacanzieri. La scoperta di questa suggestiva località balneare ripostese - sormontata da un lungo costone di Tìmpa, che degradando verso il mare forma a nord un "unicum" paesaggistico mozzafiato con la costa taorminese - è legata alla valorizzazione di essa, avvenuta alla fine degli Sessanta, ad opera di molte famiglie bene della zona dell'Acese, che costruirono nuove case di villeggiatura o rimisero in sesto le ville antiche ereditate dai loro genitori,  e alla nascita di un attrezzato camping internazionale - il Praiola Village - che si estende per 22 mila mq, posto proprio in riva al mare.

 Il Comune marinaro - accogliendo le numerose segnalazioni arrivate dal "popolo dell'estate" che, ogni giorno, si riversa sulla spiaggia di Praiola - ha potenziato il numero di pedane pubbliche sulla battígia sassosa, costruendone qualcuna in più rispetto agli anni precedenti che si estendono fin quasi a mare, con una copertura complessiva di 80 mq. 

 

Fondachello

di Laura Fazzina (La Sicilia, 14.7.2007)

Il territorio di Mascali morfologicamente occupa una posizione strategica dal punto di vista turistico, grazie alle sue dieci frazioni, tutte inserite in un contesto paesaggistico di notevole pregio che spazia dalle colline dei Parco dell'Etna al mare Jonio, a soli 30 Km da Catania e a 15 Km da Taormina. Tra queste Fondachello e S. Anna, frazioni marinare protagoniste di una considerevole espansione turistica, che ha trasformato i piccoli borghi marini, con le loro spiagge caratterizzate dai "cutulisci", oggi fulcro del turismo estivo del conprensorio jonico-etneo.

 

 

Lungo il litorale, oltre i resort, residence e quant'altro possa ospitare chi ha scelto di trascorrere le vacanze in queste località, vi sono circa 23 strutture balneari, offrendo servizi di qualità per il turista sempre più esigente e attento. Ma davvero ce ne sono per tutti i gusti? Ci risponde, Mario Fazio, presidente provinciale della Fiba Confesercenti: "Abbiamo una tipologia di stabilimenti balneari diversificati per rispondere alle esigenze di tutti, dove ampi spazi possono ospitare la tradizionale famiglia con zone relax, per i bambini aree ludiche con piscina, oppure cè il lido più indicato per i giovani dove prevalgono le strutture sportive con campi di beach volley e calcetto. Da qualche anno si è aggiunto, quale nuova attrattiva, un nuovo stabilimento caratterizzato da arredi etnici e servizi esclusivi dotati di saune e vasche idromassaggi per i clienti più esigenti". Quindi non soltanto sole, sdraio e ombrellone. "Sfatiamo questo luogo comune, oramai sono tanti gli intrattenimenti, che si protraggono fino a notte fonda, come le serate a tema con un ampio ventaglio di spettacoli.  Tra i più gettonati la notte di San Lorenzo e quella di Ferragosto, vissuti dai turisti, intensamente tra mare sole, musica e pioggia di giochi pirotecnici".

 

Dal profano al sacro, il 19 agosto i pescatori dei luogo, forte di una tradizione che si tramanda da generazioni, festeggiano con devozione la Madonna Maria SS. Della Pietà. La Madonna dalla chiesetta di Fondachello viene portata in processione lungo la costa a bordo dell'omonimo peschereccio, i numerosi turisti con fiaccole in mano assistono al rituale religioso fino allo sbarco, per ricevere la benedizione.

A Fondachello, a ridosso del mare, ricade uno straordinario ambiente naturale: la Gurna, zona umida compresa tra la foce dei Simeto e la città di Messina, protetta da vincoli paesaggistici. Durante l'anno registra una temperatura media di 17 gradi e precipitazioni per 800 mm, assicurando condizioni ideali per la flora caratterizzata. da lenticchia d'acqua, felce, giunchi e cannucce di palude e dal  ranuncolo "pennello", tipico dell'Europa atlantica. La fauna è per lo più costituita da uccelli di grandi dimensioni e grande frequentatore della zona è il falco di palude, ma chi vuol fare 'un tuffo" nella natura potrà scorgere tra gli acquitrini, cigni reali, cavalieri d'Italia, aironi cenerini, pettegole ed avocette oltre i rari ibis mígnattai. Uno spettacolo regalato dalla natura, praticamente tutto l'anno. 

Fondachello fa inoltre parte di un percorso cicloturistico che parte dalla frazione ripostese di Torre Archirafi e termina nei pressi del fiume Alcantara.

 

 

Sull'origine di Taormina (Tauromenion, Tauromenium) molte sono le notizie, ma incerte per documentazione e poco attendibili.

Diodoro Siculo nel 14° libro attesta che i Siculi abitavano la rocca di Taormina, vivendo di agricoltura e di allevamenti di bestiame, già prima dello sbarco dei greci di Calcide Eubea nella baia di Taormina (832 a.C.), dove alle foci del fiume Alcantara, fondarono Naxos (odierna Giardini Naxos),la prima colonia greca di Sicilia. Dionisio di Siracusa di origine dorica, tollerò per un po' la presenza degli jonici di Calcide Eubea a Naxos ma poi mosse contro di essi che andarono ad occupare il Monte Tauro in, cui vivevano i Siculi insieme ad altri jonici che si erano precedentemente lì insediati da Naxos.

 

 Ma negli anni della XCVI Olimpiade (396 a.C.)i nassioti in massa , minacciati da Dionisio, tiranno di Siracusa, si trasferirono a Tauromenion , spinti da Imilcone, condottiero dei Cartaginesi, alleato degli jonici contro i dorici, perché il colle era da considerarsi fortificato per natura. Volendo il tiranno di Siracusa riprendersi con violenza il territorio dei Tauromenitani, essi risposero che apparteneva loro di diritto, poiché i propri antenati greci ne avevano già preso possesso prima di loro stessi, scacciando gli abitatori locali.

Afferma Vito Amico che la suddetta versione sulle origini di Taormina fornita da Diodoro è contraddetta nel 16° libro, quando sostiene che Andromaco, dopo l'eccidio di Naxos del 403 a.C., radunati i superstiti li convince ad attestarsi nel 358 a.C. sulle pendici del vicino colle "dalla forma di toro", e di conseguenza il nascente abitato prese il nome di Tauromenion, toponimo composto da Toro e dalla forma greca menein, che significa rimanere.

Mentre le notizie fornite da Cluverio concordano con la seconda versione di Diodoro, Strabone narra che Taormina abbia avuto origine dai Zanclei e dai Nassi. Ciò chiarirebbe in qualche modo l'affermazione di Plinio il quale afferma che Taormina in origine si chiamava Naxos.

Testimone Diodoro Siculo, Taormina, governata saggiamente da Andromaco, progredisce, risplendendo in opulenza e in potenza. Nel 345 Timoleone da Corinto, sbarca e raggiunge Tauromenium, per chiedere l'appoggio militare al fine di sostenere la libertà dei Siracusani.

Più tardi troviamo Taormina sotto il dominio del tiranno siracusano Agatocle, che ordina l'eccidio di molti uomini illustri della città e manda in esilio lo stesso Timeo, figlio di Andromaco. Anni dopo soggiace a Tindarione e quindi a Gerone, anch’essi tiranni Siracusani.

 

Taormina rimane sotto Siracusa fino a quando Roma, nel 212 a.C., non dichiara tutta la Sicilia provincia Romana. I suoi abitanti sono considerati alleati dei Romani e Cicerone, nella seconda orazione contro Verre, accenna che la Città è una delle tre Civitates foederataee la nomina "Urbs Notabilis ". In conseguenza di ciò non tocca ai suoi abitanti pagare decime o armare navi e marinai in caso di necessità.

Nel corso della guerra servile (134 – 132 a.C.) Tauromenium è occupata dagli schiavi insorti, che la scelgono come caposaldo sicuro. Stretti d'assedio da Pompilio, resistono a lungo sopportando anche la fame e cedendo soltanto quando uno dei loro capi, Serapione, tradendo i compagni, lascia prendere la roccaforte.

Nel 36 a.C. nel corso della guerra fra Sesto Pompeo ed Ottaviano, le truppe di quest’ultimo sbarcano a Naxos per riprendere la città a Sesto Pompeo che l'ha in precedenza occupata. Per ripopolare Tauromenium, dopo i danni della guerra subita, ma anche per presidiarla Ottaviano, divenuto Augusto, nel 21 a.C. invia una colonia di Romani, a lui fedeli, e nel contempo ne espelle gli abitanti a lui contrari.

Strabone parla di Tauromenion come di una piccola città, inferiore a Messana e a Catana. Plinio e Tolomeo ne ricordano le condizioni di colonia romana.

Con l'avvento del Cristianesimo, San Pietro destina a Taormina il Vescovo Pancrazio, che già prestava la sua opera di conversione nella regione che costruisce la prima chiesetta sulle pendici di Taormina dedicata a San Pietro stabilendo la sede del primo Vescovato in Sicilia . Vescovi "prestantissimi per santità di costumi, zelo e dottrina", scrive Vito Amico, si succedono fino all'età Araba. Poche sono le notizie in questo lasso di tempo, che annovera la caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 447 d.C., l'invasione dei Goti, la presenza dei Bizantini, la conquista Araba. Certo è che Taormina, occupa una posizione strategica importante per la tenuta militare del territorio circostante, per 62 anni fu l'ultimo lembo di terra dell'Impero Romano d'Oriente insieme a Rometta e più volte resistette agli assalti dei saraceni ( grazie alle sorgenti d'acqua potabile, alle cisterne ed agli acquedotti sotterranei ), sin quando dopo un lungo assedio durato due anni la notte del Natale del 906 d.C., a causa del tradimento di un mercenario messinese tale Balsamo, fu presa e distrutta totalmente. I suoi abitanti maschi furono tutti decapitati come il Vescovo di Taormina, San Procopio , la cui testa fu portata su un piatto d'argento al capo delle truppe saracene Ibrahim ( al quale è persino intestata una via di Taormina).

Le ragazze più belle furono portate al Califfo di Karaujan Al Moezzin e le altre furono rese schiave. I pochi superstiti fuggirono nelle montagne circostanti. La città fu ricostruita nella parte sud, laddove finiva quella greca-romana rasa al suolo dai saraceni e per quasi due secoli visse nella concordia e nella tolleranza fra arabi e cristiani. Gli arabi la abbellirono adornandorla di bei giardini e fontane e la ribattezzarono con il nome di Almoezia dal Califfo Al Moezzin.

Della città si impossessa il Gran Conte Ruggero, il quale espugnato Castronovo volge alla conquista del Valdemone, cingendo d'assedio la Città, attraverso la costruzione di ben ventidue fortezze in legname: tronchi e rami formano un muro insuperabile; nondimeno i saraceni resistono per molto tempo prima di capitolare nel 1078.

Taormina diviene Città Demaniale, compresa nella Diocesi prima di Troina e poi di Messina, quando la sede Vescovile viene qui trasferita.

Segue le vicende della Sicilia, sotto gli Svevi e poi sotto gli Aragonesi. Nel 1410 il Parlamento Siciliano, il più antico d'Europa, svolge a Taormina la sua storica seduta, al Palazzo Corvaja alla presenza della regina Bianca di Navarra, per l'elezione del re di Sicilia , dopo la morte di Martino II.

Nel secolo XVII Filippo IV di Spagna concede il privilegio che la Città appartenga stabilmente alla Corona.

Nel 1675 è assediata dai francesi, che occupano Messina. La storia gloriosa volge al suo declino. I francesi di Casa D'Orleans non la ritengono Città importante. Gli Angioini ne aboliscono i privilegi di cui godeva.Con l'occupazione delle truppe napoleoniche di Napoli e del Sud e con il trasferimento della Reggia Borbonica a Palermo,Re Ferdinando I di Sicilia volle ringraziare Taormina per la sua fedeltà ai Borboni contro i francesi e Re Ferdinando in visita ufficiale nella fedele Taormina , in segno di riconoscimento donò al sindaco dell' epoca Pancrazio Ciprioti l'Isola Bella. I Borboni ,resero più facile l'accesso alla città ,che sin dai tempi dei romani avveniva dall'angusta Consolare Valeria che si inerpicava fra le colline, tagliando il promontorio del Catrabico realizzando così una strada litoranea che congiungeva facilmente Messina a Catania e realizzando,dopo la Napoli-Portici ,la seconda strada ferrata del Regno.Che tale e quale (ad unico binario è rimasta sino ai nostri tempi!).

Da parte di molte nazioni europee e di famosi scrittori ed artisti (Goethe, Maupassant, Rouel ed altri) si manifestò un interesse verso l'amenità del luogo e verso le sue bellezze archeologiche. Taormina da adesso in poi si svilupperà, divenendo luogo di residenza del turismo elitario, inizialmente proveniente soprattutto dall'Inghilterra come Lady Florence Trevelyan , figlia del Barone Spencer Trevelyan e la cui nonna paterna era Lady Maria Wilson una prima cugina della Regina Vittoria, alla cui Corte Florence era cresciuta attorniata dai cani che adorava come la "zia Vittoria" che, però ,Lei puritana ,per impedire uno scandalo a Corte ,la obbligò all'esilio con un ricco vitalizio, per una sua relazione con suo figlio, il Re Edoardo VII che era sposato con l'austera Alessandra di Danimarca e che decise di vivere a Taormina dove sposò il ricco filantropo Prof. Salvatore Cacciola, sindaco di Taormina ed amico del Duca di Kent. Lady Florence Trevelyan acquistò dal sindaco Pancrazio Ciprioti l'Isola Bella e comprò 82 vecchie casupole di pescatori e lotti di terreno che abbattè per realizzare lo splendido giardino che, dopo la sua morte, divenne il giardino pubblico di Taormina con le caratteristiche costruzioni ispirate ai suoi viaggi in estremo oriente, aiutò i La Floresta ad ampliare il primo albergo di Taormina, l' Hotel Timeo; dall'Inghilterra arrivò anche il Re Edoardo VII(dopo due anni, però, dalla morte della madre la Regina Vittoria nel 1903,1904,1907,1908) e dalla Germania personaggi come Johann Wolfgang von Goethe, che citò Taormina nel suo Viaggio in Italia (Italienische Reise), il fotografo barone Wilhelm von Gloeden, il pittore Otto Geleng , Nietzsche (dal 1882)che qui scrisse Così parlò Zaratrusta, Richard Wagner, il Kaiser Guglielmo II di Germania(1896-1897-1904,1908),Oscar Wilde, lo Zar Nicola I,Ignazio Florio e Franca Florio, "la stella d'Italia" come la chiamava il Kaiser ed amica della Trevelyan, Gabriele D'Annunzio, Klimt, Freud,De Amicis e banchieri, magnati, aristocratici di tutto il mondo.

Ben presto Taormina divenne famosa in tutto il mondo sia per le sue bellezze paesagistiche, per i suoi panorami variopinti, per i quadri dell'Etna innevata e fumante che declina sino al mare turchese e che fecero il giro del mondo, ma anche per la sua permissività, per la sua "trasgressione",per i suoi "dotti cenacoli", per il "mito d'Arcadia", per la sua sfrenata "dolce vita" . "I pazzi a Taormina" dello scrittore catanese Massimo Simili, descrive un periodo in cui non passava giorno che a Taormina, non accadesse qualcosa di "folle" grazie ai suoi estrosi e famosi frequentatori. Ciò che era permesso a Taormina creava scandalo persino nella "internazionale" Capri dove, per esempio, l'armiere tedesco Krupp aveva cercato, senza riuscirvi di ricreare i "cenacoli taorminesi " in cui efebi locali ed ancelle erano al centro delle "scene". Krupp a Capri fu travolto dallo scandalo e pochi giorni dopo si tolse la vita per la vergogna a Brema.

 

Sorsero tanti alberghi tutti gestiti da famiglie taorminesi. Il paese di pescatori e contadini e di benestanti borghesi si trasformò in un paese di commercianti, albergatori, costruttori. Durante la seconda guerra mondiale fu sede del Comando tedesco della Wermacht per cui il 9 luglio del 1943, giorno del patrono San Pancrazio, Taormina subì due devastanti bombardamenti aerei alleati che distrussero parte della zona sud e persino un'ala del famoso albergo San Domenico in cui era in corso una riunione dell'alto comando tedesco.

Essendo un città turistica internazionale molte spie inglesi durante il fascismo si erano ben camuffate e uscirono alla scoperto appena entrarono le truppe alleate. Nel dopoguerra Taormina si ingrandì , senza alterare le proprie bellezze naturali e sino al 1968 era una città turistica prettamente invernale per un turismo ricco ed individuale, tant'è che i migliori alberghi aprivano ad ottobre e chiudevano a giugno ed era frequentata da scrittori di fama come Roger Peyrefitte,Truman Capot,Andrè Gide,L.H.Lawrence,da nobili Giuliana d'Olanda, dai reali di Svezia e di Danimarca, dal Presidente della Finlandia Kekkonnen da personaggi illustri e famosi Soraya, Ava Gardner,Romy Schneider, che fecero amicizia anche con alcuni viveurs del luogo, nonchè Liz Taylor,Richard Burton, Dino Grandi, Willie Brandt, Greta Garbo, che svernavano per mesi nei bei alberghi taorminesi trascorrendo le giornate, ma sopratutto le notti nei tipici locali notturni dell'epoca continuando , così, quella "dolce vita" iniziata con la "Belle Epoque" . Centro d'incontro per tutti (artisti,nobili,playboy,scrittori, "pazzi" di ogni specie) era il Cafè Concerto "Mocambo" dell'estroso Robertino Fichera. Robertino, con i suoi amici Chico Scimone e Dino Papale, (raffigurati tutti e tre in prima fila) volle rappresentare in un murales che fece dipingere nel salone del suo famoso Cafè, affinchè rimanessero "immortali", accanto a Sigmund Freud e Albert Eistein,quelli che erano i veri protagonisti del grande teatrino taorminese cioè quella umanità "viva" che creava ogni giorno la "dolce vita" taorminese. "Che la festa inizi" è il titolo del murales...ma la festa stava per finire,invece.

 

 

Nel 1968, infatti, accadde il terremoto del Belice che fece paura per le ripercussioni che avrebbe potuto avere sul turismo ad alcuni operatori turistici taorminesi si indirizzarono verso il turismo di massa facendo contratti con i maggiori tours operators europei. Taormina rapidamente si trasformò. Gli alberghi "vendevano " le camere a contratto annuale ai grandi tours operators del turismo di massa rinunziando, così, al turismo classico individuale che sino allora aveva reso ricca e famosa Taormina con un taglio decisamente di alta classe e di prestigio.

Col turismo di massa la cittadina si espanse nelle adiacenti zone verdi, fu rapidamente e disordinatamente cementificata, nacquero nuovi alberghi, e tante nuove attività commerciali e siccome i taorminesi non si volevano dedicare ai lavori umili, vi fu una invasione dall'arretrato entroterra siciliano di gente povera di diversa cultura in cerca di fortuna, che in poco tempo, richiamò a Taormina amici e parenti che si improvvisarono albergatori, ristoratori, commercianti.

Taormina divenne,in breve tempo, una cittadina balneare per un turismo di massa, una nobile decaduta.

Gli alberghi ora chiudevano a novembre per riaprire a Pasqua. Fu il crollo per quasi tutte le famiglie di antichi albergatori taorminesi che non riuscirono ad adeguarsi ai nuovi tempi ed in pochi anni persero i propri alberghi che furono acquistati da società venute da fuori che miravano più ai bilanci che alla qualità dei servizi.

Gli albergi non erano più le seconde case di lusso dei viaggiatori che venivano accolti con grande cortesia dai proprietari e con i quali si familiarizzava, si conversava e si prendeva il thè ... ma erano degli anonimi alberghi con degli anonimi clienti come tanti di tutto il mondo. Fu una rivoluzione anche nel tessuto economico sociale tradizionale di Taormina a causa dei tanti immigrati arrivati a Taormina in cerca di fortuna , che non solo dettero vita alla speculazione edilizia , avendo necessità di costruire abitazioni per essi, per gli amici e per i parenti, ma si insediarono anche nelle strutture di potere della città.

Fu la fine anche della dolce vita taorminese, i cui protagonisti erano stati tanti estroversi personaggi della aristocrazia siciliana e alcuni affascinanti play boy locali che , fra le dolcezze della natura taorminese, intrattenevano turiste famose e non, inducendole a ritornare annualmente più volte a Taormina, proprio come avveniva agli albori del secolo con Geleng e Von Gloeden.

Taormina veniva, quindi, "spersonalizzata" , perdeva la propria "identità" di città di artisti e di "pazzi" in cui ognuno poteva vivere come non poteva nella propria città e Taormina rischiava di morire a causa del "provincialismo" dei tanti immigrati e, come tante altre famose città turistiche, a causa del turismo "mordi e fuggi ".

Si perdeva sopratutto l' "identità " del taorminese ospitale e colto anche perché il centro storico veniva svuotato in quanto molti taorminesi svendevano le loro vecchie case ed al loro posto sorgevano tante seconde e terze case per villeggianti della provincia, sin quando, all'inizio del terzo millennio, alcuni imprenditori non hanno iniziato a creare nuovamente alberghi di gran lusso, maisons de charme, che, aperti tutto l'anno, hanno in poco tempo, fatto si che Taormina sia nuovamente una città turistica di fama internazionale, elegante, con un salotto buono (il Corso Umberto I) in cui sono presenti splendidi negozi con le maggiori griffe mondiali ed in cui, grazie anche ai tanti prestigiosi eventi culturali , una per tutte, Taormina Arte , vi è una stagione turistica che dura tutto l'anno con delle punte massime in agosto e minime a gennaio-febbraio e che accoglie sia clientela di lusso , sia turismo di massa (d'estate)...anche se ormai mancano " i pazzi di Taormina" che la resero famosa.

 

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Litterio al LIdo "Marebluodelcolorechevuoitu"

 

Sig. La Rosa, l'autru iorno quello zzavordo di mio cugino Affio, siccome dovevomo scendere a Catania per faricci visita a sua soru 'o spitale, che si aveva operata di un craunchio ndel culo, pecciò lui mi disse "iù staiu pinsannu, pecchè non nnì purtarmi i costumi e appena uscemo do spitali ce ne andiamo al mare a Catania e nni facermu un bello bagno salato? "
Allora, ,Sig La Rosa io ho pinsato siccome ultimamente ho studiato troppu assai, sta scinnuta a Catania ppi svagarimi capitava proprio a cannolo. (La Rosa: a fagiolo forse vuole dire?... Litterio: no u sapi u fagiolo mi fa Acido!)
Allora, prima, abbiamo scesi a Catania o spitali e ci abbiamo fatto visita a soru di mio cucino Affio a si chiama Croce, però siccome non è tantu sperta, vah è un poco fissa e allora a chiamamu croci fissa, comu a me mugghieri!!!
Comu niscermi do spitali ce ne abbiamo andati (La Rosa: se mai, ce ne siamo andati... Litterio: picchì, c'era macari Lei?). Comunque, ce ne abbiamo andati al mare del Lido Marebluodelcolorechevuoitu, a patti dde scogghi.

Ddu zzaurdu di mio cucinu Affio si aveva purtato do paisi na pignata di purpetti di mucco volgarmente detto neonato", uova dure, un chilo e menzo di pani e na buttigghia di due litri di vinu; "Litterlo - mi diceva - comu ci facemo il bagno salato ci dobbiamo arrichiari cu sti puppetta"; Io, sig. La Rosa, motto, ero motto, ho detto "Affio ma ti pari una cosa fina ca uno si potta i puppetta di mucco al mare? "E picchì?" - mi dissi iddu  - "Ma come picchi, Alfio, picchì ... vah che sò, un poco di caponatina, un poco di carciofoli arrostiti, qualche piricoco o sbeggio pe passassi la bocca, no ... "I puppetta di mucco" Ad ogni modo abbiamo arrivati al lido.
Lei c'è stato mai, sig La Rosa, al lido? E come si fussi una città di ligno, c'è tutto di ligno, è come si fussi ai tempi dei palafritti; abbiamo entrati; auh, Sig. La Rosa, i fimmini !!! ce n'era una, ca era una casa di salute, ca un picciriddu ci stava spammando la crema abbronzata.
Sig. La Rosa, Affiu arrivò cca pignata di puppetta nde manu... iddu si sinteva tuttu spertu ca era bronzato picchi ava travagghiatu nda suletta all'urtimo piano e mi dissi ca si stava spugghiannu ppi primu; trasiu nda cabina, pusau i puppetta e si misi in costumi. Quannu nisciu pareva cchiù vistutu di prima: ci'aveva addisignati nde carni i pantaloncini, a cannuttera e i cosetti precisi; nda cannuttera si cuntavanu macari i purtusa; doppo mi canciai iù, mi misi il costume ca mi avevo accattatu prima di partiri a surdato, era un poco vicchiareddu ma bello, bellissimo.
Mhliii.. sig. La Rosa, comu mi canciai iù... e cchi era?...... un BRONZO DI JACI! Nesciu e trovo Affio ca stava parrannu co delle persone, ava fattu amicizia e ci stava dicennu ca vineva do paisi e era a Catania picchì c'era so soru o spitali ca cci avevano fatto il taglio picchì ci'aveva un craunchio ndel culo!!! 

Io motto!!!, comu ddi cristiani s'alluntananu, u'chiappai e cci dissi, "Affio, ma allura u signor La Rosa ch'avi ragiuni ca dici ca si un pezzu di zauddu! Scusa, cchi cci dici 'e cristiani... to soru è stata operata col taglio ndel culo? Non si dice accusi "E comu cci devo diri" mi dissi iddu. Cci devi dire, con un poco di RAFFINERIA, ca è stata operata ca ccí hanno fatto il taglio, che sò, ndel DERETAN.

Mi allontanai e mi sdraiai al sole per prendere un poco di sole nde carni, mentri me cucinu Affio si avvicinau 'o bar e facennu amicizia ccu un pugno di persone cci stava dicennu; "io sono do paisi e mi trovo a Catania coi i puppetta di MUCCO picchì ci ho l'atto visita a me soru 'o spitali ca l'hanno operata chè ci aveva un craunchio ndel..ndel.... ndel.... si vota versu di mia e mi fa forti "Litteriooooo, .....comu si chiama u culu 'i me soru?".

 

 

 

 

Come mai i catanesi  scoprirono la Plaja, come luogo di balneazione, così tardi? Eppure esisteva di già un campo di tiro a segno  che era possibile, e comodamente, raggiungere in carrozza. Ed era abitato anche il fondo Mirane, meno distante dalla città se è vero che un servizio di carrozza ad un cavallo costava appena 60 centesimi e a due cavalli L. 1,20. Ci si arrivava, sicuramente da Porta del Fortino, oggi Porta Garibaldi. (In proposito si sa che anticamente, prima dell'eruzione del 1669, si accedeva in città, e si usciva in direzione della Piana, dalla Porta della Decima che era ubicata accanto alla chiesa di San Giuseppe al Transito appunto detta cosi per gli andirivieni di carri, uomini e bestiame; solo successivamente venne tracciata una strada provvisoria sulla lava, attuale via Fortino Vecchio)

 

).

Secondo quanto dice il Micci Barreca, la Plaja sarebbe stata scoperta, quale zona di bagni, all'inizio del '900 «da alcuni componenti della colonia svizzera e di altri che, sotto ampie tende, improvvisarono impianti balneari» (la «colonia svìzzera» a Catania era nutritissima e si dedicava precipalmente in import-export e in varie attività commerciali). Eppure sembra strano che un litorale così splendido, con la sua sabbia ambrata unica al mondo e a due passi dalla città, non sia stata utilizzata prima del Novecento.

A parziale movente, di certo, la mancanza di stradine per arrivarci comodamente e, poi, il convincimento comune che, fra acquitrini e pantani, quel territorio limitrofo alla spiaggia, boscoso e mai curato e ostruito.

Per l’affluenza dei cittadini attratti da quelle spiagge, fu necessario creare un'arteria di comunicazione che dai paraggi del porto conducesse direttamente alla zona marina.

Tale strada riuscì automaticamente ad allontanare dalla spiaggia quel verde fitto che la pressava da vicino, lasciandolo raggruppato, e curato approssimativamente, ad est dei lidi.

Da uno spiazzo, ad una cinquantina di metri dalla riva, di questo boschetto (ancora, in verità, boscaglia) sorsero le prime due colonie marine denominate «Dux», o «Casa del Sole», e «Turati» che si inaugurarono nei primi del '30. «(...) così sì dava la possibilità a tutti i bambini di usufruire di mare e di sole sotto l'assistenza di personale specializzato. L'assistenza, in forma gratuita, comprendeva vitto e alloggio». (Merode e Pavone, Catania nell'età del fascismo, Ediz. Greco 1985).

 Il primo «moscone", fino allora mai visto a Catania, ebbe il suo battesimo di mare alla Plaja nell'estate del 1912 grazie all'interessamento del signor Luigi Martinez che lo fece costruire appositamente a Messina.

Lo stesso Luigi Martinez, l'anno prima, aveva innalzato, sempre alla Plaja, la prima baracca in legno con ampio davanzale e definita dalla «prima colonia tutta catanese» la Villetta di mare. Le vicende belliche si stavano met¬tendo male per noi. Nell'aria circo¬lava uno strano senso di irrequietezza e di bui presagi. La Catania festaiola cambia umore e si arrangia al mercato nero.

La Plaja adesso è deserta. Nel '43 iniziano i bombardamenti che sventreranno la città. Si saprà a spezzoni come stanno andando le cose. «Avanzano»; «No, non ancora»; «Alla Piana si stanno ammazzando, combattono corpo a corpo»; «Poviri figghi...!». E un'estate torrida, accecante; la villeggiatura, i catanesi, la passano quasi tutti in collina o in campagna. Niente bagni.

In agosto, qui da noi, la guerra finisce. E non si pensa di andare a mare, si pensa a liberare le strade di tutte le macerie e a piangere i morti. Settecentocinquanta. Riinizieremo a vivere daccapo. Finora avevamo scherzato.

Cessata la guerra che  ci aveva portato distruzione e gomme da masticare, D.D.T. e latte condensato, Carnei e boogie wooge, alla Plaja si ritornò velocemente. Ai lidi Jonio, Casabianca e Spampinato, che aveva perso la romanticheria del passato, si aggiunse una lunghissima sequela di nuovi stabilimenti che man mano si andavano istallando.

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La prima «colonia» tutta catanese che prese possesso della spiaggia della Plaja nel 1911, era formata da una grossa comitiva dell'alta borghesia cui facevano parte le famiglie Fusco, Caccio la, Bravetti, Martinez, Fischetti, Battaglia, Pozzi, Martinez, Sborni, Russo, Zappala, Bazzano, Orlando, Colonna a cui si aggiunsero, nel 1912, altre «colonie» di catanesi.

L Plaja cambia volto: sorgono il campo di equitazione (i con-corsi internazionali con l'assidua presenza dei più forti cavalieri del mondo, dai fratelli D'Inzeo a D'Oriolà e Mancinelli), i campi da tennis (tornei cui parteciparono, fra gli altri, Pietrangeli, Sirola e Panatta), la Piscina comunale (gare di nuoto, campionati italiani universitari, i campionati di serie A di pallanuoto - Lallo Pennisi, i Faro, Turi Lanzafame, Cucinotta etc. -), il primo villaggio turistico, un maneggio, il bowling, la pista di Go-Karts; si sistema con stradine di transito il «boschetto», nasce finanche un albergo.

 

Foto e brani tratti da “La Plaja e i suoi primi Lidi “ di Aldo Motta – Edizioni Incontri

 

 

Sole e mare come la Riviera ma qui è la Plaia

Un litorale lungo una ventina di chilometri, quasi come sulla riviera romagnola, che attira in ogni stagione dell'anno migliaia di persone per il mare ma anche per le numerosi attrazioni. Un tratto costiero sabbioso che si estende nell'area compresa tra il porto di Catania e la località Agnone Bagni (frazione di Augusta, in provincia di Siracusa), con una profondità dell'area sabbiosa che varia tra alcune centinaia di metri e qualche km.

Basta chiudere gli occhi e nella mente si affollano tanti piccoli e grandi motivi del perché gli appassionati del "granello di sabbia" non cambieranno mai il loro posto sotto l'ombrellone, per nulla al mondo.

Le partite a tamburello, il beach volley, le passeggiate sul bagnasciuga, quel dolce poltrire sulla sdraio davanti alla propria cabina mentre, poco distante, si ascolta il chiacchiericcio di un gruppetto che discute animatamente durante una partita a carte: tutto questo non ha prezzo.

 

Negli ultimi anni, però, il litorale catanese ha cambiato decisamente look. Già da tempo, infatti, si è lavorato per dar vita ad uno sviluppo armonico della ricezione e gli stabilimenti balneari si sono adeguati alle nuove esigenze; diversificando le tipologie di accoglienza all'interno dei propri lidi.

Una vera e propria rivoluzione per assecondare lo sviluppo di una nuova Plaia, rivolta sì ai catanesi, ma sempre più anche ai turisti. E quindi una spiaggia che da "stanziale" diventa struttura ricettiva, calamita di quella industria delle vacanze - insieme con l'"altro mare" di Catania, quello che va da San Giovanni li Cuti alla Scogliera per fondersi con la riviera jonica - che costituisce una scommessa, forse la più importante, per Catania.

Da qualche anno ormai gli stabilimenti balneari del litorale hanno ristrutturato le proprie strutture. Ogni lido, poi, ha scelto di avere un target ben preciso diventando sempre più simili ai villaggi turistici con animazione alternata a momenti di assoluto relax.

 

Ed infatti da tempo su tutto il litorale catanese si porta avanti un progetto di destagionalizzazione, che prevede l'organizzazione di eventi diversi, per far vivere la spiaggia per buona parte dell'anno, mirati all'informazione, al rispetto per l'ambiente e alla sicurezza e rispondenti alle specifiche esigenze delle singole stagioni. L'obiettivo strategico è chiaro: trasformare il territorio in una vera destinazione turistica valorizzando la "materia prima", riqualificando il mestiere del fare turismo e che prevede, inoltre, la garanzia per quanti lavorano in questo settore, di un'occupazione fissa.

Su un'area di circa 280 km² posta a nord-est delle spiagge, è presente il Boschetto della Plaia, una macchia verde, frutto di un rimboschimento del periodo fascista (oggi ecologicamente protetta, dopo un lungo periodo di degrado e abbandono), costituita in gran parte da pini marittimi e parzialmente trasformata in area attrezzata, che spesso ospita manifestazioni sportive agonistiche ed amatoriali.

 

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Fino ai primi anni Sessanta la parte adibita ad uso balneare si arrestava a un centinaio di metri a sud del Faro Biscari oltre cui vi era l'ampia zona di rimboschimento costiero che arrivava fino alla battigia.

In seguito venne costruita una variante litoranea alla Strada Statale 114 che prese il nome del presidente americano John Fitzgerald Kennedy. Di fatto la variante canalizzò il traffico da e per Siracusa e favorì la costruzione di un grande e crescente numero di stabilimenti balneari, di colonie estive cattoliche, nonché di un camping internazionale e perfino di una pista di go kart divenendo, per eccellenza, la meta balneare e ricreativa più frequentata nel catanese durante il periodo estivo: con un'affluenza di migliaia di persone soprattutto locali ma anche delle province limitrofe e turisti.

La Plaia offre tanti stabilimenti balneari (comprendenti però solo tre o quattro spiagge libere), alcuni villaggi turistici, un acquapark, oltre a diversi alberghi, alcuni ristoranti e luoghi di ritrovo (in particolare discoteche) che si estendono lungo tutto il litorale.

 

La Sicilia 23/05/2015

 

  

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VIDEO DEDICATO ALLA PLAJA (by Antonino Angelo Arrigo)

Tanti anni fa, all'inizio dei lidi della Plaja, c'era un tratto di spiaggia libera che spesso era adibita, arbitrariamente, al lavaggio... degli animali. Si schiumavano asini, muli e cani. Dal tram noi vedevamo divertiti la scena, ma immancabilmente c'era sempre qualcuno qualche padre o qualche madre che giustamente si scandalizzava: per quella giornata si proibiva a noi figli la balneazione (e dire che i nostri lidi erano abbastanza distanti da quel tratto di spiaggia!). Altri tipi di sporcizia ed inquinamenti avremmo visto in seguito...

 

 

Amarcord …Vita da Plaia…


In questo rovente mese d'agosto, tra un anticiclone africano e un altro, il mio ricordo vola insistentemente ai magici anni ’60/70, quando la vita estiva della maggior parte  dei catanesi, compresa quella della mia famiglia, si viveva intensamente alla Plaia, dove per tutta la stagione balneare si affittava la “cabina” in uno dei tanti “lidi” che popolavano l’immensa costiera sabbiosa.

Ma attenzione: non si pensi che i lidi, oggi meglio definiti "stabilimenti balneari", erano tutti della stessa categoria!

 

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A fronte dei lidi più popolari e popolosi, dove si affittavano anche spogliatoi ad ore, esistevano i lidi d’élite…più riservati e con una clientela un tantino snob…
https://www.mimmorapisarda.it/antiche/color/24.jpgI lidi che rappresentavano la famiglia catanese, con prole e parenti a carico, erano unici nel loro genere: le cabine erano una via di mezzo tra il bungalow, la roulotte e…la cucina di casa! Non mancava davvero niente in una cabina di legno, costruita su base di legno o cemento: cucinino, con tanto di bombola di gas( …proibitissima!), lavello, maxi bidone con rubinetto per l’acqua, spogliatoio con ampio specchio per trucco e parrucco, "ghiacciera" ( la moderna borsa/frigo) che accoglieva i pezzi di ghiaccio di una bella “balata” comprata alla pescheria o in una delle tante “barracche” del lungomare.

L’esterno della cabina era una sorta di verandina che accoglieva l’angolo-pranzo e anche quello del riposino e che, a difesa della privacy, si provvedeva ad attrezzare con variopinti tendaggi.
Il pranzo era il momento più atteso e suggestivo: dalle cabine si diffondevano nell’aria salmastra effluvi di salsa di pomodoro, melenzane fritte, caponatine e ogni altro ben di Dio che ogni catanese che si rispetti non si fa mancare neanche a 40° all’ombra!
Tutto il cibo era generosamente accompagnato da vino e bevande ben fredd
https://www.mimmorapisarda.it/antiche/color/23.jpge e il pranzo si concludeva con ogni tipo di frutta estiva con a capo la tradizionale anguria tenuta ben ghiacciata da ore nella “ghiacciera”!
La cosa, comunque, meravigliosa, era la convivialità che, complice la vicinanza tra cabina e cabina, si stabiliva in modo del tutto naturale tra le famiglie: ogni giorno era una gara di scambi di “piatti della casa” accompagnati da minuziose ricette di famiglia!
Lo svolgersi della giornata sembrava seguire un rituale a cui nessuno poteva o voleva rinunciare. Dalla mattina, già all’apertura il lido aveva i suoi afecionados che lo popolavano fino …alla mezzanotte!
Spesso la sera, il proprietario del lido era costretto a suonare la sirena che annunciava la chiusura più e più volte!
Eh sì, la giornata balneare alla Plaia iniziava presto e finiva tardissimo, i bagnanti vivevano intensamente le loro ferie tra un bagno e l’altro e docce fredde (...non esisteva la doccia calda!), con interminabili giocate a tamburelli o a bocce; i più pigri giocavano a carte e la domenica, serata di ballo da “rotonda sul mare”!
E nel corso della stagione si proclamava, canonicamente, anche la “Miss Lido”!
I giovani flirtavano discretamente sotto l’occhio vigile di mamma e papà, ma ciò non impediva il nascere di grandi passioni clandestine vissute tra mille divieti e anche…qualche ceffone!
La comunicazione con l’innamorato/a restato a casa era legata al “telefono a gettone” e, spesso, si migrava da un lido all’altro vicinore, per tutelare la privacy, o meglio, eludere il controllo dei genitori!

Le canzoni d’amore, alias messaggi per gli innamorati…, non erano affidati a fb con la “canzone della vita” scaricata da youtube, ma venivano accuratamente (…e ossessionatamente) scelti dal jukebox di cui ogni lido era dotato.
Ma la serata clou era la notte di Ferragosto, quando, eccezionalmente, il lido restava aperto tutta la notte.


Già dal pomeriggio, mentre mamma e papà organizzavano una mega cena che coinvolgeva decine di famiglie con fiumi di piatti prelibati, i ragazzi si preparavano eccitati a vivere la festa più attesa dell’estate.
Nell’oscurità della notte le onde riflettevano i bagliori suggestivi degli innumerevoli falò accesi in riva al mare mentre le note dell’immancabile chitarra accompagnavano i canti dei giovani e la luna strizzava l’occhiolino agli innamorati che, per una sera, senza il controllo rigido dei genitori, si abbandonavano al loro amore…
E poi tutti in acqua per il classico bagno di mezzanotte!
L’alba trovava ancora in spiaggia adulti e ragazzi che attendevano di concludere la magica notte con lo splendido spettacolo dei meravigliosi colori del sole che sorge…
Storie d’altri tempi…storie dei miei anni perduti , quando bastava poco per essere felici, un romantico tramonto, un gavettone, scherzi assurdi, un bacio rubato ...Tutto contribuiva a rendere unici i tre mitici mesi di vacanze alla Plaia! Ah, dimenticavo: i miei ricordi si “collocano” nel favoloso lido “Arcobaleno”…

Agata Rizzo

 

 

 

 

La Plaja

Provenendo dal porto di Catania o all'opposto dalla provinciale Catania-Siracusa s'incontra la spiaggia della Plaja, che si estende per 18 chilometri lungo il viale Kennedy. La sabbia finissima, indorata d'estate dai raggi infuocati del sole, lambisce uno splendido mare dai colori intensi. Tutta l'area della Plaja è punteggiata dal verde di boschetti di pini marittimi. I lidi, che accolgono migliaia di catanesi e turisti, si susseguono ininterrottamente lungo il viale Kennedy. Vi sono anche l'Ente Fiera, campeggi, aziende agro-turistiche, alberghi, aree di ricreazione (bowling, ecc.), aree di ristoro, discoteche, nights.
Tutta l'area è interessata al Patto Territoriale di Catania Sud, già finanziato. Con la sua attuazione sarà creato un porto turistico, il viale Kennedy sarà trasformato in strada turistica e nascerrano nuovi ed avanzatissimi servizi ricettivi.
A sud della Plaja vi è il territorio delimitato come riserva naturale orientata Oasi del Simeto, un antico e vasto ecosistema palustre che comprende diverse zone umide, tra le quali quella di Agnone, Valsavoia e Pantano di Catania, ove tra la tipica vegetazione sostano numerosissime specie di uccelli migratori.

La Plaia (anche scritto come Plaja o, più comunemente, Playa), è per eccellenza la meta balneare e ricreativa più frequentata nel catanese durante il periodo estivo: con un'affluenza di migliaia di persone, tra catanesi, siracusani e turisti, la Playa offre una modesta quantità di stabilimenti balneari (comprendenti anche spiagge libere), svariati villaggi turistici ed acquapark, oltre ad alberghi e luoghi di ritrovo (in particolare discoteche) che si estendono lungo tutto il litorale.

Su un'area di circa 280 Kmq posta a nord-est delle spiagge, è presente il Boschetto della Playa, una macchia verde, frutto di un rimboschimento del periodo tra le due guerre mondiali, (oggi ecologicamente protetta, dopo un lungo periodo di degrado ed abbandono) costituita in gran parte da pini marittimi e trasformata in area attrezzata, che spesso ospita manifestazioni sportive agonistiche ed amatoriali.

A sud del litorale, invece, vi è un'area residenziale chiamata Villaggio Paradiso degli aranci, sede di una miriade di villette costruite, nella maggioranza dei casi, senza tener conto dei vincoli territoriali e ambientali della zona: molte delle abitazioni, di fatti, sono costruite a pelo d'acqua, ovvero a pochissimi metri dalle coste.

A giudizio di chiunque la visiti, la Playa rappresenta un'occasione perduta per la città: le sue sabbie dorate e la bellezza del mare avrebbero potuto trasformare quest'area in una vera e propria "riviera Romagnola" siciliana. Per questo motivo, sono stati effettuati numerosi tentativi di riqualificazione della zona, non ottenendo purtroppo tangibili miglioramenti.

In passato la Plaja, con il tipo di spiaggia particolare, favoriva, come oggi d'altronde, l'afflusso di famiglie con numerosa prole. I bambini, con quel mare così basso, erano al sicuro (però il salvagente era sempre meglio indossarlo, non si sa mai ... ), mentre per i giovani le solite cose: le partite a carte, quattro calci al pallone, le bocce, i tornei di tamburello, qualche tentativo di "piramide umana", la sbirciatina alla ragazza dell'ombrellone accanto...

 

Il popolo del Beach

di Marika Falsaperla (La Sicilia 14.7.2007)

Il mondo "beach" a Catania si chiama Plaja. Una spiaggia rimodulata secondo logiche più moderne e innovative, che tengono conto dei marketing territoriale e dei "bisogni" dell'utenza. Lungo gli itinerari sabbiosi etnei, c'è da dire che tra gli inquilini del nostro mare, finalmente si registra anche la presenza in massa dell'hinterland. E anche degli amanti delle onde, provenienti da provincie "asciutte", che prendono l'auto e s'imbarcano verso i nostri lidi, preferendoli ad altri, ben più quotati gli scorsi anni.

"C'è gran folla di bagnanti provenienti anche da Enna e Caltagirone spiega il presidente dei Sib, Giuseppe Saffè che prima preferivano spostarsi verso le zone di Gela o del Ragusano, e oggi invece stanno riscoprendo il nostro territorio".

Di certo, questo non rincuora e rimangono alcuni "vuoti" denunciati dalla categoria: ovvero la mancanza di flussi turistici, che a Catania sono ancora "mordi e fuggi" e che non aiutano gli imprenditori degli stabilimenti balneari, ad ammortizzare gli investimenti fatti negli ultimi anni per potenziare i servizi. Infatti questi ultimi hanno creato davvero strutture a 5 stelle, che però per esempio devono pagare l'alto prezzo dei parcheggiatori abusivi o della viabilità: basti pensare a viale Kennedy, che rimane ancora un'arteria dalle caratteristiche di strada a scorrimento veloce, ancora troppo lontana dall'essere quel Lungomare che tutti vorremmo. E la sera? l'illuminazione copre soltanto il primo chilometro. Un problema che vien fuori soprattutto quando esplode la movida estiva catanese, che ha visto di recente anche sbloccare il "nodo" degli orari predisposti dall'assessorato regionale al Territorio e Ambiente che fissava il limite orario dell'1,30 per l'espletamento di attività d'intrattenimento musicali all'interno dei lidi (e dei relativi nulla osta e autorizzazioni). "Nodo" sciolto grazie al decentramento dei controlli e alla sburocratizzazione delle procedure. Tali attività, come quelle relative alla somministrazione di alimenti, possono considerarsi di diretta fruizione dei mare secondo la stessa circolare e quindi compatibili se inseriti all'interno di un contesto balneare, in stretta relazione con la tipologia delle strutture, gli spazi occupati e la modalità di espletamento.

 

 

Litterio al Bowling della Plaja

 

Auh, sig. La Rosa, ddu zzaurdu di me cucino Affio l'autru iorno mi dissi: Litterio chiù tardu ti vegnu a trovu a casa ca ti debbo parlari.

Affio - ci ho detto io - guarda che io devo "studiari ppi l'esami". "Ma io ti devo parlari ppi fozza". "E va bene" - ci dissi - ..."se sto studiando... arrusbigghiami"... Lui doppo pranzo passò (voce del verbo passato) e si misi ncurtu (a cimicia) ca mi vuleva purtari ppi fozza o Bulinghi... Io cci ho detto: "Affio non cci vogghio venere prima di tutto picchì soddi non cci n'haiu, e poi non ci ho stato mai (La Rosa: semmai, ci sono stato... Litterio: picchì, ci vinni macari Lei?). "E ppoi non sacclu iucari"...

 Iddu m'arrispunnivu "Non ti preoccupari picchi mancu iù cci ho stato mai, ma è giustu pruvari". "Ma soddi non ci ne ho" - ci dissi iù-  "Non ti preoccupare ca te lo offro io,... pago iù."

Ora, sig. La Rosa, siccome io non sono un tipo profitterolo, mi pareva un poco male, ma iddu insistivu tantu ma proprio tantu ca alla fine accittai l'invito.

Pattemu do' paisi cu 'du gran machinuni, a me Fiat 600. A misi a motu, u tempu di cuarialla e pattemu. Sig. La Rosa, dda machina è n'saittuni, un fulimine! Tempu quattru-cinc'uri arrivammu o posteggiu ddo Bullinghi! Lassai dda gran machinuna davanti, ci misi i catini di sutta e di supra u cofanu, e ppi stari cchiu tranquillu vicinu u stezzu ci misi a'mmagginetta ca me fotografia cu l'occhi a pampinedda, unni ci scrissi "ppi ffavuri, non t'ha futtiri!" Poi ciccai o posteggiatori, s'avvicinau e ci dissi "Gioia affezzionato del mio cuore, t'arreuli cchi ti stai lassannu? E iddu, mi taliau e m'arrispunnui "cchi fa, a lassa cca o s'ha pigghia cchiu taddu?" Sig. La Rosa, era propriu lisciu!

Mhi! Comu trasemu nta stu bulinghi, sig. La Rosa, rumore di palli ca arrotolavano annavanti, in un'altra fascia c'era una specie di saia con le palle ca turnavano annarreri, palli 'nda l'aria ca calavano girando per tutte le parti, insomma sig. La Rosa, era tutto un giramento di palle. Quantu paaalliii, sig. La Rosa, palli di tutti i colori, palli dure, ma dure ca si ponu abbiare, sbattiri comu voli, insomma non su palli che si possono rompere quelle... picchì ogni palla aveva tre buchi portusi.

 

 

Appena trasemu, ci fù unu ca pigghia mi chiamau e mi fa: "scusi le scappe".. "No, guardi non mi scappa affatto pecchè ho fatto due gocce precise prima di calari do paisi". Allora quello mi fa "ma signore vi dovete cambiare le scarpe, prego!". Sig. La Rosa chista fu a prima mala comparsa; allora subito mi ho scusato dicennici "cci deve scusari ma è che siamo primaioli, voglio dire mai ngignati per il bulinghi," e ni desunu mparu di scarpi a l'unu... scarpi a colori, belli, tipo anni trenta... Cincumila liri!!!! signor La Rosa, su s'accattari scarpi issi ddocu ca su boni e costunu picca!.

Appena me cucinu Affio si livò i scarpi pari ca scoppiò a guerra chimica, cci fù un curri curri generali: cu scappau a destra, cu scappau a sinistra, appunu a telefonare a chiddi da disinfestazione comunali; oh lu bestia! Nde peri cci aveva a stampa de scarpi ca pari ca non si l'ava livato mai.

Inveci, sig. La Rosa, quannu mi livai i scarpi iù, ciauru di carnuzza tenira, di neonato, un profumo ca s'allargaru i pommoni. A signurina da cassa di prima mi taliavu ntrigna,  mi canciai i scarpi e iemu pi pigghiari a palla.

Sig. La Rosa, cormi pigghiai a palla m'accorsi (voce del verbo accorrere) ca cci aveva dei buchi portusi, io però non sapevo e non capivo come ci dovevo nficcari i ita nde purtusa anche perché i ita su cinque e i purtusa erunu tri, e perciò mi assuppicchiavunu due ita e ho accominciato a ncaccari i ita, insomma vaio ppe tirare, sig. La Rosa, a palla mi partì annarreri ca cci fu u curri curri generali, e meno male ca non n''cagliai a nuddu. In quel momento preciso ddu zzaurdu di me cucinu Affio ca si aveva ncaccatu benissimo i ita ndei purtusa và ppi abbiari (voce del verbo abbaiare) a palla, partivu e iddu s'accorse ca ci avava arrestato 'aneddu intra u purtusu..., pigghia e partivu a peri appressu a palla, ppi acchiapparla; sciddicavu, cascò nda pista affianco, a panza sutta, longu longu, cchi iammi aperti mentri arrivava una Palla ca pareva na cannonata, u ncagghiau ndegli organi genitori sottostanti e u trascinau nsino ndei birilli, fici STRIKE, su risucavu nda machina e dal quel mumento non si hanno notizie.

lo, sig. La Rosa, ca circava di nficcarici i cinque ita nde tri pirtusa pensai "ma non cridu ca cci su palli cu cinque pirtusa" perciò lassu na palla e vaiu pi pigghiarini un'altra; a quel momento preciso luvanu a luci, picchì a una certa ora ndo Bulinghi abbassano i luci picchi comincia il disco-bulinghi, perciò al buio c'era un cretino assittato vicinu unni arrivano i palli... chistu era un metro e deci, completamenti tignusu. Sig. La Rosa, 'cu ddu scuru scanciai a so testa ppa palla ci inficcai un jtu nda ucca e dui ndo nasu e accuminciai a tirari deciso; mi movevo tutto, bello ccu na bella sciolta, picchì lei u sapi che di corpo vado bene. Doppu dda mala cumparsa di Affio mi volevo dare un convegno di chiddu ca cci a fa troppu forti, così acchiappu a chistu, u tirai nda pista e ho fatto Strike e mi desunu... venti punti a mia e deci a iddu... nda testa!
Nel Bulinghi successi il parapiglia e il bello è ca non ci posso entrare più picchì all'entrata ci misunu a foto di mia e di du zaurdu di me cucinu e c'è scritto "Attenti a quei due".

 

https://www.facebook.com/PeopleOfCatania?fref=ts

 

 

 A nord-est delle spiagge catanesi si trova il Boschetto della Plaia, oggi area ecologicamente protetta dopo un lungo periodo di degrado ed abbandono. In gran parte il boschetto è costituito da pini marittimi e eucaliptus e negli anni è stato trasformato in un area attrezzata che spesso ospita manifestazioni sportive e amatoriali. Presente anche un'area riservata ai bambini situata accanto ad un laghetto artificiale.
La pineta è un residuo dell'opera di forestazione degli antichi romani, che usavano questo legno per costruire le loro navi.
"Un buon intervento di recupero, ha trasformato un area abbandonata, in un parco pubblico fruibile e frequentato".

IL MITICO TAMBURELLO

Quella del tambeach è nata come attività prettamente estiva, periodo durante il quale vengono svolti vari tornei tra i diversi lidi presenti nella litoranea catanese, i cosiddetti INTERLIDI. Si tratta di incontri avvincenti tra le coppie più forti presenti sul territorio che offrono uno spettacolo straordinario, sostenuti a gran voce da un pubblico calorosissimo e sempre più numeroso.

Il tambeach prevede un campo di gioco su sabbia lungo 24 metri e largo 10 metri; la rete divisoria è alta 2,35 metri e la palla usata è quella tipica da tennis. La partita viene affrontata da 2 coppie di giocatori, tra le quali vince chi arriva prima a 21 punti.

 

 

Durante la stagione invernale gli atleti continuano a svolgere i loro allenamenti e i tornei in modalità "indoor", incontrandosi all'interno di palazzetti sportivi, dove le regole del gioco e le misure del campo si mantengono invariate rispetto al tamburello giocato in spiaggia.

Il tamburello dunque, al pari di ogni altro sport, è un momento di aggregazione tra giovani e meno giovani, contribuendo allo sviluppo di uno stile di vita sano e allo stesso tempo alla crescita degli atleti, che imparano a far fronte a un sano spirito di competizione sportiva. E' proprio a tal proposito che la scuola del tamburello catanese si presenta sempre pronta e aperta ad un confronto sportivo con atleti di altri Paesi o Nazioni, al fine di dare sempre più spazio a nuovi e giovani talenti.

 

clicca qui per l'Attività alla Plaja di Catania

 

 

 

 

 

 

a cura della LEGAMBIENTE CATANIA

http://www.legambiente.sicilia.it/documenti/simeto/riserva%20simeto.htm

A sud della città di Catania, attorno alla foce del Simeto, esistono alcune zone umide di estremo interesse naturalistico e paesaggistico. Esse rappresentano una piccola parte delle aree palustri che in passato si trovavano nella piana di Catania. Gran parte di questi ambienti fanno oggi parte della riserva naturale "Oasi del Simeto", istituita nel 1984 dalla Regione Siciliana al fine di incrementare le condizioni per la sosta e la nidificazione della fauna e la conservazione ed il ripristino della vegetazione delle dune e delle zone umide.

A partire dalla metà degli anni '70 alcuni speculatori edilizi, favoriti dalla compiacente inerzia delle amministrazioni comunali, iniziarono a lottizzare vaste aree a ridosso delle zone umide site nei pressi della foce del Simeto. I villaggi abusivi sorsero lungo la costa ed a stretto contatto con le zone umide, alcune delle quali furono prosciugate per far posto ad intere lottizzazioni.
L'abusivismo edilizio continuò negli anni '80 anche dopo l'istituzione della riserva naturale. Le poche demolizioni, riguardanti quasi tutte strutture in cemento o baracche, sono avvenute soltanto dopo pressanti denunzie delle associazioni ambientaliste.

Nonostante queste aggressioni, l'interesse naturalistico delle zone umide dell'area protetta è ancora molto alto e sono possibili interventi che restituiscano dignità ad un'area di estremo interesse naturalistico nel bacino del Mediterraneo. In tale ottica l'eliminazione degli agglomerati abusivi che risultano incompatibili con la tutela e la gestione della riserva, una parte minoritaria sul totale delle costruzioni, si rende indispensabile sia per ripristinare le condizioni naturali a fini naturalistici e paesaggistici e consentire la corretta fruizione, sia per gli inaccettabili disturbi alla fauna e la distruzione della vegetazione delle dune determinati dalla massiccia presenza di persone nel periodo estivo.

Uno degli ambienti più importanti della riserva è costituito da un ampio meandro che il fiume Simeto formava immediatamente prima della foce. La rettificazione del tratto terminale separò dal nuovo corso questo meandro, oggi denominato vecchia ansa del fiume Simeto, che tuttavia è sopravvissuto grazie alla falda sotterranea. A nord di questo meandro è presente un vasto canneto ove trovano rifugio migliaia di uccelli.

Lungo la costa si trovano alcuni stagni retrodunali di acqua salmastra, noti come "salatelle"; alcuni di essi sono temporanei mentre altri sono permanenti. A sud della foce del fiume Simeto è presente un esteso stagno denominato lago Gornalunga. Esso è oggi alimentato dal canale Benante mentre un tempo costituiva la foce del fiume Gornalunga, adesso affluente del Simeto. Questo stagno accoglie un notevole numero di uccelli durante tutte le stagioni e presenta attorno alle sue sponde un vasto salicornieto. Inoltre, numerosi acquitrini stagionali si formano nel periodo invernale in varie parti della riserva. Estesi salicornieti si rinvengono nelle aree che si allagano in alcuni periodi dell'anno ed attorno ai pantani salmastri. Tra le altre specie di questo ambiente vanno citate la salicornia perenne (Sarcocornia perennis) ed il limonio (Limonium angustifolium). In prossimità delle aree umide si riscontra frequentemente l'Inula crithmoides.

L'interesse naturalistico dell'area della foce del Simeto è accresciuto dagli ultimi residui di dune sabbiose costiere. Anche in questo caso ciò che oggi rimane non è paragonabile con il vasto sistema di dune della Plaia di Catania, esteso per tutto il litorale sabbioso del golfo di Catania, con una larghezza di circa due chilometri e con dune alte sino a 8 metri. Le bonifiche prima e la speculazione edilizia dopo, hanno purtroppo determinato lo spianamento della massima parte delle dune.

Tra le specie vegetali delle coste sabbiose è possibile riscontrare nelle parti più vicine alla battigia le pioniere Salsola kali, Cakile aegyptiaca, Xantium italicum. Seguono le dune embrionali caratterizzate, tra le altre specie, da Agropyron junceum e dal giglio di mare (Pancratium maritimum). L'ammofileto, il cui nome deriva da Ammophila arenarea, un tipo di vegetazione che si insedia sulle dune più mature, è presente in maniera sporadica a causa degli interventi antropici. Lungo le sponde della vecchia ansa, nella golena del Simeto e nelle vaste aree retrodunali sono presenti esemplari, anche arborei, di tamerici (Tamarix africana e T. gallica). Un bosco ripario a salici è oggi confinato in un'area alla confluenza dei fiumi Gornalunga e Simeto.

L'avifauna che oggi è possibile osservare nel tratto terminale del fiume e nelle zone umide è ancora molto ricca grazie alla notevole varietà di ambienti presenti (corsi d'acqua dolce, acquitrini, stagni salmastri, boscaglia, campi coltivati ecc.), sebbene non possa essere paragonata per quantità e varietà a quella presente alcuni decenni orsono; ciò non soltanto per le trasformazioni avvenute nell'area di foce ma anche per la scomparsa dei vasti ambienti umidi che la circondavano: il Pantano di Catania, il Biviere di Lentini e le paludi del Celsari.

Nella riserva sono state censite numerosissime specie di uccelli, molte delle quali estremamente rare. Alcune nidificano nelle zone umide o lungo il tratto terminale del fiume mentre altre sostano soprattutto durante i periodi di passo. Tra gli uccelli acquatici o legati agli ambienti acquatici nidificano il Tuffetto (Tachybaptus ruficollis), il Tarabusino (Ixobrynchus minutus), la Sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides), l'Airone cenerino (Ardea cinerea), il Germano reale (Anas platyrhynchos), il Porciglione (Rallus aquaticus), la Gallinella d'acqua (Gallinula chloropus), la Folaga (Fulica atra), il Cavaliere d'Italia (Himantopus himantopus), il Corriere piccolo (Charadrius dubius), il Fratino (Charadrius alexandrinus), il Martin pescatore (Alcedo atthis), l'Usignolo di fiume (Cettia cetti), la Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus), il Beccamoschino (Cisticola juncidis) e il Pendolino (Remiz pendulinus). Di estremo rilievo è la presenza della Moretta tabaccata (Aythya nyroca).

Oltre alle specie citate come nidificanti si possono osservare negli specchi d'acqua lo Svasso maggiore (Podiceps cristatus), lo Svasso piccolo (Podiceps nigricollis), il Cormorano (Phalacrocorax carbo), la Volpoca (Tadorna tadorna) e diverse specie di anatre: Codone (Anas acuta), Mestolone (Anas clypeata), Marzaiola (Anas querquedula), Alzavola (Anas crecca), Fischione (Anas penelope), Canapiglia (Anas strepera), Moriglione (Aythya ferina), Moretta (Aythya fuligula). Tra gli Ardeidi negli acquitrini e nei salicornieti è facile incontrare l'Airone cenerino e la Garzetta (Egretta garzetta) mentre l'Airone rosso (Ardea purpurea) e la Sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides) prediligono ambienti con una vegetazione più fitta. Sempre negli acquitrini e nei salicornieti si può avvistare la Spatola (Platalea leucorodia), l'Albastrello (Tringa stagnatilis), la Pettegola (Tringa totanus), l'Avocetta (Recurvirostra avosetta), il Piviere dorato (Pluvialis apricaria), la Pivieressa (P. squatarola) e, talvolta, anche il Mignattaio (Plegadis falcinellus) e il Fenicottero (Phoenicopterus ruber). Tra i rapaci è facile avvistare il Falco di palude (Circus aeruginosus). Alle foci e presso la spiaggia, ma anche in acquitrini, si incontrano diversi limicoli: Piovanello tridattilo (Calidris alba), Piovanello pancianera (C. alpina), Piovanello (C. ferruginea), Gambecchio (C. minuta), Beccaccino (Gallinago gallinago), Pittima reale (Limosa limosa), Combattente (Philomachus pugnax), Piro piro boschereccio (Tringa glareola), Piro piro piccolo (T. hypoleucos), Piro piro culbianco (T. ochropus). La Pavoncella (Vanellus vanellus) è presente nei prati umidi e nei campi coltivati. Alla foce, negli stagni salmastri ed anche in mare si rinvengono diverse specie di gabbiani e di sterne: Gabbiano reale (Larus argentatus), Zafferano (L. fuscus), Gabbiano roseo (L. genei), Gabbiano corallino (L. melanocephalus), Gabbianello (L. minutus), Gabbiano comune (L. ridibundus), Mignattino (Chlidonias niger), Mignattino alibianche (C. leucopterus), Beccapesci (Sterna sandvicensis). Nei canneti, oltre a Cannaiola, Usignolo di fiume e Porciglione si rinviene il Forapaglie (Acrocephalus schoenobaenus).

Tra i Rettili va ricordata la Testuggine d'acqua (Emys orbicularis) la cui presenza è stata accertata nel lago Gornalunga.

Tra gli invertebrati è importante la presenza di specie legate alla costa sabbiosa. Nella battigia si trovano alcune specie di piccoli Crostacei Anfipodi ed Isopodi. Nella zona di duna vera e propria sono presenti diverse specie di Insetti che presentano esclusivi adattamenti ecologici e comportamentali all'ambiente delle dune. Tra queste ricordiamo i Coleotteri Carabidi Scarites laevigatus e S. buparius; il primo si rinviene nella fascia più prossima al mare mentre il secondo presente tipicamente nell'area delle dune. Alcune cavallette, quali Acrotylus longipes e Sphingonotus candidus personatus, presentano una colorazione molto simile a quella del substrato sabbioso. Il cicalone (Brachytrupes megacephalus), un grosso grillo dal canto potente, oggi in rarefazione a causa dell'antropizzazione e del notevole calpestio delle dune determinato dai numerosi frequentatori dei villaggi abusivi, è invece abbondante in alcune aree retrodunali.

 

 

Nell'edificio della Vecchia Dogana sorgerà un centro polifunzionale.

Farà da cerniera tra la città e una parte del Porto di Catania. Di più: sarà il fulcro, il principale polo d'attrazione del Porto, sia
per la città sia per i turisti. 

Questo l'obiettivo con cui sono appena iniziati i lavori di ristrutturazione dell'edificio della Vecchia Dogana, che porteranno alla
creazione di un Centro polifunzionale, dedicato ad attività di carattere ricreativo, culturale e commerciale, per un Porto tutto "da vivere".

"La funzione di questa struttura spiega il presidente dell'Autorità portuale di Catania Santo Castiglione sarà importantissima in vista della realizzazione del Waterfront, cosi come previsto dal Piano regolatore portuale proposto al Comune di Catania e da maggio 2004 al vaglio del Consiglio comunale". L'Autorità portuale etnea ha portato a compimento l'iter che permetterà di ristrutturare l'edificio rosso della Dogana, risalente al 1800, ormai fatiscente e in buona parte dichiarato inagibile.

"Sin dal giorno del mio insediamento, sottolinea Castiglione, ho cercato di avviare tutte le procedure necessarie per avere la riconsegna della struttura, edificio demaniale dato in concessione dal Ministero alla Dogana. Attraverso una serie di accordi con l'Agenzia delle Dogane di Palermo e di Catania, siamo riusciti nel nostro intento.

 

L'intervento di ripristino della struttura prevede una spesa complessiva di oltre 8 milioni di euro, dei quali la metà a carico di soggetti privati, 610 mila a carico dell'Autorità portuale con fondi propri e 3 milioni a carico del Pit Città Metropolitana.

"Abbiamo, scelto la strada di partnership con il privato prosegue il presidente dell'Autorità portuale etnea non soltanto perché la valenza dell'investimento ci consente di risparmiare risorse pubbliche. ma anche perché la gestione privata. preceduta da un'apposita selezione pubblica, garantisce una migliore utilizzazione degli spazi, una maggiore efficienza del servizio offerto nel rispetto dei tempi ristretti..

 

 

 

La Port Authority ha individuato delle risorse del Pit, di concerto con il Comune e la Regione, grazie al quale sono stati stanziati 3 milioni di curo. Il concessionario dei lavori, la Spa Vecchia Dogana dovrà adesso rispettare un cronogramma ben preciso, pena la revoca dei finanziamenti, che prevede la conclusione dei lavori a ottobre 2008.

Un primo importante tassello verso l'apertura del porto alla città e della città al porto. Tra gli interventi previsti dal Piano regolatore portuale relativi al Waterfront, un grande giardino pubblico, che collegherà Porta Uzeda alle banchine, e la realizzaizone di un nuovo quartiere, sulla banchina di riva del Porto Nuovo, dove ci saranno spazi museali, espositivi, attività ricettive, di ristorazíone, commerciali, ludiche, legate al mare, al tempo libero e al turismo.

 

 

 

 

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti

www.guardiacostiera.gov.it/catania - telefono: 0957474111

ORDINANZA N. 26/2016  SICUREZZA BALNEARE

Il Capo del Compartimento e del Circondario Marittimo di CATANIA:

Visti gli articoli 30, 68, 81, 1164 e 1231 del Codice della Navigazione, approvato con R.D. 30 marzo 1942, e l’articolo 59 del relativo Regolamento di esecuzione - Parte Marittima - approvato con D.P.R. 15 febbraio 1952, nr.328, con riferimento alle attribuzioni del Comandante del Porto e Capo del Compartimento Marittimo e la deroga all’uopo prevista dall’articolo 8 della Legge 8 luglio 2003, n.172;

Vista la Legge nr.147/1989 recante la "Adesione alla convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, con annesso, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979, e sua esecuzione" e il relativo Regolamento di attuazione approvato il DPR nr.662/1994;

Vista la Legge 8 luglio 2003 n°172 "Disposizioni per il riordino ed il rilancio della Nautica e del turismo nautico", ed in particolare l’art. 8 secondo cui "In deroga all'articolo 59 del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 1952, n. 328, le ordinanze di polizia marittima concernenti la disciplina dei limiti di navigazione rispetto alla costa sono emanate dal capo del compartimento marittimo.";

Visto l’articolo 32 dello Statuto speciale della Regione Siciliana approvato con R.D.L. nr. 455/1946, con riferimento ai beni del demanio dello Stato esistenti in Sicilia e dell’attuale quadro ordinamentale in materia di competenze Stato-Regioni, così come risultante, tra l’altro, a seguito della Legge costituzionale nr.3/2001 recante "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione", dall’articolo 6, comma 7, della Legge nr. 172/2003, della Legge Regionale nr.15/2005 e delle successive circolari applicative discendenti dalle norme citate;

Visti il Decreto Legislativo n°171 del 18 luglio 2005 recante il "Codice sulla Nautica da Diporto ed attuazione della Direttiva 2003/44/CEE, a norma dell’art.6 della legge 8/7/2003 n°172" ed il relativo Regolamento di attuazione, approvato con Decreto Ministeriale del 29.07.2008 n°146;

Vista la Circolare n. 1/1.1.26/10888/9.92 della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2.5.2001 recante linee guida per la redazione dei testi normativi;

Visti il Decreto Ministeriale Decreto 9 Novembre 2004 ed il Decreto dell’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente n. 85 del 14 Marzo 1984, con i quali sono stati istituiti, rispettivamente, l’Area marina protetta delle Isole Ciclopi e la Riserva naturale "Oasi del Simeto";

Visti il Decreto Ministeriale 26 gennaio 1960 (così come modificato dal Decreto Ministeriale 15.7.1974), rubricato "Disciplina dello sci nautico";

Viste le più recenti Direttive del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in materia di razionalizzazione dei controlli di sicurezza di routine sulle unità da diporto (di cui, da ultimo, la nr. 193/2015), nelle quali si dispone, tra l’altro, che i Capi di Compartimento Marittimo provvedano ad emanare apposita Ordinanza di polizia marittima per disciplinare i limiti di navigazione rispetto alla costa, con particolare riferimento alla distanza dalla costa, oltre il limite della acque riservate ai bagnanti, entro la quale la navigazione deve svolgersi a velocità non superiore a 10 nodi e, comunque, con gli scafi in dislocamento;

Viste le più recenti linee di indirizzo emanate dal Comando Generale per le stagioni estive (di cui, da ultimo, il dispaccio prot. nr.62711 in data 28.5.2015) nelle quali si evidenzia, tra l’altro, la necessità di standardizzare i contenuti delle Ordinanze di sicurezza balneare, compatibilmente con le specificità locali;

Vista la Circolare del Comando Generale prot. nr.82/22468 del 3.4.2002, con cui è stata trasmessa una Ordinanza standard di Sicurezza balneare a cui ispirare i provvedimenti locali;

Viste le Circolari del Comando Generale prot.nr.09.01/30387 del 28.06.2005 e prot. nr. 02.01.04/31678 del 30.03.2006, recante linee di indirizzo per l’impiego delle moto d’acqua ai fini dell’assistenza ai bagnanti "…quale utile integrazione ai mezzi nautici di tradizionale utilizzo.";

Vista la Circolare del Comando Generale prot.nr.02.01.04/34660 del 7.4.2006, recante linee di indirizzo per la regolamentazione degli aspetti di sicurezza del servizio di salvamento, a cui uniformare le Ordinanze di Sicurezza balneare;

Vista la Circolare del Comando Generale prot.nr.02.02/36855 del 13.4.2006, inerente l’utilizzo di salvagenti tipo "flotter" e "a ferro di cavallo con maniglie bodyguard";

Vista la Circolare del Comando Generale prot.nr.02.01/13413 del 8.2.2007, nella quale si evidenzia, tra l’altro, l’opportunità della "istituzione lungo le coste con presenza di spiagge e bassi fondali, di una fascia di rispetto - dell’ampiezza di 50 metri - oltre la zona di mare riservata ai bagnanti (…in cui sia…ndr) limitato l’ingresso sia ai bagnanti e ai sub sia alle unità che navigano a motore";

Vista la Circolare del Comando Generale prot.nr. 40802 del 13.05.2013 inerente "…l’opportunità di introdurre l’obbligo del nuotatore di munirsi del segnalamento previsto per l’attività subacquea o – in subordine – di indossare una calottina colorata per rendersi maggiormente visibile";

Vista la Circolare del Comando Generale prot.nr. 91792 del 24.10.2013, inerente l’opportunità di un’azione di coordinamento fra le Autorità Marittime, affinché le Ordinanze di Sicurezza balneare "...siano improntate ai principi di omogeneità ed univocità...";

Vista la Circolare del Comando Generale prot.nr.02.02.70/29121 del 29.3.2014 secondo cui, anche in forza di quanto disposto dal Decreto del Ministero della Salute del 18.3.2011, la presenza del defibrillatore all’interno degli stabilimenti balneari è una "collocazione ottimale" e quindi consigliata e la circolare del Ministero della Salute prot. nr.13917-P-20 del 20.5.2014 recante disposizioni sul rilascio dell’autorizzazione all’impiego del defibrillatore semiautomatico esterno (DAE);

Vista la Circolare del Ministero della Salute prot. nr.18981-P-20 del 20.03.2012 in cui, con riferimento alla somministrazione di ossigeno da parte dei bagnini, si ritiene che sia "… consentito a personale non medico, in assenza di un parere medico, somministrare ossigeno esclusivamente in situazioni di emergenza senza incorrere nell’esercizio abusivo della professione

medica,…" prescrivendo la necessaria disponibilità di un "Saturimetro arterioso" tra gli strumenti di base per la gestione di tali emergenze;

Vista la Legge nr.17/1998 della Regione Siciliana recante la "Istituzione del servizio di vigilanza e salvataggio per le spiagge libere siciliane";

Visto il Decreto Dirigenziale n°476 del 01/06/2007 emanato dal Dirigente generale del Dipartimento Territorio ed Ambiente dell’Assessorato Territorio ed Ambiente della Regione Siciliana, recante le norme di utilizzo delle spiagge e delle strutture balneari e il D.D.G. nr.707 del 06.10.2010, che ne estende l’applicazione indistintamente a tutto il pubblico demanio marittimo della Regione Siciliana;

Visto il Decreto Dirigenziale del 2 marzo 2016, emanato dal Dirigente generale del Dipartimento attività sanitarie ed osservatorio epidemiologico dell’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana "Stagione Balneare 2016", recante gli specchi acquei interdetti alla balneazione ed i limiti temporali della stagione balneare 2016 (1 aprile – 31 ottobre);

Vista la propria Ordinanza di Sicurezza balneare nr. 34/2012 in data 11.05.2012;

Vista la propria Ordinanza nr. 47/2015 in data 14.07.2015, disciplinante l’attività di noleggio/diving, nonché l’impiego e la condotta di unità da diporto e natanti da spiaggia, nelle acque territoriali prospicienti il compartimento marittimo di Catania;

Vista la propria Ordinanza n°115/2009 in data 23.09.2009, che istituisce lo schema di separazione del traffico per le navi in uscita/ingresso dal porto di Catania;

Visto la sentenza Cass. 15/02/2011 nr.3713, "…Pertanto, la norma dell'art.1164 CN, che sanziona l'inosservanza di disposizioni di legge o regolamento, e di provvedimenti legalmente dati dall'autorità competente in relazione all'uso del demanio marittimo, deve interpretarsi nel senso che la violazione sussiste anche nel caso di inottemperanza di prescrizioni imposte ai concessionari per la sicurezza, l'integrità o la salute delle persone fisiche.";

Ravvisata la necessità di disciplinare gli aspetti relativi alla sicurezza della navigazione, dei bagnanti nonché degli utenti in genere – posti in capo a questa Autorità Marittima – in quanto direttamente connessi all’utilizzazione del demanio marittimo;

 

ORDINA

CAPO I

NORME GENERALI

Articolo 1 - Oggetto e campo di applicazione

1. La presente Ordinanza di sicurezza balneare disciplina le attività marittime, con particolare riferimento a quelle turistico-balneari, ai fini della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita umana in mare.

2. Salvo diversa e specifica indicazione, la presente Ordinanza si applica durante la stagione balneare, così come definita dalla Regione Siciliana1 e riguarda le seguenti zone del pubblico demanio marittimo:

 Zona di mare antistante il litorale compreso fra la foce del fiume Simeto e la foce del fiume Alcantara (Compartimento Marittimo di Catania);

 Litorale compreso fra la foce del fiume Simeto ed il tratto costiero del comune di Acireale (Circondario Marittimo di Catania).

1 Al momento della emanazione della presente Ordinanza, inizio il 1 Aprile e termine il 31 Ottobre, ai sensi del D.D.G. n.476/2007, citato in premessa, come modificato dal D.D.G. 2 marzo 2016 "Stagione balneare 2016" dell’ Assessorato Regionale alla Salute.

Articolo 2 - Definizioni

1. Ai fini della presente Ordinanza si applicano le seguenti definizioni:

PT.1. ASSISTENTE BAGNANTI (O BAGNINO DI SALVATAGGIO)

Persona fisica dotata di idoneo brevetto (M.I.P.) in corso di validità rilasciato o dalla Società Nazionale di Salvamento (S.N.S.) o dalla Federazione Italiana Nuoto (F.I.N.) o dalla Federazione Italiana Salvamento Acquatico (F.I.S.A.).

PT.2. COSTA

Tutto il litorale in cui non è vietata la balneazione.

PT.3. TITOLARI DI STRUTTURE BALNEARI

Chiunque gestisce, a qualunque titolo, strutture attrezzate destinate alla balneazione, anche con ingresso gratuito (stabilimenti balneari, aree attrezzate per la balneazione, spiagge libere attrezzate, solarium e similari), insistenti sul demanio marittimo o in aree private ubicate sulla costa;

PT.4. COSTE A PICCO

Coste rocciose alte, a strapiombo sul mare, non dotate di strutture finalizzate all’accesso degli utenti al mare e la cui spiaggia sottostante, se esistente, è raggiungibile solo con mezzi nautici. Sono esclusi dalla definizione i tratti di costa interessati da Ordinanze di interdizione per pericolo di crolli franosi.

PT.5. DISTANZA DALLA COSTA

Distanza esistente rispetto al punto di litorale geograficamente più vicino, indipendentemente dalla direzione.

PT.6. FRONTE MARE

Distanza esistente, in linea retta, fra i punti lateralmente più esterni all’area, ove ricade la struttura balneare.

PT.7. PICCOLI NATANTI SENZA PROPULSIONE MECCANICA

Natante da spiaggia privo di motore o di qualsiasi altro sistema di propulsione o movimento diverso dalla forza umana.

Sono esclusi gli scooter acquatici, jet e propulsori acquatici e similari, surf, kite-surf, wind-surf, fly board, jetlev flyer, tutti i galleggianti trainati direttamente o indirettamente da motori meccanici, banana boats, tavole a motore e simili.

CAPO II

LIMITI DELLA NAVIGAZIONE E DELLA BALNEAZIONE

Articolo 3 – Zona di mare riservata ai bagnanti

1. La zona di mare compresa entro la distanza di 200 metri dalla costa e di 100 metri dalle coste a picco, così come definite all’articolo 2, pt.4, è destinata esclusivamente alla balneazione, negli orari stabiliti dal competente Servizio Regionale2.

2 Al momento della emanazione della presente Ordinanza trattasi del D.D.G. n.476/2007 dell’Assessorato Territorio ed Ambiente citato in premessa che prevede, come orario, quello compreso fra le ore 09.00 e le ore 19.00.

Articolo 4 – Segnalamenti nella Zona di mare riservata ai bagnanti

1. All’interno della zona di mare di cui all’articolo 3, i titolari delle strutture balneari ed i comuni per le spiagge libere (fatte salve le deroghe di cui all’articolo 15) assicurano l’apposizione dei seguenti segnalamenti, mediante gavitelli ancorati saldamente al fondo:

a) La zona di mare riservata ai bagnanti (articolo 3) è segnalata con gavitelli di colore rosso, alti almeno 40 centimetri sulla superficie del mare, posti parallelamente alla linea di costa, a distanza non superiore a 50 metri l’uno dall’altro ed in corrispondenza delle estremità del fronte mare (comunque in numero non inferiore a 2). Se il fronte mare è compreso fra 50 e 100 metri, la segnalazione è realizzata con 3 gavitelli equidistanti. È fatto divieto di utilizzare sagole galleggianti per il collegamento fra i gavitelli ed il corpo morto.

Il significato dei gavitelli rossi è inserito nel cartello di cui all’articolo 10, co. 3, con la seguente dicitura: "Gavitelli rossi: limite acque riservate alla balneazione - Red buoys: safe water limit for swimming - Bouées de couleur rouge: limite des eaux réservées uniquement à la baignade".

I titolari delle strutture balneari hanno facoltà di posizionare i gavitelli a 150 metri qualora, a 200 metri dalla costa, vi sia una elevata altezza dei fondali, previa comunicazione all’Autorità Marittima. In tal caso, sui gavitelli posti agli estremi del fronte mare, sono fissate delle bandierine di colore rosso e nella comunicazione è precisata l’altezza del fondale presente a 200 metri dalla costa. Sono fatti salvi i divieti per le unità navali di cui all’articolo 5;

b) Il limite delle acque sicure, corrispondente alla distanza dalla costa dove il fondale raggiunge la profondità di 1,60 metri, entro il quale possono bagnarsi i non esperti al nuoto, è segnalato mediante gavitelli o galleggianti di colore bianco posizionati, parallelamente alla costa, collegati da una cima ad intervalli non superiori a 5 metri. I gavitelli/galleggianti posti all’estremità sono saldamente ancorati al fondo.

Il significato dei gavitelli bianchi è inserito nel cartello di cui all’articolo 10, co. 3, con la seguente dicitura: "Gavitelli bianchi: limite acque sicure (1,6 mt di fondale) – White buoys: safe water limit (depth 1.60 metres) - Bouées de couleur blanc: limite des eaux sûres (profondeur 1,60 mètre)."

Se le coste sono a declivio molto rapido e le acque sicure terminano prima di 10 metri dalla battigia o se l’ingresso in acqua alta avviene attraverso strutture artificiali, il limite non è segnalato e, in prossimità della battigia, è apposto un cartello, in almeno tre lingue (italiano/inglese/francese), riportante la dicitura "ATTENZIONE – PERICOLO – ALTI FONDALI - balneazione non adatta ai bambini non accompagnati ed ai non esperti al nuoto - WARNING - DANGER - DEEP WATER - swimming not suitable for unaccompanied children and inexperienced swimmers - ATTENTION - DANGER – EAU PROFONDE – la baignade ne convient pas pour les mineurs non accompagnés et les nageurs non expérimentés";

c) I corridoi di lancio sono segnalati con le modalità di cui all’articolo 14.

Articolo 5 – Divieti particolari per le unità navali

1. Sono vietati il transito, la sosta, l’ormeggio e l’ancoraggio a tutte le unità a vela o a motore (compresi scooter acquatici, jet e propulsori acquatici e similari, surf, kite-surf, wind-surf, fly board, jetlev flyer, tutti i galleggianti trainati direttamente o indirettamente da motori meccanici, banana boats, tavole a motore e simili), a distanza inferiore a 300 metri dalla costa e a 100 metri dalle coste a picco. I conduttori delle unità che sostano/ormeggiano/ancorano in prossimità del limite adottano le misure necessarie affinché l’azione del vento e della corrente non causi l’ingresso nell’area vietata.

2. Sono esclusi dai divieti di cui al comma 1:

a) le unità militari e delle forze di polizia, per le unità di soccorso e per i mezzi impegnati in servizio di campionamento delle acque ai fini della balneabilità (D.P.R. n.470/1982), che siano chiaramente riconoscibili come tali attraverso le previste insegne, in funzione delle esigenze strettamente connesse all’attività istituzionale in corso;

b) i piccoli natanti senza propulsione meccanica (vedasi definizione all’articolo 2, pt.7);

c) tutte le unità esclusivamente all’interno dei corridoi di lancio (se presenti e conformi a norma dell’articolo 14).

3. Nelle ipotesi di cui al comma 2, all’interno dell’area riservata alla balneazione, la navigazione avviene con assoluta prudenza ed alla massima distanza possibile dai bagnanti presenti. Le unità adottano tutte le misure necessarie affinché il passaggio venga opportunamente segnalato.

4. Le moto d’acqua hanno l’obbligo di navigare a non meno di 400 metri di distanza dalla costa.

5. Ai sensi dell’articolo 91 del Decreto nr. 146/2008 citato in premessa, tutte le unità navali devono mantenersi ad una distanza non inferiore a 100 metri dai segnali di posizionamento dei subacquei.

6. Per quanto non espressamente disciplinato nella presente Ordinanza, relativamente alla navigazione da diporto si rimanda all’Ordinanza nr. 47/2015 in data 14.07.2015, citata in premessa.

Articolo 6 – Limiti alla navigazione entro 1000 metri dalla costa

1. Nella zona di mare compresa tra i 300 metri ed i 1000 metri di distanza dalle spiagge e tra i 100 metri ed i 500 metri dalle coste a picco, tutte le unità navigano con gli scafi in dislocamento ed a velocità non superiore ai 10 nodi.

 

2. Sono escluse dalla prescrizione di cui al comma 1 le unità di cui all’articolo 5, comma 2, lett. a), con le precauzioni indicate nel medesimo articolo.

Articolo 7 – Divieti ed obblighi a carico dei bagnanti

1. La balneazione è vietata per tutto l’anno solare:

a) all’interno dei porti fino a 100 metri misurati dall’imboccatura e dai fanali di ingresso in tutte le direzioni, nonché nella zona di mare antistante il porto di Catania, rientrante nello "Schema di separazione del traffico", ivi compresa "la zona di precauzione", di cui all’Ordinanza 115/2009 del 23/09/2009, citata in premessa;

b) fuori dai porti, in prossimità di punti d’ormeggio, passerelle, moli fissi o galleggianti, (se utilizzati per l’attracco di unità navali di qualsiasi natura) e dagli scivoli/rampe/ scali di alaggio (durante l’utilizzo), per una distanza di 50 metri;

c) nelle rade/zone di ancoraggio;

d) a meno di 200 metri dalle navi commerciali alla fonda;

e) all’interno dei corridoi di lancio conformi ed opportunamente segnalati;

f) a meno di 10 metri dalle unità che si avvalgono della deroga di cui all’articolo 5, comma 2, lett. a);

g) in corrispondenza delle foci dei fiumi e dei torrenti, fino a 50 metri dalla costa;

h) a meno di 200 metri da insediamenti industriali che prelevano/scaricano acqua in mare. I punti di prelievo/scarico sono opportunamente segnalati dai titolari degli insediamenti, attraverso cartellonistica monitoria posta in prossimità dell’inizio del divieto;

i) a meno di 200 metri da impianti di itticoltura e mitilicoltura;

2. I nuotatori, fuori dalle acque riservate alla balneazione, utilizzano i segnalamenti previsti per le attività subacquee o indossano una calottina rossa.

3. Fatti salvi divieti specifici, in prossimità delle coste a picco sul mare e delle falesie è vietata la sosta, il transito e qualsiasi attività che comporti la permanenza di mezzi, persone e/o cose, a meno di 10 metri dal ciglio e a meno di 10 metri dal piede, alla base, e, comunque, in tutte le zone ove siano presenti accumuli di materiale franato.

CAPO III

EROGAZIONE DEL SERVIZIO DI SALVAMENTO

Articolo 8 - Servizio di salvamento - generalità

1. I titolari di strutture balneari hanno l’obbligo di assicurare il servizio di salvamento, nei giorni e negli orari di apertura al pubblico.

2. L’accordo fra diversi stabilimenti balneari limitrofi per assicurare il servizio di salvamento è preventivamente comunicato all’Autorità Marittima, che ha facoltà di dettare specifiche prescrizioni sulle sue modalità di erogazione.

3. Le risorse umane e strumentali impiegate nel servizio di salvamento, svolto a qualsiasi titolo, costituiscono articolazione specialistica censita nell’ambito della locale pianificazione SAR con la quale vige l’obbligo di collaborazione.

4. Ai fini di cui al comma 3, i titolari di strutture balneari sottoscrivono una dichiarazione, come da Allegato 1. La dichiarazione è resa prima dell’apertura al pubblico o, comunque, dell’avvio del servizio di salvamento ed aggiornata, senza ritardo, in caso di modifiche al personale impiegato nell’assistenza ai bagnanti, intercorse dopo la presentazione.

5. In caso di operazioni di soccorso effettuate dagli assistenti bagnanti dipendenti, il titolare della struttura balneare è responsabile di informare tempestivamente la Guardia Costiera dell’evento a mezzo telefono. In caso di redazione di rapporto di incidente (comunque chiamato) previsto dall’associazione che ha emesso il titolo di abilitazione dell’assistente, lo stesso viene trasmesso all’Autorità Marittima senza ritardo e comunque entro 24 ore.

6. Ad integrazione del servizio di salvamento ordinario, di cui ai commi precedenti, è possibile organizzare, nel rispetto dell’igiene e della salute pubblica, un servizio di salvataggio che preveda l’impiego di unità cinofile, munite di idoneo brevetto.

Il servizio di salvataggio mediante unità cinofile è effettuato dalla coppia conduttore-cane. Ogni conduttore dell’unità cinofila deve essere munito di brevetto di assistente bagnanti (art.2, co.1, pt.1).

L’attivazione e le modalità di erogazione del servizio di cui al presente comma sono preventivamente comunicate all’Autorità Marittima, al Comune ed all’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) competente, che hanno facoltà di dettare, all’uopo, specifiche prescrizioni.

Articolo 9 - Servizio di salvamento - assistenti bagnanti

1. Il servizio all’interno delle strutture balneari è assicurato contemporaneamente da non meno di due assistenti bagnanti, fino a 160 metri di fronte mare. Se il fronte mare è superiore, è impiegato un ulteriore assistente bagnanti ogni 80 metri o frazione3.

2. Il servizio di salvamento è assicurato, inoltre, per ogni piscina presente all’interno della struttura balneare, con personale distinto da quello addetto al salvamento in mare, secondo le modalità dettate dalla Regione Siciliana. Se la piscina è chiusa al pubblico, i titolari delle strutture balneari curano che ne sia precluso l’accesso in maniera idonea.

3. Gli assistenti bagnanti di cui al comma 1 non possono essere distolti dal servizio svolto, impiegati in altre mansioni o in luoghi diversi da quelli di competenza, come indicati all’art. 12 comma 1 lett. a). Ogni postazione è sempre vigilata da almeno un assistente bagnanti.

3 Ad esempio:

 da 160 a 239 metri di fronte mare sono impiegati 3 assistenti bagnanti;

 da 240 sino a 319 metri di fronte mare sono impiegati 4 assistenti.

Articolo 10 - Postazioni degli assistenti ai bagnanti – caratteristiche e dotazioni

1. Le postazioni degli assistenti bagnanti sono realizzate, a cura dei titolari delle strutture balneari, su idonee piattaforme di osservazione sopraelevate rispetto al livello del mare di almeno 2 metri e collocate in prossimità della battigia ed in posizione tale da permettere la migliore visibilità dell’intero specchio acqueo di competenza, sormontata da un ombrellone di colore rosso.

2. Le postazioni di salvataggio sono indicate da apposito pennone sul quale è issata una delle seguenti bandiere, a cura degli assistenti bagnanti, su disposizione del titolare della struttura balneare o dell’Autorità Marittima:

a) bandiera bianca: indicante la regolare attivazione della postazione;

b) bandiera gialla: indicante pericolo minimo dovuto alle condizioni meteo-marine e obbligo di chiusura degli ombrelloni in presenza di raffiche di vento;

c) bandiera rossa: indicante balneazione pericolosa per qualsiasi motivo fra cui le condizioni meteo-marine e l’assenza del servizio di salvamento (fuori dagli orari di erogazione obbligatoria del servizio). In caso di utilizzo della bandiera rossa vengono, inoltre, emanati avvisi con gli altoparlanti (se presenti) o con il megafono in dotazione all’assistente bagnanti.

 

3. Presso ogni struttura balneare sono affissi, all’ingresso e presso ogni postazione di salvataggio, cartelli in almeno tre lingue (italiano/inglese/francese), indicanti il significato dei gavitelli di cui all’articolo 4, co.1, lett. a-b e delle bandiere di segnalazione di cui al comma 2, con le diciture di seguito elencate:

 Bandiera bianca: tempo buono e regolare attivazione della postazione - White flag: good weather conditions, lifeguard on duty - Drapeau blanc: beau temps et surveillance assurée.";

 Bandiera rossa: balneazione pericolosa per avverse condizioni meteomarine o per assenza del servizio di salvataggio. Pericoloso l’uso dei natanti e divieto di noleggio di mosconi, pedaloni, tavole a vela e simili - Red flag: danger, for swimming due to bad weather and/or sea conditions or no lifeguard on duty. No boating and no use of rubber dinghies; no hiring of rafts, pedal boats, windsurf boards or similar – Drapeau rouge: baignade dangereuse en raison des mauvaises conditions météorologiques et maritimes ou en raison de l’absence de surveillance. L'utilisation des engins de plage, des planches à voile et similaires est dangereuse";

 Bandiera gialla: causa forte vento, divieto di mantenere aperti gli ombrelloni - Yellow flag: strong wind. It is forbidden to have beach umbrellas open - Drapeau jaune: en raison du vent fort, il est interdit de garder ouvert les parasols".

4. Ogni postazione di assistente bagnanti è dotata delle seguenti dotazioni immediatamente disponibili all’uso:

a) 1 binocolo;

b) 1 maschera e snorkel;

c) 1 paio di pinne da salvamento (o mezze pinne);

d) 1 megafono;

e) 1 rullo, fissato su palo alla terra ferma, con 200 metri di sagola galleggiante, all’estremità della quale è assicurato un salvagente anulare o un rescue can o un rescue tube;

f) casco di protezione e calzature antiscivolo per ogni assistente bagnante (solo se la costa di cui è composto il fronte mare è costituita, anche parzialmente, da superficie rocciosa).

Articolo 11 - Mezzo nautico adibito al salvataggio

1. Presso ogni struttura balneare o spiaggia libera è assicurata la presenza di un pattino di salvataggio, di colore rosso, recante su entrambi i lati la scritta "salvataggio" o simili. L’unità in nessun caso è destinata ad altri usi.

 

2. Il mezzo è posizionato direttamente sulla battigia o comunque in modo tale che una sola persona sia in grado, all’occorrenza, di vararlo tempestivamente a mano. Nel caso di litorale roccioso o che comunque non permetta una collocazione idonea, il mezzo è posizionato direttamente in acqua.

3. Il pattino, quando è attivo il servizio di salvamento, è tenuto sempre armato (con remi e scalmi) ed è dotato di:

a) un salvagente anulare munito di una sagola galleggiante lunga almeno 25 metri;

b) un mezzo marinaio/gaffa;

c) un’ancora.

4. Fatto salvo l’obbligo di cui al comma 1, è facoltà del titolare della struttura balneare utilizzare una moto d’acqua, ad integrazione del pattino, quale unità adibita esclusivamente al soccorso e previa autorizzazione dell’Autorità Marittima, che ha facoltà di dettare, all’uopo, specifiche prescrizioni circa le modalità di utilizzo, il personale impiegato e le dotazioni.

Articolo 12 – Obblighi specifici in capo agli assistenti bagnanti

1. L’assistente bagnanti, fatti salvi gli obblighi in capo ai titolari delle strutture balneari, rispetta le seguenti prescrizioni, rispondendo personalmente delle violazioni4:

a) staziona nelle aree di competenza: sulla postazione, sulla battigia o, in mare, sul pattino di salvataggio, fermo restando l’obbligo di cui all’art. 9 comma 3;

b) porta sempre con sé, se si allontana per qualsiasi motivo dalla postazione di salvataggio, il rescue can o il rescue tube o il salvagente anulare;

c) indossa una maglietta/canotta con la scritta SALVATAGGIO, di colore in contrasto allo sfondo e con lettere di altezza proporzionata, affinché sia possibile la lettura a distanza non inferiore ai 20 m, ed il fischietto;

d) posiziona le dotazioni di cui all’articolo 10 in modo tale che siano immediatamente disponibili nei luoghi previsti dalla presente Ordinanza e cura che il mezzo nautico adibito al soccorso sia armato, opportunamente posizionato e dotato delle attrezzature necessarie ai sensi dell’articolo 11;

e) issa una bandiera sul pennone della postazione con le modalità di cui all’articolo 10.

4 In solido con il Titolare della struttura balneare o con il Comune nelle spiagge libere, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, della Legge nr.689/1981.

Articolo 13 – Altre dotazioni della struttura balneare

1. Ogni struttura balneare, oltre a quanto indicato negli articoli precedenti, è dotata di:

a) salvagenti anulari di tipo conforme alla normativa sulla navigazione da diporto, con sagola galleggiante lunga almeno 25 metri, posizionati in prossimità dei due estremi del fronte mare della struttura balneare, sulla battigia;

b) idonee sistemazioni antincendio nel rispetto della normativa vigente;

c) apposito locale adibito al primo soccorso, presso cui è disponibile:

 una cassetta di pronto soccorso, conforme alla normativa vigente, anche di tipo portatile, aggiuntiva rispetto alla dotazione obbligatoria di cui al Decreto del Ministero della Salute n. 388 del 15/07/2003 in materia di primo soccorso aziendale;

 3 bombole individuali di ossigeno con capacità non inferiore ad un litro ciascuna; riduttore di pressione per bombola di ossigeno completo di selettore di flusso con regolazione litri/minuto e attacco a presa ossigeno per le bombole tradizionali ricaricabili (le bombole monouso non necessitano di riduttore di pressione); saturimetro arterioso;

 3 cannule orofaringee per la respirazione artificiale, di cui una per bambini;

 mascherine per respirazione bocca a bocca;

 pocket-mask per respirazione bocca - naso - bocca;

 1 apribocca a vite o sistema similare;

 1 pinza tiralingua;

 1 barella;

 Un pallone "ambu" o altra apparecchiatura riconosciuta equipollente dalle Autorità Sanitarie.

2. È facoltà dei titolari di strutture balneari assicurare la presenza di un defibrillatore fra le dotazioni rispettivamente dello struttura balneare e della spiaggia libera. Se tale facoltà viene esercitata, i Titolari di strutture balneari hanno l’obbligo di impiegare, fra il proprio personale, un soggetto autorizzato all’impiego del defibrillatore semiautomatico esterno (DAE), secondo le norme vigenti.

Articolo 14 - Corridoi di lancio

1. I corridoi di lancio sono aree posizionate perpendicolarmente alla costa, riservate al transito delle unità attraverso la zona riservata alla balneazione.

2. I corridoi hanno le seguenti caratteristiche:

a) Larghezza non inferiore a metri 10 e profondità pari a 300 metri dalla costa (fatto salvo quanto previsto dal comma 3 per i kite-surf);

b) delimitazione costituita da gavitelli di colore arancione o giallo collegati da sagola non galleggiante ad intervalli non superiori a 15 metri nei primi 100 metri di distanza dalla costa e, successivamente, ad intervalli di 50 metri o frazioni;

c) segnalazione delle imboccature a largo, mediante bandierine bianche poste sui gavitelli esterni di delimitazione;

d) segnalazione sulla costa con cartello idoneo riportante la dicitura "corridoio di lancio riservato al transito delle unità – divieto di balneazione – no swimming in this area - reserved for boats chenal d’accès réservé aux bateaux- baignade interdite"

3. Ad integrazione di quanto previsto al comma 2, lett. a), i corridoi di lancio impiegati per il transito dei kite-surf hanno una larghezza non inferiore a 40 mt in corrispondenza della costa e non inferiore a 100mt alla distanza di 100mt dalla costa, come da schema esemplificativo sotto-riportato. Sono fatte salve le altre caratteristiche indicate al comma 2. La partenza ed il rientro avvengono con la tecnica del body drag (farsi trascinare dall’aquilone con il corpo in acqua) fino ad una distanza di 100 mt dalla costa.

4. Le unità percorrono i corridoi di lancio esclusivamente per raggiungere la fascia di mare ove è consentita la navigazione o per rientrare a terra. La navigazione è effettuata con la massima prudenza, a lento moto e, per le unità a motore, con velocità non superiore a 3 nodi

5. E’ fatto divieto di ormeggio/ancoraggio all’interno dei corridoi di lancio ed, esternamente agli stessi, ai relativi gavitelli di segnalazione. È consentita la sosta all’interno per il tempo strettamente necessario a consentire l’imbarco/sbarco in sicurezza delle persone dirette/provenienti da terra.

6. L’onere di installare i corridoi di lancio grava in capo ai seguenti soggetti, previa acquisizione del necessario titolo concessorio/autorizzativo:

a) titolari di strutture balneari, se effettuano attività di noleggio/locazione o uso di unità d’appoggio per i praticanti di immersioni subacquee, a scopo sportivo o ricreativo;

b) titolari di autorizzazione per attività di trasporto passeggeri, noleggio o diving da/per spiagge e/o isole, per finalità turistiche, fatti salvi gli adempimenti previsti dall’Ordinanza nr. 47/2015 in data 14.07.2015, citata in premessa.

Articolo 15 – Obblighi e facoltà dei Comuni costieri sulle spiagge libere

1. I Comuni costieri, sulle spiagge libere (costa, art.2, pt.2), assicurano il servizio di salvamento con le modalità di cui ai precedenti articoli 8, 9, 10, 11 e 12 ed appongono le segnalazioni delle zone marittime previste dall’articolo 4, comma 1, lett. a) e b).

2. I Comuni, se non garantiscono il servizio di salvamento e la segnalazione delle zone di mare di cui all’articolo 4, co.1, lett. a)-b), provvedono all’apposizione di idonea segnaletica monitoria riportante i seguenti avvisi:

ATTENZIONE

balneazione non sicura per mancanza di apposito servizio di salvataggio – swimming not safe. no lifeguard - baignade dangereuse à cause de manque de service de secours approprié;

limite acque interdette alla navigazione non segnalato – safe water boundary not marked - limite des eaux interdites à la navigation non signalée;

limite acque sicure (profondità 1,60 metri) non segnalato – safe water limit (depht 1,60 meters) not marked - limite des eaux sûres (profondeur 1,60 mètre) non signalée;

I Comuni verificano l’integrità della segnaletica nel corso della stagione balneare e provvedono, se necessario, al ripristino/sostituzione della stessa.

3. I Comuni hanno facoltà di installare corridoi di lancio sulle spiagge libere, fatta salva la previa acquisizione dei necessari titoli autorizzativi/concessori da parte della Regione Siciliana.

4. I Comuni curano l’apposizione di idonea segnaletica per avvisare del divieto di cui all’articolo 7 comma 3 (pericoli in prossimità delle coste a picco e falesie).

CAPO IV

DISPOSIZIONI FINALI

SEZIONE 1 – Altri divieti

Articolo 16 - Disposizioni particolari per la pesca

1. Il presente articolo detta prescrizioni per l’esercizio della pesca sportiva e professionale, vigenti nei giorni e negli orari definiti dalla Regione Siciliana5 per la balneazione. Si rimanda, per la disciplina integrale della materia, alla normativa vigente fra cui, in particolare, il D.P.R. nr.1639/68.

2. È vietato l’esercizio di qualsiasi tipo di pesca dalla costa o da natanti all’interno dell’area riservata alla balneazione. Eventuali deroghe sono concesse per manifestazioni sportive, preventivamente autorizzate secondo legge e disciplinate da apposite Ordinanze.

3. E’ vietato attraversare l’area riservata alla balneazione con fucile subacqueo carico (anche se in immersione).

4. Per l’intero anno solare la pesca è vietata nelle zone dove vige il divieto di balneazione, a norma dell’articolo 7.

5 Al momento della emanazione della presente Ordinanza, dal 1 aprile al 31 ottobre, dalle 09 alle 19, ai sensi del D.D.G. n.476/2007 dell’Assessorato Territorio ed Ambiente, così come modificato dal D.D.G. del 2.3.2016 ("Stagione balneare 2016") dell’Assessorato della Salute della Regione Siciliana.

Articolo 17 – Altri divieti vigenti durante la stagione balneare

1. Nel corso della stagione balneare è inoltre vietato:

a) Decollare/atterrare sulla costa e nella zona di mare riservata alla balneazione, fatte salve le aree all’uopo specificamente destinate e previa emanazione dei necessari provvedimenti amministrativi, con qualsiasi tipo di aeromobile o velivolo da diporto o sportivo (inclusi ultraleggeri e deltaplani), idrovolante, paracaduti (anche ascensionali) e mezzi similari;

b) Sorvolare le spiagge e la zona di mare fino a 1000 metri dalla costa con qualunque tipo di aeromobile, a quota inferiore a 300 piedi (1000 metri).

SEZIONE 2 – Divulgazione e norme procedurali

Articolo 17 - Entrata in vigore

1. La presente Ordinanza entra in vigore immediatamente ed abroga la precedente Ordinanza di Sicurezza balneare n. 34/2012 in data 11.05.2012, citata in premessa. Ogni eventuale richiamo a precedenti Ordinanze trascritto sulla segnaletica monitoria esistente e non ancora aggiornata, si intende riferito alla presente Ordinanza.

Articolo 18 - Obbligo di affissione

1. La presente Ordinanza è esposta dai titolari di strutture balneari all’ingresso delle strutture turistico-balneari, delle strutture destinate alla nautica da diporto ed all’interno dei negozi di articoli di pesca e nautico-sportivi siti nei Comuni del Circondario Marittimo, a cura dei responsabili, in formato 70x100 cm (all.3).

Articolo 19 - Sanzioni e diffide

1. In caso di violazione di una delle prescrizioni di cui al Capo III, il titolare di strutture balneari, fatte salve le sanzioni previste, è tenuto a:

a) adottare tutte le misure necessarie al ripristino delle condizioni di sicurezza, con immediatezza;

b) issare la bandiera rossa sulla postazione del bagnino, sino al ripristino delle condizioni di sicurezza;

CATANIA LÌ 27 MAGGIO 2016

F.TO IL COMANDANTE

CA (CP) Nunzio MARTELLO

 

Locali e ristoranti degli anni '50

da A Catania con amore

Nel centro strettamente urbano, in quel periodo, anni '50 '60, i ristoranti e i locali notturni scarseggiavano preferendo i catanesi, nottambuli e peri Ionghi, spostarsi fuori città per la cena e i canonici "quattro salti". La meta preferita rimaneva sempre Taormina ("Sesto Acuto", "La Giara", "Le Palmare", quest'ultimo gestito da un personaggio particolare, Fritz Mitzghler, che fra l'altro partecipò ad un film, "La paura", e che diresse alla fine il "Santa Tecla"), ma molti rimanevano ancorati alla vecchia tradizione del "Virtus" di Acireale, famosissimo ritrovo anche negli anni a venire. In città viveva solo un night per pantofolari ed era ubicato a Villa Manganelli (ma sul retro, con ingresso da via Ramondetta, sarebbe poi sorto il "Mon Club" frequentato anche da giovani e che fu l'antesignano delle  tante discoteche di oggi.

Ma oltre che a Taormina e ad Acireale, erano in tanti che passavano le loro serata a "La Cisterna", gestione Fiorito, che poi si chiamò "Cirano" (Piano Tremestieri) o alla "Moana" (S. Agata Li Battiati) in cui si effettuavano scandalo, scandalo! i primi spogliarelli.

 


Era prassi anche andare, per chi non desiderasse allontanarsi troppo, sulla riviera di Acicastello (e Acitrezza, naturalmente) dove sorgeva "Al Castello" che fece epoca ed era gestito dai fratelli Vitale, night club in cui vennero ad esibirsi i maggiori cantanti e complessi dell'epoca; locale che in seguito gestì il povero Gino Vento e che durò solo qualche stagione. 
Naturalmente sulla più vicina riviera furoreggiavano il "Selene", "Costa Azzurra", "Pagano a mare" (ricordo un cameriere di sala molto attivo: Mariano Grisalva) ancora oggi, anche se con gestioni cambiate, sempre vivi..

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Si parla del cambiamento del clima, stagioni che non sono più quelle di una volta,  Primavere che arrivano in ritardo ed estati che non sono estati.

Una volta non vedevamo l’ora che arrivasse, l’estate. Quelle di oggi, invece, ci fanno rimpiangere la stagione fredda e non ti invogliano a far niente, ti sfiancano. Forse è il nostro corpo, troppo abituato all’aria condizionata, che non riesce più a sopportare certe temperature. Ma una volta non era proprio così e per questo i miei ricordi di bambino riferiti all’estate sono stati sempre di 26 gradi al massimo.

Chi non se le ricorda le estati dell’infanzia? Io ne ricordo una bellissima, ero ancora un bambino e avevo quasi dieci anni.

Invidio chi è vissuto in quegli anni, fantastici anni, perché li ha visti proprio in diretta. Era importante esserci e vivere di persona quella rivoluzione sociale, musicale e culturale, dove passavano per radio capolavori come Wight is wight, San Francisco, Yellow river, Eloise, Mellow yellow, Whinchester cathedral, I’m coming home oppure sfacciate cover come "I cant let maggie go" che diventava "Un angelo blu", "White shade of pale" che diventava "Senza luce", "So happy together" che diventava "Per vivere insieme".

 

La concorrenza televisiva consisteva soltanto nelle Stelle che stavano a guardare del primo canale contro una Figlia del capitano nel secondo canale. Firenze veniva allagata dall’Arno, Luigi Tenco si toglieva la vita a Sanremo; l’Italia di Fabbri perdeva il mondiale con la Corea e Benvenuti diventava campione del mondo; i Colonnelli si impossessavano della Grecia e  Israele stroncava l’Egitto in sei giorni. Barnard eseguiva il primo trapianto di cuore e Che Guevara, Martin Luther King e Bob Kennedy venivano assassinati; al cinema proiettavano Easy rider, Il laureato e 2001 Odissea nello spazio e la Nasa aveva già messo a punto il computer che avrebbe guidato l’uomo sulla luna: oggi non sarebbe utile nemmeno per far funzionare il solitario di Windows!

Purtroppo arrivò anche il Vietnam, che portò (fra i pochi regali) la consapevolezza che davanti ai Palazzi si poteva anche protestare; il vento del movimento studentesco del ’68 cominciava a soffiare, le prime Facoltà erano già occupate e nelle aule prive di banchi si bivaccava e si cantava Blowind in the wind con un’arma micidiale che si chiamava chitarra.

Ma i soldati americani, un giorno, li vedemmo davvero. Un pomeriggio di settembre un mezzo anfibio approdò nel porticciolo di Acicastello facendo sbarcare dei marines in attesa di essere avviati a Sigonella per poi, da lì, farli partire per il Vietnam. Noi bambini andammo di corsa, incuriositi di vederli finalmente dal vivo perché questi erano veri, in carne ed ossa e non di plastica! Imbambolati come davanti a un presepe, osservammo in silenzio tutti i loro movimenti e tutte quelle cose viste soltanto nei film in Tv: tute mimetiche, elmetti, scatolame, ecc. Tutto ci sembrava enorme, dagli scarponi ai pantaloni, dai loro piedi alle loro mani, dai loro Ray-Ban alla loro voce. Tutto ci sembrava bello, ai nostri occhi sembravano degli eroi, ma quei ragazzi stavano probabilmente andando a morire per una guerra che non apparteneva a loro e che non volevano.

Come in un noto film di Coppola, fra i fiumi della giungla del sud est asiatico quei soldati ascoltavano musica fra la puzza del Nepal, e non era quella beat che stava quasi sparendo, ma quella migliore dell'ultimo millennio: il periodo compreso tra il 1967 e il 1972. 

E quasi incosciente di tutto quel ben di Dio musicale e culturale che mi gravitava attorno, io che facevo? Ero impegnato a cercare la figurina di Pizzaballa (introvabile) in cambio di cinque figurine di Altafini! Cose da pazzi! La musica? Macchè! I miei gusti musicali erano la sigla di Braccobaldo Show e la colonna sonora della Nonna del Corsaro nero! Però, però…. qualcosa stava accadendo, quelle note erano troppo melodiose e facevano capitolare chiunque. Erano le prime avvisaglie di quanto, invece, la musica sia poi diventata una cosa importante nella mia vita, con la complicità di qualcun'altro.

Proprio in quel periodo, alla fine degli anni Sessanta, in famiglia gestivamo un ritrovo nella riviera catanese dove c’era una grande rotonda sul mare. La chiamavano la Fossa dei serpenti.

Al suo ingresso, sulla piazza del paese, c’era un semplice e sottile neon color lilla dove c’era scritto "Danze", semplicemente Danze. Si entrava dal cancelletto e poi, per le scale, si scendeva giù fino al mare, fino a quella rotonda con il bar e i tavolini all'aperto a due passi dal mare.

Ogni pomeriggio, a tutta la nipotaglia veniva offerto un cono-gelato gigante. Ci mettevano tutti in fila (abbastanza cunnuteddi) davanti al banco dell'esercizio in piazza e ad ognuno di noi porgevano un cono gelato accompagnato da un invisibile messaggio: "per tutta la sera non fatevi vedere - non chiedete più niente fino a domani - non rompete i coglioni e fateci lavorare - stop!".

Verso sera arrivavano le band, o i complessi come si chiamavano una volta. Sopra avevamo i "Rangers 67", tutti vestiti con una giubba rossa lucida, e suonavano i successi italiani: Caselli, Pavone, Berti, Fontana, Celentano, Morandi, Carosone, Dino, Paoli, ecc.. ma sotto… sotto, in rotonda, c’erano i Provos: cinque studenti che ingaggiò mio padre per quella stagione. E i Provos, lì sotto, facevano tutt’altra musica! Sapevano che alla gente piaceva ballare con una canzone di Fred Bongusto a due metri dal mare oppure ascoltarla seduti con un pezzo duro davanti, ma sapevano anche che in quel periodo una nuova ondata di strane e dolci melodie stava rivoluzionando il mondo. Consapevoli che loro stessi appartenevano a quello strano "prurito" planetario, ogni tanto desideravano far sapere agli altri come stava cambiando la musica fuori dai confini nazionali. Il risultato? Il maresciallo dei vigili ci chiedeva ogni sera di abbassare il volume su “Reach out i'll be there” e i Rangers67 rimasero a suonare da soli su in piazzetta di fronte al famoso forno per pizze con la bocca di Polifemo! Nella stagione ci furono anche degli avvicendamenti, altrettanto scatenati: The Runaways (i fuggiaschi, o fuggitivi) e solo dopo appresi il motivo delle loro giacche bianco e blu, simili a quelle dei carcerati.

E così questi Provos, tutti vestiti di bianco, fra "Pugni chiusi", "Cinque minuti e poi" e "Pregherò", dal loro repertorio tiravano fuori "La tua immagine" dei New Dada, cantata per metà in italiano e per metà nella versione originale, ma anche "The sound of silence" di Simon & Garfunkel, e poi …o "Lady Jane" o "Yesterday" .. e tante, tante altre. Per me erano diventati un mito ed ogni sera li aspettavo con ansia…. qualcosa stava cominciando a friccicarmi dentro.

I ragazzi che venivano la sera da noi erano, per lo più, occhialuti studenti catanesi inconsapevoli che quella magia stava per contribuire, da lì a poco, a far nascere tanti figli dei figli dei fiori. Complici un’inebriante brezza marina che entrava nelle loro narici fino a stordirli, dolci e ammalianti note e una luna che, oltre al mare, illuminava anche dichiarazioni d’amore sussurate fra il collo, la guancia e un Fa diesis.

Ogni sera, dopo aver provato, la band andava a cenare e mi lasciavano da solo a guardia degli strumenti ancora coi jack collegati dicendomi (senza speranza): "Mimmo, mi raccomando, dai un occhio.". Ma non c’era verso. Già a quel tempo rimanevo affascinato da tutto quel luccicante ben di Dio: chitarre con i colori più sgargianti, organi elettrici, amplificatori, enormi microfoni ecc.. Quella capannina fatta con le canne e illuminata da affascinanti neons blu, rossi, verdi, gialli che si accendevano e spegnevano quasi come in un albero di Natale, era per me troppo allettante. Appena i musicisti andavano via prendevo le bacchette, mi accomodavo alla batteria tutta madreperlata e cominciavo a tormentare i tamburi; e poi passavo all’organo Farfisa, e poi pizzicavo le chitarre elettriche Eko, e poi e poi e poi…….. Da lontano, il batterista Lucio detto "Ringo", si sentiva tranquillo perchè sentendo suonare (suonare?) il suo rullante sapeva che qualcuno, anche se quasi li distruggeva, controllava gli strumenti. Pur se devastatore e inconcludente, per me quello fu il primo contatto con la musica.

Una sera li mandai in tilt. Avevano poggiato una chitarra sul retro della capannina dimenticando di disattivare lo strumento dall’impianto. Stavano cantando Homburg e a un certo punto della canzone si guardarono tutti in cagnesco: "Ma chi è che sta sbagliando gli accordi? C’è qualcosa che non va, com’è possibile?". Non si erano accorti che sul retro, mentre loro suonavano, io stavo armeggiando con quella chitarra, sballando tutto il resto della canzone! Ero terribile, un vero rompiballe!

Oggi mi sarei perduto fra quelle note invece di perder tempo a giocare al pallone di notte coi miei cugini. Una notte, dopo aver mandato in frantumi qualche lampione nella piazza antistante, il pallone rotolò troppo ma troppo lontano e andai a recuperarlo fino ad avvicinarmi alla ringhiera affacciata sul golfo dei Ciclopi, verniciata con l’azzurro del mare sottostante. Sudato, infreddolito per il gelo della notte e col pallone sotto l’ascella sentivo alcuni suoni provenienti dai locali che non avevano ancora chiuso. Dalla costa vicina, il Lido dei Ciclopi, sentivo "Yyeeeaaahhh!, i tuoi occhi sono fari abbaglianti….", cantata da un ragazzo inglese che si faceva chiamare Mal dei Primitives; e poi un’altra: "il tuo diario che sempre riempivi, solo con ciò che faceva piacere a chi di notte l'andava a vedere… piccola…", cantata da uno sconosciuto complessino che stranamente si faceva chiamare col nome dell’orsetto protagonista dei libretti che leggevo nel pomeriggio: Pooh!

Come avrei voluto avere vent’anni allora. Mi consola il fatto di averli vissuti almeno di riflesso e per questo mi considero un privilegiato. Io c’ero! (anche se il mio contributo è stato solo quello di rompere almeno tre grancasse dei Provos). Ma mi sono rifatto, col tempo ho recuperato tutto quello che mi sono perso. Con tutto quello che stava accadendo come avrei potuto sentire caldo nell'estate del '67? Anzi, c’era fin troppo fresco con quei venti portatori di nuovi entusiasmi!

Ma anche le cose belle finiscono. Quello fu l'ultimo anno della mitica Fossa dei Serpenti. Le balere e le rotonde sul mare cominciarono a far posto alle cantine e ai centri sociali; stavano per nascere i mega-raduni della musica come quelli all’isola di Man e quello a Woodstock; la Bussola e il Pyper venivano sostituiti dai Palazzetti e dai Teatritenda e certi barbuti giovanotti cominciavano a riprendere il discorso che aveva appena iniziato Tenco.

Già nel ’68 la rotonda, in senso di pista da ballo, non c'era più; veniva utilizzata come piattaforma balneare di un piccolo stabilimento. Più nessuno andava a ballare sul mare perché si preferivano le chiuse e buie discoteche. Il colpo di grazia lo ebbe nel 1972 con una mareggiata che le portò via il novanta per cento del suo pavimento, lasciandole soltanto una mezza luna a forma di falce. La sezione PCI del posto ne approfittò subito per verniciarla di rosso, dipingendole accanto un martello! L’ultima volta che ho calpestato i suoi resti fu una ventina di anni fa. Come tanti altri catanesi ci sono andato a pescare, e mentre lanciavo il mulinello sentivo i gabbiani volteggiarmi intorno in cerca di esca e di pesce; e il loro gracchiare era un canto di fantasmi in quella rotonda che non c’è più. Un canto che sembrava quasi un arpeggio simile all’inizio di "The boxer", la sigla di apertura dei favolosi Provos, oggi tranquilli signori in pensione.

Mimmo Rapisarda.

 

La "Dolce vita" di Taormina

di Gianni Nicola Caracoglia

Chico Scimone, l'inventore siciliano del night club e della night life, racconta gli anni d'oro quando nella cittadina le star erano di casa.

"Ok ya, quelli erano proprio altri tempi". L'accento yankee dà subito l'idea del personaggio Francesco Scimone, da tutti conosciuto come Chico, musicista e nightclubber ante-litteram, porta dentro di sè un modo di concepire la vita e il divertimento molto vicino allo stardom di chiara matrice americana. E non a caso, visto che Chico gli Usa li conosce bene in quanto vi ha vissuto a lungo - tra Boston e New York - e dove ha incamerato a pieni polmoni l'aria gaudente e un po' viziata del night club.

Esperienza vissuta a partire dal 1928, a soli diciassette anni, tra gestione di locali e big band di jazz e che Chico ha pensato bene di trasferire anche nella sua Taormina quando vi ritornò nel 1953, aprendo la Giara, uno dei locali che in Sicilia, diventarono sinonimo per antonomasia di divertimento notturno. Anni, quelli, in cui la località turistica più famosa dell'isola viveva una parentesi di dolce vita che poco o nulla aveva da invidiare alla capitale.

E in linea con i tempi, l'anno dopo il ritorno in patria, Scimone sposò in pompa magna l'attrice spagnola Aurora De Alba, con tanto di coreografia di carretto siciliano. Scene queste che recentemente sono state riprese alla tv in un programma sui matrimoni celebri dei secolo, al pari di quello di Carlo e Diana. Non l'unico matrimonio della sua vita: Chico si è sposato altre quattro volte (mai con una italiana) ed oggi, divorziato, non considera finita la sua carriera sentimentale.

"In quel periodo a Taormina - ricorda Scimone – tra il Festival del Cinema, il David Di Donatello e vari film girati in Italia, venivano molte star che immancabilmente passavano dal mio locale che è stato il primo night club di Taormina". Subito dopo ne ha aperto un altro con lo stesso nome a Catania, a Villa Manganelli (oggi semidistrutta ndr), e fu il primo night della città etnea. "Nel 1958 alla Giara di Catania, una signora mi chiese se potevo insegnare i passi del cha cha cha alla figlia. Bene, quella ragazza era Mina". Episodio simile 10 anni prima, tornando da New York: sulla nave fu invitato da una signora ad ascoltare la voce del figlio aspirante cantante: il giovanotto era Johnny Dorelli.  

 

 

 

Seduto, come ogni pomeriggio, ai tavolini del Mocambo, Scimone guarda il fiume di persone che affolla il corso e con un pizzico di nostalgia snob non riesce a non fare un confronto con il Passato. "Una volta quando c'erano meno macchine, c'era un turismo più selezionato. Al San Domenico, per esempio, si pranzava in smoking. Era facile incontrare star del cinema come Greta Garbo o grandi scrittori come Truman Capote o Tennessee Williams che passavano lunghi periodi a Taormina".

Lo spartiacque a cavallo dei '70: "Quando sono tornato definitivamente in Italia nel 1973 (dopo una nuova parentesi americana cominciata nel 1961 ndr) ho capito che tutto era cambiato. Le celebrità erano scomparse". Anche la passione per la Giara andò scemando fino a quando lo cedette nel 1988. Da allora non vi è più entrato. "Come quando finisce un amore non si torna più indietro".

La passione per la musica, ereditata dalla madre anch'ella pianista, è nata molto presto in Scimone ed ha contagiato anche la sorella Amelia che, ancora oggi, spesso suona con lui a quattro mani al piano del San Domenico.

 

Hotel in cui Chico suonò per la prima volta poco prima di partire per l'America, nel lontano 1928. "Allora si suonava nel pomeriggio, yah, perché c'era il the danzante. La sera, poi, andavo al cinema e facevo la colonna sonora dei film muti di Greta Garbo e Rodolfo Valentino".

Nel celebre hotel vi è tornato a partire dal 1980. "Ho sempre amato 1'atmosfera elegante dei San Domenico. A fine serata, però, mi spostavo alla Giara e suonavo là". Il repertorio di oggi viaggia tra le colonne sonore dei film americani più famosi e pezzi di autori dei calibro di autori del calibro di George Gershwin o Cole Porter. Non dimenticando le canzoni italiane,, dagli immortali classici napoletani fino a Umberto Bindi e Domenico Modugno. "Anche i giapponesi mi chiedono canzoni come "Core 'ngrato" o "Santa Lucia" e il bello è che le cantano pure". Una colonna sonora vivente, non c'è dubbio. Oggi, a 88 anni, Scimone si permette anche di dirigere l'orchestra a Plettri di Taormina conosciuta in tutto il mondo avendo fatto numerose tournée all'estero.

Stretto è il rapporto con il cinema. Innumerevoli attrici e attori hanno reso visita al suo locale – Greta Garbo è venuta a Taormina un paio di volte - e non sono mancate le partecipazioni in prima persona di alcune pellicole. Da protagonista ne "Il cappotto di di legno" di Gianni Manera della fine degli anni '70; come ospite ne "Il piccolo diavolo" e "Johnny Stecchino" di Roberto Benigni. "Ero il pianista nella scena di piazza con Walther Mattau – ricorda ridendo -. Un Oscar meritato per Roberto".

Scimone, dalle mille risorse, è anche uno sportivo. Non manca mai all'appuntamento catanese di Capodanno o della San Silvestro a Mare ed ogni 3 febbaro sale correndo gli 86 piani (1565 gradini) dell'Empire State Building di New York nella caratteristica gara.

(n.d.r.) Purtroppo Chico Scimone, l'ultimo dei belli, non c'è più.

 

 

Il Lido dei Ciclopi

 

Lontano dalia sabbia della Piaja, nell'immediato dopoguerra nacque ad Acitrezza il Lido dei Ciclopi, vetrina per chi voleva mostrare le proprie capacità fisiche cimentandosi nelle nuotate fino ai Faraglioni e al Castello, e per le "sirene"in mostra al sole su questo o quello scoglio, ammirate dalla ricca borghesia che io frequentava. D'estate era in attività 24 ore su 24 poiché, tramontato il sole, all'arrivo della notte diveniva il dancing più "In" dell'Isola e i nomi più belli dello spettacolo nazionale e
internazionale attiravano frotte di macchinone rombanti sulla Statale 114 e flotte di flotte di barche strapiene di squattrinati
ammiratori che cercavano di vedere o almeno ascoltare la voce di questa o quella star dal mare o dagli scogli. 

Oggi le vie del divertimento serale si sono decuplicate, così come le macchinone; la Statale 114 è rimasta uguale, purtroppo!

 

 

 

I giovani catanesi negli Anni 50-60 tra i Ciclopi, la Plaia e Villa Cardì.

Playboy veri e presunti a caccia di belle ragazze, i Platter's ad Acitrezza, i concorsi di bellezza
di Tony Zermo -
LaSicilia 12 Giugno 2011
Quando arrivava l'estate come si divertivano i giovani catanesi negli anni 50-60? Sciamavano un po' dappertutto, verso Acitrezza, alla Plaia, nei paesini a nord della città. All'epoca c'era Villa Cardì nel golfo di Ognina dove si ballava al suono di orchestrine, la più nota era quella del maestro Zoffoli. Un locale carino, non molto grande, ma elegante e che ebbe periodi di successo. Ma ovviamente la festa maggiore era al Lido dei Ciclopi all'ingresso di Acitrezza, il cui florido giardino con piante esotiche era curato personalmente dalla proprietaria, la marchesa di Misterbianco. I motivi di attrazione erano tanti, non solo perché vi accorreva la bella gente, ma soprattutto perché c'erano spettacoli di alto livello, come ad esempio il celebre gruppo canoro dei Platter's arrivati per l'inaugurazione, o come il balletto di Claude Marchand. Le ballerine erano così belle che un brillante giovane ingegnere catanese lasciò tutto per aggregarsi al gruppo. Per parecchi anni suonò ai Ciclopi l'orchestra di Bruno Martino ed erano serate indimenticabili al chiaro di luna. C'era anche la serata chic, se non ricordo male era di venerdì. I tavoli erano messi vicino agli scogli ed erano illuminati solo dalle candele, a quei tavoli sedevano i più noti play boy di Catania e provincia e le donne più belle. Il lunedì si faceva allegro cabaret, con Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Vito Meli e Alberto La Torre che si esibivano in uno spettacolo intitolato «Il ficcanaso», spettacolo che andava in scena anche a Villa Cardì con in più Pippo Baudo e Antonella Dore, e al lido Galatea con Nino Lombardo al piano.

 

 


Noi ragazzi andavamo ai Ciclopi con l'autobus che passava da piazza Giovanni Verga intorno alle 21. Stavamo seduti ai tavolini del bar Lorenti sorseggiando una birra e quando passava il mezzo scattavamo come un sol uomo per salirci a bordo. L'autobus rientrava per la mezzanotte per cui non potevamo fare le ore piccole, a meno che non avessimo un'auto, a quel tempo merce rara. Per entrare di scapocchia ai Ciclopi si usavano vari sistemi. Uno di questi era passare dagli scogli. Per evitare il guardiano un paio di noi entravano per primi correndo e tirandosi dietro il guardiano, così gli altri potevano passare indisturbati. Poi ai due che si erano «sacrificati» pagavamo in parti eguali il biglietto. Altri arrivavano direttamente dal mare con le barche e quando giungevano in pista avevano i pantaloni bagnati fino al ginocchio, erano facilmente riconoscibili, ma a quel punto non era più possibile ricacciarli indietro perché sarebbe successo un parapiglia.
Alla Plaia andavamo soprattutto quando c'era qualche serata organizzata, come l'elezione di una Miss e allora si faceva il tifo per una o per l'altra cercando di trovare qualche amico nella giuria. Ricordo che per Miss Vespa ci furono litigi furiosi.
Ma i balli non c'erano soltanto d'estate, si facevano anche d'inverno, soprattutto per Carnevale o per Capodanno. Uno dei punti di attrazione era il Circolo Artistico, di fronte alla sede della polizia di piazza Ogninella. I saloni erano grandi e ben arredati. Tra l'altro il Circolo Artistico era stato la culla della compagnia teatrale in cui Turi Ferro aveva mosso i primi passi. Naturalmente per Carnevale si andava a Paternò, oppure al Municipio di Acireale. Nella piazza centrale di Paternò le donne era in domino nero con la mascherina sul volto e il mordente veniva dal fatto che gli uomini cercavano di capire, spesso senza riuscirci, chi si celasse dentro quel domino. Un forzuto pallanotista mio amico strusciandosi con una mascherina fu colpito da uno schiaffo della mascherina: era sua moglie. Nei saloni barocchi del Municipio di Acireale il tono era più elevato, non si trattava di un ballo in piazza, ma di un evento più elegante a cui partecipavano anche le belle ragazze acesi, le stesse che d'estate frequentavano i Ciclopi.
Ad Acicastello d'inverno c'era anche un ritrovo notturno, «Al castello» dei fratelli Vitale, dove la gioventù bene si ritrovava per bere un Manhattan e fare quattro salti con al piano il maestro Roberto Pregadio, poi andato alla Rai. Si ballava anche al Circolo rossazzurro al Viale angolo viale Libertà e a Villa Manganelli, sempre al Viale, accanto al Palazzo delle scienze.

Catania è sempre stata una città divertente e che si diverte. Tra i bagni d'estate e i balli nei locali invernali c'era ampia libertà di scelta. Noi ragazzi eravamo surclassati dai pallanotisti (c'erano quelli della Jonica, del Cus Catania e del Giglio Bianco con il patron Gianni Naso e sede in via Penninello) e dai rugbisti, idoli delle ragazze, ma riuscivamo lo stesso a trovare un po' spazio. E quando non ci riuscivamo avevamo sempre la scappatoia delle case di tolleranza, dove nei salottini parlavamo anche degli esami universitari in attesa che arrivassero le «ragazze».
Nell'articolo precedente su Catania di quegli anni avevo scritto che a volte il colpo di vita lo chiamavamo, non sapevo perché, il «colpo della liaccia». Ora il figlio del capocomico Ciccino Sineri, uno di quelli che ha fatto il teatro catanese, mi ha spiegato quello che gli raccontava suo padre. E cioè le primedonne di uno spettacolo di varietà quando si sollevavano la gonna prendevano il legaccio che sosteneva le calze e lo facevano sbattere sulla coscia con degli schiocchi ammiccanti. Da qui il «colpo da' liaccia». E per significare che si era fatta una conquista, si diceva anche «m'alliacciai». Non si finisce mai di imparare.

 

 

Andavamo ai Ciclopi e al Galatea nella Catania felice di 50 anni fa»


Cavalcata ironico-affettuosa indietro nel tempo nello spettacolo in scena al Brancati «Ragazzi per sempre»

Tuccio Musumeci e Nino Lombardo
La Sicilia, 12,5,2012 - di Giovanna Caggegi

C'era una volta Catania, quella appena uscita dalla guerra, segnata da rovine e povertà, carica di promesse e di speranze. Nel «salotto buono» di via Etnea al passo lento e languido del flaneur di brancatiana memoria alcuni giovani agitavano sogni e fantasie d'arte. Dall'America arrivava il fremito del boogie woogie e a teatro i grandi dell'avanspettacolo italiano erano Dapporto, Macario, Taranto. Un giovanissimo Tuccio Musumeci andava scoprendo la propria vocazione artistica affiancato da amici come Nino Lombardo consacrato dal successo radiofonico della trasmissione della Rai «Il ficodindia» realizzata in tandem con Turi Ferro. Dopo più di 50 anni i due amici raccontano di quegli esordi nello spettacolo «Ragazzi per sempre: pazzi, cozze e rizzi!« (in scena al Brancati fino al 27 maggio), rievocando atmosfere, luoghi culto, mode e vezzi di una Catania ancora ingenua e pulita che avrebbe di lì a poco sperimentato il disincanto di un boom economico mai veramente compiuto. «E' come sfogliare un album di foto -spiega Musumeci - in questo spettacolo salottiero, in cui colloquiamo con il pubblico, raccontiamo quella stagione formidabile, gli amici che condividevano con noi l'avventura artistica, come Pippo Baudo, i luoghi del divertimento, come il lido dei Ciclopi, villa Cardì, lido Galatea. Altro che paninerie!». Un delicatissimo amarcord nel quale molti potranno rivedersi. «Impossibile rievocare tutte le nostre imprese - aggiunge Musumeci - quando con Baudo decidemmo di portare in giro per la Sicilia la rivista "Donna presente, sconfitta imminente", il nome di Nino Lombardo era quello di maggiore richiamo perché già musicista di successo. Il debutto avvenne al Metropol di Caltagirone, un teatro importante dove si erano esibiti la Osiris e Dapporto.

 

 

 Alla fine della tournée avevamo un debito con gli orchestrali di quattordicimila lire. Fu un insuccesso ma noi andavamo dritti per la nostra strada. Avevamo abbandonato gli studi universitari, Baudo doveva fare l'avvocato, io e Lombardo i medici. I nostri genitori si disperavano, cercavano di tenerci lontano da quel "mondo di illusioni"». Elegante e ironico, Lombardo, prossimo alle ottanta primavere, racconta della sua fortuna di avere avuto successo senza dover lasciare la Sicilia e delle grandi occasioni rifiutate: da Garinei e Giovannini a Gianni Ravera. «Sono stato il pianista di quasi tutti i grandi cantanti nazionali dell'epoca: Maria Paris, Nilla Pizzi, Gloria Cristian, Miranda Martino, Carmen Villani, Nico Fidenco, Mario Abate, Mario Trevi, Carla Boni, Gino Latilla. Ma sono rimasto sempre a Catania con il privilegio di essere un re nel suo regno. In questo spettacolo accompagno dalla buca tutto ciò che accade in scena, ma poi faccio da spalla a Tuccio e al resto del cast». Sirena ammaliatrice, meta irrinunciabile per giovani aspiranti artisti, la dolce vita di Taormina. «Bisognava farsi prestare la macchina dai genitori oppure prenderla a noleggio. Taormina ci attraeva con la sua bella gente e la movida». Ma l'estate coincideva soprattutto con la Plaja. «Odori, come quelli che sentivo nei lidi: della sabbia bagnata mista al legno delle tavole delle cabine, olezzo di sudore dei vestiti abbandonati negli spogliatoi. I profumi della cucina: arancini, pasta alla Norma. Rivivo questi momenti, felice di essere arrivato alla vecchiaia, una conquista, rimanendo nell'anima un ragazzo».

Il lido dei Ciclopi

 

Stasera mi butto ....... sul Lido dei Ciclopi.

 

I Primitives li ho visti al Lido dei Ciclopi, nell'ultima estate passata a Catania, quella del 1967.

Non ho potuto conservare il biglietto perchè, assieme ai miei amici, siamo entrati - come si dice a Catania -  "di scapocchio". Se ancora ci penso (e non manca giorno in cui ci penso)...mi manca u' ciatu!

Eravamo proprio "scavaddatissimi", ma con tanta fantasia. A quei tempi era richiesta la giacca per l'ingresso al Lido dei Ciclopi, ma noi ce le inventavamo di tutti i colori anche perchè non è che ce ne fossero tante a disposizione di giacche, per cui poteva succedere che una sola giacca ce la passavamo all'entrata tra tutti noi, con situazioni con situazioni davvero improponibili. Quasi sempre sempre riuscivamo nell'impresa.

Quando venne Rocky Roberts. Quella sera il più sfacciato del gruppo si presentò all'entrata con una giacca di lana talmente spessa che poteva sopportare le temperature più rigide del mondo

Il concerto per se era già "combattuto" in quanto i vigilantes .... "arraggiatissimi" erano! e volevano prendersi, finalmente, tutte le rivincite possibili su una stagione che li aveva visti soccombere nettamente a nostro favore, concentrati solo sull'eccitante sfida con i " vaddiani" che facevamo tanto soffrire. Quella sera, in una specie di guardia e ladri, gliene combinammo di tutti i colori: una cosa che ricordo in particolare fu quella di farci inseguire nei corridoi del lido dei Ciclopi (notoriamente labirintici come nel giardino di Shining) e durante la fuga tendere il fil di ferro che avrebbe fatto carambolare tutta la pattuglia inseguitrice, e tante altre amenità di vario tipo. Ci riusciva tutto, e loro non potevano tenerci testa!

L'euforia aveva ormai contagiato il gruppo, che si era ingrossato parecchio di numero per via di un tam-tam tipicamente catanese; ormai imbattibile, quella fantastica euforia uscì all'improvviso dal Lido e sciamò allargandosi per tutto il paese. Quelli che ne pagarono di più le conseguenze furono i contadini e i loro giardini di fronte al lido, che in parte furono devastati più di una piaga egiziana.

Nel frattempo il concerto continuava. A un certo punto, un ragazzo che si chiamava Matteo soprannominato "Matteo mezza-aricchi" (che effettivamente aveva perso cadendo da un albero di fichi durante un esproprio di carusanza) individuò le macchine del gruppo e con un calcio alla James Bond (tanto quella sera riusciva tutto) ne aprì una e non dico cosa c'era li dentro: camicie di raso lucido dai colori più sgargianti, collettoni alla moda, pantaloni di velluto, costumi e tante altre belle cose. A descrivere noi ragazzi al cospetto di tutto quel ben di Dio, ci vorrebbe il Domenico Tempio de "La minata di li dei" (gli dei mentre facevano un pic-nic sull'Olimpo, videro comparire Venere "cu dda cosa in forma rilevata e tunna".....).

Al ritorno a casa, uno su tre aveva il suo cimelio e all'indomani mattina, al Lido Mirasole di San Giovanni Li Cuti, avveniva la nostra sfilata, mentre facevamo sfoggio delle chicche che avevamo addosso. Purtroppo si sparse anche la voce che da quell'auto era sparito del denaro (personalmente non ho mai saputo se la storia fosse vera o no) ma a quel punto l'euforia e la spavalderia si trasformarono all'improvviso in paura, anche perchè si vociferava che in mezzo c'era una denuncia penale.

Ad ogni modo, quell'irripetibile estate finì. Fu un periodo in cui molti di noi avevano conosciuto i primi amori che finivano sempre col mal di panza perchè, oltre ad interminabili baci e qualche pizzico alle teen-ager catanesi di allora, non si concludeva mai niente. Per la nostra generazione quell'estate fu una sorta di limen esistenziale, una soglia che da li a poco cambiò le esistenze di molti di noi anche in modo traumatico.

Rimane per sempre "L'Estate perfetta" di noi "scavaddati" di Guardia-Ognina. Quando ci incontriamo (e capita spesso), il piacere di evocare quei momenti, specialmente quello memorabile dell'Affaire Rocky Roberts, diventa doveroso.

Di quell'evento a qualcuno di noi è rimasto addirittura il soprannome come a qualcuno che quando lo rivedo lo chiamo ancora "Stasera mi butto" per via di un costume, uno di quei tanti gadget (ormai diventato cimelio) di quella serata,  che ancora indossa ..... anche se ormai tutto "sdillabbratu".

Che tempi!

 

Giuseppe Distefano.

https://www.facebook.com/distefano.giuseppe.52

 

Tecno o happy: purché si balli

Eva Spampinato (La Sicilia, 23 giu 2007)

 

L’House e le sue declinazioni. Deep, soulfull, elettronica, e minimal. A piedi nudi - o quasi - sulla spiaggia, è la musica che guida il corpo. Che fa ballare. Ad occhi chiusi. Saltando. Muovendosi adagio e sensuali. È la vera anima delle feste, specchio del grado di divertimento in sala, richiamo della serata.
Da protagonista, la musica vuole un palco dove si possa parlare di lei e introdurre quegli elementi nuovi che arrivano dall’ombelico della disco-soud: la Londra dei club, Miami, Ibiza. Ma anche luoghi con una club culture positiva come il Brasile, l’Argentina e la Colombia, poco considerate. E parlando di tendenze musicali, tra le tribù dei ventenni ma anche oltre, ben oltre, anche a Catania si inizia a gustare la “minimal”.
L’house music, così, viene “spogliata”, riportata alle origini. Un po’ come fare musica alla vecchia maniera, semplificando la struttura della canzone e concentrarsi di più sui suoni dentro la musica. Una sonorità che i giovani sembrano apprezzare molto, ma che richiede un gusto sopraffino.
 «La musica house è la mamma di tanti generi che vanno, paradossalmente, dalla tecno alla rilassante “lounge” - spiega Ernesto Villari, deejay catanese rinomato per le sue proposte musicali di tendenza, che ruotano attorno ai toni morbidi e più sofisticati dell’house -. La “minimal” potrebbe essere definita come un’house essenziale, con pochissima “cassa”, che si contrappone sicuramente alla house dura delle discoteche. Il target dei ventenni la apprezza moltissimo, i giovani stanno affinando i loro gusti e la tecnologia, internet - continua il deejay allargando il discorso - contribuisce molto».
I siti di condivisione di musica, come My Space, diventano un luogo virtuale dove si sperimenta e si propongono nuove tendenze. Si ascolta musica “indie” - le produzioni indipendenti che lavorano al di fuori delle grandi corporazioni multinazionali, senza legarsi ad altre industrie e ha maggiore libertà espressiva - e tutte le novità provenienti
dai luoghi “culto” dell’elettronica e dell’house.
«L’house di ultimissima generazione si muove dalla minimal all’elettronica, che comincia ad invadere anche generi tradizionalmente di  qualità - spiega ancora Ernesto Villari - Escludendo tutto ciò che è commerciale e a  tema, e che attrae ancora moltissimo le generazioni dei 30-40enni, le tendenze estive vengono dai luoghi dove esiste una consolidata cultura del divertimento notturno, come Ibiza e Miami.
 Quello che è mancato a una città all’avanguardia come Catania è stata la musica house da club, ricercata e raffinata come la deep e la soulfull. Infatti da qualche anno, io e due cari amici con il “CoolProject”, stiamo cercando di diffondere questa cultura, riservata solo a quelli che amano la musica house di qualità in un ambiente di buona gente. Un movimento cominciato in inverno, con le serate del venerdì, e che proseguirà questa estate a Taormina».

E poi? Siccome il mondo è bello perché è vario e la musica è specchio fedele di questa massima, anche questa estate si ballerà sui ritmi più diversi, come segnalava giustamente anche il dj. Se la tendenza è minimal, house, tenco, il cuore dice ancora e sempre Anni ’80, con le hit più famose più arrangiate, dai Tears for Fears ai primi U2, dagli Earth Wind & Fire anche a pezzi italiani di ieri e di oggi, che da soli poi riescono ad essere addirittura colonna sonora esclusiva di serate "dedicate". Senza infine dimenticare che questa è sopratttto la stagione dell’allegria, quindi vai con la "happy music" Maracaibo...

 

 

 

E' estate piena, il caldo e l'afa di questi giorni ce lo manifestano bene; comincia adesso un periodo particolare dell'estate catanese in cui, sopraggiungendo le tanto attese vacanze, la citta' comincia sempre piu' a spopolarsi, per coloro che si spostano nelle vicine localita' balneari, e per coloro che partono per il tanto desiderato viaggio estivo.la piscina
A farla da padrone in questo particolare periodo, con picco sotto ferragosto, e via via a scemare fino alla fine di Agosto saranno soprattutto le serate nei locali di Taormina, di Recanati - Giardini Naxos, e anche di qualche altra localita' balneare, come quelle della zona di Brucoli, ad esempio, di cui riportiamo alcuni ritrovi molto frequentati.
Sempre in auge comunque il lungomare "Plaja", con serate sovraffollate prevalemtemente da un pubblico molto giovane.

La "Movida" estiva e' sempre in divenire, seguitene tutti gli avvenimenti... ogni settimana...

 

 

Drink & dance

 

E di notte il lido si trasforma in discoteca. Messi da parte lettini e ombrelloni, le piattaforme dei lidi più alla moda della nostra Scogliera si riempiono di cuscinoni confortevoli, candele che fanno atmosfere e profumo di menta quella necessaria per i mojítos che si diffonde nell'aria. Alcuni stabilimenti, infatti, offrono serate per tutti i gusti. Si va dall'aperitivo soft ed elegante dove non si balla, ma si sorseggiano drink al sapor di musica live agli appuntamenti dei venerdì sera, passando dalle feste a tema con bagno in piscina finale. E per quest'anno si rinnova l'appuntamento con la "serata italiana" dei giovedì. Musica rigorosamente di "casa nostra" e ritornelli che hanno fatto la storia della disco made in Italy

 

 

 

 

 

 

A pane e acqua!

 

E infine la famosa granita, disponibile in decine e decine di gusti.

Da poco, quella catanese ai gelsi neri e alle mandorle è stata inserita fra i prodotti agro-alimentari italiani DOC.

Lo so che leggendo gli ingredienti, in molti storcono il naso. Si chiedono "Come si può catalogare DOC un bicchiere pieno di ghiaccio zuccherato con una brioche?"  In effetti, avrebbero ragione solo se.... solo se la nostra granita fosse simile a quella generalmente consumata in tutt'Italia.

Siccome non è così, capita che quando vengono a Catania, i citati signori vogliono toccare e verificare, come San Tommaso, se siamo davvero così pazzi a pranzare con .... pane e acqua! Quindi si siedono al tavolino, affondano il primo cucchiaino nella fresca crema di mandorla, lo portano alla bocca accompagnandolo con un po' di fragrante e calda brioche all'uovo...... e poi..... e poi vanno in Paradiso. Solo allora capiscono l'importanza di pronunciare termini come granatina ... e granita. O meglio, Granita siciliana.

 

Bimbi e bagno al mare: sfatiamo un tabù tutto italiano

C'è chi aspetta due ore, chi si butta subito e chi mangia direttamente in acqua. Ma le nostre mamme avevano davvero ragione? Fare il bagno dopo aver mangiato è realmente pericoloso? Lo abbiamo chiesto a Roberto Albani, pediatra gastroenterologo.

Lei ha affermato che l’Italia è l’unico paese sulle cui spiagge i bambini devono subire un lungo conto alla rovescia prima di potersi finalmente tuffare in acqua e godersi un bagno in mare dopo aver mangiato. Perché?

Tutti coloro che hanno avuto un’esperienza su una spiaggia (o in piscina) in Nord America, in Nord Europa, in Asia ecc. hanno notato che nel resto del mondo nessuno osserva la regola tipica del nostro paese di aspettare un certo intervallo di tempo dopo mangiato per immergersi in mare, in piscina, o anche nella vasca del bagno di casa.

Non c’è bisogno di fare un grosso sforzo per costatarlo. Ci si deve solo chiedere il perché di questa differenza così marcata di atteggiamenti.

Quali sono i fattori che favoriscono l’annegamento e quali invece possono causare un malore in acqua dopo aver mangiato?

Quasi tutti i fattori che favoriscono l’annegamento sono abbastanza ovvi:

  1. Il sesso: quasi l’80 % dei morti per annegamento sono maschi, che dimostrano anche in questo di essere meno intelligenti (o meno cauti) delle femmine!

  2. La presenza di una piscina privata in una casa dove ci sono bambini fra 1 a 4 anni. Da noi non ci sono statistiche a questo proposito, forse perché le piscine di famiglia sono poche o forse perché i genitori italiani sono un po’ più attenti di quelli statunitensi?

  3. Non aver imparato a nuotare

  4. La mancanza di barriere che impediscano ai bambini di accedere alla piscina

  5. La mancanza di supervisione costante sui bambini nei luoghi a rischio

  6. Per i ragazzi al di sopra dei 15 anni, invece, l’annegamento è più probabile in acque di fiume, mare o lago, a causa di comportamenti incauti (fare il bagno in condizioni climatiche avverse (coll’acqua agitata ec.), andare troppo al largo e stancarsi eccessivamente nuotando ecc.)

  7. Il mancato uso di giubbotti di salvataggio sulle imbarcazioni

  8. L’uso di alcool. A questo proposito, i ragazzi italiani cominciano ad essere sempre più consumatori problematici di questa sostanza!

  9. La presenza di epilessia o disturbi neurologici analoghi.

Non ci sono motivi per credere che l’aver mangiato subito prima del bagno favorisca dei malori. In realtà questo fatto non è elencato fra i fattori negativi in alcun tipo di situazione da nessun esperto del mondo al di fuori dall’Italia.

Cos’è lo shock termico?

Nonostante quanto si legge nel web in italiano, lo shock termico non ha nulla a che fare con l’aver mangiato prima di fare il bagno. E questo tipo di shock non si può verificare quando ci si immerge in acque che, nel peggiore dei casi, nei mari nordici, d’estate sono fra i 15 e i 20 °C . A parte qualche brivido e la sgradevolezza dell’esperienza, questo non causa alcuna conseguenza patologica all’organismo umano, che mette subito in atto meccanismi di adattamento adeguati. A meno che non si pensi a persone gravemente malate, o molto anziane o a un neonato prematuro.

Il vero shock termico è, invece, quanto accade ad una persona che subisce un’immersione improvvisa in acqua ghiacciata, cioè a temperature al di sotto di 0°C, indipendentemente dall’aver mangiato o no.

Chi si immerge o cade accidentalmente in acqua gelata rischia un infarto a causa dell’afflusso di sangue freddo dalla periferia del corpo al cuore o l’annegamento per inalazione di acqua dovuta alla iperventilazione che segue alla sensazione di gelo. Tuttavia, nelle persone allenate alle condizioni più estreme queste conseguenze non si verificano. Pensate, per esempio, all’abitudine dei finlandesi di buttarsi in acque gelate dopo la sauna, o al bagno in mare a capodanno in alcune spiagge del nord della Russia.

E, se proprio si desidera rischiare l’esperienza di buttarsi fra lastre di ghiaccio, l’aver mangiato non ha alcuna incidenza sugli effetti.

Come si dovrebbero comportare le mamme con bimbi molto piccoli? Valgono le stesse regole?

Un bimbo molto piccolo non fa eccezione: può fare il bagno a casa (o in braccio ai genitori nel mare) appena mangiato e anche a qualsiasi intervallo di tempo dopo.

Possiamo comunicare ufficialmente alle mamme italiane che dopo aver mangiato si può fare liberamente e serenamente il bagno a mare o in piscina?

Lo comunico molto volentieri e me ne prendo la piena responsabilità. Mi rendo conto di quanto sia difficile liberarsi di questo tabù, soprattutto in vista del fatto che la maggioranza dei medici qui da noi continuano ad alimentarlo. Ma mi farebbe un immenso piacere contribuire almeno un po’ alla fine di questo pregiudizio, davvero ridicolo, causa di inutili e stressanti conflitti con i figli al mare o in piscina…

 

 

Meduse e tracine, incontri da evitare


"Niente ammoniaca o succo di limone. In caso di irritazione, lavare la parte e raschiare la pelle anche con bancomat"
In caso di unincontro con meduse o tracine questi rimedi della tradizione popolare sono del tutto sbagliati. A fornire un semplice vademecum ai bagnanti è Alessandro Barelli, direttore del servizio di tossicologia clinica del Policlinico Gemelli e responsabile delsito www.tox.it. dell'Università Cattolica, dove vengono forniti consigli utili in caso di emergenze dovute al contatto con sostanze tossiche, indicando anche i centri anti-veleni presenti sul territorio..Scorfani e ricci tra gli scogli, tracine nella sabbia, oppure meduse dai lunghi filamenti urticanti in acqua. Sono questi i principali "pericoli" in cui i bagnanti possono incorrere nei nostri mari. Non sempre è possibile evitarli, quindi, nel caso, è meglio conoscere in anticipo gli animali protagonistidi possibili "spiacevoli" incontri. Le meduse trasportate dalle correnti, si ritrovano ad arrivare sottocosta. La più pericolosa nei nostri mari è la "Pelagia noctiluca", con un ombrello massimo 15 cm di colore rosa/arancio. Sono i suoi quattro filamenti ad essere pericolosi, che possono arrivare fino a 4 metri. Si può essere colpiti anche senza vederla affatto e quindi rimanere urticati anché a un metro di distanza. Altra specie più comune è la "Rhizo-stoma pulmo", il cosiddetto "polmone di mare", che è meno urticante e si può evitare, perchè non ha filamenti. Cosa fare di fronte ad un battaglione di meduse? Nuotare avendo alle spalle l'ombrello degli animali diminuisce la possibilità di essere colpiti dai filamenti. Il veleno che inietta la medusa è una proteina e a 65 gradi si denatura. "Le meduse dei mari italiani non pungono né mordono, ma provocano una irritazione della pelle mediante i tentacoli urticanti - spiega Barelli - la reazione è quindi limitata alla pelle e può essere più o meno estesa. Un primo intervento utile è quello di lavare la parte con acqua, meglio se di mare, raschiando poi la cute con una superficie liscia (anche una carta bancomat), per eliminare i micro-tentacoli rimasti sulla pelle". Come trattare la parte colpita? "Evitare ammoniaca e succo di limone: applicare pomate cortisoniche e non antistaminiche, che con il sole possono provocare problemi di fotosensibilizzazione" afferma Barelli. Altro incontro spiacevole può essere con le tracine, più comune all'inizio della stagione, quando le spiagge sono meno affollate. "In genere le tossine prodotte dagli animali marini sono termolabili, vale a dire si degradano con il calore - spiega Barelli - quindi è necessario immergere la parte in acqua calda ma sopportabile, senza rischiare un ustione, oppure nella sabbia calda, per un periodo compreso tra 30 e 90 minuti. In questo modo il veleno viene inattivato. Sulla parte meglio applicare una pomata cortisonica: se il dolore diventa importante, rivolgersi al medico o a un centro antiveleni".

 

Le spine dei ricci

 

Le spine del riccio possono pungere, provocando dolore e bruciore. Molto spesso si spezzano all’interno della pelle
Cosa fare:
Lavare la parte colpita con acqua di mare o disinfettante, e togliere la spina dall’epidermide con una pinzetta sterile. Applicare ripetuti impacchi di aceto, che sciolgono la spina

Assicurarsi che la spina o una sua parte sia completamente eliminata dalla pelle. Altrimenti la spina può “spostarsi” verso l’interno e provocare infiammazioni della cute o anche lesioni dei tessuti nervosi.

 

 

 

 

 

Attenzione a non scottarsi

 

Entro certi limiti l’eritema è una reazione fisiologica: è noto, infatti, che dopo aver preso il sole la pelle si arrossa. Tuttavia, in assenza di una protezione adeguata o di un’esposizione eccessiva l’eritema acquista proporzioni notevoli: la pelle “brucia”, e anche il minimo sfioramento provoca intenso dolore.
Più predisposte sono alcune zone del corpo, primi tra tutti il collo e le spalle, che sono di per sé delicate e in più, in ragione della loro stessa sede, ricevono anche un’elevata quantità di radiazione ultravioletta.
Il livello di gravità può essere differente: da una scottatura lieve fino ad una vera e propria ustione.

In questo caso è opportuno consultare subito il medico che intraprenderà le cure necessarie a proteggere la pelle, prevenire sovrainfezioni e favorire la riparazione del tessuto.
Nei casi in cui l’eritema appare sin da subito più marcato è bene evitare per qualche giorno l’esposizione al sole, ricorrere a un trattamento locale con creme emollienti ed eventualmente somministrare per bocca un antistaminico per controllare il prurito.
Per aiutare la pelle, oltre a una dieta ricca di frutta e verdura di stagione, può essere utile l’assunzione di integratori a base di antiossidanti (vitamina C, E, selenio, glutatione), che aiutano a rafforzare le difese dell’organismo e a neutralizzare la produzione di particolari sostanze, i radicali liberi, favorita da un’esposizione al sole eccessiva.

 

La scottatura

Chi non ha mai provato almeno una volta sulla propria pelle una scottatura faccia un passo avanti… In effetti basta poco: una gita al lago o in campagna, un week end al mare, una passeggiata in montagna, un errore nelle previsioni del tempo che improvvisamente si mette al bello e ci induce a scoprirci senza applicare il protettivo solare, magari lasciato a casa nella convinzione di non doverlo utilizzare.
Spesso sono proprio queste le situazioni più insidiose, tanto più che in una giornata serena e ben ventilata la percezione di calore sulla pelle è inferiore, grazie alla maggior traspirazione, e siamo più invogliati a prendere il sole.
Il prezzo, tuttavia, lo si paga quasi subito: già a distanza di poche ore la pelle delle zone esposte appare irritata, subentra una sensazione di prurito ma al tempo stesso provoca fastidio il contatto con qualsiasi superficie, al punto che diventa difficile anche prendere sonno. Nei casi più gravi questa zona di arrossamento iniziale si sfalda e lascia sotto di sé un’area dolorosa e umida (bagnata cioè da un liquido che si forma a seguito del processo infiammatorio).
Sotto questo profilo la scottatura solare è assimilabile in tutto e per tutto a una classica ustione e richiede l’immediato consulto del medico. Ma è proprio necessario correre questo rischio quando basta un poco di attenzione e la scelta di un prodotto adeguato per mettersi al riparo da qualsiasi effetto indesiderato?

Ecco le dieci regole fondamentali per evitare che il sole diventi nemico della nostra pelle.

Applicare i prodotti solari prima di uscire, fin dal mattino, e rinnovare frequentemente l’applicazione, in particolare dopo ogni bagno prolungato.
Per le prime esposizioni, non prendere più di tre quarti d’ora di sole al giorno (20 minuti al sole intenso). Oltre questo limite, i melanociti sono saturi e non producono altra melanina.
Dopo i primi giorni, si può aumentare progressivamente la durata dell’esposizione, senza dimenticare di proteggersi.
Applicare il prodotto solare anche quando la pelle è già abbronzata, eventualmente riducendo gradatamente il fattore di protezione. Anche le pelli con fototipo scuro hanno bisogno di protezione: anche se non si arrossano, subiscono ugualmente gli effetti a lungo termine di un’esposizione scorretta, come l’invecchiamento precoce della pelle
Evitare di esporsi tra le ore 12 e le ore 16. In questo momento della giornata, l’irraggiamento solare è all’apice della sua intensità.
Non esporre i bambini inferiori ai 3 anni durante le ore di irraggiamento più intenso. Nelle ore di irraggiamento meno forte, applicare un prodotto resistente con un alto indice di protezione. La nostra pelle mantiene traccia di tutti i raggi ricevuti durante l’infanzia: maggiore è la quantità, maggiore è il rischio di comparsa di tumori in età adulta.
Non dimenticare che i colpi di sole non si prendono solo sulla spiaggia.
Qualunque sia l’attività all’aria aperta, un’escursione in bicicletta, una passeggiata, etc…, è sempre opportuno proteggersi con un trattamento solare.
Attenzione alle circostanze che aumentano il rischio o riducono la percezione del pericolo: altitudine, cielo leggermente nuvoloso, superfici riflettenti (neve, sabbia, acqua), vento fresco.
Indossare cappello ed occhiali da sole con lenti omologate, in grado di filtrare gli UVA e gli UVB (etichetta CE). Proteggere inoltre i bambini con una maglietta asciutta: una maglietta bagnata lascia filtrare gli UV.
Asciugarsi bene dopo ogni bagno. L’effetto specchio delle goccioline favorisce i colpi di sole e riduce l’efficacia dei prodotti di protezione anche se resistenti all’acqua.
Bere molta acqua e spesso. Il sole disidrata in profondità il nostro corpo. Prestare particolare attenzione alle persone anziane, che hanno una sensazione di sete ridotta, ed ai bambini piccoli, che hanno più bisogno d’acqua ed una termoregolazione meno efficace.
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6 regole per il bagnante


Non nuotare mai a stomaco pieno o completamente vuoto: attendi, dopo un pasto
abbondante, almeno 2 ore.

Evita gli alcoolici!

Non tuffarti sudato in acqua: il tuo corpo deve gradualmente abituarsi!

Non tuffarti in acque torbide o sconosciute: le situazioni sconosciute presentano pericole.

Non lasciare bambini incustoditi vicino alla riva: essi non conoscono i pericoli.

Materassini e oggetti gonfiabili ausiliari per il nuoto non devono essere usati in acque profonde: essi non danno alcuna sicurezza.

Non nuotare lunghe distanze da solo: anche il corpo meglio allenato può subire debolezze.

 

 

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