Nel 69/70 il Catania comincia il campionato con grande disinvoltura; Massimino prepara le cose per bene: ingaggia il terzino Limena dal Torino -che verrà battezzato il nuovo Facchetti- e che scomparirà tragicamente qualche anno dopo in un incidente stradale alla scogliera. Il mediano Bernardis -detto "Cavallo pazzo" per le sue sgroppate in avanti- Cavazzoni, centravanti di movimento, e, fiore all’occhiello della campagna acquisti, l’ala sinistra Aquilino Bonfanti, grande realizzatore, proveniente dal Verona. La squadra cominciò a spron battuto; nulla fu precluso ai rossoazzurri di Rubino: Mantova, Bergamo, Arezzo sono i campi dove il Catania giocò e diede spettacolo. Bonfanti, Limena e Cavazzoni ripagarono il loro presidente a suon di goal.

 

 

 

 

 

 

 

Rubino

3° POSTO

1969-70

Visintini; Cherubini; Trombini; Zulich; Montanari; Ventura; Pasqualotto; Zimolo. 

 

 Il girone di ritorno fu un po' difficile ma la squadra lo superò con grande disinvoltura; tra l’altro esordì quell’anno un catanese purosangue, Mimmo Ventura: giocò in prima squadra in B nell’incontro con il Varese, e negli altri incontri nei quali si trovò a giocare diede il suo apporto alla promozione.La certezza dell’avvenuta promozione si ebbe a Reggio Calabria, nello storico derby con la Reggina del 14/06/1970, battuta dali etnei per 3 a 1. Era lo stesso giorno in cui l’Italia giocava con il Messico per l’accesso alla finale dei mondiali del 1970.

Quella di Reggio fu la più corposa invasione esterna che il tifo catanese si sia concesso in tutti i tempi. Si calcola che ventimila tifosi si siano trasferiti al di là dello stretto per sostenere la squadra, una formazione umile e compatta che riuscirà a compiere il terzo miracolo. Segna Pirola per i calabresi, pareggia Bonfanti su punizione calibratissima, ma il pareggio non basta. Al 75° finalmente la liberazione: segna Volpato , ed è qui che Massimino, piangendo di gioia, si alza dalla panchina e va verso la tribuna alzando le braccia in una ovazione di pubblico. Il terzo goal del suggello della vittoria lo mette a segno Zimolo. E’ l’apotesi quel pomeriggio. I rossoazzurri schieravano: Rado; Strucchi Limena; Buzzacchera Reggiani Bernardis; Volpato Vaiani Zimolo (Gavazzi) Pereni Bonfanti.Reggina;Jacoboni ; Divina Grossi; Tacelli Pirola Sonetti; Perrucconi Lombardo Vallongo Campagna Toschi. Bonfanti sarà il capocannoniere della Serie B con 14 reti e Rubino, coadiuvato dai fidi Calvanese e Bongiovanni, avrà la soddisfazione di essere premiato come migliore allenatore per la B. Il Catania fu promosso in Serie A insieme a Varese e Foggia. Il Mantova suo immediato inseguitore sarà scavalcato dagli Etnei di un punto.

Nell’anno 70/71 il Catania in Serie A ingaggia l’esperto centrocampista Romano Fogli , il terzino Cherubini della Reggiana e il centravanti Baisi dal Torino (cavallo di ritorno). Quell’anno, l’Amministrazione Comunale dell’epoca non aveva per nulla affiancato Massimino cosi come si era ripromessa. Inoltre una guerra interna tra marcocciani, abituati a un certo modo di gestione, e massiminiani, abituati a seguire l’umore del proprio presidente sempre più autocratico, crearono non pochi problemi.

 

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Il Cibali restava l’eterna incompiuta: la sua penosa insufficienza e la scarsa cura, erano diventati la favola di tutti e la giustificazione per certe batoste subite dalla squadra. Di calcio quell’anno se ne vide poco: il Catania retrocesse l’anno dopo vanificando la meravigliosa pagina di Reggio Calabria. Nell’anno 71/72 il Catania tornato in B liquida il bravo Rubino e si affida alla vecchia bandiera Calvanese, ma farà presto a mollarlo alla terza giornata richiamando l’allenatore Carmelo Di Bella. La società catanese ingaggia il centravanti Quadri , il terzino Guasti dal Prato, l’esperto stopper Spanio -uomo di mille battaglie- l’ala D’Amato dalla Lazio e l’ala sinistra Francesconi, puntuale realizzatore, proveniente dalla Sampdoria ma alla fine della carriera e che si affianca a Bonfanti. Con questa squadra molto bene equilibrata Di Bella infila una serie positiva vincendo a Como e a Modena, ma alla tredicesima giornata di campionato scende al Cibali il Livorno.

L’arbitro Porcelli di Lodi, dopo aver fatto finta di non vedere un paio di episodi sospetti in area livornese, convalida un goal irregolare di Righi e i tifosi inviperiti rispondono con una sassaiola da dimenticare. Il campo del Catania venne squalificato per quattro giornate e gli etnei furono costretti a peregrinare per i campi siciliani.Il Cibali riapre i battenti; il pareggio con il Palermo e la vittoria ottenuta sul neutro di Alessandria con il Monza, mettono gli etnei in condizione per poter ambire alla promozione in A.

 

 

 

Grazie a Salvo Consoli

 

L’insediamento di Angelo Massimino non dà luogo a quelle rivoluzioni che di solito caratterizzano i passaggi di consegne: Marcoccio e Giuffrida rimangono in società, nelle vesti di presidente onorario e vicepresidente, mentre in panchina viene riconfermato Rubino. I debiti pregressi non consentono follie e si riparte dai ragazzi lanciati durante la stagione precedente, eccezion fatta per Zanon che torna alla Reggiana e per Girol che si trasferisce al Catanzaro. In difesa torna Montanari dopo l’infausta esperienza al Milan, col quale non è mai sceso in campo in Serie A, ma trova maggior spazio il duttile Sergio Reggiani, che era stato acquistato dodici mesi prima dal Guastalla. Stessa sorte per Giorgio Bernardis, centrocampista polivalente, che conquista un posto da titolare dopo un anno di ambientamento. L’unico vero rinforzo per l’undici base è un’ala sinistra di categoria superiore, Aquilino Bonfanti, che ha già calcato i campi della massima serie con le maglie di Lecco, Inter e Verona.

Massimino è ambizioso per indole, ma probabilmente gli stessi dirigenti non si aspettano che una squadra dall’età media così contenuta possa lottare da subito per il vertice. Ci si augura invece che si pongano le basi per un non troppo lontano ritorno in A.

Tutto, per l'ennesima volta nella storia del Catania, si decide negli ultimi 90'. I rossazzurri sono padroni del loro destino, perché Foggia e Mantova ospitano le ormai tranquille Livorno e Atalanta. Anche la truppa di Rubino incontra una formazione priva di obiettivi, la Reggina, ma giocare la partita decisiva fuori casa rappresenta pur sempre un'incognita.

Il 14 giugno 1970, a spingere la squadra ci pensano 12.000 catanesi che invadono il Comunale di Reggio. Al 16° il centrocampista reggino Pirola porta in vantaggio i suoi con un tiro da fuori.

Quando tutto sembra perduto ecco che due comprimari, al minuto numero 75, scrivono il lieto fine: il giovane attaccante Zimolo si fionda in avanti e a seguito della timida resistenza opposta dalla difesa reggina propizia il guizzo decisivo di Volpato che sigla la rete del sorpasso. Un sigillo alla partita e al discorso promozione lo mette poi il solito Bonfanti a tre minuti dal 90°. Dopo quattro anni il Catania torna in Serie A: per Massimino, che riesce nell'impresa al primo tentativo, l'emozione è troppa e provoca uno svenimento, dal quale però si riprende immediatamente, festeggiando coi tifosi.

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

Durante l’incontro al Cibali con il Como, il Catania ha l’opportunità di vincere per ben due volte grazie a Francesconi, ma non c’è nulla da fare contro l’agguerrita difesa del Como. A tre minuti dalla fine l’arbitro Sgherri inspiegabilmente concede un rigore inesistente al Como.  Scoppia la fine del mondo: prima un tentativo di sassaiola, poi l’invasione di campo; l’arbitro viene colpito mentre rientra negli spogliatoi. Il referto dell'arbitro è duro, ma la risposta del Giudice sportivo è tremenda: cinque giornate di squalifica vengono appioppate al Catania che chiude l’anno con l’amaro in bocca e qualche recriminazione, a ragione.

 

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SERIE B 1969/70

La FIGC si convertì definitivamente alle SpA e Marcoccio profetizzò: "Oggi è morto il calcio".

Angelo Massimino divenne l'unico amministratore. In occasione del match casalingo contro il Modena, vinto per 2-0, Giovanni Gavazzi realizzò uno strepitoso gol direttamente su calcio d'angolo.

Durante il decisivo match a Reggio Calabria, il cavaliere svenne per la tensione e fu soccorso da Mario Petrina (futuro presidente dell'ordine dei giornalisti) e dal professor Mineo.

Il Catania, promosso per la terza volta in A, ebbe la miglior difesa della cadetteria (-19) e il miglior rendimento esterno (20 punti frutto di 5 successi e 10 pareggi).

Aquilino Bonfanti ottenne il titolo di capocannoniere della B con 13 reti in condominio con i varesotti Ariedo Braida (futuro d.s. milanista) e Roberto Bettega.

Dopo la retrocessione in Serie B del 1966, si inizia a percepirne gli effetti: tanti anni in cadetteria, problemi societarii, squadra ringiovanita.

Nel 1969 Angelo Massimino subentra ad Ignazio Marcoccio alla guida del Catania, da poco divenuto S.p.A., allestendo subito una formazione di prim'ordine.

A Reggio Calabria, il 14 giugno 1970, è un tripudio, con migliaia e migliaia di catanesi ad assistere alla partita promozione ed il Cavaliere che viene colto da malore per l'euforia.

Ma la Serie A è un campionato duro ed è funestato dalla tragedia di Luciano Limena, giovane talento rossazzurro. A fine stagione il Catania tornerà mestamente in B.

 (a cura di Piero Armenio)

 

 

 

AQUILINO BONFANTI

Il Catania piange la scomparsa di Aquilino Bonfanti, protagonista della promozione in A nel 1970

Ala sinistra dotata di talento, intelligenza calcistica e generosità, scrisse dal 1969 al 1972 una pagina importante della storia del club.

Il Calcio Catania piange la scomparsa di Aquilino Bonfanti, indimenticabile protagonista della promozione in Serie A conquistata nel 1970: l’attaccante milanese, autentico trascinatore, si laureò capocannoniere del torneo cadetto con 13 reti in 34 partite, realizzando una doppietta nel corso della gara decisiva disputata il 14 giugno 1970, Reggina-Catania 1-3. Ala sinistra dotata di talento, intelligenza calcistica e generosità, scrisse dal 1969 al 1972 una pagina importante della storia del nostro club; complessivamente, in maglia rossazzurra, Aquilino Bonfanti collezionò 111 presenze, firmando 28 reti (5 in Serie A, 22 in Serie B ed una in Coppa Italia). Alla famiglia, giungano sincere condoglianze. Lo riporta la società con una nota apparsa sul sito ufficiale.

 

"LINO" BONFANTI è nato a Milano il 25 febbraio del '43. Giunse a Catania nell'estate del '69 quale unico rinforzo richiesto dal tecnico Egizio Rubino per colmare la penuria offensiva patita la stagione precedente.

Un acquisto di "lusso" con provenienza Verona. Una di quelle operazioni di mercato effettuata per esaltare la piazza già assetata di rivalsa.

Un tipico colpo "alla Massimino" destinato a depositarsi nei ricordi di tifosi e sportivi per molti anni quale mossa vincente proverbiale. La sua viva voce (mai sentita in tv o altrove da che si sappia) ci arriva chiara dall'altro capo del telefono la sera dell'ultimo martedì novembrino.

L'accento tradisce le origini meneghine, mister Bonfanti ha da poco terminato una sessione di allenamento con i suoi ragazzi e i ricordi con la casacca rossazzurra sgorgano fluenti: "Si, è vero: ho giocato con Milan e Inter...ma per me il Catania è stato il massimo!".

Bonfanti vestì il rossonero milanista nel '64/65 col quale esordì in A in un Milan-Juve datato 25 aprile '65.

 

 

Fu uno dei primi casi di "doppio ex" della madunina perchè anni dopo ( '67/68 ) indossò la maglia del biscione nerazzurro interista con 7 presenze e una rete. In rossazzurro, complessivamente, sono 3 le stagioni di militanza tra il '69 e il '72.

100 presenze tonde-tonde con 27 reti pesanti come macigni: Bonfanti fu capocannoniere di cadetteria del '70 con 13 centri, ex-aequo con Bettega e Braida.

Se la cavò anche nel duro campionato di massima serie '70/71 con 5 segnature nelle 30 partite di A giocate tutte.

"Dovevamo giocare a Reggio Calabria la partita per noi decisiva - sciorina il bomber di un tempo da noi in trasmissione - e io sognai di far gol! Cosa che accadde! Realizzai due gol e andammo in A! Sapevo il fatto mio... Lo stadio era tutto un tripudio di tifosi catanesi, uno spettacolo indimenticabile! Rimasi anche l'anno di B con Di Bella: ci furono invasioni e giocammo in campo neutro parecchie gare. Poi passai al Catanzaro ma per me Catania è indimenticabile!" "Io continuo ad esser felice delle vittorie del Catania attuale e soffrire se le cose non vanno bene - riattacca l'indimenticato attaccante - ; di recente mi sono giunte due lettere di miei tifosi da Catania che mi hanno commosso...".

Malgrado siano passati più di 40 anni chi vuoi che abbia dimenticato Lino Bonfanti??

(a cura di Piero Armenio)

 

 

 

 

Piero Baisi

 

Andrea Lodato

Taormina. E' un ragazzo classe ‘45 quello che si alza di scatto dalla sedia a sdraio, dribbla con eleganza qualche ciotolo più emergente sulla spiaggia meravigliosa del Caparena di Taormina. Poi punta dritto dritto il mare, non lo ferma nessuno. Gol. No, splash, giusto. Sorride un tifoso che è accanto a noi, mentre gli sussurriamo questa cronaca suggestiva, fortemente evocativa di altri scatti, dribbling secchi, tiri imparabili, gol impossibili, dialoghi fitti fitti, pallone attaccato ai piedi, con i compagni. E assist, d'oro.

Il ragazzo classe ‘45 è Piero Baisi, che giocò due volte nel Catania, nella stagione ‘66-'67 in Serie B e nella stagione ‘70-'71 in Serie A. Un signor centravanti (nove reti nella prima esperienza e altrettanti nella seconda), non a caso nato, del resto, in un paesino della provincia di Modena, Serramazzoni, che conta oggi 8.209 abitanti e di questi tre attaccanti di razza che hanno segnato caterve di gol: Baisi, appunto, Gianni Bui e Luca Toni. Insomma, mica robetta.

Ora è qui, Baisi, che ha sposato una catanese, Serenella, ed ha una figlia, Giada, nata pure a Catania. E ama questa città, Baisi, e tifa per i rossazzurri. Lui che vive dalle parti di Sassuolo, per intenderci. Ed ha assistito al Sassuolo-Catania, partita-beffa della scorsa stagione. E da qui parte, Piero.

«Che rabbia, che delusione. Io tifavo Catania, chiaro no? Quella partita si poteva e doveva vincere. I rossazzurri non erano mica squadra che doveva retrocedere. Ma dai... ».

Si accalora da buon emiliano Baisi, che sente scorrere nelle vene anche sangue lavico. Piero è stato un attaccante vero e un combattente, del resto, era uno che giocava titolare nella Nazionale Olimpica con Pietruzzo Anastasi, e per far giocare lui lasciavano in panchina niente meno che Beppe Savoldi, eh. E Baisi giocò nel Torino di Meroni e Combin, per ricordare altro, e vinse la medaglia d'oro ai Giochi del Mediterraneo nel 1967. Ma, chiediamo, erano quelli gli anni in cui si giocava al rallentatore, come mostra la tv nei filmati d'epoca? E qua Baisi s'arrabbia un po'.

«Ma che rallentatore, non scherziamo. Sono i filmati vecchi che danno questa impressione. Si correva anche allora, parecchio. Non è vero che gente come Rivera giocava da fermo. Giocava da Dio, semmai, e avevamo sempre i difensori o i mediani attaccati addosso, che ci braccavano. Altro che rallentatore».

Ma era un altro calcio, non foss'altro perché era un'altra era, si capisce. Pure vero che allora i club avevano rose ristrette, sedici al massimo, si giocava in 11, poche riserve. Già, confessiamo che è un po' il calcio di cui abbiamo nostalgia. Ma va là, niente andiamo avanti. Baisi ricorda: «Un Cibali stracolmo quando affrontammo la Juventus. Pareva se ne calasse giù lo stadio per il tifo. Gran partita nostra, poi un certo Bettega di testa colpì in maniera perfetta e gol. Ueh, era Bettega. Tanti ricordi, diciamo un gran gol in rovesciata contro il Milan e uno nel derby contro il Palermo».

Ieri. E domani? Cioè Baisi come lo vede il Catania tornato in B? «Sono convinto che il presidente Pulvirenti, che in questi anni ha fatto cose straordinarie per il calcio in questa città, compreso il Centro sportivo di Torre del Grifo che voglio andare a visitare, non sbaglierà. Ho letto che sta prendendo Calaiò e che cerca Rosina, sono due ottimi elementi per una squadra che deve essere protagonista nel campionato di Serie B. E poi ha certamente una buona base su cui costruire l'impianto. Quella che ha giocato l'ultima stagione di A era una squadra che si sarebbe potuta salvare senza tanti problemi. Ancora non riesco a capire che cosa possa avere provocato quel lungo periodo di crisi».

Baisi ama Catania, tifa per il Catania, torna ogni anno a far le vacanze qui e si trascina, per giunta, un bel po' di amici emiliani. Con il calcio ha chiuso, ultima stagione giusto giusto a Sassuolo, poi altra strada, da dirigente in un'azienda. Il pallone lo segue ancora, ma tenendosi a distanza di sicurezza, diciamo. E Piero può permettersi anche di buttar lì qualche giudizio tranchant: «Il calcio di oggi non è soltanto molto fisico, c'è anche troppa gente che tu la guardi e cerchi di capire com'è che ‘sta gente gioca a questi livelli. Il fatto è che si gioca tanto, ci sono rose fatte di trenta giocatori, e alla fine giocano un po' tutti, ma davvero tutti. Fosse stato così ai miei tempi. Però io al Toro aveva davanti quel Combin che giocava e segnava tre gol alla Juventus nel derby. E come lo levavi uno così? Certo, sì, era un altro calcio».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rubino

 

16° POSTO

1970-71

Visintini; Limena; Vaiani; Montanari; Tentorio; Schifilliti; Ventura; Biondi; Cavazzoni; Silvestri; Pasqualotto; Gavazzi; Fichera; Colombo.

 

Contrariamente alle attese, il ritorno in A ha un sapore amaro. Massimino, infatti, viene lasciato solo: né gli enti pubblici né gli imprenditori locali danno una mano al Cavaliere che deve quindi contare esclusivamente sulle proprie forze per affrontare la massima serie. Anche Marcoccio si è da mesi defilato, dedicandosi alla propria carriera politica che lo vede protagonista nelle vesti di assessore allo Sport. E con Massimino non c'è proprio verso di andare d'accordo.

 

Così, il gruppo promozione, interamente confermato insieme al tecnico Rubino, viene rinforzato con due soli acquisti. Il primo è di spessore anche se un po' avanti con l'età: si tratta dell'elegante mediano Romano Fogli, uno scudetto col Bologna, una Coppa Campioni col Milan e trentadue primavere sulle spalle. Il secondo è un cavallo di ritorno low cost, Pietro Baisi, col quale si prova a puntellare l'attacco. Il giocatore si è ben distinto alle falde dell'Etna nel 1966/67 ma in Serie A non può rappresentare una garanzia, avendoci giocato poco o nulla.

 

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In un campionato caratterizzato da continui cambi di formazione, sono pochi i punti fermi di Rubino: in difesa, Rado, Buzzacchera e Reggiani contribuiscono a contenere un passivo che, senza alcune (sporadiche) batoste, sarebbe stato senz'altro degno della massima serie; a centrocampo gli imprescindibili sono Bernardis e Pereni, mentre Biondi con le sue prestazioni guadagna la convocazione in Under 21; in avanti il tecnico, non avendo alternative, schiera sistematicamente Baisi e Bonfanti, ma i due, allergici alla categoria e mal supportati dal resto della squadra, realizzano in totale la miseria di 8 gol (lo specchio di quello che è, per distacco, il peggior attacco del campionato).

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

Accogliendo l’invito dell’amministrazione comunale di Aci Castello, Catania Football Club ha partecipato ieri mattina alla cerimonia di posa della targa dedicata alla memoria di Luciano Limena, scomparso in un incidente stradale nel 1970 e mai dimenticato dalla tifoseria. L’evento è stato promosso da “Tutto il Catania Minuto per Minuto” e “Calciocatania.com”.

Il Presidente Rosario Pelligra e il vice presidente e amministratore delegato Vincenzo Grella, consegnando alla famiglia Limena una maglia in ricordo dell’ex rossazzurro, si sono soffermati sull’importanza della storia del Catania e dei suoi protagonisti, sottolineando il valore del passato nel presente e per il futuro.

Catania FC - 2.3.2024

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collezione Francesco Di Salvo

 

LA GARA DEL GIRONE DI RITORNO E IL GIORNO DEL SORPASSO DELL'INTER SUL MILAN

 

Il giorno che diventai nerazzurro per sempre.

In quel Catania-Inter del 28.3.1971, io c'ero. Ero seduto nella tribuna laterale ma quando vidi sbucare le squadre fuori dagli spogliatoi, cominciò a battermi il cuore. In quella partita, stranamente, l'Inter giocò con la divisa ufficiale con quell'azzurro bellissimo sulle maglie che oggi non si usa più. Non potevo rimanere là, dovevo vederli da vicino e scesi in curva fin dietro alle porte, fino a vedere che marca di scarpini usava Bordon!

La notte prima non riuscii nemmeno a dormire pensando di veder giocare la squadra del mio cuore: l’Inter! Era l’Inter zeppa di vice Campioni del mondo ai Mondiali di Messico ‘70: Mazzola, Facchetti, Burgnich, Bertini, Boninsegna e prossimi a conquistare lo scudetto.

Quel giorno il Cibali era un pantano, ma c’era abbastanza verde da far spiccare quei colori indossati dalla pantera Jair, da Mariolino Corso, dallo stantuffo Bertini e dal CENTRAVANTI Boninsegna. Il vedere le mie figurine Panini lì davanti, in carne ed ossa, mi faceva venire i brividi.

Quando smise di piovere, seppur inzuppato dalla testa ai piedi, ero ancora lì e al settimo cielo. L’erba bagnata emanava un fresco odore e potevo sentire Bordon mentre incitava Bellugi a lanciare il pallone verso l’ennesima cavalcata di Facchetti. Mi sembrava di stare in mezzo ai miei campioni e non al Cibali, ma a San Siro.

Cosa potevo desiderare di più a 13 anni? Oggi tutto questo sarebbe stato normale, ma negli anni Settanta no, era diverso e irraggiungibile. Clamoroso al Cibali, in quel pomeriggio si realizzò un sogno!

Invidio il giovane Pino Licandro in questa foto. Per essere lì presente, abbracciato a Bonimba, sarei stato disposto anche a patteggiare con la famiglia per un corso di ripetizione e recupero di matematica (per me il massimo della pena, quindi figuratevi).

M.R.

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Quella Domenica stavo con mio Padre tra le scalinate della Tribuna centrale del Cibali e mi pare di ricordare che il mio idolo Corso giocava solo a perdere tempo, Facchetti prendeva continuamente per i calzoncini l'ala che gli sfuggiva e Bernardis, a pochi minuti dal termine di una Partita dominata da un Catania esuberante e molto determinato, nel controllare Boninsegna, che gli era comunque distante, passò il Pallone a Rado, che però gli si era avvicinato al limite dell'area di rigore, per cui entrambi dovettero inseguire quel Pallone che, seppur lentamente, superò appena la linea della Porta, così determinando una incredibile sconfitta. L'intero stadio si azzitti per alcuni secondi per poi esplodere compatto in un Ladri, Ladri, Ladri.

L'indomani la Gazzetta dello Sport di Milano, in prima pagina, scrisse che l'Inter aveva prima fatto sfogare il Catania per poi colpirlo inesorabilmente.

Voti 7 e 8 ai Giocatori dell'Inter e 5 a quelli del Catania.

Ero tifoso dell'Inter, ma da allora ho smesso di essere tifoso non solo dell'Inter, ma di tutti, Squadre, Partiti e di Chiunque.

Edoardo Biondi (fratello di Guido)

 

 

TUTTI I CATANIA-INTER DELLA NOSTRA STORIA

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GUIDO BIONDI era nato a Lanciano ( Ch ) il 18 luglio 1952. Il fratello Edoardo ( di 8 anni più vecchio ) ci racconta al telefono che fu un osservatore del Catania a scovare il giovanissimo talento e portarlo in Sicilia nel '68. Benchè precoce, il suo estro oscurava perfino certi senatori della prima squadra durante gli allenamenti con la "primavera".

Guido Biondi lasciò tra i tifosi un ricordo incancellabile e duraturo: quando fu costretto a scendere in campo da avversario indossando la casacca del Lecce nel '76 al Cibali, il trainer salentino Mimmo Renna lo sostituì al 71° con Pezzella.

L'intero stadio si alzò in piedi in uno scrosciante applauso e il viso dell'ex rossazzurro si riempì di lacrime commosse ricordando i "vecchi tempi" appena trascorsi.

Non ebbe la carriera che meritava: un solo altro anno di A col "Perugia dei miracoli". Poi un quasi ritorno a casa vestendo i colori dei lupi del Campobasso. E quì un autentico miracolo sportivo: la promozione in B dopo una rimonta clamorosa partita dai bassifondi della classifica.

Ed ecco che le strade si incrociarono di nuovo il 10 aprile '83 in un drammatico Catania-Campobasso che poteva costare alla banda Di Marzio l'autobus per la A. Dagli spalti i tifosi gli urlavano: "Guido! Fai il bravo ragazzo!". Una supplica...

L'incontro fu risolto da un altro abbruzzese, l'ortonese Ciccio Ciampoli e il Catania proseguì il sogno.

Guido Biondi è scomparso il 27 febbraio 1999, a soli 46 anni vinto da un male incurabile. Dal 3 settembre lo stadio della natìa Lanciano porta il suo nome.

 (a cura di Piero Armenio)

Dunque rapido fu l'Esordio: il 14 febbraio '71 mister Rubino lo gettò nella mischia a Firenze, in un drammatico scontro-salvezza terminato 1-1 con molti rimpianti catanesi.

Quel giorno Biondi giocò un partitone: "...ricordo che Guido aveva addosso la casacca numero 7 - racconta Rino Rado in un articolo a firma di Alessandro Russo - e quante barzellette in siciliano ci raccontava! Lui che era abbruzzese!".

Sempre dal già citato articolo di Alessandro Russo traiamo un ricordo di suo padre, il professor Luigi Russo, nello staff sanitario etneo all'epoca: a seguire Guido, sulle tribune del Cibali, c'erano il padre Ottorino col fratello Edoardo che ci conferma con quanta ansia il genitore seguisse il figlio fumando una sigaretta dietro l'altra!

Soprannominato in anni giovanili "il Pelè bianco" incantava con i suoi tocchi in allenamento intere scolaresche che marinavano la scuola per ammirarlo al Cibali!

Il primo gol in rossazzurro contro la Sampdoria in casa in uno sfortunato k.o. interno che anticipò il rapido ritorno in B del Catania.

Biondi ebbe il tempo di annichilire Gianni Rivera in un Catania-Milan 0-0 e si guadagnò i complimenti radiofonici di Sandro Ciotti, esaltato dai suoi lanci perfetti da 40 metri e dal suo gioco di rifinitore e "trequartista".

Azeglio Vicini lo convocò con la nazionale olimpica per una partita giocata a Dresda contro la DDR l'uno maggio '71. "Mio fratello era ancora minorenne... - puntualizza al telefono Edoardo Biondi - e giocò con gente del calibro di Bordon, Wilson, Pulici e Bettega!". Ormai per tutti fu "il Rivera del sud"!

La sua avventura rossazzurra proseguì fino al '75/76, 102 presenze e 6 reti.

 

 

 

 

 

 

Calvanese

 

Valsecchi

 

Di Bella

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8° POSTO

1971-72

Visintini; D’Amato; Guasti;  Buzzacchera; Volpato; Gavazzi; Pereni; Schifilliti; Quadri; Colombo; Lausdei.

 

Gli abbonamenti del Cibali vengono ribassati: 60.800 lire in tribuna A; 42.800 lire in tribuna B e 22.800 lire in tribuna C. N.b.: tribuna A scoperta.

Todo Calvanese sarebbe promosso tecnico ma la Figc nega il permesso. Torna Valsecchi pro-forma ma poi viene ingaggiato Di Bella.

La squadra marcia bene ma viene scossa dai fatti violenti a margine di Catania-Livorno del 19/12/71: lo 0-1 irregolare convalidato dal signor Porcelli di Lodi scatena roghi sugli spalti, sassaiole e invasione; 27 feriti e 19 denunciati. Sentenza: 0-2 e 4 turni di squalifica. Si giocò a Messina, Reggio, Siracusa e Ragusa.

I rossazzurri si ripresero ed ecco un'altra mattana dei tifosi: Catania-Como 2-2 del 19/03/72, il direttore di gara Sgherri di Grosseto concesse un rigore dubbio che fruttò il pari definitivo dei lariani.

Fine gara: solito clichés di roghi e sassaiole e arbitro aggredito. Sentenza: 5 turni di squalifica.

Catania-Lazio, inspiegabilmente, è disputata a Salerno. Lo stadio "Donato Vestuti" ( che si diceva fosse stato edificato sul terreno di un cimitero ) è nelle mani dei tifosi capitolini e la loro squadra vince facile.

Il sogno-promozione rossazzurro tramonta il 9 aprile '72 a Napoli contro il Sorrento di Beppe Bruscolotti che si impone 1-0.

Romano Fogli è ormai il leader della squadra.

 (a cura di Piero Armenio)

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Il ritorno in B impone l'avvio di un processo di rinnovamento del progetto tecnico costruito da Marcoccio durante il suo ultimo anno di gestione e portato avanti da Massimino nelle due successive stagioni. Saluta così Egizio Rubino, che viene sostituito dalla vecchia gloria ed ex tecnico della primavera Todo Calvanese, il quale però non possiede il patentino di categoria e non può sedersi in panchina. Per aggirare l'ostacolo la società attribuisce pro forma il ruolo di allenatore a Valsecchi, che torna al Catania dopo una fugace esperienza con la Massiminiana. Quanto al parco giocatori, della vecchia guardia abbandonano soltanto in tre: Maurizio Cavazzoni, che prosegue la carriera in C; Mauro Vaiani, che passa al Prato, dal quale si ottiene il terzino Carlo Guasti; infine, Sergio Reggiani, l'unico a proseguire in massima serie con la Sampdoria, dalla quale arrivano l'esperto ed affidabile difensore Ubaldo Spanio e l'ala Fulvio Francesconi. Quest'ultimo è forse l'acquisto più eclatante, avendo vinto la classifica marcatori di Serie B nel 1966/67. Il resto dell'organico, composto dai protagonisti della promozione di due anni prima e dell'immediata retrocessione, viene confermato in blocco.

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Gradoni dati alle fiamme, tribune divelte, sassaiole, scontri con le forze dell'ordine: il pomeriggio di ordinaria follia costa lo 0-2 a tavolino e la squalifica del campo per quattro giornate.

La sanzione rallenta ulteriormente il passo dei rossazzurri che chiudono il girone d'andata a metà classifica, abbastanza distanti dalle posizioni che contano. La squadra di Di Bella però reagisce e dopo il giro di boa trova una nuova serie positiva, rovinata dagli episodi incresciosi che si registrano nuovamente al rientro tra le mura amiche: il 19 marzo un rigore regalato dal fischietto Sgherri al Como, che determina il pareggio dei lariani, provoca una nuova reazione rabbiosa ed un'aggressione al direttore di gara. Il Cibali viene così squalificato per altre cinque giornate.

L'attacco si riprende dopo la “pausa” presa in serie A: il tridente Francesconi-Baisi-Bonfanti realizza in totale 25 reti.

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

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Fogli mai ingialliti

 

(di Alessandro Russo) - tratto da Catania Magazine - novembre 2009

Estate 2009, movida catanese: strette di mano, pacche sulle spalle e strizzatine d’occhio. Quindi un salto indietro fino agli anni Settanta della storia rossazzurra: argomento scelto Romano Fogli.

“Per uno come lui–parola di Roberto Quartarone, classe ’86, studente di Lingue con la testa al calcio e al basket - la fatidica frase ‘Una vita da mediano’ è riduttiva. Sono nato più di dieci anni dopo la sua partenza da Catania ma quando ne sento parlare penso a un centrocampista di valore assoluto. Immaginiamo Pirlo o De Rossi che a un tratto, seppur ancora capaci di giocare ad alti livelli, decidono di passare a una provinciale. Fogli veste il rossazzurro in un‘altalena di emozioni contraddittorie che ci vedono oscillare fra lo splendore della serie A e le buie cantine della C; nonostante fosse a fine carriera, con classe ed esperienza ha onorato quella maglia per quattro anni e con noi ha totalizzato 113 presenze e 3 reti.”

L’ing. Antonio Buemi, 34 anni e alla perenne ricerca di soluzioni ordinarie, inserisce un tassello.

“Con Haller e Bulgarelli, negli anni Sessanta dava forma al centrocampo del Bologna, incarnando lo stereotipo del mediano instancabile. Ingranaggio invisibile e indispensabile di una squadra vincente, in rossoblù ‘Romanino‘ recupera palloni e macina chilometri. Conquista così la vittoria del campionato e diventa ‘Grissino tricolore’; leggendario rimane il suo gol direttamente su calcio piazzato che sblocca lo spareggio-scudetto contro l’Internazionale. Era il 7 giugno ‘64, si giocava allo Stadio Olimpico di Roma e fu lui il vero mattatore di quell’afoso pomeriggio estivo. Consacratosi ad alti livelli, passa al Milan, alza al cielo Coppa Campioni e Coppa Intercontinentale e colleziona 13 gettoni di presenza in azzurro.”

Silvia Ventimiglia, irresistibile e romantica freelance viagrandese doc, raccoglie l’assist.

“Io ho superato i quarant’anni e ricordo perfettamente quei quattro campionati da noi. Era un play-maker di qualità e la sua caratteristica principale era una continuità impressionante. Ho letto che da piccolo giocava in parrocchia e nelle piazze con una palla fatta di stracci e il debutto in A arrivò, del tutto inaspettato, a diciott’anni con la maglia granata del Toro. Dieci anni dopo era in nazionale nella sfortunata spedizione inglese ai Mondiali del ’66. Nell’estate ’70 Fogli è il botto etneo al calciomercato di Milano, il punto di forza della nostra campagna acquisti per irrobustire la zona nevralgica del campo. Diventa un riferimento per i compagni e tenta di mantener fermo il timone in anni non facili per il calcio catanese.“

“Quest’anno –le strappa la parola Cecilia Amenta, 35 anni, bionda come una spiga di grano e vivace più dell’ape maia- sono stata presente in tribuna al Massimino in quasi tutte le partite casalinghe. E’ capitato più volte, quando ci veniva assegnata una punizione dal limite, che i miei vicini di posto, due simpatici e brizzolati abbonati sulla sessantina, mormorassero a denti stretti ‘Ci vorrebbe un tiro alla Romano Fogli, una delle sue imprendibili punizioni a foglia morta che lasciavano il portiere ad acchiappar farfalle.”

“Qualche giorno fa –puntualizza la ventiseienne Antonietta Licciardello, giornalista- l’ho sentito per un’intervista alla radio. ’Intanto -queste le sue parole- ringrazio una città che mi ha voluto bene sin dal primo momento e ancora una volta si è ricordata di me. Le mie stagioni in Sicilia furono travagliate ma all’ombra dell’Etna mi trovai benissimo. Venni giù a 32 anni compiuti, non certo per svernare ma con la voglia giusta; ci tenevo insomma a lasciare il segno.

Fu il presidente Massimino in persona a convincermi: la sua era una passione immensa e nel calcio la passione è tutto. Abitavo in via Villini a mare in una zona meravigliosa e miei vicini di casa erano Volpati, Pereni, Montanari e il compianto Memo Prenna. Il primo campionato si concluse con la retrocessione tra i cadetti e l’ultimo addirittura con una rovinosa caduta in terza serie; in mezzo conquistammo un ottavo e poi un quinto posto in B. Appese le scarpette al chiodo, ho continuato a vivere di pallone allenando Reggiana, Foggia, Livorno e Siena; poi sono stato il vice di Trapattoni a Firenze e di Gentile nell’under 21 azzurra. “

Filippo Solarino, 42 anni, pubblicitario, rossazzurro fino al midollo apre l’album dei ricordi e chiude i lavori.

“In un pomeriggio primaverile del ’72 –spiega- giochiamo al Vittorio Emanuele di Siracusa, in campo neutro, a causa di una delle tante giornate di squalifica del Cibali. Io ho 6 anni e l’avversario è il Modena; appena chiedo a mio padre come mai quel giocatore ha una fascia bianca sul braccio, mi risponde che è il 'capitano' e dai suoi piedi passano tutti i palloni importanti. Fogli è il regista, il simbolo indiscusso della squadra, il fine tessitore di gioco; polmoni d’acciaio e grande tecnica, è quello che detta i tempi.

Dagli spalti e ancor di più dal campo, notavi il suo stile, la precisione dei passaggi, e sopratutto il suo carisma. L'ultimo ricordo che ho di Romano in maglia rossazzurra è il placcaggio a un invasore nel corso di un Catania-Novara, nello sfortunato torneo ’73-’74. Anche in quel gesto emerge la personalità di uno che non è abituato a tirarsi indietro.”

E Fogli, che di quei tempi fu protagonista, è testimone lucidissimo: «Ricordo benissimo Szymaniak, punto di forza della Nazionale tedesca, nelle cui file giocò i mondiali che si disputarono in Cile, nel 1962 (ma Szymaniak, appena ventiquattrenne, aveva partecipato pure ai mondiali di Svezia 1958, ndr), al fianco di Helmut Haller, mio compagno e amico al Bologna di Bernardini, campione d’Italia, prima di andare alla Juve».
Colgo l’attimo: Negri, Furlanis, Pasinato, Tumburus, Janich, Fogli, Perani, Bulgarelli, Nielsen, Haller, Pascutti. Scorrono i brividi lungo la schiena di Romano Fogli, e gli occhi si fanno lucidi: lo scudetto del ’64, conquistato nello spareggio di Roma con l’Inter, scommetto che per lui non valga meno della Coppa dei Campioni e della Coppa Intercontinentale che avrebbe poi vinto con la maglia del Milan, proprio l’anno prima di passare al Catania.
Ma nella storia del grande campione ci sono pure pagine amare. Fogli ne apre due, la battaglia di Manchester (semifinale di Coppa dei Campioni, 15 maggio 1969, ndr), nella quale Roberto Rosato, suo compagno di squadra al Milan e in Nazionale, da poco scomparso («sono andato a trovarlo, ho provato tanto dolore, era un bravissimo ragazzo»), u violentemente colpito al volto con un pugno da Denis Law, l’attaccante scozzese che alcuni anni prima aveva giocato in Italia indossando la maglia del Torino, e la sconfitta di Middlesbrough, sempre Inghilterra, dove l’Italia cedette alla Corea del Nord e finì incredibilmente fuori dai mondiali.
«Posso capire cosa si prova - così, Fogli, sulla recente eliminazione della Nazionale dal Mondiale - fu dura pure per noi uscire a capo chino dall’Ayresome park ma certe scelte di Lippi davvero non mi hanno convinto. E resta incomprensibile, soprattutto, il motivo per il quale abbia deciso di puntare su elementi che in campionato avevano giocato poco o nulla, e che non erano nelle migliori condizioni per sostenere il peso di un campionato del mondo».

Le ragioni della crisi, per Romano Fogli, sono però più profonde: «C’è poca attenzione per i giovani, i vivai non sono molto curati, per non dire che è sempre più difficile che i nostri ragazzi trovino spazio. Gli stranieri? C’erano pure ai miei tempi, Szymaniak e Cinesinho del Catania erano stranieri, e straniero era Haller del Bologna e della Juve, giocatori importanti, che molto hanno dato al calcio italiano. E’ giusto che le frontiere rimangano aperte, ma sono convinto che un limite è necessario stabilirlo, tre - cinque elementi in campo, al massimo: l’Inter che ha vinto la Champions non può certo essere considerata espressione del calcio italiano…».
L’ultimo pensiero è per il Catania di oggi, che è oggi, tra le più belle realtà della Serie A, il Catania degli argentini, e di uno in particolare, Maxi Lopez, oggetto del desiderio di molti club (però resterà alla base). Sembra uno strappo alla regola ma Fogli se lo concede: «Maxi Lopez è un grandissimo giocatore, i miei complimenti al Catania, che seguo sempre con simpatia, i dirigenti rossazzurri hanno avuto l’intuito che ad altri è mancato… Il Catania? Certo, è una squadra che ha consolidato la propria presenza in Serie A. Esprime un buon calcio, le proprie strategie sono vincenti. Ho seguito molte partite, ne ho ricavato ottime sensazioni».

 

 

GIOVANNI LO FARO
C’è stato posto pure per il Catania nel cuore di Romano Fogli, se non nel palmares, ricchissimo, di uno dei migliori talenti che il calcio italiano abbia espresso. La sorte, anzi, non si può dire sia stata benevola con l’ex centrocampista di Torino, Bologna, Milan e della  Nazionale, se in maglia rossazzurra, dov’era approdato a fine carriera, ma con grandi speranze nella stagione ’70-’71, gli regalò più amarezze che soddisfazioni. Due retrocessioni, dalla Serie A e dalla Serie B, un buco nero, o quasi, nella sua storia calcistica eppure di quegli anni, di quell’esperienza, Fogli, che oggi ha 72 anni, conserva un buon ricordo.
«Certo mi avrebbe fatto piacere continuare a vincere - racconta - ma quelli trascorsi a Catania li considero in ogni caso anni non poco importanti per la mia storia umana e professionale… ».

Diventa paonazzo, se gli dico che è stato uno dei giocatori più rappresentativi ad aver indossato la maglia rossazzurra, e ti serve, lui che nel calcio ha vinto tutto o quasi, una bella prova di umiltà. «No, Catania vanta una bella tradizione, negli anni della Serie A, soprattutto, in rossazzurro sono passati elementi di grande livello tecnico. Me ne sovvengono due, in particolare, il tedesco Szymaniak e il brasiliano Cinesinho».
Passaggi importanti, questi, in coincidenza con le stagioni d’oro del calcio catanese, che hanno lasciato ricordi indelebili: e se i più giovani ai ricordi non possono attingere, soccorrono i racconti di chi di quegli anni formidabili è stato testimone, se non protagonista diretto, e in mancanza, gli annali, cartacei o digitali, importa poco.

 

 

Giorgio Bernardis, cavaddu pazzu. Qualche giorno fa ho incontrato il dottor Lucio De Odorico, stimato medico di base operante nel nostro paese, ma pure presidente dell’Udinese Club Romans, il quale si apprestava a guidare i supporters bianconeri romanesi nella trasferta, dal chiaro sapore turistico, fino a Catania, in occasione della sfida di serie A, che l’Udinese era chiamata a disputare contro la formazione sicula stessa. Per l’occasione ho fatto presente al nostro medico, che una volta giunto laggiù avrebbe potuto far presente e vantare, con legittimo orgoglio, qualora avesse avuto modo di scambiare qualche battuta o intavolare un discorso coi tifosi del Catania, che negli anni Sessanta e Settanta, ad ingrossare le file della formazione locale c’era pure un nostro glorioso calciatore proveniente dalla Pro Romans, ovvero Giorgio Bernardis, attaccante prima, centrocampista e difensore poi, nato a Campolongo al Torre (Ud) il 22 giugno 1945, il quale dopo aver militato nelle formazioni giovanili e nella prima squadra della Pro Romans, nel 1963, assieme a Giorgetto Zoff, venne ceduto al Mantova, con la cui compagine ha esordito in seria A nella stagione 1964/65, collezionando tre presenze.

“Cavallo pazzo”, Bernardis, come lo chiamavano allora i tifosi della Pro Romans, è passato quindi per una stagione in forza all’Empoli in serie C, poi per due stagioni nella stessa serie col Pesaro, mentre nella stagione 1968/69 finì al Catania in serie B, dove rimase per 6 stagioni, di cui una in serie A nel campionato1970/71, collezionando 30 presenze con 2 reti all’attivo. Nel novembre 1973 Bernardis venne prelevato dal Lanerossi Vicenza in serie A, con la cui formazione rimase in forza per tre stagioni, di cui due in serie A. Complessivamente il nostro Bernardis, che oggi vive a Reggio Emilia, dove esercita la professione di fisioterapista, vanta 55 presenze in serie A, con 5 reti all’attivo; 112 in serie B, dove ha siglato 11 reti, mentre in serie C conta 97 presenze con 6 reti all’attivo. E proprio pensando al nuovo libro della Pro Romans, ho desiderato contattarlo telefonicamente, sia per chiedergli una foto con dedica con cui impreziosire il nostro libro, ma ancor più ero mosso dal desiderio di risentirlo, considerando che non l’ho più incontrato dopo aver militato assieme a lui nella Pro Romans e dopo la trasferta a Mantova del 1963, quando in tre, lui, Giogetto Zoff ed il sottoscritto, abbiamo sostenuto quel provino calcistico alla corte dell’Ozo Mantova. Un provino che mise giustamente in risalto le doti dei due miei compagni di squadra, che io non potevo vantare, tant’è che Giorgio Bernardis e Giorgetto Zoff, hanno in seguito militato nella massima serie calcistica italiana. Ma tornando al capitolo libro, sono riuscito a mettermi in contatto con l’amico Bernardis e l’ho trovato come l’avevo lasciato, vale a dire una persona molto semplice, spontanea e genuina, come del resto rimangono tutte quelle persone che hanno dovuto guadagnarsi la carriera col sudore, la costanza, tanto impegno e massima applicazione.

 E la conferma che portava ancora con sé quei preziosi valori morali mi è giunta dalla foto che mi ha gentilmente spedito e che qui vi allego, in cui emerge, forse inconsciamente, tutto il suo non proprio agevole passato, che ritengo si possa intravedere pienamente nella dedica che impreziosisce la foto in cui si legge testualmente: “Agli sportivi della Pro Romans in ricordo dei tanti chilometri percorsi in bicicletta per giocare a pallone. Con affetto Bernardis Giorgio”.
Bisogna sapere, infatti, che Bernardis ai tempi in cui militava nelle file della Pro Romans, vale a dire nei primi anni Sessanta, lavorava in una fabbrica del triangolo della sedia, mi pare fosse Manzano o altra località limitrofa, che giornalmente, partendo da Campolongo, raggiungeva in sella alla propria bicicletta, mentre al ritorno allargava il suo giro ciclistico toccando Romans nei giorni in cui doveva sostenere le sedute di allenamento con la Pro. Sacrifici che evidentemente gli sono rimasti impressi nella mente, esternandoli forse proprio attraverso la significativa dedica che ha regalato ai suoi ex sostenitori giallo-rossi. Spero proprio che il 30 dicembre, in occasione della presentazione del libro, possa essere presente pure lui. “Se per caso mi trovo a Campolongo, dove faccio spesso ritorno - mi ha confidato - sarò ben lieto di venire a Romans”. Lo speriamo tutti.

dal sito della Pro Romans di Udine
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di Bella

5° POSTO

1972-73

Muraro; Lodrini; Guasti;  Picat Re.Gavazzi; Majo; Colombo; Turchetto; Ventura; Caruso; Vegli.

 

I deludenti risultati delle ultime due annate hanno fatto salire sul banco degli imputati Angelo Massimino, messo in discussione non solo da tifosi e stampa ma anche dagli stessi azionisti. Il presidente è quindi costretto a programmare il nuovo campionato in un clima di ostilità, che non gli impedisce di consegnare al confermato Di Bella una squadra piena di novità. Abbandonano infatti tantissimi protagonisti dell'ultimo quinquennio e ciò determina, di fatto, la fine di un ciclo. Capitan Buzzacchera si ritira, lasciando la fascia a Romano Fogli, unico ultratrentenne rimasto insieme a Rino Rado. Per coprire le spalle al longevo portiere, arriva dal Rovereto Gigi Muraro, giovane guardiapali destinato a conservare la maglia numero 12 per un intero lustro. Alla società trentina, militante in Serie C, passa in prestito militare Guido Biondi. La difesa si rinnova con gli arrivi dei terzini Pietro Ghedin (dalla Fiorentina) e Giovanni Simonini. Quest'ultimo viene prelevato dal Modena, al quale si cede in contropartita Strucchi. Il reparto arretrato è completato dal rilancio di Montanari. A centrocampo dice addio Pereni (8° più presente di sempre), che passa al Palermo neopromosso in A: in sua vece, Di Bella ripesca Volpato schierandolo sistematicamente nel ruolo di mezzala.

 

 

E' rivoluzione anche in avanti, dove salutano l'eroe della promozione del 1970 Aquilino Bonfanti, che passa al Catanzaro, e Baisi, tramite il quale si ottiene dal Novara il duttile attaccante Giovanni Picat Re. Manca un vero e proprio numero 9 ed accanto alla prolifica ala Francesconi, oltre allo stesso Picat Re, proveranno ad adattarsi senza grandi successi gli esterni Turchetto (proveniente dal Vicenza), D'Amato ed il giovane Colombo.

In avvio di campionato ai tifosi pare di assistere ad una replica di quanto si verificava spesso durante la gestione Rubino: pochi gol fatti, pochissimi gol subiti. Dopo sette giornate arriva una svolta societaria: il 31 ottobre 1972 gli azionisti, pescando dalla politica locale, eleggono un nuovo presidente, Salvatore Coco, il quale sostituisce Angelo Massimino. Il Cavaliere chiude così, dopo tre anni di alti e bassi, il suo primo ciclo. Il nuovo numero 1 del club viene affiancato dall'amministratore delegato Salvatore Costa. La prima mossa di mercato della rinnovata dirigenza è rappresentata dall'acquisto di Ferdinando Scarpa, centrocampista offensivo proveniente dal Sorrento col quale si spera di ridurre i problemi in fase realizzativa. Ai campani viene ceduto in cambio un altro “senatore” ai margini del progetto, il difensore Cherubini.

La squadra di Di Bella è solidissima in casa, un po' meno in trasferta dove comunque riesce spesso ad ottenere preziosi pareggi. L'equilibrio del campionato fa il resto e basta una serie di risultati utili per far chiudere il Catania al 3° posto nel girone d'andata. Il momento positivo è ulteriormente corroborato dal record di Rado, il quale, dopo aver scavalcato a inizio stagione la leggenda Fusco, il 17 dicembre 1972, in occasione di Catania-Cesena, raggiunge quota 237 presenze con compagine etnea, superando Buzzacchera e diventando così il più presente di sempre: il primato (257 complessive, 240 solo in campionato) resisterà per un'intera decade.

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

 

 

Nell’anno 1972/73 il malcontento dei tifosi è immenso, prima perché la Società decide di sfoltire i ranghi mandando via Baisi e Bonfanti insieme a Pereni; viene ingaggiato il centravanti  Turchetto dal Vicenza , il terzino Simonini dal Modena, lo stopper Ghedin dalla Fiorentina, Picat Re, punta dal Novara e Muraro portiere dal Rovereto. Le difficoltà cominciano dal ritiro precampionato: mettersi d’accordo con i giocatori fu un compito arduo per via dei contratti di ingaggio. Finalmente il campionato comincia e Di Bella, con i giocatori a disposizione, dopo una Coppa Italia disastrosa, apre con un successo e continua vittoriosamente, perdendo pochi incontri per tutto il girone di andata.

Dopo qualche battuta a vuoto nelle prime giornate del girone di ritorno, il Catania ha il colpo d’ala vincente a Mantova prima e a Catanzaro dopo. Ma per una serie di incontri sbagliati, situazioni societarie particolari, fallisce la promozione in Serie A . Il Catania chiude il campionato a 43 punti, al quinto posto, vedendosi passare la promozione sotto il naso. 

Per la seconda volta il cannoniere principe è Francesconi. L’anno che era cominciato sotto cattivi auspici si chiuse in bellezza, grazie anche a Di Bella che con la sua perizia e la sua esperienza seppe tenere unito il gruppo. Bisogna pure ricordare che oltre ai goal di Francesconi, professionista serio e puntiglioso, la squadra mostrò un buon impianto di gioco, e delle buone individualità.

 

 

 

 

 

Di Bella

Valsecchi

Mazzetti

Prenna

 

20° POSTO

1973-74

Picat Re, Muraro, Guasti, Blatti, Benincasa, Ligabue, Giuffrida, Chancon, D'Amato, Giustolisi, Fraccapani, Colombo, D'Amato Benincasa, Fatta, Cantone

 

Malgrado una stampa "amica" la gestione Coco fa acqua: Di Bella dà le dimissioni, quasi tutti i migliori sono ceduti incluso Scarpa. Spagnolo ( dalla Reggiana ) è il nuovo bomber e Petrovic il nuovo portiere.

Si prova a corteggiare nientemeno che Liedholm per la panchina... arriva Mazzetti.

Delio Onnis, attaccante sardo-argentino in prova al Catania, viene scartato e si trasferisce in Francia dove vincerà 5 volte il titolo di capocannoniere di ligue 1. Un errore clamoroso. Il giro di boa frutta 19 punti.

Il ritorno è un calvario: 24/02/74 Catania-Bari 0-1, prima i tifosi si inviperiscono perchè Fogli, sostituito, esce dal campo scagliando la maglia a terra. Poi il Bari passa e vince su rigore non proprio cristallino. Tribune incendiate, gravi scontri con la polizia fuori stadio, un colpo di pistola partito non si sa da chi e 30 feriti.

La squadra sprofonda: zero gol, Spagnolo si ferma sul più bello. Prenna si siede in panchina quale mossa disperata.

Catania-Novara 07/04/74, sullo 0-2 il signor Prati di Parma nega un rigore al Catania e il pubblico fa esplodere la rabbia più cieca.

Tre turni di squalifica.

Il Catania vince alla Favorita contro l'Avellino sostenuto dal sincero tifo palermitano l'unica partita delle ultime 22 in calendario.

Con soli 7 punti nel girone di ritorno l'ultimo posto è inevitabile come la C dopo 25 anni.

Curiosità: Carlo Petrini, nel suo scandaloso libro "Nel fango del dio pallone" accanto a rivelazioni incredibili e talvolta ributtanti sul calcio italiano degli anni '70 parla della sua speciale rivalità con lo stopper rossazzurro Ubaldo Spanio ai tempi in cui la punta di Monticiano militava nel Catanzaro.

In particolare si riferisce al doppio scontro '73/74: il Catania ebbe la meglio in Calabria all'andata grazie ad una rete di Malaman.

A quanto pare Spanio imbavagliò Petrini irritandolo moltissimo. Tanto che questi gli giurò vendetta per la gara di ritorno al Cibali. Vendetta puntualmente consumata il 26 maggio '74: vittoria catanzarese con rete di Petrini e Catania spedito a calci in serie C.

Quando si dice che volere è potere!

  (a cura di Piero Armenio)

 

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Catania 1973-74

 

 Il Cavaliere torna all'interno della dirigenza e cerca di spronare la squadra stanziando un premio salvezza. I ragazzi di Prenna sono però ormai allo sbando e giocare sempre lontano dalle mura amiche di certo non aiuta. Così arriva una sola vittoria nelle ultime nove giornate e si perde il contatto col treno della permanenza. La retrocessione matematica arriva sul campo di Taranto alla terz'ultima giornata: dopo 25 anni di ribalta nazionale, il Catania ripiomba in una lega interregionale, la Serie C. Tra i pochi a salvarsi in un'annata disgraziata troviamo il bomber Spagnolo, il promettente Petrovic, il grintoso Ceccarini e il talentuoso Biondi (alla prima stagione da titolare).

 fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

(foto di Nino Cantone)

  GUIDO MAZZETTI era nato a Perugia il 24 giugno 1916, ha guidato il Catania per 6 distinte stagioni tra il 1973 e il 1986. Ha totalizzato circa 134 panchine rossazzurre, 10 nella serie C '77/78 e tutto il resto in cadetteria.

Escludendo il bruciante esonero del '74 cospicue le soddisfazioni: salvezze in B '75/76, '80/81; un brillante girone d'andata in B '81/82 con salvezza finale; una promozione in serie cadetta sfumata nel '78 e la parentesi finale nel 1986, ormai 71enne, quando venne esonerato senza polemiche nella strana staffetta con Rambone.

Detiene il record di panchine in squadre di serie cadetta. A breve uscirà il libro-biografia che racconta i suoi 50 anni di calcio.

La voce di Guglielmo Mazzetti ci giunge in studio forte e chiara: un fiume impetuoso di ricordi ci trascina attraverso i 13 anni mazzettiani a Catania in sei distinte 'tranches'.

Qual era il rapporto con Massimino, gli chiediamo:

"Un gemellaggio vulcanico...- risponde risoluto Guglielmo - Massimino chiamava mio padre quando le cose si mettevano male e tutto tornava a posto. Figuratevi che nel 1985, dopo la parentesi Sambenedettese salvata dal baratro in modo sontuoso, mio padre - ormai settantenne - aveva considerato chiusa la carriera.

 

 

Ma il cavaliere lo richiamò per risalvare il 'nostro' Catania finito in acque agitate...".

"A breve - prosegue Guglielmo Mazzetti - uscirà un libro dove racconteremo i 50 anni di calcio di papà Guido: dal '36 al 1986. E le sei stagioni a Catania avranno un posto speciale. Inclusa l'ultima, quella dei settant'anni! La Sicilia è stata sempre nel nostro cuore: papà ha avuto trascorsi anche a Siracusa. Ricordo che mi portò a vedere il tramonto dallo stadio aretuseo...uno spettacolo".

 

Rimpianti?

"Dovrei dire - ribatte secco Mazzetti jr. - lo spareggio perso a Catanzaro nel '78. Ma io ricordo anche un grande girone d'andata in B '81/82 [il Catania era terzo a 23 punti a +2 dalle quarte, n.d.r. ]: mi piace pensare che un pezzo di serie A conquistata l'anno dopo sia firmata Mazzetti.

Già in quel '81/82 la squadra era forgiata per il salto. Per mio padre sarebbe stato il coronamento. Invece passò al Monza: quando si disputò Catania-Monza del 2 gennaio '83 tutto il Cibali applaudì mio padre che pianse copiosamente per l'emozione...".

Un calcio così oggi ce lo sognamo?

Guglielmo ci dà appuntamento per marzo quando al Cibali calerà il Perugia, ci sarà anche lui ed è ansioso di conoscerci.

 (a cura di Piero Armenio)

 

 

GIOVANI SPERANZE ROSSAZZURRE

 

 

 

 

 

 

 

L'unico effetto positivo della retrocessione in Serie C è la fine degli equivoci societari. I politici si defilano e Massimino riprende lo “scettro” di presidente. L'uomo solo al comando affida i propositi di una pronta risalita in Serie B a Gennaro Rambone, vulcanico tecnico napoletano specializzato nei campi di provincia del meridione. Il salto all'indietro impone l'acquisto di giocatori di categoria, che vengono affiancati ai pochi riconfermati. Petrovic, Simonini e un Benincasa in rampa di lancio sono gli unici reduci di un reparto arretrato rinforzato dal centrale ex Crotone Guido Battilani, che prende il posto di Spanio (passato al Taranto), e dal terzino Valeriano Prestanti, preso in comproprietà dalla Fiorentina, alla quale torna Ghedin (da lì a breve girato alla Lazio di Maestrelli, campione d'Italia in carica).

 

 

 

 

 

Rambone

 

Rubino

1° POSTO

1974-75

Muraro; Simonini; Fatta; Benincasa; Angelozzi; Giustolisi; Chiavaro; Pasin; Blatti; Iapicone; Colombo; Castorina.

 Ceccarini rimane in B accasandosi all'Avellino: gli irpini in cambio girano il rude terzino Stefano Codraro ed il libero Piero Fraccapani. Un altro difensore, Guasti, viene ceduto al Chieti, dal quale proviene il più grande colpo di mercato: Claudio Ciceri, di professione centravanti, capocannoniere uscente del girone C della terza serie. L'attaccante colma la principale lacuna delle ultime due stagioni e può contare sul sostegno dei laterali offensivi Spagnolo e Malaman. Il poco rimpianto Picat Re fa invece le valigie, direzione Messina. Il settore nevralgico del campo, orfano di Fogli che appende gli scarpini al chiodo, riparte da Fatta e da due nuovi acquisti: il mediano Corrado Poletto, che arriva dallo Spezia, ed il centrocampista Piero Giagnoni, prelevato dal Lecce. Dopo sette anni di onorato servizio nelle vesti di comprimario, interrotti soltanto dal prestito alla Massese nel 1970/71, saluta definitivamente il centrocampista Giovanni Gavazzi, che chiude la carriera al Carpi.

Neanche il tempo di fare sul serio e Rambone, infastidito dai contrasti tra i giocatori ed il presidente per la questione dei reingaggi, presenta le dimissioni dopo due partite di Coppa Italia di Serie C. A riportare l'ordine ci pensa Egizio Rubino,

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

Il mitico gruppo agli ordini del sergente di ferro Rambone che, subito dopo il ritiro pre-campionato, lasciò il posto ad Egizio Rubino.

Manca Spagnolo, che litigò con Rambone per la famosa storiella delle "noccioline".

 

Il ricordo di Egizio Rubino, raccontato dal figlio  1 ottobre 2015, a cura di Alessandro Russo

 Buongiorno,

Il pomeriggio del tre ottobre duemilaquindici i commilitoni saranno di scena a Lecce. Sfoglio TUTTO IL CATANIA MINUTO PER MINUTO e scopro che il ventidue settembre di quarantun anni orsono la gara con i giallorossi pugliesi terminò uno a uno. Era, quella rossazzurra, una formazione piena zeppa d’assi e rappresentava un lusso per la serie C. Dalla panchina la guidava Egizio Rubino, un galantuomo nato al Cairo ma siracusano d’adozione. Questi, come i veri signori d’altri tempi, dava del lei ai giocatori e si faceva voler bene dall’intera città. Per comprendere quanto quest’uomo fosse amato all’ombra del pennacchio fumante dell’Etna passo or dunque la palla al nipote che vive nella città di Archimede, ha trentasei anni ed è un bravo avvocato.

 «Mio padre –mi confida Enrico Rubino- mi racconta che nel periodo di Natale del ‘74 il nonno aveva ritirato alcuni vestiti in un noto negozio di Catania. Successivamente era andato a fare la spesa ma nel far quest’ultima commissione dimenticava di chiudere la macchina. Quando si rese conto della smemoratezza, tornò di corsa indietro e trovò un tizio davanti l’auto. Lo sconosciuto disse al nonno di star tranquillo perché avevo visto la scena e stava controllando lui l’autovettura. Questo per farti capire quanto i tifosi erano affezionati a lui. Sono contento infine di dirti che la Commissione toponomastica di Siracusa ha deciso d’intitolare a mio nonno un largo comunale».

 Ora tre nuove, poi i saluti di rito.

 1. Il sei ottobre alle sei p.m. torna ‘Quelli del ’46’ sui 101 FM di Radio Lab, trasmissione interamente dedicata alla storia del Catania, condotta da Piero Armenio ed Emanuele Rizzo. Nella prima puntata si parlerà del Gran Caffè Lorenti, storico bar catanese e luogo di ritrovo della dirigenza negli anni ’40, dello spareggio per la A del ‘53, giocato a Firenze in piena estate e perso 4-1 col Legnano e di Nino Cantone, giocatore degli anni ’70. Imperdibile.

 2. Sotto gli occhi di undicimila concittadini, il Catania di oggi ha ancora una volta vinto ma ai nostri calciatori non è stato concesso di solennizzare nessuno dei quattro gol simulando il trenino. A dirla tutta, a me è stato perfino vietato di riportare qui che ‘stamu avvulannu’. Boh…

 3. «Io –scrive Antonio su un ‘muro’ e io sottoscrivo qui- devo dissentire da tutto. Lo stadio pieno, dopo i fatti di giugno, mi mette solo una profonda tristezza. Per amore di vedere una palla che rotola in questa città siamo capaci di tutto. Io avrei preferito uno stadio vuoto fino al cambio totale di proprietà per non essere COMPLICI di queste persone che ci hanno ricoperti di immensa vergogna. Lo stadio vuoto avrebbe fatto molto più rumore di 11.000 mila persone “comprate” con prezzi ultra popolari». Chapeau!

 Che Iddio ce la mandi buona.

 

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Benincasa, che cuore rossazzurro 

Giovanni Lo Faro Domenica 04 Luglio 2010


E tempesta di sentimenti, inevitabilmente. Sull'onda dei ricordi scivolano i fotogrammi, sbiaditi, della bella gioventù: com'eravamo? Roberto Benincasa, che viaggia verso i sessant'anni (a vederlo ancora in campo, fisico asciutto e il passo svelto di sempre, chi mai ci potrebbe credere?), era poco più di un ragazzino quando approdò a Catania.
Veniva dalla Reggiana, accompagnato dalla fama di libero di buone potenzialità, elegante nei movimenti ed efficace nell'azione, non mancò di mettersi in luce, sin dalla prima, sfortunata stagione al Catania, in B. Restò in rossazzurro, dopo la retrocessione, e trovò posto, in quel progetto di rilancio che Massimino affidò inizialmente a Rambone ma che sarebbe, poi, toccato a Rubino, il tecnico della seconda Serie A del Catania, condurre felicemente in porto.
Benincasa, che con il Catania giocò non meno di ottanta partite, quegli anni li ricorda bene, e li rivive con un pizzico di nostalgia. «Facevamo gruppo in campo e fuori - ricorda - naturale che ci riuscisse di farci apprezzare, quella del ritorno del Catania in B fu davvero un'impresa esaltante, una delle pagine più belle della mia storia calcistica, il duello con il Bari, che riuscimmo a bruciare sul filo di lana, fu davvero esaltante».
Venti vittorie, diciassette pareggi, una sola sconfitta, cinquantasette gol all'attivo e ventuno al passivo: era ancora il calcio dei due punti a vittoria, il Catania chiuse a quota cinquantasette, saltando, nell'ultimo turno, l'insidia di Torre del Greco, tra l'entusiasmo dei propri sostenitori. Bella impresa, ma gli effetti non tardarono ad esaurirsi, in quegli anni Settanta nei quali il calcio catanese si ritrovò spesso e volentieri sull'ascensore.
«Riuscimmo a difendere la categoria -racconta - poi, l'anno dopo, il giocattolo si guastò e fu di nuovo Serie C. Rammarico? Entrai in conflitto con l'allenatore (sulla panchina del Catania era ritornato, per la terza volta, Carmelo Di Bella, ndr), mi ritrovai fuori rosa, presi, a malincuore, la strada del ritorno: giocai a Livorno, arrivai ad un passo dal Siena, la squadra della mia città. La passione per il calcio era ancora forte, ma decisi, a un certo punto, di riprendere gli studi, i miei ci tenevano che arrivassi alla laurea… ».
Scarpette al chiodo, libri in mano, Roberto Ben
incasa, che a Catania aveva continuato a frequentare l'Università, riuscì a conseguire la laurea in Economia e Commercio. «Al calcio non pensai più, trovai un impiego in banca, ma capii ben presto che non faceva per me. Né mi garbava più di tanto la prospettiva di occuparmi della gestione di un'impresa commerciale che mi era stata proposta. Poi, conobbi la ragazza che oggi è mia moglie e che mi ha regalato due figli, e accettai di buon grado di dare una mano nell'azienda di famiglia della quale oggi mi occupo a tempo pieno».

Ma il calcio, oggi, cos'è per Roberto Benincasa? «Ho curato il settore giovanile di una società dilettantistica della mia zona, con il Siena no, non sono mai riuscito a giocare né a collaborare: ne seguo le vicende, però, e sono convinto che la nuova proprietà, che peraltro sta già operando molto bene sul mercato, saprà risollevarne le sorti dopo l'ultima stagione che è culminata nella retrocessione in B».
Un messaggio ai catanesi? «Ricordo tutti con grande affetto, il loro calore, la loro generosità hanno lasciato il segno dentro di meno. E proprio per questo, un'idea, una proposta, se volete, vorrei lanciarla: non sarebbe bello che noi, vecchi giocatori e non, ci si impegnasse per un'iniziativa di solidarietà nei confronti di chi più ha bisogno… ».
Sulla passerella, in maglia rossazzurra, al Cibali, con il pensiero, però, a chi è meno fortunato: si può provare?
04/07/2010  (foto di Nino Cantone)

 

 

 

 

 

Vialli-Mancini, o magari, andando a ritroso, Pulici-Graziani. Gemelli del gol, ai massimi livelli, coppie, in ogni caso, che hanno esaltato le platee calcistiche, e non soltanto nazionali. Fatte le debite proporzioni, di gemelli del gol ne può vantare pure il Catania.
Ricordate Angelo Crialesi e Aldo Cantarutti? Fecero la fortuna del Catania di Gianni Di Marzio che sui loro gol costruì una delle più belle promozioni in A, nella stagione ’82-’83: 11 gol Cantarutti, 5 Crialesi (che però ebbe il merito di firmare, negli spareggi dell’Olimpico con Como e Cremonese, il gol più pesante, quello che, di fatto, decise la sfida a tre per la promozione), ma non va dimenticato che i due si erano fatti apprezzare pure nella precedente stagione in B, dieci gol ciascuno, e che Cantarutti, soprattutto,
non avrebbe mancato di dare il suo contributo (quattro bersagli, non molti, ma neanche pochi, per una squadra subito in difficoltà all’impatto con le grandi del calcio) in quel rapido passaggio della formazione rossazzurra nella massima Serie.
Ma pagine non meno esaltanti, sia pure in una categoria inferiore, avevano scritto, qualche anno prima, pure Giampaolo Spagnolo e Claudio Ciceri, la coppia del gol più prolifica che sia passata per Catania (nella speciale classifica dei goleador rossazzurri di tutti i tempi occupano il quinto ed il nono posto, con 41 e 29 gol, rispettivamente), protagonisti di primo piano nella stagione ’74-’75, quella che valse l’immediato ritorno in Serie B dopo l’incredibile retrocessione dell’anno precedente. 

Giampaolo Spagnolo è oggi un distinto signore poco più che sessantenne. Il fisico rotondetto, i capelli bianchissimi, fatichi a vedere in lui l’attaccante, agile e svelto, l’ala destra (a quei tempi di esterni ancora non si parlava…) che faceva ammattire gli avversari, saltandoli come birilli prima di puntare la rete.
Segnò venti gol, Spagnolo, in quel Catania con il quale Massimino riuscì a cancellare subito la retrocessione dell’anno precedente, quel tonfo in C che rimane, ancora oggi, uno degli snodi più controversi della storia del calcio a Catania: "Ero arrivato dalla Reggiana, con un consistente carico di speranze, ma le cose non andarono per il verso giusto, la retrocessione, a fine stagione, fu inevitabile".
Fu la stagione dei tre allenatori succedutisi in panchina, da Guido Mazzetti, che la gestione Coco aveva subito voluto al timone della squadra, a Gigi Valsecchi, a Memo Prenna che arrivò a situazione compromessa.
Volta pagina, come pagina voltò, allora, il Catania ritornato nelle mani di Angelo Massimino: squadra a Gennaro Rambone, quindi a Egizio Rubino, uno dei tecnici che il presidente stimava di più e che gli aveva regalato qualche anno prima la gioia della promozione in Serie A. Il Catania spicca il volo, sostenuto dai gol di Spagnolo e Ciceri (trentotto, in due!), gemellati dai tifosi in uno slogan che i due
non hanno dimenticato: "Con Ciceri e Spagnolo, Catania in B in un volo".
Di fatto, volò quel Catania, che giocava bene e riscuoteva consensi: ventuno vittorie, una sola sconfitta, cinquantasette punti, uno in più del Bari di Pirazzini che gli contese, fino all’ultimo, l’unico posto disponibile per il salto di categoria.
Ricordi ancora vivi, emozioni forti, Claudio Ciceri sembra aver fermato il tempo. Certo, il caschetto di capelli biondi che gli incorniciava il volto s’è un tantino ingrigito, ma l’andatura è quella che ricordi, e pure la parlata, sciolta e spesso pungente. "Bel tuffo nel passato - mi dice, mentre i suoi vecchi compagni provano a dimostrare, sul campo, di non aver ancora dimenticato il loro mestiere - ci voleva davvero, dopo tanti anni: giocare sul terreno del Cibali (oggi Massimino, ndr) sarebbe stata tutta un’altra cosa, ma va bene pure così". 

Poi, largo ai ricordi, alle prodezze di quella stagione esaltante: diciotto volte in gol, Claudio Ciceri mise la firma, con l’ex acese Fatta e con Malaman, sull’ultima decisiva vittoria del Catania a Torre del Greco: "Pomeriggio indimenticabile, quello, c’erano tifosi appollaiati dovunque, al Liguori: segnai il primo gol, poi fu un trionfo".
Saluta, il vecchio eroe, non senza consegnarti un’idea: "Visto che gli ex calciatori del Torino si sono organizzati da tempo in associazione, non sarebbe bene se a Catania si provasse a fare la stessa cosa?". Registro, e giro la proposta, sicuro che qualcuno troverà il modo per renderla concreta.

 

 

 

GIAMPAOLO SPAGNOLO ( all'anagrafe Giampietro ) è nato a Castelnuovo veronese ( VR ) il 20 ottobre '49. Per gli almanacchi d'epoca "ala destra, 1,70 × 70 kg, già Rovereto e Reggiana, al Catania nel '73/74".

 

Arrivò in rossazzurro dalla Reggiana che si era presa, in un colpo solo, Rado-Montanari e il bomber Francesconi.

Col Catania ha disputato 130 partite spalmate in 5 stagioni dal '73 al '78 segnando 41 reti.

Capocannoniere di C girone C '74/75 con 20 reti, subì brutti infortuni nella seconda metà dei '70 che lo portarono a concludere anzitempo la carriera.

Gli chiediamo a quale calciatore odierno si sente di assomigliare: " Ero veloce, rapido, giocavo sull'esterno e Claudio [ Ciceri, n.d.r. ] completava alla perfezione il tutto...non saprei a chi rapportarmi. Ero semplicemente io!".

Si stupisce, il buon Spagnolo, di tutto l'affetto catanese nei suoi confronti dopo tanti anni: " Ho giocato tanto e fatto bene anche con la Reggiana...ma loro quasi mi ignorano! Invece, ogni volta che scendo a Catania anche i figli dei miei vecchi tifosi vogliono conoscermi!".

I ricordi di quell'indimenticabile cavalcata di C '74/75 sono scolpiti nell'eterno:

"Mi ricordo di quel 6-0 al Cibali contro l'Acireale! Mi ammonirono e non potei giocare la gara decisiva a Reggio Calabria...fortuna che Ciccio Colombo e gli altri rimontarono! Vincemmo 3-2. Che sudata quel campionato! Il Bari non mollava mai!".

La sua maledizione furono gli infortuni:

"Gli ultimi miei due anni rossazzurri - prosegue il bomber etneo - sono stati un calvario: subii degli infortuni alle anche e giocai poco tra il '76 e il '78. Finimmo in C e poi non riuscimmo a risalire perdendo lo spareggio. Dovetti ritirarmi anticipatamente prima dei 30 anni. Ma che ricordi in rossazzurro!" .

(a cura di Piero Armenio)

 

 

 

 

Centoquarantasei presenze e diciotto gol con la maglia del Catania, mille esperienze da raccontare…

  

di Alessandro Russo

 Con il p.c. a tracolla, ogni settimana faccio visita a Salvo Sapienza, ventitre anni, grande tifoso del Catania e fra i più grossi esperti di informatica del globo. Il sabato, entrambi concentrati sull’appuntamento domenicale dei nostri eroi del pallone, l’argomento è uno solo. Stamane, mentre da bravo santone scaccia via infaticabili e ostinati virus dal mio portatile, gli chiedo come se la cavi col calcio giocato.

 “Corro come un forsennato –mi fa lui sorridendo- e dicono che ho una buona castagna.“ “Sei un tipo smilzo, ti muovi velocemente e tiri fucilate; -insisto- mai sentito nominare Adelchi Malaman ?”

 Qualche ora più tardi, dopo pranzo, aiuto la mia nipotina di dieci anni a ultimare i compiti per il week-end.

 “Le leggende, Valentina, sono avvenimenti sulla cui storicità dibattono a lungo gli studiosi: addirittura c’è disaccordo che quel fatto si sia davvero verificato. Pensa a Re Artù, una figura ammantata di mitologico: non sappiamo se sia realmente esistito.“

 “Ho capito, zio Alessandro, però non sono sicurissima; raccontami un’altra leggenda.”

 “ Corre l’anno del Signore 1975, ventiquattro anni esatti prima che la principessa Vale giungesse qui sulla Terra. E’ domenica quindici giugno: in tutta la Sicilia l’estate è approdata, ma sul vecchio Cibali quel pomeriggio il sole stenta a far capolino. Sugli spalti sventolano solo bandiere rossazzurre: lo stadio è  così pieno che sembra una bomboniera. I tifosi si esaltano e si divertono come matti; inizia la partita contro la Casertana e dalle curve si alzano cori meravigliosi. La gente si sgola e incoraggia undici signori in mutandoni neri e variopinte casacche che rincorrono un pallone di cuoio, scalciandolo talvolta.  Sposi della stessa fede, tutti battono le mani, gioiscono, urlano e cantano la loro appartenenza: ‘Noi siamo il  Catania !’

 Gli applausi in tribuna si fanno tambureggianti e partono i fumogeni colorati. E’ una festa favolosa con il pubblico ricoperto da una lenta e avvolgente nebbia rossazzurra.

 L’avvio, però, non è spaziale e la gara si fa stracca: i terzini ospiti sono duri come il marmo e arpionano gli attaccanti di casa. Passano i minuti e l’incontro si fa ancora più duro perché i campani mettono in mostra un impianto di gioco ben collaudato. A un certo punto, uno dei beniamini, un marcantonio di ventiquattro anni venuto da lontano, si impossessa della palla. Alto un metro e ottantadue centimetri e nato a Castel d’Azzano, vicino Verona, il giovanotto comincia a correre in fuga solitaria sulla fascia sinistra. Quando si avvicina all’area di rigore i difensori avversari sono intimoriti e  nei loro occhi è facile leggere il terrore.

 Quel pomeriggio lo spilungone veloce come un ghepardo fa partire una cannonata che sfiora il palo alla destra del numero uno rivale. Piuttosto che finire in fondo al sacco, purtroppo, il pallone colpisce in piena fronte uno dei fotografi in sevizio al campo; il poveretto si ricovera in ospedale con un grave trauma cranico. Da quel momento i guerrieri dell’Etna riprendono fiato e affilano le armi; prima del triplice trillo di fischietto si impossessano del bastone di comando e al novantesimo danno scacco matto.

 Catania batte Casertana uno a zero.

 Anche il fotoreporter -che il Signore sia lodato- si rianima e sette giorni dopo è al suo posto a Torre del Greco, lesto a far scattare i flash per il tre a zero sulla Turris, che significa prepotente rientro in  B.”

 “Torno qui ogni volta che posso, -mi conferma il leggendario ex-moschettiere del club dell’Elefante, incrociato l’indomani in un bar di Corso Italia-  in questa città sto realmente bene. Mi piace il calore della gente e adoro passeggiare nella meravigliosa via Etnea e al lungomare; inoltre coltivo un’amicizia fraterna da trentasei anni. Vedo una grande differenza tra quel Catania e quello di adesso: il calcio di allora era  più fisico e meno tecnico. Ora è cambiato tutto nel mondo del pallone: gira parecchio denaro, vedo un groviglio di mercanti senza scrupolo e non esiste più l’affetto per la maglia. Per uno come me, poi, calciatore nei romantici anni Settanta, è inconcepibile che si cambino tre o quattro squadre nella stessa  stagione.

 

CLAUDIO CICERI è nato a Milano il 10 maggio '51, "attaccante di chiara fama". Fu Massimino a volerlo nell'estate '74 prelevandolo dal Chieti dopo un'annata monstre con la casacca neroverde. Appena 3 le stagioni in maglia rossazzurra: C '74/75, B '75/76 e C/1 '78/79. 97 le presenze e ben 36 le reti.

 

Ciceri è un fiume in piena. Non lo fermavi sul campo neanche coi terremoti, non lo fermi via telefono in trasmissione!

Mister Melo Russo ricorda ancora come il milanese lo costringesse ad allenarlo anche quando gli altri si riposavano! Un maniaco della perfezione!

"Fino a poco fa ero con Spagnolo! Aspettavamo la vostra telefonata - attacca il capelluto puntero meneghino - con Giampaolo siamo amici da sempre. Arrivai a Catania perchè Massimino mi aveva voluto fortemente. Era un presidente unico".

Gli chiediamo perchè portasse i calzettoni abbassati, "alla cacaiola" per dirla con Gianni Brera:

" I miei idoli erano Sivori e Altafini: mi ispiravo a loro; ma Spagnolo era quello forte: lo paragonerei a un Di Natale odierno. Vorrei dire una cosa sulla nostra promozione in B: Rambone ebbe grandi meriti. Ci scelse lui, ci diede la giusta mentalità. Eravamo forti, un gruppo d'elite in C."

Son passati 40 anni! Ma non si direbbe perchè il buon Claudio rammenta alla perfezione interi spezzoni di gara; come a Torre del Greco dove il Catania agguantò la B:

" Figurarsi! La Turris non mollava: proprio non volevano che vincessimo! L'arbitro non ci diede un rigore, mi annullò una rete, ma fui io a segnare il vantaggio. E in un attimo vincemmo 3-0. Ma prima avevamo vinto una gara impossibile a Reggio Calabria 3-2, Massimino era stato eletto col numero 32...pensa te!".

Chi era Claudio Ciceri?

"Ero un ribelle: ascoltavo il rock, Beatles, Rolling Stones, mi vestivo in modo sgargiante. E oggi non mollo e ascolto Vasco Rossi!". "Già in B l'anno dopo - racconta Ciceri - non c'era più l'entusiasno degli inizi. Anche Massimino era scarico e pagammo la cosa. Io scioperai una giornata ma tornai a Terni e segnai il gol della riscossa! Nel finale di stagione Guido Biondi ( che campione che era! ) ci salvò dalla C. Ma io andai via".

Tornasti anni dopo...

"Si, in C/1 '78/79. Mi infortunai ad Arezzo e non potei giocare a Pisa la gara decisiva: che rabbia! Fortuna che ogni volta che vengo a Catania i più piccoli fanno la foto con me per darla a padri e nonni...forza Catania!".

(a cura di Piero Armenio)

 

 

 

di Salvatore Giovanni Emanuele - 22/06/2015

 

A quarant'anni dalla promozione in B del 74/75 i due bomber ricordano quell'annata da urlo. Un'esclusiva di CalcioCatania.Com - Spagnolo e Ciceri: un'amicizia che dura ancora

Quando si ricorda una grande vittoria, un successo insperato od una promozione storica, le emozioni sgorgano impetuose da quel cassettino della memoria tenuto gelosamente custodito. In linea teorica, la vittoria di un campionato ha una valenza diversa in base alla categoria, perché equiparare una promozione in Serie A ad una in C o in D non è proprio la stessa cosa. Teoricamente. In verità, però, ci sono promozioni conseguite nelle serie inferiori che assumono pari importanza a quelle ottenute in palcoscenici superiori. Un metro di giudizio non esiste, la valenza di un trionfo è dettata dal momento storico, dalle vicissitudini avute e dall’inebriante gusto delle grandi conquiste, a prescindere dai campi calcati. Il 22 giugno del 1975 – esattamente quarant’anni fa – il Catania espugnava con un sonoro 0-3 Torre del Greco, conquistando matematicamente la promozione in Serie B. Di Ciceri, Fatta e Malaman le firme sulla vittoria decisiva, la numero 20 di un campionato straordinario vissuto sempre in testa dopo un avvincente duello col Bari. Un duello, vinto proprio all’ultimo round, che consegnò all’immortalità quel Catania guidato dal Presidentissimo Angelo Massimino e dal tecnico Egizio Rubino, coautori di nuova promozione dopo quella in A ottenuta cinque anni prima. Un Catania grandi numeri, con atleti mai scordati: dal portiere Petrovic ai difensori Benincasa e Prestanti, dal regista Guido Biondi al centrocampista Giagnoni, giungendo all’inarrestabile coppia-goal composta da Claudio Ciceri e Giampietro Spagnolo . E proprio nel giorno del quarantesimo anniversario di quella promozione, i due bomber ricordano – in esclusiva per CalcioCatania.Com – le imprese di quella memorabile cavalcata. Ricordi di un calcio diverso, meno ricco, ma sicuramente più genuino e romantico.  Dal vittorioso esordio casalingo contro la Salernitana (deciso da una rete di Spagnolo), passando dal doppio 0-0 con il Bari (la grande rivale), dalle vittorie fondamentali di Matera e Reggio Calabria, fino all’apoteosi dell’ “Amerigo Liguori” contro la Turris.

 Un campionato sempre in testa.

Spagnolo: “ Fa piacere rivivere quei momenti molto belli anche a distanza di molti anni: quaranta, addirittura. Vincemmo quel campionato per un punto sul Bari, al termine di una stagione bellissima e piena di gol. Tra i tantissimi ricordi che conservo di quella stagione, c’è la partita contro la Nocerina. Eravamo sul 2-2, a pochi minuti dalla fine, con la partita che sembrava ormai chiusa. Poi, quasi allo scadere, segnai e vincemmo proprio all’ultimo istante. Una soddisfazione tra tante soddisfazioni”.

Ciceri: “ Ricordo quella stagione con grande gioia ma anche con un po’ di ansia. L’ansia derivante dall’esser sempre inseguiti da Bari e Lecce che vincevano sempre e non si staccavano mai. Fu così per tutto il campionato, fino all’ultima partita di Torre del Greco. Contro la Turris all’inizio non fu facile: loro, probabilmente motivati dal Bari, giocarono alla morte mettendo in campo il massimo impegno. Prima mi annullarono ingiustamente una rete e subito dopo riuscì a segnare il gol che sbloccò il risultato. A quel punto la Turris si arrese e noi dilagammo per 3-0. Fu un trionfo. Il giorno dopo prendemmo l’aereo da Napoli e all’aeroporto di Catania trovammo oltre diecimila tifosi rossazzurri impazziti di gioia. La passione travolgente della gente di Catania ci accompagnò per tutta la stagione. Fu un anno veramente bello sotto ogni punto di vista, ma soprattutto perché siamo arrivati primi, è chiaro. Arrivare secondi, dopo aver fatto un campionato del genere (20 vittorie, 17 pareggi e una sconfitta, ndr), sarebbe stato come retrocedere. Io una situazione simile l’ho vissuta qualche stagione più tardi, sempre a Catania, quando perdemmo il campionato a Pisa. Per me il 22 sarà una doppia festa, perché il giorno prima mia madre (Ida) compie 92 anni ”.

 La miglior coppia-gol della storia rossazzurra

Venti per Spagnolo, 18 per Ciceri. Con 38 reti in due la “premiata ditta” Ciceri&Spagnolo detiene la palma della miglior coppia-gol della storia rossazzurra. Un primato insidiato seriamente soltanto dal duo Spinesi-Mascara, tandem in grado di realizzare 37 reti nella stagione 2005/06. Un record ancora imbattuto…

 Spagnolo: “ Fa piacere detenere questo record prestigioso, anche se le reti segnate da quei due (Spinesi e Mascara, ndr) sono state realizzate in una categoria superiore. Ma è altrettanto vero che la C di allora era veramente tosta. C’erano Reggina, Messina, Salernitana, Bari e Lecce, delle piazze prestigiose che resero quel torneo una sorta di ‘B2’. Io e Claudio eravamo una coppia ben assortita: io ero molto veloce, lui era molto forte fisicamente. In campo avevamo un modo di giocare diverso l’uno dall’altro: io ero più portato per l’uno-due col compagnoed oltre a realizzare 20 reti sfornai diversi assist, molti dei quali anche per lui. Ero una punta che faceva l’ala. Ciceri, invece, era un po’ troppo ‘innamorato della palla’, giocava per conto suo e talvolta servivano due palloni: uno per lui e l’altro per gli altri 21 in campo… Siamo ancora in stretto contatto: viviamo entrambi a Reggio Emilia e di pomeriggio ci vediamo spesso per giocare a briscola matta al circolo. L’altro giorno è venuto anche Roberto Mozzini, stopper che vinse due scudetti con Inter e Torino negli anni settanta”.

 Ciceri: “Eravamo una coppia che si integrava molto bene. Lui era un brevilineo, molto rapido, mentre io ero la punta di peso. Io sfondavo al centro e lui sulle fasce: l’ideale per il calcio di allora. Adesso, invece, il gioco è diverso: la tattica di oggi consente di giocare in avanti anche con due rapidi. Con Giampietro ci conoscevamo già dai tempi di Reggio Emilia (stagione 1969/70, ndr) e fu un grande piacere ritrovarsi a Catania. Tra di noi c’era un bellissimo rapporto. Un legame di amicizia che continua ancora oggi. In campo, ovviamente, c’era anche un po’ di sano dualismo per via della classifica cannonieri. Io l’avevo vinta l’anno prima a Chieti e fui felice che quella volta la vinse lui. Eravamo entrambi rigoristi e per evitare favoritismi decidemmo di alternarci durante il campionato: in quel campionato non ne sbagliammo neanche uno. Sapere di detenere questo record mi riempie d’orgoglio, anche se, per il bene del Catania e dei tifosi, spero che qualche altra coppia-gol riesca a superarci al più presto. Maniero e Calaiò, se restano entrambi, potrebbero riuscirci tranquillamente”.

 Malaman, il terzo incomodo

Oltre all’inarrestabile coppia d’oro nella faretra di mister Rubino c’era un’altra freccia: Adelchi Malaman, il terzo incomodo, autore di 8 reti in quello stesso torneo.

 Spagnolo: “Malaman era un’ala tornante dotata di un fisico possente. Era molto forte sui calci piazzati, tirava delle bordate spaventose e spesso faceva gol. Quell’anno, ne fece 8”.

 Ciceri: “Quell’anno anche Adelchi riuscì a segnare diverse reti, una delle quali nella gara decisiva con la Turris. Avevamo un ottimo rapporto e, ancora oggi, siamo in contatto, anche tramite Facebook. Lui vive a Verona e spesso va a vedere mio cugino, Enrico Bearzot, che gioca nelle giovanili dell’Hellas. Si Tratta di un esterno avanzato, classe 1996, molto promettente: nel campionato primavera di quest’anno ha segnato contro Milan ed Inter”.

 Un grande gruppo

Dietro un grandissimo attacco, c’è sempre un grandissimo gruppo...

 Spagnolo: “Petrovic in porta, Fatta, Battilani, Prestanti e Benincasa dietro, Poletto, Biondi, Giagnoni e Malaman a centrocampo, io e Ciceri in avanti: mica male come squadra! Avevamo veramente una grossa squadra, con un bel centrocampo, con giocatori di categoria superiore e pieni d’entusiasmo. Quando c’è un gruppo così non è difficile vincere. Sinceramente, credo che quella squadra era più forte rispetto a quella che giocò in B l’anno dopo”.

 Ciceri: “ Era un gruppo bellissimo, molto unito e compatto. Andavamo molto d’accordo e, soprattutto, si scherzava tantissimo. Giagnoni, Biondi e Prestanti erano quelli più scherzosi. Era bello stare insieme, anche fuori dal campo. La vittoria di quel campionato contribuì a saldare il gruppo ancora di più. Si andava spesso a mangiare fuori anche coi dirigenti. Ricordo che il Dottor Mineo e Maugeri erano dei gran mangiatori di sedano, l’accia, come dite voi. Sparivano tra montagne di sedano e noi non riuscivamo a trovarli (tra i ricordi una risata grassa, ndr)”.

 Massimino-Rubino, che duo

Ciceri-Spagnolo in campo, Angelo Massimino ed Egizio Rubino in cabina di regia.

 Spagnolo: “Massimino era il classico ‘presidente-tifoso’, appassionatissimo e stravedeva per il calcio. Era un po’ furbetto, ma anche di ‘parola’. Se dopo una vittoria andavamo da lui a chiedere qualcosa in più, lui faceva finta di niente. Ma se era lui a farci una promessa la manteneva sempre. Era sempre puntuale nei pagamenti degli stipendi: entro il mercoledì della settimana saldava tutto. A fine stagione ci diede anche il premio promozione, così come concordato ad inizio campionato. A Reggio Emilia, invece, non era così. Mi pagavano attraverso delle cambiali che arrivavano a novembre della stagione successiva”.

 Ciceri: “Angelo Massimino era uno spasso. Con lui c’era sempre da ridere. Ci teneva su il morale, ci incoraggiava nei momenti più difficili a non mollare mai. Faceva della scaramanzia una sua virtù. Ci portava spesso a mangiare il pollo arrosto in certe bettole dove era già stato nell’anno della promozione in A (1969/70, ndr). Tra i tanti aneddoti, ricordo la partita di Reggio Calabria. Eravamo sotto per 2-1 e rischiavamo seriamente di perdere il campionato, anche perché mancavano un paio di partite alla conclusione. Alla fine riuscimmo a ribaltare il risultato e fu festa grande. Sul traghetto che ci riportava inSicilia fu uno spettacolo: i tifosi entusiasti portarono in trionfo Angelo, il quale cantava per la gioia. Era il nostro primo tifoso”.

 Rubino, un gran signore

Per bilanciare il focoso carattere del Cavaliere ecco la pacatezza del tecnico Egizio Rubino…

 Spagnolo: “Era un gran signore, poco a che vedere con altri allenatori… In campo ci lasciava liberi di fare quello che volevamo, senza troppi vincoli tattici. Con lui avevamo un rapporto umano stupendo, non era un ‘sergente di ferro’, anzi. Ricordo l’ultima partita che, per tranquillizzarmi, mi disse che Tivelli, il mio rivale nella corsa al titolo cannonieri, non aveva segnato ed io giocai la ripresa con più tranquillità. Alla fine arrivai primo anche lì”.

 Ciceri: “Rubino era un inglese: freddo, calmo e pacato. Con il suo carattere contribuiva a calmare e stemperare gli animi di un ambiente sempre focoso. Ricordo che ad assistere alla partitella del giovedì venivano 5-6mila persone. Sembrava di giocare la domenica in Serie A. Una roba dell’altro mondo. Una passione travolgente e lui ci aiutava molto a gestirla”.

 Tifosi, la vera risorsa. Una grande vittoria ottenuta anche grazie all’apporto dei tifosi rossazzurri, sempre presenti in massa: in casa, in trasferta e anche durante gli allenamenti…

 Spagnolo: “Che grande pubblico! Venivano in massa, 3-4 mila persone, anche per assistere agli allenamenti. I ragazzi marinavano la scuola per venire a vederci allo stadio. Ci hanno aiutato tanto durante quella stagione. Torre del Grifo è qualcosa di meraviglioso. Complimenti al Catania per aver realizzato un’opera del genere. Un centro così in Italia non ce l’ha nessuno. In passato ho avuto modo di visitare la struttura e sono rimasto incantato dalla visuale. Guardi in alto e vedi l’Etna che fuma, guardi in basso e vedi il mare azzurro. Una meraviglia. Quando giocavamo noi non era così. Allora c’era solo il Cibali dove si faceva di tutto: gli allenamenti in settimana, la partita la domenica, le gare dell’Amatori e il pomeriggio anche le scuole. C’erano certe buche spaventose, una cosa vergognosa per una grande città. Adesso i tempi sono cambiati. Fortunatamente per Catania”.

 Ciceri: “Coi tifosi avevamo un rapporto stupendo. Ricordo che non potevo circolare per Catania perché venivo “assalito”da loro. Non solo foto ed autografi: mi portavano a bere qualcosa nei bar, si usciva anche la sera a mangiare il pesce, era qualcosa di unico. Bisognerebbe permettere ai tifosi di seguire gli allenamenti della squadra, perché aiuterebbe ad intensificare il rapporto tra calciatori e città così come capitò a noi”.

 Il Catania di oggi

Dopo aver rievocato i giorni di gloria passati l’attenzione non poteva non spostarsi sull’attuale situazione del Catania, reduce da due stagioni fallimentari e con la “questione-Marino” come ordine del giorno…

 Spagnolo: “Una stagione buttata al vento. A mio avviso sono stati fatti degli acquisti sbagliati sia nel mercato estivo sia in quello di gennaio. Non ho capito l’acquisto di Maniero, che in quanto punta centrale è il doppione di Calaiò. Bisognava prendere un esterno, un’ala veloce, e non un’altra punta fissa centrale. Sbagliata anche la scelta di puntare su Marcolin come tecnico: il black-out delle ultime 3-4 partite mi è parso un po’ strano… Pasquale Marino come nuovo allenatore va più che bene, è valido”.

 Ciceri: “Nel Catania di quest’anno ho notato dei problemi nell’amalgama della squadra: a centrocampo non c’era filtro e la difesa prendeva dei gol veramente banali. Bisogna ritoccare necessariamente questi due reparti. Pasquale Marino è il tecnico perfetto per la risalita, anche perché è siciliano. È molto esperto, motivato e può fare solo bene. È fondamentale, però, centrare bene gli acquisti e non ripetere gli stessi errori”.

Infine, immancabile fotografia su Catania città.

 Spagnolo: “Dal 2000 ad oggi son venuto a Catania sei volte. È una città che mi piace, anche se è un po’ caotica. A Catania c’è la vita, anche di notte. Qui a Reggio Emilia, invece, è molto diverso: se vai in giro alle 8 di sera non trovi nessuno. Da calciatore abitavo ad Ognina, proprio vicino al mare. Adesso è irriconoscibile rispetto ad allora: hanno costruito un sacco di palazzoni, hanno fatto la malora e non si riconosce più”.

 Ciceri: “A Catania ho vissuto dei momenti unici. Da calciatore ho ricevuto tanto affetto, considerazione e stima da parte dei tifosi e non è ovunque così. Ricordo con gioia la nascita di mio figlio (18 marzo 1975) avvenuta proprio in una clinica catanese. Una città stupenda dal clima meraviglioso: bella la montagna, l’Etna, bello il mare. C’è tutto. Ricordo con simpatia anche il caos del traffico uguale a quello di Milano, a me molto familiare. L’unico ricordo negativo è legato al campo: la sconfitta di Pisa. Fu un vero peccato, regalammo un campionato a Matera e Pisa ed ancora oggi, a distanza di tanti anni, è rimasta molta amarezza. Unico dispiacere tra tantissime gioie”.

La coppa va bene: pari a Cagliari e Verona e col forte Toro di Radice al Cibali si sfiora la qualificazione. Tra i nuovi rossazzurri ci sono un certo Damiano Morra e l'etiope Mimmo Labrocca.

Per l'esordio Catania-Varese 0-0 i calciatori si presentano al Cibali appena due ore prima della gara. Il torneo è mediocre: la stampa è contro la società e si fanno i nomi di Ferrini o Marcoccio per il cambio. Massimino caccia il professor Mineo dopo 40 anni di Catania e mister Rubino. Torna Mazzetti, il taumaturgo delle ore difficili.

Ciceri e Biondi trascinano i rossazzurri ad una difficile salvezza agguantata virtualmente a Piacenza il 30 maggio '76, punizione di Guido da Lanciano.

 

 

 

 

 

 

Rubino

 

 

Mazzetti

17° POSTO

1975-76

Muraro; Simonini; Fraccapani; Morra; Cantone; Colombo; Chiavaro; Ventura; Pasin.

La gioia dell'immediato ritorno in B è presto oscurata dalle diatribe tra il presidente e l'amministrazione comunale. Massimino, che nel frattempo è stato eletto consigliere, si lamenta dei mancati finanziamenti e della necessità di ristrutturare lo stadio. Ciò alimenta malumori nella tifoseria e anche nello spogliatoio, che come un anno prima è irritato dal modo in cui il Cavaliere gestisce la “grana” reingaggi. Tra una polemica e l'altra, con alcune operazioni di mercato si da un assestamento all'organico affidato al confermato Rubino. In difesa si perde Prestanti, che torna alla Fiorentina, la quale a sua volta lo gira al Vicenza dove il toscano vivrà splendide annate, coronate dal 2° posto conquistato in massima serie nella stagione 1977/78. Al suo posto torna Ceccarini dall'Avellino e arriva Domenico Labrocca dal Siracusa. In mediana si punta sul rilancio di Biondi e sui nuovi acquisti Damiano Morra, mezzala ventenne proveniente dal Parma, e Franco Panizza, esperto centrocampista ex Ternana. I due sostituiscono i partenti Giagnoni e Fatta. Per il resto non cambia nulla.


 

La stagione è positiva per altri due protagonisti: Zelico Petrovic, che subisce 30 reti (quarta difesa meno battuta del torneo, a dispetto del posizionamento in classifica generale), e Claudio Ciceri, capocannoniere di squadra con 11 reti sulle 27 realizzate (quint'ultimo peggior attacco).

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

 

 

Amarcord

 

Lunedì 28 Giugno 2010 - Giovanni Lo Faro
Ispica. Il sole, da queste parti, non è mai un optional. Nel senso che illumina e riscalda le stagioni che si susseguono senza soluzione di continuità. O quasi. Tunisi sta più a nord, così l'Africa sembra essere qui, con le sue luci abbaglianti e con l'azzurro intenso del suo mare. Che è anche questo mare.
Da queste parti, qualcuno ha voluto che, in concomitanza con la realizzazione dell'ennesimo villaggio-paradiso al Borgo Rio Favara, le vecchie glorie del Torino e del Catania, di un Catania che a quei tempi masticava con rabbia la polvere della periferia del calcio, si ritrovassero, per una passerella, l'ennesima, pur'essa, carica di rimpianti.

I volti. I nomi. Noti e meno noti. Eppure i ricordi affiorano, patinati di nostalgia. Alla chiamata di Nino Cantone (catanese purosangue, come il buon Mimmo Ventura, che assaggiò la A negli anni sessanta, come Chiavaro e Angelozzi, figli di quella splendida scuola di calcio che fu l'Interclub: cosa non da poco, in quei tempi di calcio amaro), hanno risposto in tanti.

 

28.3.1976. SERIE B. Pruzzo osserva Malaman e Benincasa che inseguono un giovane Bruno Conti in Genoa-Catania (1-1) del 28.3.1


Antonio Ceccarini le sue emozioni, la sua commozione, se volete, non esita a consegnarla al cronista: «Mentre l'aereo planava su Catania, dove non tornavo da tempo, il pensiero è andato ad Angelo Massimino, il vecchio presidente, persona unica, irripetibile: ne serbo un ottimo ricordo, così come un ottimo ricordo serbo della città e degli anni che vi ho vissuto».
Calcio di Serie C, prima, ma calcio sincero, genuino. E un pizzico di rammarico: «Non c'ero, nella stagione della promozione in B del Catania di Egizio Rubino, la società mi aveva ceduto all'Avellino: la maglia rossazzurra l'avrei recuperata un anno dopo, in B».
Carriera di buon profilo, quella del "rosso": il passaggio ad Acireale, alla corte di Dino Bovoli, il trasferimento a Catania a conclusione di una trattativa che avrebbe portato in rossazzurro pure Fatta, centrocampista palermitano di buona statura, tecnica e tattica.
Il meglio di sé, però, Antonio Ceccarini l'avrebbe dato con la maglia biancorossa del Perugia: sette stagioni, cinque delle quali in A. «Proprio contro il Catania - ricorda - giocai una delle ultime partite della mia carriera: era la stagione '82-'83».
La stagione, se ci fate caso, della terza promozione in Serie A del Catania, guidato allora da Gianni Di Marzio: «Quella partita, in un Cibali che ribolliva d'entusiasmo, la ricordo come un film dell'orrore per il tragico episodio che la caratterizzò e che rese amara la festa per un Catania che, proprio grazie al successo sul Perugia, s'era assicurato la partecipazione agli spareggi-promozione con Cremonese e Como».


I volti. I nomi. Ciceri e Spagnolo, che un vecchio tifoso rossazzurro, gli occhi lucidi per l'emozione, non aveva mancato di coccolarsi al loro arrivo, sabato sera, a Fontanarossa, al Catania di Angelo Massimino e di Gennaro Rambone e Egizio Rubino regalarono la gioia di una promozione in B. «La retrocessione in C mi aveva segnato - racconta Giampaolo Spagnolo - fu una stagione terribile, quella, anche se mi diede modo di conoscere un personaggio come Memo Prenna: fu l'ultimo degli allenatori a confrontarsi, quell'anno, con un progetto salvezza destinato a fallire».


Spagnolo sarebbe stato però con Ciceri (36 gol in due) il protagonista dell'operazione rilancio concepita da Massimino, avviata da Gennaro Rambone e portata a termine da Egizio Rubino, l'anno successivo: trentotto partite, una sola sconfitta, una cavalcata esaltante. «Il Catania che oggi si fa rispettare in Serie A suscita entusiasmo ma - puntualizza Ciceri - pure il nostro Catania, il Catania che provava a recuperare le posizioni sulla scala del calcio, riusciva ad infiammare i tifosi: era Serie C, ma ricordo che giocavamo in uno stadio sempre pieno…».

 

Ciceri in azione su Giradi, durante un Catania Genoa del 1976

Calcio d'altri tempi, calcio di sentimenti genuini, il calcio-business non l'avevano ancora inventato (e di soldi, dicono un po' tutti, se ne vedevano pochi…) così come non avevano ancora inventato il calcio di tante cronache incomprensibilmente urlate. «Ci è toccata la ventura di essere calciatori in tempi sbagliati», sottolinea Spagnolo. E, stuzzicato, aggiunge: «Le mie serpentine? Gli avversari saltati come birilli? E' passato tanto tempo, restano soltanto i ricordi».
La passione? «Quella - dice Claudio Ciceri - è rimasta intatta, come intatto è rimasto l'amore per una città che ci continua a dare la prova di quanto ci abbia voluto bene…». Sottoscrive la gratitudine, ma ti consegna un grande sogno: «Questa esperienza è stata bellissima, i luoghi sono magici, il calore della gente impagabile: e se provassimo, la stagione prossima, a trasferirla sul terreno del Cibali?».
28/06/2010  (la foto è di Nino Cantone)

 

 

 

 

"Baffo" Labrocca  (di Alessandro Russo)

 

”Grazie alla scrittura – lo sostiene la mia amica Giovanna Giordano - si entra in mondi sconosciuti e si trovano nuovi compagni di viaggio. Chi scrive è come se chiedesse al lettore: vuoi venire con me, per favore?”. Ordunque, quest’oggi invito ciascuno di voi a lasciar perder ogni cosa per qualche minuto. Se vi sta bene, al mio ‘tre’ si leva l'ancora e, di grazia, si salpa verso l’estate dell’anno del Signore 1975; a quel punto attraverseremo tutti insieme il mare magnum della memoria dell’elefante rossazzurro per veleggiare con brio verso un’icona del Catania a cavallo tra gli anni settanta e ottanta.

Mentre Bob Marley gorgheggia “No woman no cry” facendo esplodere la musica reggae nel pianeta Terra, mamma Rai stabilisce le nuove denominazioni di Rete 1 e Rete 2 per i canali della tivù nazionale. Nel nostro Belpaese un quotidiano costa 150 lire e la tazzina di caffè 120; con 300 lire invece ci si assicura un litro di benzina super. Intanto un giovanotto con baffoni da guerriero indossa per la prima volta una casacca a strisce verticali rosse e azzurre con un enorme “2“ cucito sulle spalle. Esteticamente poco raffinato, ma dotato di grande carica agonistica, è un arcigno difensore alto 170 centimetri per 68 chilogrammi di peso. Nato ventitre anni prima all’Asmara, in Eritrea, possiede una muscolatura possente, grinta a volontà e tanta smania di affermarsi. Ama spaziare sulle fasce laterali e rende al massimo su quella di destra, dove a più riprese parte impetuoso al galoppo. Epperò, allorquando le esigenze tattiche lo richiedano, si adatta anche a compiti di marcatura. Ha il temperamento di un vero combattente e l’instancabile falcata in progressione di un purosangue inglese mentre il suo hobby è andare al cinema.

Ricordo per filo e per segno –parola di Mimmo Baffo Labrocca -il debutto in rossazzurro. Mercoledi  27 agosto ’75, stadio Sant’Elia di Cagliari: quel Catania aveva riconquistato la B due mesi prima e il mio sorvegliato speciale era il numero undici ‘Rombo di tuono’ Gigi Riva. Finì zero a zero e -seppur per una gara di Coppa Italia- mi ritenni soddisfatto della mia prestazione.

Ero giunto alle falde dell’Etna desideroso di diventar qualcuno in campo calcistico nazionale, dopo un bel campionato disputato nelle fila del Siracusa condito da otto reti realizzate. Del calore della mia nuova città sapevo già tutto; di fuochi d’artificio, tric-trac, frizzi e lazzi sin a notte da San Cristoforo a Picanello all’indomani della promozione nella stagione precedente, mi raccontavano sera per sera i Ciceri e i Malaman. Tra i cadetti avevo debuttato con la Casertana e, se vogliamo, nel mio palmarès personale c’era persino uno scudetto.

Proprio così; pur senza esser mai schierato in incontri di campionato, nella stagione 1973-‘74 avevo fatto parte della rosa di prima squadra della Lazio che si era aggiudicata il titolo di campione d’Italia. Era il periodo in cui, in seguito all’ennesimo aumento del prezzo del petrolio, il governo aveva appena decretato i provvedimenti di austerità. Per diminuire i consumi di carburante i giorni festivi nelle strade non circolavano auto né motociclette. In breve, la domenica andavo allo stadio con il pullman della società che passava dove abitavo. Una volta non sono andato e abbiamo perso in casa. Morale, il martedì alla ripresa degli allenamenti la colpa della sconfitta fu addebitata proprio a me.

Tra campionato, spareggi e gare di Coppa Italia, la maglia del Catania l’ho indossata in più di duecento occasioni ufficiali. Non posso negare che i flashback che porterò sempre con me sono legati alle due promozioni conquistate ma ricordo con struggente nostalgia anche il presidentissimo Massimino. La partita di cui con maggior piacere conservo memoria è quella vinta negli spareggi all’Olimpico di Roma contro il Como.

 Di tanto in tanto ripenso al gol contro il Campobasso con un bolide da fuori area dopo una cavalcata di sessanta metri in un Cibali strapieno o a quello che ho insaccato deviando il calcio d’angolo di Nicola Fusaro per battere con il minimo scarto il Modena nel gennaio del ’77. Pochi mesi dopo saremmo retrocessi in C e ancora oggi non so darmene una spiegazione.

 

collezione Antonino Cantone

 

 

Pezzetti di storia

Giovanni Lo Faro

 

tessere di un mosaico che, quasi per magia (e per l'idea che ha felicemente ispirato Nino Cantone, ex centrocampista del Catania in C e in B ma, soprattutto, catanese innamorato dei colori rossazzurri), s'è ricomposto, in una calda domenica d'estate. Risvegliando ricordi e scatenando emozioni.
Così, la voce di Luca Fossati, cerimoniere e speaker d'occasione che scandiva i nomi dei protagonisti della sfida con le vecchie glorie del Torino, è parsa la voce, inimitabile, di chi, a quei tempi, annunciava, dai microfoni gracchianti del vecchio Cibali, la formazione del Catania: Petrovic, Fatta, Prestanti, Poletto, Battilani, Benincasa, Spagnolo, Biondi, Ciceri, Giagnoni, Malaman.
Pezzetti di storia, si ritrovano in sei, vecchi compagni d'avventura, legati dall'amore per una maglia che forse non si sono mai tolta di dosso. Guido Battilani, roccioso difensore di scuola milanista, ha gli occhi lucidi, al ricordo, il Catania ha rappresentato la parentesi più bella, e più esaltante, insieme, della sua carriera di calciatore. «Eravamo un bel gruppo, dentro e fuori dal campo, Rambone aveva avuto la mano felice nelle scelte, Rubino, con la sua saggezza, fece il resto, pilotando la squadra verso la promozione in B».
Davanti ai suoi occhi, scorrono i fotogrammi di quell'impresa, fino all'esaltante pomeriggio al Liguori di Torre del Greco, dove il Catania, accompagnato da un numero incredibile di sostenitori, saltò a piè pari l'ultimo ostacolo, rendendo vano l'assalto del Bari, avversario orgoglioso e duro a morire. «Quei tempi - confessa - li rivivo sempre con grande piacere, giocavo sulla linea difensiva, ora al fianco di Fraccapani ora di Benincasa, con il centrocampo che ci garantiva buona copertura, non era certo facile superarci: perdemmo una sola partita, a Messina, il gol di Angelozzi non bastò ad evitare la resa».
S
orride, Battilani («ne sono passati di anni, adesso sono nonno di una bella bambina di due anni, è lei la mia vittoria più bella»), che, adesso, per hobby, fa l'allenatore, tra Eccellenza e Promozione, ma non manca di seguire il Catania «che - dice - è ormai una bella realtà del campionato di Serie A».
Di quel Catania che schierava fior di giocatori (come dimenticare il compianto Guido Biondi e Piero Giagnoni, fratello del più famoso Gustavo, allenatore del Torino in A?), Adelchi Malaman fu pedina fondamentale, anche se il granatiere veronese trovò in Guido Angelozzi, che proprio in quegli anni muoveva i primi passi nel calcio professionistico, un antagonista di tutto rispetto. «A Catania ritorno sempre con grande piacere - dice Malaman che, con la maglia rossazzurra, nella stagione '74-'75, quella della promozione in B, mise a segno otto reti - ho lasciato parecchi amici, quelle stagioni in rossazzurro hanno lasciato un'impronta indelebile. Il calcio? Non l'ho abbandonato del tutto, collaboro con il Verona, che è la squadra della mia città».
Mimmo Labrocca, che in quella stagione indossava la maglia del Siracusa, dell'esaltante impresa del Catania, fu spettatore interessato: Massimino fece di tutto per assicurarsi le prestazioni del terzino di Asmara, ragazzone dal gioco essenziale ma devastante, nelle proiezioni d'offesa. «C'è di tutto - dice - nelle mie sette stagioni in rossazzurro, l'amarezza di una retrocessione in C, la rabbia per un tentativo di risalita fallito nello spareggio di Catanzaro con la Nocerina, ma anche la gioia del ritorno in B, con De Petrillo in panchina, e, dopo l'ennesimo passaggio a Siracusa, il ritorno in rossazzurro giusto in tempo per mettere lo zampino nella promozione in Serie A, nella stagione '82-'83».

Chiuso com'era da Mosti, Chinellato, Ciampoli e da un certo Claudio Ranieri, Mimmo Labrocca giocò non più di sei partite in prima squadra, ma gli bastarono per mettere la firma in calce ad una delle pagine più belle della storia del calcio catanese.

Ricordo che noi giocavamo ogni volta per fare bottino pieno e spesso ci riuscivamo. In particolare fu così nell’anno della promozione in B, campionato ‘74-’75. Con una squadra di lusso per la categoria, gonfiammo la rete avversaria cinquantasei volte, ottenendo quasi sempre i due punti in palio. Giocavamo un calcio scintillante e sbarazzino e io ero uno abituato a farli fare i gol, piuttosto che farli.  Oltre a un paio di bulldozer, c’erano Giagnoni, Ciceri, Biondi, Spagnolo e in porta quel mattacchione di Zeliko Petrovic. Ci fu un duello all’ultimo sangue con i galletti biancorossi del Bari; avevamo un  gruppo-schiacciasassi e sapevamo di essere superiori ai pugliesi, ma nel calcio si è più forti soltanto dopo aver vinto, mai prima.

 

 A Catania ho vestito centoquarantasei volte la gloriosa casacca a strisce verticali rosse e azzurre e firmato diciotto reti. Mie peculiarità erano le grandi galoppate su entrambe le corsie e un tiro micidiale che tanti ancora ricordano. Con i compagni instaurai ottimi rapporti e con Giovanni Fatta e Claudio Ciceri ho ancor oggi contatti. Avevo un feeling particolare con mister Guido Mazzetti e una sincera ammirazione per il mio presidente, un uomo nato per il Calcio Catania. Sto parlando del grande stratega della società, Angelo Massimino, il cavaliere rossazzurro, un galantuomo che non ci faceva mancare nulla anche se a volte si impuntava per banalità. La sua parola è stata sempre onorata e ogni equivoco svaniva come neve al sole.

 Appese le scarpette al chiodo, mi è capitato di  scambiare due chiacchiere con ex-colleghi veneti come me. Ebbene, è stato sorprendente  scoprire che a molti di loro – parlo di calciatori  che hanno militato in serie A e vinto perfino scudetti- non erano stati pagati i contributi integrativi pensionistici. Una cosa del genere  durante i miei sei anni di militanza all’ombra dell’Etna  non si è mai verificata.”

Avevo un carattere un po’ difficile e non di rado venivo ammonito per proteste. Nel ’78 ero tra i titolari nello sciagurato spareggio per la B di Catanzaro e l'anno dopo a Pisa mi feci maldestramente scappar via Cannata, l'autore del cross per il gol decisivo dei toscani. Se parliamo di rendimento globale, però, le migliori stagioni sono state quella della promozione con De Petrillo in B nel 1979-‘80 e la stagione successiva con Mazzetti. Per via della folta zazzera e dei miei mustacchi neri come la pece, compagni e tifosi mi chiamavano ‘Arafat’ oppure talvolta ‘Fedain’.

Mio malgrado, a Crotone, una domenica divenni protagonista a causa di un mio intervento goffo in area di rigore e contestato da tutto il pubblico di casa. Si scatenò un vero e proprio putiferio con invasione di campo e gara sospesa.

Un’altra volta, mentre giocavamo in Serie B fui costretto ad uno stop per il riacutizzarsi di una fastidiosa pubalgia. Era tanta la voglia di raggiungere mister Di Bella e il resto della truppa per trotterellare sulla pista del Cibali, che il medico sociale dottor Luigi Russo fu costretto a tenermi legato sul lettino degli spogliatoi del Cibali per oltre un’ora. Terribile”. 

(estratto dal Magazine ufficiale del Calcio Catania Gennaio/Febbario 2009, ringrazio Alessandro Russo per la gentile concessione.)

 

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Di Bella

 

Valsecchi

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19° POSTO

1976-77

Dal Poggetto; Papale; Muraro; Pasin; Chiavaro; Dall’Oro; Malaman; Cantone; Bortot; Angelozzi; Troja; Marchese; Battilani.

 

Nonostante la salvezza ottenuta la stagione precedente, Massimino non conferma Mazzetti e propizia il secondo ritorno sulla panchina del Catania di Carmelo Di Bella. Alla “restaurazione” della guida tecnica si contrappone una vera e propria rivoluzione dell'organico. Tanti giocatori, molti dei quali protagonisti dell'ultima promozione in B, chiudono il loro ciclo etneo. Le modifiche più grosse si registrano in difesa: Battilani, Benincasa e Simonini scendono in Serie C, trasferendosi rispettivamente a Benevento, Livorno e Messina, mentre Ceccarini va al Perugia dov'è destinato a diventare una bandiera e dove conquisterà l'incredibile 2° posto in A durante la stagione 1978/79.

 

 

I grifoni girano in cambio il centrale Paolo Dall'Oro. Il reparto è completato dall'unico reduce Labrocca, dal nuovo acquisto Giovanni Bertini (stopper romano proveniente dalla Fiorentina) e dal prodotto del settore giovanile Gigi Chiavaro, che ha esordito coi “grandi” un anno prima. Altri due “rossazzurrini”, i centrocampisti Nino Cantone e Guido Angelozzi, vengono lanciati da Di Bella.

 

 

Trova parecchio spazio in particolar modo il primo, il quale già da qualche anno è nel giro della prima squadra e pur essendo un mediano si adatta spesso da terzino. A centrocampo salutano Biondi (Lecce) e Poletto (Livorno), così si riparte da Panizza, Morra e dal talentuoso nuovo arrivo Lorenzo Barlassina, prelevato dal Brindisi. In avanti si dissolve il trio delle meraviglie: Ciceri viene ceduto al Varese, Spagnolo vuole andare via e resta da separato in casa mentre Malaman è poco considerato dal tecnico. Per il ruolo di centravanti si punta sulla scommessa Pierantonio Bortot, ma il ventunenne proveniente dalla Cremonese già nel precampionato si rivela troppo acerbo per reggere da solo il peso dell'attacco.

 

 

 

collezione Antonino Cantone

 

La società così regala a Di Bella il pupillo Tanino Troja, allenato durante la positiva esperienza in rosanero. Per supportare le punte vengono acquistati l'ala Desiderio Marchesi, reduce da un'esperienza in massima serie col Cagliari, ed il centrocampista offensivo ex Brindisi Nicola Fusaro. Novità anche tra i pali dove il secondo di Petrovic, Gigi Muraro, dopo quattro stagioni da riserva va a giocarsi le sue chances in prestito alla Reggiana. Al suo posto ecco Antonio Dal Poggetto, che come il predecessore riscalderà la panchina a lungo. Il nuovo numero 12 arriva dallo Spezia insieme al terzino Pantaleo De Gennaro.

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

Nell’estate millenovecentosettantasei, all’incirca a ferragosto, Di Bella & Massimino sognano di andare in A. Ed è per  questo motivoAl momento stai visualizzando Dì anche tu la tua su Nicola Fusaro che lo prendono, perché loro sperano di irrobustire il centrocampo titolare che già annovera i Panizza, i Marchesi, i Barlassina, tre pezzi da novanta, va. Lui è calabrese e ha ventisei anni, ha giocato in A e tutti dicono che è un fenomeno. Ogni volta che indossa la maglietta rossazzurra in serie B, si mostra come in realtà è fuori dal campo. È una persona affabile e modesta, uno che non ama i riflettori né si mostra mai spocchioso. Il suo fisico è un po’ esile, ma sa giocare a pallone e dimostra quantità e qualità.

Romanzando un pochettino, provo a continuare.

Il calciatore è tecnicamente raffinato e bravo a stoppare la sfera di cuoio ma in realtà unpizzico evanescente. Gioca per lo più da interno  e quindi col numero otto cucito dietro le spalle, ma non è molto veloce e, quando riceve il pallone nel cerchio del centrocampo, piuttosto che scattare in avanti, di tanto in tanto s’attorciglia e poi infine s’incarta.

Una sorta di esteta del calcio Fusaro è e siccome ci tiene tanto a far il numero di classe – che d’altronde è proprio nelle sue corde – preferisce talora avvitarsi su sé stesso e indietreggiare. Di colpo poi fa un passaggio pulito e ineccepibile verso un compagno che gli è accanto ma non si tratta mai d’una veloce giocata in profondità.

Accade così che nel girone d’andata della stagione settantasei-settantasette Nicola faccia la sua parte, d’altronde il torneo cadetto è il palcoscenico giusto per calciatori dalle caratteristiche tecniche di uno come lui. Tanto è vero che, una volta calati a picco in terza serie, nelle due successive stagioni di C, diventa una sorta di oggetto misterioso, una specie di rincalzo di lusso.

A tutti quelli che lo considerano un bidone e che la domenica pomeriggio dalle tribune e dai gradoni del Cibali gli urlano “Ma che ce ne dobbiamo fare in serie C di uno come te?’“, lui risponde col suo passo elegante e la sua melina a quindici minuti dal termine di qualche partita vinta in piazza Spedini.

Questo è il mio ricordo di un giocatore rossazzurro che fu perfino il “capitano” e che una volta segnò una rete dalla bandierina del calcio d’angolo, ma può pure darsi che lo stia confondendo con qualche altro calciatore.

Avevo nove, dieci anni all’epoca, mi perdonerete se mi son sbagliato.

Un caro saluto.

Alessandro Russo.

from Liscìa RussoAzzurra

 

 

 

 

 

Quei «ragazzi» anni Settanta, «padri» del Catania di oggi

 

Estratti dal quotidiano La Sicilia (giugno 2010) - Giovanni Lo Faro

 

 

 

eccoli, i carusi, dopo un po' di anni e qualche chilo in più. ma sempre "carusi".

 

 

 

 

 

LA FESTA ROSSAZZURRA - la rimpatriata (clicca qui)

 

Salvo Bianchetti. Il suo è un calcio di poesia, di regole certe e di applicazione

Nunzio Currenti

 

Il suo è un calcio di poesia, di regole certe e di applicazione. Un calcio senza età, quello del professore Salvo Bianchetti, che ricorda luoghi, cifre e numeri con invidiabile precisazione.

«Vivevo a 200 metri dal Cibali - racconta Bianchetti - sono nato nel quartiere, andavo a piedi allo stadio. Per me allenare la prima squadra del Catania, dopo 15 anni di settore giovanile fu la realizzazione di un sogno che avevo da bambino».

Bianchetti ha ancora tanta voglia di insegnare calcio, di parlare ai giovani calciatori, di lasciare un ricordo importante. Non allena da due anni e in attesa di vivere progetti nuovi si dedica alla scuola calcio del Catania '80. Classe 1950, Bianchetti è sposato con Maria ed è padre di due figli Tonino, ingegnere informatico, e Davide, pedagogista. «La famiglia per me è stata sempre un tassello fondamentale».

Ad allenarla una coppia di tecnici di spessore.

«Giocavano con me Zaccarelli, che fu lo storico capitano del Torino, Biondi e Pippetto Fichera. Mi allenavano in Primavera Totò Calvanese e Valsecchi. Il primo era stato un forte giocatore del Catania. Aveva anche un'attività commerciale di articoli sportivi in Corso Italia a Catania. Nel 2001 a Buenos Aires mi chiamarono a parlare in un congresso di allenatori. Lui era in prima fila. Ricordo l'abbraccio e la festa dopo averlo ritrovato».

Da calciatore perché ha smesso così presto?

«Ero tecnicamente bravo, ma non avevo il fisico per poter giocare ad alti livelli. Ho giocato nel Catania, a ridosso della prima squadra, anche nella categoria De Martino, che ai tempi era una sorta di squadra B. Questo torneo, promosso dalla Lega professionisti, fu soppresso nel 1972 dopo 18 edizioni».

Il Catania nel suo percorso di tecnico è stato fondamentale.

«Credo di essere uno dei pochi allenatori, o forse l'unico, nella storia rossazzurra ad aver allenato in tutte le categorie. Dai pulcini alla prima squadra ho avuto l'onore di condurre il Catania, ricoprendo anche l'incarico di secondo allenatore con Di Marzio, nell'anno della promozione in Serie A, con Renna, Mazzetti e De Petrillo».

Che ricordi ha dell'esperienza in Primavera?

«Si formava con i giocatori locali, al massimo si pescava in provincia. Riuscivamo ad allenarci al Cibali dietro la porta, nella parte dove oggi c'è la Curva Sud. C'era un campetto adattato. In questo caso ci si adattava, poi giocavamo dove capitava, non avevamo un campo preciso».

Quanti giocatori ha allenato in quegli anni di giovanile.

«Galletta, Frazzetto, Gullotta, Perotti, Di Stefano, Orazio Russo, La Torre, per citarne alcuni. Un anno allenai anche Tarantino, arrivò da Palermo, poi andò a giocare a Bologna. In quegli anni, le speranze di arrivare in finale non c'erano. Io ero innamorato di Zeman del suo modo di allenare. Ricordo una partita stupenda, vinta a Palermo. A noi non serviva quel risultato, i rosanero non andarono, però, in finale. E a me dispiacque pure».

Anni dopo la chiamata della Ternana.

«A Terni fui chiamato come responsabile del settore giovanile. Ma io al momento dell'incarico chiesi di poter allenare la Primavera. Quell'anno arrivammo secondi alle spalle della Roma, in squadra allenavo Candreva. Ricordo quella partita persa di misura a Trigoria, affrontammo i giallorossi che avevano in squadra Cerci, Rosi e Okaka. Non era facile vincere perché il pubblico fa sempre la differenza in casa loro. Ecco perché il risultato di domenica scorsa del Catania è straordinario. Alle finali, poi, perdemmo con il Milan di Astori, Di Gennaro, Antonelli e Ardemagni, lottando ad armi pari».

Si ritrova ancora oggi con i ragazzi che ha allenato?

«Al Calcio Park, quartier generale del Catania '80, ogni venerdì insieme con il prof. Lo Certo, grande amico mio, disputiamo una partita con i nostri vecchi giocatori. Vedi Breve, oggi a Giarre, Gruttadauria, Iuculano, Galletta, e tanti altri. Segno che siamo riusciti a lasciare un'impronta importante nel loro percorso di vita».

La sua carriera da professionista comincia a Lentini.

«In C2 conquistai il terzo posto per due anni di fila. Nel 1990/91 andai a Giarre, esperienza conclusasi a gennaio al terzo posto in classifica con un ruolino di marcia in casa impressionante con sei vittorie e un pareggio. Ancora mi chiedo il perché dell'esonero…. ».

Nel 1992 arriva la chiamata più attesa.

«Il mio sogno si realizzava, allenare il Catania, la prima squadra. Il momento più esaltante fu quella straordinaria vittoria a Palermo con le reti di Cipriani e Palmisano».

Alla Spal due anni importanti.

«La società aveva fiducia in me, lavoravo in un contesto davvero speciale, sfiorammo la promozione in B»

Esperienze importanti al Nord con il Crevalcore e alla Imolese.

«Nella prima, addirittura, riuscì dall'ultimo posto a salvare la squadra. In rosa avevo giocatori come Pistone, ex Inter, e Pietranera, che realizzò sedici reti, dopo che lo lanciai dal settore giovanile. A Imola invece, allenai Valiani, ex Bologna e giocatore di talento».

 

 

 

una formazione De Martino

 

 

Lei ha creduto sempre nel giovane di talento.

«Un esempio? Ricordo di Luigi Martinelli a Barletta. Seguì gli allenamenti della Berretti. Apprezzai le sue doti, da quel momento lo convocai sempre in prima squadra. ».

L'esperienza in Bulgaria con il suo amico Scoglio.

«Mi chiamo' a guidare il Naftex di Burgas sul Mar Nero. L'esperienza è positiva perché la squadra finisce il campionato a metà classifica, lanciai giocatori che oggi giocano in realtà importanti internazionali».

Negli ultimi anni le esperienze a Barcellona, con l'Igea Virtus, e Casarano.

«Oggi mi dedico alla scuola calcio del Catania '80, la società che fondammo con il prof. Lo Certo e mio fratello Pino. Cerchiamo di portare avanti il progetto di affiliazione con il Milan. Siamo orgogliosi dei risultati ottenuti in questi anni. Ho ancora tanto da dare al calcio. Spero di ricevere presto un offerta importante e vorrei anche realizzare un progetto di un Academy per giovani calciatori in Svizzera. Sarebbe straordinario, ci stiamo lavorando».

 La Sicilia, 5,2,2015

 

collezione Antonino Cantone

 

 

 

 

 

 

Matteucci

 

Mazzetti

2° POSTO

1977-78

Dal Poggetto; Fusaro; Angelozzi; Labrocca; Pasin; Spagnolo; Ventura; Giustolisi; Lizzio; Giuffrida.

 

Per l'ennesima volta nella propria storia, il Catania assiste da spettatore interessato ad una riforma dei campionati: la stagione ai nastri di partenza è l'ultima della Serie C “unificata”. Dall'anno successivo è prevista la suddivisione su due livelli (C1 e C2). Il regolamento prevede la promozione in B soltanto per la vincente di ognuno dei tre gironi, la permanenza in Serie C1 per le squadre classificate dal 2° al 12° posto e la retrocessione in C2 dalla tredicesima piazza in giù. Grazie ad un buon inizio la formazione di Matteucci conquista la vetta già alla 5a giornata, in coabitazione con Nocerina e Benevento. Non è tutto oro quel che luccica: alle positive prestazioni del reparto arretrato si contrappongono quelle offerte dall'attacco, pregiudicato da uno Spagnolo a mezzo servizio.

 

77-78 - ritiro di Zafferana

 Puntualmente arriva il rinforzo “autunnale”: si tratta dell'attaccante esterno Emilio Frigerio, prelevato dal Como, che in terza serie ha fatto sfracelli un anno prima con la maglia dell'Alessandria. Nel proseguo del girone d'andata i rossazzurri mantengono la propria imbattibilità e, dopo la vittoria al Cibali nello scontro diretto con la Nocerina alla 15a giornata, si portano in testa alla classifica, in solitaria. Segue però una piccola crisi, che comincia una settimana dopo sul campo della poco quotata Pro Vasto: i padroni di casa si impongono grazie a un calcio di rigore, ma il peggio accade nel post-partita, quando scoppia una rissa tra gli atleti delle due compagini. Ne pagano le conseguenze Morra e Dal Poggetto, incredibilmente arrestati per resistenza a pubblico ufficiale e rilasciati il giorno seguente, dopo aver trascorso la notte di Capodanno in carcere. La successiva sfida al vertice in casa col Benevento si conclude sullo 0-0 ed è seguita dall'inopinata sconfitta rimediata sul campo del Barletta, che rimonta il vantaggio etneo negli ultimissimi minuti. Ad un turno dal giro di boa, Malaman e compagni precipitano così al terzo posto.

La squadra però non molla e con cinque vittorie di fila (due delle quali fuori casa) dimostra di poter continuare a coltivare legittime ambizioni di promozione. In questa fase, il colpo esterno sul campo del Crotone è frutto della decisione del giudice sportivo che punisce con lo 0-2 a tavolino l'invasione di campo e la conseguente caccia ad arbitro e avversari tentata dai tifosi pitagorici. Sette giorni più tardi, il match Catania-Salernitana è il teatro di una resa dei conti sui generis tra Massimino e l'ex Fraccapani (uno dei protagonisti in negativo della retrocessione dell'anno prima). Sul 2-1 per gli etnei, un'entrataccia del difensore su Frigerio scatena la reazione rabbiosa del Cavaliere. L'ultimo successo della serie lo si conquista contro un'altra squadra in corsa per il salto di categoria: la Reggina, domata al “Comunale”. L'impresa viene vanificata dalle due seguenti sconfitte consecutive che fanno perdere terreno in classifica. Il Catania rientra in corsa con due vittorie casalinghe e con il pari di Pagani, ma la successiva battuta d'arresto, rimediata a Trapani contro la formazione di Egizio Rubino, costa la panchina a Matteucci. Mancano nove giornate alla fine e per il rush finale ci si affida a Mazzetti, che torna per la seconda volta nell'arco di quattro anni. Nelle prime quattro partite il perugino conquista sette punti sugli otto disponibili, vincendo le tre sfide interne previste dal calendario e pareggiando a Siracusa. La striscia consente ai suoi di appaiare al 1° posto la Nocerina alla vigilia dello scontro diretto. Al “San Francesco” finisce 0-0 e gli ospiti abbandonano lo stadio in tarda serata, al termine di un lungo assedio agli spogliatoi dei tifosi rossoneri. Il turno seguente la vittoria sulla Pro Vasto e il contemporaneo pari dei molossi sul campo del Trapani (che si fa parzialmente perdonare lo “sgambetto” precedente) regalano a Morra e compagni un prezioso punto di vantaggio, da gestire negli ultimi 270'.

Il calendario però non aiuta perché prevede immediatamente il confronto con il Benevento che è 3° a due punti di distacco e sogna l'aggancio. Sul campo neutro di Castellammare di Stabia la sfida si conclude sul pari, anche grazie ad un rigore parato da Muraro. Ne approfitta la Nocerina che batte il Crotone e dopo una sola giornata riprende gli etnei in vetta. Gli ultimi due capitoli della stagione regolare non riservano sorprese: le due sfidanti fanno bottino pieno contro squadre demotivate e di caratura inferiore. Per decretare la vincitrice del girone C si rende quindi necessaria la disputa di uno spareggio, che viene fissato per il 18 giugno al “Militare” di Catanzaro. 4.000 catanesi varcano lo Stretto e sperano di poter festeggiare la promozione. L'incontro si mette bene per gli uomini di Mazzetti, che passano in vantaggio dopo appena 5' con Bortot. Al 30° giunge però il pareggio dei rossoneri con un rigore di Bozzi.

 

Nel secondo tempo l'insospettabile mediano molosso Spada trafigge Muraro quando mancano venticinque minuti allo scadere. Il Catania non trova le forze per reagire e viene condannato alla permanenza in purgatorio. Come nel 1949 e nel 1953, la partita da “dentro o fuori” gioca un brutto scherzo ai colori rossazzurri. Una magra consolazione è rappresentata dal rendimento della difesa, che con sole 16 reti subite è la migliore seconda del girone, mentre in avanti, mancando un vero e proprio fromboliere di razza, ci si accontenta delle buone performances di Bortot, Frigerio e delle frequenti capatine in zona gol dello stakanovista Morra, unico giocatore di movimento presente in tutti gli incontri della stagione.

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

77 -78

 

Così si rivede quella lontana serie C

 

e inizia il valzer delle promozioni e retrocessioni.Dalla C in B e dalla B di nuovo alla C nel campionato 76/77.Il Catania resta in C per 3 anni,dove ottiene risultati soddisfacenti che gli permisero solo al terzo anno di ritornare in serie B.

 

 

 

I FISCHI? FANNO PARTE DEL CALCIO (Gigi Chiavaro)

In vista della gara col Messina e a margine del settantesimo anniversario dell'Elefante abbiamo rintracciato, in esclusiva, Luigi Chiavaro, difensore catanese (classe 1956), al Catania dal 1975 al 1980.

Nelle sue parole il ricordo delle altalenanti stagioni andate con uno sguardo sulle attuali vicende etnee: "Agli inizi, quando Pulvirenti e Lo Monaco diedero il via a quest'avventura - ha esordito Chiavaro - l'entusiasmo faceva da guida.

Allora c'era una situazione ben diversa rispetto a quella di oggi: se non altro si partiva alla pari, senza penalizzazione. La realtà attuale è tutt'altra cosa. Lo Monaco è tornato ma la situazione è più impegnativa rispetto a prima. Non è semplice ritornare in un club che porta dietro delle difficoltà, date dagli eventi che tutti conosciamo bene. Io mi auguro che l'Ad riesca ad aggiustare la situazione. Uscire da queste condizioni si può, serve il carattere.

Questa componente non deve mancare soprattutto ai giocatori in campo. Bisogna non dare peso alle critiche, ai fischi o alle contestazioni.

Il Catania deve andare dritto per la sua strada e cercare di mostrare quello che sa fare meglio. La gente sa riconoscere quando si fa bene e in tal caso applaudirà. E' chiaro che se fai male non può esserci consenso da parte della stessa tifoseria.

A me è capitato di trovarmi in una situazione simile: ho preso tanti fischi durante la mia carriera ma è normale, questo è il calcio. Rispetto ai miei tempi, il calcio di adesso è cambiato tanto: mentalità, velocità di gioco, la terminologia utilizzata ed il modo di intendere il calcio stesso. Analizzandolo mi rendo conto che questo è lo sport più semplice che possa esistere".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capelli

 

1° POSTO

1978-79

 Dal Poggetto; Privitera; Leonardi; Belardi; Bertolo; Angelozzi;  Blatti; Nicotra;  Giuffrida; Fusaro; Pasin; Malaman; Picone; Ciceri.

 

Dopo la delusione di Catanzaro Massimino evita di piangersi addosso (non sarebbe da lui) e rilancia puntando all'immediato riscatto. Le uniche partenze importanti sono quelle di Righi e Spagnolo. L'attaccante dice addio dopo un lustro caratterizzato da alti e bassi e, soprattutto, da 45 gol tra campionato e coppa che lo ergono al 6° posto nella classifica “all time” dei marcatori etnei. Per il resto viene riconfermato lo zoccolo duro della squadra che ha sfiorato la promozione la stagione precedente. Per innalzare il tasso tecnico arriva il mediano Aldo Raimondi, proveniente dal Como e dalla cadetteria, e si registrano due graditi ritorni, quelli di Barlassina e Ciceri.

Quest'ultimo è reduce da una buona stagione in terza serie con la Reggiana. L'organico viene affidato al quarantunenne Adelmo Capelli, tecnico che da qualche anno girovaga per i campi di periferia della C proponendo idee innovative (è uno dei primi ad applicare la zona totale in difesa). Nello scacchiere del nuovo mister viene impiegato con continuità l'energico stopper Bertini, il quale, dopo essere rimasto un po' in ombra nelle sue prime due stagioni in rossazzurro, si mette in mostra sfoggiando anche terribili cannonate sui calci di punizione.

 

 

Sembra quasi un regalo, allora, il fatto che il calendario preveda i due scontri diretti contro le rivali alla terz'ultima e penultima giornata. Il 27 maggio al Cibali contro il Matera una rete di Frigerio garantisce il sorpasso non solo sui biancazzurri, ma anche sui toscani (sconfitti in contemporanea a Campobasso): per la prima volta da inizio stagione la squadra di Capelli è da sola in vetta alla classifica. La domenica successiva ci si sposta a Pisa. Nella città della torre pendente l'accoglienza è tutt'altro che ospitale: gli ultrà pisani assaltano l'albergo che ospita i rossazzurri nella notte che precede la partita ed il giorno dopo si rendono protagonisti di numerose aggressioni con armi bianche nei confronti dei supporter etnei, provocando decine di feriti. Nonostante il clima di tensione, la gara è equilibrata. Nel primo tempo Morra risponde all'iniziale vantaggio dei padroni di casa, consentendo ai suoi di poter controllare nella ripresa un pareggio rappresenterebbe un'assicurazione sull'obiettivo promozione, considerando che all'ultima giornata il Catania dovrà ospitare il modesto Chieti.

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

GIOVANNONE BERTINI

Buongiorno.

Si è appena concluso il primo corso di scrittura creativa al Castello Leucatia di Catania, una delle cose più belle che potessero capitare nella mia vita. Ci siamo occupati di punti di vista e focalizzazione, di dialoghi e metafore, di caccia ai luoghi comuni e ricerca dell’incipit giusto. Ma, al di sopra d’ogni altra cosa, siamo stati bene insieme. Sarah, Federica, Iolanda, Gabriella, Giusi, Agata e Roberto: ecco i nomi dei miei corsisti a cui trasmetto adesso un abbraccio via web in diretta dalla nuova puntata del Russo-azzurro. Un segno di gratitudine lo tramando invece a Graziella, Maria Luisa, Santa e Patrizia che hanno trasformato in realtà questo mio nuovo sogno.

Lento lento, frattanto, l’elefante rosso e azzurro si prepara alla gita di Benevento. Colà in contrada Santa Colomba, all’interno del rettangolo verde del Ciro Vigorito lo attende al varco un cinghiale tutto dipinto di giallo e di rosso. Succede ora che mentre scrivo e m’immagino la zuffa feroce mi torna, prepotente, in mente l’effigie d’un ex stopper d’entrambe le sponde.

Oggi quest’uomo ha l’apparenza mansueta dei suoi sessantacinque anni e fa l’opinionista sportivo in tivù. Epperò, anni fa, per il fisico da gladiatore, lo sguardo truce e i baffi da gringo folti e rigogliosi, in campo incuteva terrore. Parlo diGiovannone Bertini da Roma e, intanto che digito le dieci cifre del suo recapito mobile, me lo rivedo a far scaramucce col centravanti rivale all’interno dell’area di rigore di sperdute e polverose arene del sud Italia.

 «Alessà, -mi enuncia lui al telefono- ultimamente i giocatori del Catania sono un po’ rammolliti; se non cambiano atteggiamento finiranno dritti dritti in D.

Io ero uno che si sarebbe mangiato pure il pallone e di Catania conservo piacevoli ricordi; impossibile dimenticare i cori dei tifosi al Cibali che la domenica gridavano in coro ‘BER-TI-NI, BER-TI-NI’ quando c’era un calcio di punizione dal limite per noi. Il primo anno, stagione 1976-‘77, con Carmelo Di Bella in panchina nel girone d’andata eravamo quarti in classifica in B. Poi, per motivi che non so spiegarmi siamo scivolati in C; pensa, Alessà, che l’ultima partita la perdemmo per quattro a uno: significa che era tutto scritto.

Noi eravamo bravi, però non sempre nel calcio vincono i migliori; purtroppo, col declassamento nella serie inferiore, abbiamo sperperato un sacco di situazioni e punti. Ricordo Nino Leonardi, Nino Cantone e Gigi Chiavaro, ma il più forte tra i catanesi era Guido Angelozzi, un calciatore molto tecnico che a metà campo faceva la differenza. Sono rimasto a Catania quattro stagioni e ho vestito la maglia rossazzurra un’ottantina di volte; dopo aver conquistato la promozione in B, nel 1980, mi sono riavvicinato a casa per motivi familiari. A luglio scappai a Roma e a novembre firmai col Benevento; sono andato là per vincere il campionato ma, credimi Alessà, non le ho più vissute le emozioni provate giù in Sicilia».

 

http://www.scritturiamo.it/uncategorized/il-russo-azzurro-giovannone-bertini-e-il-corso-di-scrittura-al-castello-leucatia-mondocatania-com/

 

 

Al minuto numero 79 arriva però la doccia fredda: l'attaccante Quarella approfitta di una disattenzione della difesa avversaria e realizza il gol, decisivo, del 2-1. Il Matera a sua volta supera l'ormai retrocessa Paganese e si riprende la vetta in coabitazione col Pisa. L'ultimo turno non regala ulteriori sorprese: per il secondo anno di fila il ritorno in B è vanificato nelle ultime battute. Un peccato per i tanti protagonisti messisi in luce: da Muraro, che si conferma affidabile, ai custodi della difesa Labrocca, Chiavaro e Bertini (notevole l'exploit di quest'ultimo, che realizza 5 reti approfittando delle sue botte su punizione); dal centrocampo di categoria superiore, guidato da Barlassina e Raimondi, ad un settore offensivo in cui nessuno spicca in termini di gol fatti ma al quale contribuiscono a turno un po' tutti, dai centrocampisti offensivi Morra e Rappa (idolo dei tifosi per la tecnica esibita) agli attaccanti Frigerio, Labellarte e Ciceri (quest'ultimo, sul viale del tramonto, si ferma a quota 7).

 

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

 

Nino Leonardi, difensore catanese, classe '56

La storia di Nino Leonardi, un esempio per i giovani che sognano l'esordio con la maglia della propria città

 Negli anni '70, fra Under 23, Primavera, Berretti e Allievi, il Catania arrivò a gestire circa 80 giovani calciatori, rimpolpando i ranghi di quel settore giovanile che avrebbe poi consentito alla prima squadra di attingere costantemente fra i più dotati. La domenica mattina, al Cibali, giocavano anche gli Allievi, la giovanile dalla quale muoveva i primi passi la straordinaria storia rossazzurra di Nino Leonardi. «Gli avversari - ricorda Nino - erano onorati di calcare un vero campo, ma ben presto le loro condizioni crollavano di intensità, non essendo abituati a quelle dimensioni».

Quella di Nino Leonardi è stata un'avventura talmente piena di pathos e carattere che potrebbe benissimo diventare un modello cui attingere per tutti quei giovani calciatori che sognano di poter giocare nella squadra della propria città, visto che al forte difensore possiamo a buon diritto riconoscere il fatto di essere stato uno dei pochi catanesi doc ad aver realizzato quel sogno, peraltro con una buona continuità. I tifosi lo hanno premiato votandolo nel sondaggio online lanciato dai promotori (autori della pubblicazione “Tutto il Catania minuto per minuto”, redazione del programma radiofonico “Quelli del ‘46” e Comitato “Gèza Kertész”) del bellissimo progetto autorizzato dal Comune di Catania che vedrà a breve la realizzazione di un murale raffigurante cinquanta personaggi della storia rossazzurra all’esterno dello stadio “Angelo Massimino”, lato Curva Sud e Tribuna B. Fra le cinquanta icone da raffigurare ci sarà anche quella di Nino Leonardi.

I giovani facevano facilmente amicizia grazie allo sport, erano le piazze a raccogliere sciami di ragazzi che rincorrevano compagni, avversari e pallone; molti, però, avevano la fortuna di usufruire dei cortili dei salesiani in via Cifali e al Sacro Cuore del popoloso quartiere della Barriera. Proprio nella Don Bosco Barriera, vera squadra di quartiere, muove i primi passi Nino Leonardi. Iniziano i viaggi al nord per i provini presso squadre blasonate come Varese, Como e Milan, dove nel test affronta da avversario un tal Gianni Rivera, che deve fare i conti con qualche fallo di troppo del difensore catanese. «Tu, ragazzino - Nino riporta le medesime parole del campione rossonero - queste cose non le devi fare»! Ma fu proprio un grande allenatore di calcio giovanile come Pippo Cappello a volerlo fra gli Allievi in rossazzurro, che pur non facendo classifica vincevano (quasi) tutte le partite. Arriva anche il momento della Berretti di Melo Russo, la maggiore squadra giovanile. «Eravamo tutti orgogliosi della nostra maglia - si emoziona Nino - tutti davano l'anima per ben figurare; unico obiettivo, lottare sempre per i due punti». Leonardi viene sempre più spesso aggregato alle trasferte della prima squadra.

Il ritorno in terza serie, dopo appena due stagioni passate in B, riporta il Catania dinnanzi ad una realtà difficile. La brillante cavalcata del girone di ritorno, pur macchiato dalla sconfitta casalinga ad opera del Latina, che interruppe la striscia di cinque vittorie consecutive, si conclude amaramente con la sconfitta per mano della Nocerina nello spareggio promozione disputato a Catanzaro. «Eppure nella gara d'andata a Latina fummo capaci di una grande vittoria con il gol di Morra - ci racconta Nino - io marcai, neutralizzandolo, il velocissimo Caiazza. Il mister del Latina era mio omonimo, Leonardi, di nome Lamberto. In tribuna B, per l'entusiasmo mio fratello invocava a gran voce "Leonardi, Leonardi", cosa che passò inosservata ai tifosi latinensi, pensando fosse il cognome dell'allenatore.

Quando mi avvicinai al settore per salutare mio fratello, i tifosi ricollegarono le vicenda e si scatenò il parapiglia; volò in campo qualsiasi tipo di oggetto e mio fratello stesso passò davvero un brutto quarto d'ora».

Nella stagione seguente,1978-79, il Catania e Nino Leonardi ci provano ancora. Ma il sogno della promozione in cadetteria s’infrange all’Arena Garibaldi di Pisa alla penultima giornata: 2-1 per i nerazzurri e ancora un altro anno in C. «I tifosi pisani - ricorda Nino - si riunirono sotto il nostro albergo cantando e disturbando, con lo scopo evidente di non farci dormire, volendo innervosirci e deconcentrarci per l'incontro dell'indomani. Nessuno intervenne e non si presero provvedimenti».

Al terzo colpo, dopo le cocenti delusioni rimediate nelle due stagioni precedenti, l’Elefante alla fine ritorna in Serie B. E’ il Catania di De Petrillo, Sorrentino, Barlassina, Morra, Casale, Piga e…anche di Nino Leonardi, ma per lui sarà la stagione dei saluti. Fra le battaglie più sentite, le sfide contro la Reggina, vinte entrambe con il risultato di 1-0. Nino presidia la solita fascia sinistra nella gara di ritorno a Reggio Calabria. «Gli amaranto ci aspettavano al varco ma noi eravamo fortissimi, segnò Piga su rigore. Mi toccò marcare l'idolo del "Comunale", Elvio Pianca, che segnava gol a fiotti. Ovviamente - sorride Nino - quel giorno restò a bocca asciutta». In futuro vestirà le maglie di Cremonese (di cui sarà capitano),Triestina, Salernitana, Lucchese, Lecco, Alcamo, chiudendo la carriera a 39 anni in Svizzera, nella squadra del Neuchâtel Xamax.

foto di Nino Leonardi

 

 

 

 

 

 

 

Rambone

 

De Petrillo

 

3° POSTO

1979-80

Dal Poggetto; Festa; Tarallo; Leccese; Leonardi; Zanoli; Frigerio; Calanna; Nicotra.

l'ex De Petrillo: "Promozione fantastica in B nel 1980. Fermammo l'Inter e poi litigai con Massimino"

11.02.2015 17:08 di Redazione ITA Sport Press Twitter: @ItaSportPress

Ancora oggi i tifosi del Catania meno giovani ricordano con tanto affetto Lino De Petrillo, tecnico che nella stagione 79/80 portò i rossazzurri in B dopo aver preso il posto di Gennaro Rambone alla nona giornata. “Fu una cavalcata fantastica –sottolinea ai microfoni di Itasportpress.it - De Petrillo - e vincemmo il campionato di C con due punti di vantaggio sul Foggia. Io arrivai alla vigilia del derby col Siracusa vinto per 1-0. Mi chiamò Massimino che voleva cacciare Rambone dopo la pesante sconfitta per 4-1 a Campobasso.

 

 

 Il presidente come sempre generoso mi voleva comprare dei calciatori ma io non chiesi nessuno avendo visto che la squadra era buona. Da Sorrentino a Piga con il “cervello” Barlassina a tutto campo, avevo uomini veri. Con i giornalisti locali Zuccalà, Prestinenza, Cannavò e Tosto c’era un ottimo feeling. Si andava in trasmissione il mercoledì sera a Teletna ospiti di Pippo Baudo. Tutto bellissimo ricordi fantastici. Purtroppo l’anno dopo in B fui squalificato perché Rambone fece un esposto alla federazione. Io prima di accettare il Catania stavo a Messina ma non avevo il contratto ad inizio stagione. In una gara di Coppa Italia mi sedetti accanto alla panchina giallorossa e per quel motivo fui squalificato, ma ripeto che col Messina non avevo mai sottoscritto nessun contratto ma solo col Catania. Quando arrivai allo stadio Cibali c’erano solo tremila persone e poi sempre di più fino al match di Coppa Italia con l’Inter campione d'Italia di Muller e Beccalossi, finito 0-0 con 40 mila sugli spalti. Nel torneo organizzato per festeggiare la promozione con Ascoli, Torino e Napoli si registrò il tutto esaurito. L’anno dopo litigai con Massimino e al mio posto arrivò Mazzetti”

 "Massimino mi richiamò nel '94 - ricorda 'Renzaccio' - nelle vesti di tecnico della sua nuova creatura risorta in eccellenza. Riuscimmo a rimontare tutto il tempo perduto giungendo terzi. Una meravigliosa esperienza tra quei campetti polverosi di Sicilia. Quanto avrei voluto proseguire la carriera di allenatore lì a Catania! Non lo potei fare per motivi personali. Adesso spero che Pulvirenti riporti il Catania in A e che si faccia una gara con noi vecchie glorie. Forza Catania!".

Barlassina è stato per il Catania un vero leader, capitano e bandiera adorata dalla tifoseria. Come tecnico tornò a guidare gli etnei in eccellenza nel '93/94. Un grande.

(a cura di Piero Armenio)

 

 

Nel '79 nasce a Catania "Antenna Sicilia", tenuta a battesimo da Pippo Baudo, che in breve diverrà l'emittente tv "regional-popolare" per eccellenza grazie a trasmissioni storiche quali " Festival della canzone siciliana " dove furoreggiò il personaggio di Agatino Provvidenza, "tifusu di sustanza".

Interpretato dall'attore Vito Meli, Agatino impersonava il tifoso rossazzurro-medio visceralmente attaccato alla città e ai giocatori idolatrati all'inverosimile. Diverrà popolarissimo per il suo look da stadio e porterà ai colori rossazzurri una fortuna sfacciata!

Massimino ingaggia inizialmente Rambone.

Ma questi, incredibilmente, si autoesonera dopo la vittoria interna contro il Montevarchi all'ottava giornata: malgrado la vittoria il tecnico partenopeo inscena una animosa sceneggiata dal campo contro il pubblico della tribuna A e lascia la panchina a De Petrillo.

Il nuovo trainer avrà un club di tifosi a lui dedicato: "club tigre Lino De Petrillo". Nella corsa promozione c'è un nuovo svenimento di Massimino: alla 30^ contro l'Arezzo di Piero Cucchi, al Cibali, il 2-1 di Pasquale Casale maturò solo a 10' dalla fine.

Il presidente non resse alla tensione.

Il 25 maggio dell' '80 il solito 0-1 di Reggio Calabria riporta in B il Catania. Il rigore decisivo è di Marco Piga, ma il fallo è dell'adranita Agatino Cuttone.

 

RENZO BARLASSINA è nato a Limbiate (MI) il 7 luglio 1948. Gli almanacchi riportano come dati 1,76 × 71, cresciuto nell'Inter. È a Savona nel '68/69, poi Arezzo '71/72, Palermo '73/74 e Brindisi '75/76. Poi arriva la chiamata rossazzurra nel '76, 5 campionati (salvo nel '77/78 alla Pistoiese), 1 promozione in B nel 1980, ben 160 presenze e 17 reti. È stato incoronato miglior calciatore di B nel 1981.

 

 

 

Capitan Renzo Barlassina non le mandava a dire. E non lo fa neanche adesso che è con noi al telefono per rievocare i suoi trascorsi rossazzurri. Gli chiediamo seccamente il perchè del capitombolo in C nel '77:

"Lo spogliatoio era spezzato in 4-5 gruppi...salvarci risultò un'impresa, ahinoi". Barlassina era davvero un lusso per la serie C ma tornò senza esitazione dopo un anno a Pistoia: " A Pisa, quel 3 giugno '79, non fu una partita di calcio; subimmo pressioni prima, durante e dopo. Il finale lo sapete".

Cocciutamente l'elegante centrocampista-goleador rimase col Catania. Prodigo di consigli e vaticinii per il presidente:

"Dissi chiaro e tondo a Massimino che con Rambone non saremmo andati in B. Ci voleva una figura diversa in panchina. Così dopo la sceneggiata col Montevarchi Rambone andò via e con De Petrillo, un vero 'papà', filammo in B e io segnai 6 reti. Anno 1980".

E le soddisfazioni proseguirono in casa 'Barlassa': "Vero! In cadetteria tutti ricordano il mio gol a Bari... vincemmo 1-4. Quella B '80/81 mi portò bene dato che fui incoronato miglior giocatore della B '80/81, ritirai il premio della Gazzetta a Milano, che soddisfazione! Chiusi l'annata con 7 reti, non male per un non attaccante". "Rimasi anche l'anno dopo, l' '81/82, quando sfiorammo la A dopo un'andata magica e indimenticabile. Mi candidai a rimanere ancora nonostante i miei 34 anni: tuttavia per il nuovo tecnico Di Marzio non rientravo nei piani tattici. Non lo ritenni giusto, mi fu preclusa la stagione del ritorno in A. Personaggio anche folcloristico Di Marzio, consigliai il presidente Massimino di tenere gli occhi bene aperti. Fatto sta che due anni dopo la squadra era ripiombata in B e c'era tutto da ricostruire....

 

 

 

La tribuna B in festa alla fine dell'ultima partita con Salernitana per festeggiare la promozione in B 1979-80  dopo la battaglia di Reggio Calabria. (foto Mastrangioli)

 

Ancora oggi i tifosi del Catania meno giovani ricordano con tanto affetto Lino De Petrillo, tecnico che nella stagione 79/80 portò i rossazzurri in B dopo aver preso il posto di Gennaro Rambone alla nona giornata. “Fu una cavalcata fantastica –sottolinea ai microfoni di Itasportpress.it - De Petrillo - e vincemmo il campionato di C con due punti di vantaggio sul Foggia. Io arrivai alla vigilia del derby col Siracusa vinto per 1-0. Mi chiamò Massimino che voleva cacciare Rambone dopo la pesante sconfitta per 4-1 a Campobasso. Il presidente come sempre generoso mi voleva comprare dei calciatori ma io non chiesi nessuno avendo visto che la squadra era buona. Da Sorrentino a Piga con il “cervello” Barlassina a tutto campo, avevo uomini veri.

Con i giornalisti locali Zuccalà, Prestinenza, Cannavò e Tosto c’era un ottimo feeling. Si andava in trasmissione il mercoledì sera a Teletna ospiti di Pippo Baudo. Tutto bellissimo ricordi fantastici. Purtroppo l’anno dopo in B fui squalificato perché Rambone fece un esposto alla federazione. Io prima di accettare il Catania stavo a Messina ma non avevo il contratto ad inizio stagione. In una gara di Coppa Italia mi sedetti accanto alla panchina giallorossa e per quel motivo fui squalificato, ma ripeto che col Messina non avevo mai sottoscritto nessun contratto ma solo col Catania. Quando arrivai allo stadio Cibali c’erano solo tremila persone e poi sempre di più fino al match di Coppa Italia con l’Inter campione d'Italia di Muller e Beccalossi, finito 0-0 con 40 mila sugli spalti. Nel torneo organizzato per festeggiare la promozione con Ascoli, Torino e Napoli si registrò il tutto esaurito. L’anno dopo litigai con Massimino e al mio posto arrivò Mazzetti”

 

 

CARLETTO BORGHI è nato a Pian di Rocca ( Grosseto ) l' 1 gennaio '58, centravanti-ala 1,82 × 69 kg. Questi i freddi dati d'almanacco. Cresciuto coi grifoni del Grosseto passa al Catania nel '79/80 e vola subito in B con gli etnei. In seguito bomber di Catanzaro, Toro e Ascoli torna a Catania nel 1984. Per poi passare nel 1989 alla Torres. Ha vestito 6 stagioni in rossazzurro, 178 presenze e 32 reti.

 

 

Carletto e la sua adorata Toscana sono un tuttuno che è difficile immaginare separato. Saranno anni che le sue gorge implacabili e la sua "evve" moscia non risuona nella salastampa di uno stadio:

"Dico la verità - attacca serafico il prolifico bomber - il calcio d'oggi proprio non mi va giù con i suoi spezzatini d'orario. I gol li vedi all'una di notte. A me piaceva il calcio delle 14:30...seguo comunque le squadre dove ho giocato".

Con quale tecnico ti trovasti più valorizzato?

"Con tutti, direi. Ma se devo dirne uno dico Rambone. Mi aveva voluto lui [ nel 1979 n.d.r. ] era un motivatore come pochi".

Con quale collega di reparto facesti la migliore coppia?

"Con Piga, l'anno della promozione in B. L'intesa era perfetta".

Gli chiediamo delle salvezze che lui e Polenta contribuirono a conquistare anno dopo anno a cavallo della seconda metà anni '80:

"La gente ci additava come i due vecchi della squadra e noi prendevamo il gruppo sulla schiena quando le cose si mettevano male. Io e Adriano ci scambiavamo la fascia di capitano e affrontavamo i cronisti a fine gara. E i conti tornavano sempre".

Dopo sei stagioni rossazzurre te ne andasti alla Torres e...segnasti al Cibali...

"Si: fu un mio errore andar via. Avevo fatto il ritiro col Catania ma non scesi in città. Volevo cambiar aria dopo anni sofferti. E in quel Catania-Torres sotto le feste pasquali segnai il gol del definitivo 1-1".

Sotto i commossi applausi del suo vecchio pubblico aggiungiamo volentieri noi.

  (a cura di Piero Armenio)

  

 

 

 

Massimino, vent'anni dopo il Presidentissimo.

Il ricordo di alcune vecchie glorie rossazzurre - Marco Di Mauro, 4.3.2016

 Una partita del Catania. Un uomo è seduto su una panchina, a metà strada tra il campo e la pista di atletica. Per un attimo, lo sguardo di un piccolo tifoso si stacca dal pallone e fugge altrove, come i pensieri solitari fanno. Si ferma davanti al cappotto con dentro quell'uomo: quasi cieco, ormai. E domanda al papà se è possibile avere quel posto. «Non si può - sorride il papà - lì si può sedere solo il presidente». Oggi il piccolo tifoso e suo padre hanno vent'anni in più. E l'uomo seduto su quella sedia è diventato, per tutti, il Presidentissimo: un superlativo che è stato attribuito ad Angelo Massimino solo al suo funerale.

È morto a Scillato, sull'autostrada Catania-Palermo, il 4 marzo 1996. Nel ventesimo anniversario della sua scomparsa, alcune vecchie glorie rossazzurre - intervistate da MeridioNews - raccontano quali secondo loro sono stati i motivi che hanno portano i catanesi a dare a Massimino, già cavaliere del lavoro, il titolo e la poltrona di Presidentissimo. Sulla quale siede idealmente ancora adesso.

«Amava il Catania, profondamente. Lo ha difeso in ogni modo, momento e luogo. Ma tante persone non l'hanno capito», risponde Damiano Morra. Centrocampista classe '55, di origini argentine, fu il faro dell'undici promosso in A negli spareggi di Roma, 1983. Ed è ancora oggi il rossazzurro col maggior numero di presenze: «Sono arrivato a Catania a 20 anni e sono andato via a 29. Massimino per me è stato un secondo papà». E Morra fu per lui il pupillo: «Forse perché la maglia rossazzurra me la sentivo addosso. La partita per me era una guerra. Lui l'apprezzava molto», è la spiegazione che dà il giocatore. Che ricorda pure cosa accadeva quando i risultati, in campo, erano deludenti: «Mercoledì ci portava tutti fuori Catania, a mangiare pollo in una trattoria piena di camionisti. E la domenica dopo vincevamo, sempre».

 

 

 

 

 

De Petrillo 

 

Mazzetti

 

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13° POSTO

1980-81

Papale; Dal Poggetto; Chiavaro; Tarallo; Ardimanni; Picone; Mencacci; Marino; Castagnini; Raimondi; Mastrangioli; De Falco; Cantone; Cunha.

 

Per fronteggiare il ritorno in cadetteria Massimino decide di puntare sulla continuità, confermando De Petrillo e, con lui, gran parte dei protagonisti della promozione in B. Soltanto due sono, infatti, le partenze “pesanti”, ovvero quelle di Giovanni Bertini, che passa al Benevento insieme a Frigerio, e Carlo Borghi, sul quale punta il Catanzaro di Burgnich, matricola terribile della massima serie. Al loro posto arrivano Francesco Ciampoli, ventinovenne stopper proveniente dal Cagliari, e Loris Bonesso, grande promessa del settore giovanile del Torino, dal quale giunge in prestito. Non si registrano altri acquisti di rilievo, a parte il gradito ritorno di Raimondi. In un torneo caratterizzato dall'inedita presenza di Milan e Lazio (retrocesse d'ufficio a seguito dello scandalo del “Totonero”) non si possono coltivare obiettivi diversi dalla permanenza nella categoria. Il clima di euforia è parzialmente guastato dalla squalifica che pende su De Petrillo a causa di un doppio tesseramento nella stagione precedente (durante la quale, prima di arrivare a Catania, aveva collaborato col Messina).

 

 

Raggiunto in netto anticipo l'obiettivo salvezza, il rendimento cala fisiologicamente negli ultimissimi turni, in cui arrivano quattro sconfitte che fanno precipitare la ciurma fino alla tredicesima posizione finale. Il protagonista dell'anno è senza dubbio Barlassina, il quale si fregia non solo del titolo di capocannoniere di squadra (grazie alle 7 reti realizzate) ma anche, e soprattutto, del premio di miglior giocatore della Serie B assegnato dalla Gazzetta dello Sport, che lo preferisce ad un certo Franco Baresi, alfiere del Milan vincitore del campionato. Si distinguono positivamente anche Sorrentino, Morra, Casale ed il nuovo arrivo Mosti, anch'egli un giocatore dal fiuto del gol negli inserimenti in avanti. Poco continua e solida, invece, la difesa (che risulta essere la peggiore del campionato per il numero di gol subiti), ed altrettanto in difficoltà l'attacco, in cui né Piga, né Bonesso, né De Falco riescono a trovare con continuità la via del gol.

 

 

 

«Era una persona eccezionale. E anche il solo che tirava fuori i soldi, tanti soldi», ricorda Giovanni Gavazzi. L'ex attaccante fu tra i protagonisti della promozione in serie A datata 1970, il primo anno di presidenza Massimino. I rossazzurri la spuntarono solo all'ultima giornata, vincendo 3-1 sul campo della Reggina: «In preda alla gioia, al fischio dell'arbitro, Massimino mise le mani sul filo spinato che separava il campo dagli spalti. Ebbe un malore, fu portato negli spogliatoi e adagiato sul lettino - dice l'attaccante - Gli dissi "presidente, lei è un attore", e ne ridemmo insieme». Una gara memorabile per tutti i protagonisti. I calciatori ottennero un cospicuo premio partita «che il presidente pagò di tasca propria», rivela l'attaccante. E pure per i tifosi quella giornata resta indimenticabile: «Allo stadio c'erano solo bandiere del Catania», conclude Gavazzi.

«Il suo amore per il Catania era irrazionale, non cercava alcun tornaconto», spiega Angelo Busetta, guida tecnica del Catania negli anni '90. A quei tempi la salute di Massimino era già condizionata dal diabete: «Ma, nonostante tutto, era sempre presente accanto alla squadra». Durante le partite in trasferta sedeva in un'altra panchina rispetto a quella del Cibali: la stessa dalla quale Busetta dava ordini ai suoi giocatori: «Vinsi la mia gara d'esordio e lui mi abbracciò tanto forte da farmi perdere la catenina che avevo al collo». E anche durante gli allenamenti - finito il giro mattutino tra i suoi cantieri, che gli servivano per finanziare il Catania - Massimino non mancava quasi mai. Una presenza costante su cui Busetta conserva anche ricordi che risalgono a molti anni prima che lui sedesse in panchina. «Mi hanno raccontato perfino che calciava i rigori insieme a Ciceri e Spagnolo. Che tentavano di spillargli qualche soldo a ogni rete segnata».

 

 

SERIE B 1980/81

Massimino - sarà la frusciante aria degli anni '80? - ha ora 800 milioni da investire nella squadra. Tanto che vorrebbe portare Pietro Anastasi a concludere in patria la carriera. Ma "u tuccu" considerò umiliante la prospettiva.

In coppa, il 20 agosto '80, l'Inter campione d'Italia "assaggia" un Cibali assediato da 41 mila tifosi: Bersellini schierò i migliori, Oriali, Prohaska, Altobelli, Beccalossi, Marini. Ma fu 0-0.

Alla quarta giornata, frizzante 2-2 col Milan al Cibali. Il Catania sfoggia una sgargiante casacca giallo girasole.

Un altro 2-2 interno, ma con la Lazio, costa a Massimino un arresto per una querelle agli ingressi coi giornalisti. Vittima di un malore, il cavaliere è piantonato 8 giorni in ospedale.

Nonostante il -50 nelle caselle "reti al passivo", Sorrentino è fra i migliori portieri della B.

  (a cura di Piero Armenio)

 

Catania-Inter 0-0. 20 Agosto 1980

Quel giorno ci fu l’esordio con la maglia dell’Inter di Herbert Prohaska.

Quando i giocatori entrarono in campo prima della partita dalla tribuna C si levò altissimo il coro “Prohaska si cunnutu, Prohaska si cunnutu!”

Prohaska che era austriaco di Vienna non è che proprio avesse capito il senso... sentì lo stadio invocare il suo nome e venne sotto la tribuna per ringraziare. Il catanese, ca liscia non ni mangia, triplicò lo sforzo e “Prohaska si cunnutu” lo sentirono fino a Vienna.

Alla fine un dirigente dell’Inter venne a recuperarlo e lo riportò negli spogliatoi che ancora ci faceva ciao con la manina...

(DAL WEB)

 

 

 

DAMIANO MORRA è nato in Argentina, a San Fernando, il 22 febbraio '55. Comunque italianissimo cresce al Parma per poi passare al Catania nel '75. Dove è diventato una leggenda: fino al 1984 ha disputato 9 campionati filati in rossazzurro mettendo insieme 283 presenze e 27 reti pesantissime. È il primatista rossazzurro di tutti i tempi per presenze, Damiano Morra è il simbolo stesso della società dell'Elefante.

 

Risentire la voce di Damiano Morra all'altro capo del telefono è una vera scossa d'entusiasmo in un grigio inverno rossazzurro attuale:

"Venivo dal Parma, stadio e realtà troppo tranquilli per me. Appena misi piede al Cibali, con tutto quel pubblico caldissimo, capii che era quella la mia casa!".

Gli chiediamo se ha temuto di perdere il primato in favore di Izco:

"Ero preparato all'eventualità, ma non è successo. Mi spiace per Izco, resto io il primo".

E, francamente, non riteniamo sia più possibile scalzarlo dal trono rossazzurro. Col calcio di oggi va già di lusso se al massimo un calciatore fa due-tre anni con un club.

A proposito: 9 campionati, tanti tecnici, da Rubino a Mazzetti, da Di Bella a Capelli, da Rambone a De Petrillo fino a Di Marzio. Come ha fatto a convincere tutti i tecnici che lei era 'insostituibile'?

"Ero duttile e sapevo adattarmi. Se fate i calcoli ho giocato una media di 31 partite a stagione. L'anno della promozione in A facevo anche il libero quando Mastropasqua non poteva giocare".

Rimpianti per quella fugace A?

"Forse l'organico poteva essere rafforzato in modo diverso: prendemmo i due brasiliani ma avevamo bisogno d'altro...; Forza Catania sempre!".(a cura di Piero Armenio)

 

 

 

 

 

 

 

Michelotti

 

Bianchetti

 

Mazzetti

 

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9° POSTO

1981-82

Pazzagli; Dal Poggetto; Tarallo; Caputi;. Testa; Mosti; Tedoldi;M. Marino; Picone; Giuffrida.

 

Raggiunto l'obiettivo permanenza, Massimino programma ora il consolidamento in Serie B attraverso un mercato che rivoluziona l'organico e pone le premesse per coltivare il sogno del salto in massima serie. Nel reparto arretrato gli unici confermati sono la saracinesca Sorrentino, l'arcigno Ciampoli ed il terzino Mosti (il quale però viene spesso utilizzato a centrocampo). Labrocca, Chiavaro e Croci, protagonisti della promozione in cadetteria dell'anno prima, scendono in Serie C2 trasferendosi rispettivamente al Siracusa, all'Akragas e alla Lucchese. Saluta anche Salvatori, che passa al Pescara. Si riparte da Mirco Brilli e Renato Miele, una coppia di difensori proveniente dalla Spal. Dalla Serie C1, via Sambenedettese e Atalanta, si pescano invece i rincalzi Danilo Tedoldi e Federico Caputi.

 

Ma il vero “colpo” di mercato è rappresentato dall'acquisto di Aldo Cantarutti, ventitreenne centravanti, tra i principali bomber della stagione precedente con le 12 reti siglate con la maglia del Pisa. Alla società di Anconetani vanno il cartellino di Casale e 900 milioni di lire (da qui l'appellativo “Mister Miliardo”, che richiama un film del 1977 che vede come protagonista il notorio Terence Hill). Alla punta friulana viene affiancato il coetaneo Angelo Crialesi, poliedrico attaccante scartato dall'Inter dopo il prestito al Brescia in Serie A. Il nuovo tandem offensivo colma le partenze di Piga (Reggina), Bonesso (che torna alla base, al Torino) e De Falco (che va alla Triestina dove esploderà, alimentando forti rimpianti).

A centrocampo, il sacrificio di Casale è fronteggiato dall'arrivo dalla Sampdoria del mediano Enrico Vella. Il reparto è completato dai giovani Marcello Gamberini (prelevato dal Bologna) e dal jolly Giuseppe Testa, giunto in prestito dall'Inter. L'intenzione della società è quella di rinnovare la fiducia a Mazzetti ma sorge un intoppo regolamentare: per sopraggiunti limiti d'età, Sor Guido non può ricoprire il ruolo di allenatore. Per ovviare al problema il perugino riveste nuovamente l'incarico di dt, mentre in panchina, per una questione di forma, siede Giorgio Michelotti, icona degli anni '60.

   Il campionato lo si chiude con un 2-0 inflitto al Rimini che vale l'8° posto in coabitazione con la Sambenedettese. In un'annata dai due volti suscita ammirazione l'immediato affiatamento tra Cantarutti e Crialesi (10 gol a testa). Nel reparto difensivo si salva il solo Sorrentino, che contiene il passivo, mentre in mediana trova consacrazione il talento di Enrico Vella.

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di Marzio

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3° POSTO

1982-83

Onorati; Ciampoli; V. Marino; M. Marino; Labrocca; Picone; Gamberini; Paganelli; Barozzi.

 

 

COPPA ITALIA 1982

Il 18 agosto 1982, in un Cibali assolato e gremito all'inverosimile per il match inaugurale di coppa Italia Catania-Juventus, principiava l'indimenticabile cavalcata per il ritorno in serie A durata 11 lunghi mesi e 45 partite ufficiali. Riviviamo questi 11 mesi di sogni e partite.

Sorrentino è premiato col "puppetto d'argento" quale miglior portiere dell'ultima stagione.

Ma radiomercato lo vorrebbe accasarsi al Perugia. Anche la società etnea fa gola a molti: Massimino è però ben saldo. Chiama il trainer Di Marzio ed è questi che plasma la squadra perfetta: Mastalli del Varese completa la prima linea; Mastropasqua-Chinellato e Ranieri cementano la difesa e Giovannelli non fa rimpiangere Vella perso alle buste con la Lazio.

Coppa Italia

Il girone è d'acciaio inox con Juve-Milan-Genoa. Coi bianconeri campioni d'Italia e imbottiti di campioni del mondo è 1-1 a sorpresa. Giorgio Mastropasqua segna il primo gol stagionale rossazzurro, la neonata curva sud è tenuta a battesimo così come Michel Platini. Il Catania giunge terzo nel girone con 6 punti in 5 gare. Qualificazione sfiorata. Già nell'aria il profumo è di stagione ricca.  (a cura di Piero Armenio)

 

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Mastropasqua, l'uomo che castigò Zoff

 La Sicilia - Domenica 25 Settembre 2011 Giovanni Finocchiaro

Se non ci fosse stato lui, la Juve, magari, non avrebbe preso il talentuoso Gaetano Scirea dall'Atalanta. Sì, Giorgio Mastropasqua fu l'atleta che, dalla casa base, accettò il percorso destinazione Bergamo.
Ritroviamo, dopo 27 anni, lo storico libero del Catania targato Gianni Di Marzio, proprio a Bergamo. In tempo per ricordi e pronostici in vista di Catania-Juve, due delle squadre in cui «Mastro» ha dispensato energie, ottenendo vittorie.
Intanto, Giorgio, cosa fa a Bergamo?
«Alleno l'Alzano, in Serie D. Sì, sono tecnico da vent'anni. Ho alternato esperienze con i giovani a campionati dilettantistici».
È stato anche nello staff dell'Albinoleffe?
«Ho collaborato, ma alla fine ho preferito avere una squadra mia. L'adrenalina per i tre punti s'avverte anche dalla panchina».
E il suo Catania?
«Tutti spariti. Non ho più sentito nessuno. E, negli ultimi anni, neanche visto».
 Perché?
«Capita. Il mondo va veloce, io alla domenica gioco, durante la settimana alleno».
Lei segnò il gol alla Juve in Coppa, era il 18 agosto. Lo ricorda ancora, Mastropasqua?
«Come potrei dimenticarlo? Quella squadra, la Juve intendo, aveva appena accolto i giocatori reduci dal successo ai Mondiali di Spagna. Noi avevamo appena conquistato la promozione in Serie A. Ricordo lo stadio strapieno di tifosi. Più che mai in quell'occasione».
Continui.
«Ci confrontammo con Zoff, Cabrini, Scirea, ma anche con Boniek, Platini, Bettega (con il quale avevo fatto le trafile giovanili in bianconero), con Prandelli che subentrò dopo un'ora... La Juve più forte di sempre, probabilmente. Segnai subito, pareggiò Marocchino».
Ci descriva il gol.
«Conquistammo una punizione sulla destra, la porta di Zoff era quella piazzata sotto la curva Nord. Cross di Mastalli, mi inserii di testa anticipando i centrali e feci centro. Esultai sotto la tribuna centrale, travolto da compagni e vigili urbani»
La Serie A conquistata non riuscì a godersela.
«Mi feci male, malissimo, rompendomi il tendine. Rientrai nel finale di stagione, quando ormai era tutto compromesso».
Il rapporto con i giocatori di allora, con la città?

«Di Marzio era un padre per tutti quanti. Un amico, anche. Abitavamo alla Perla Jonica, sembrava un posto tipico da vacanza. Ma eravamo professionisti, era vietato sgarrare. Ricordo un episodio curioso».

 

Ce lo racconti.
«Con Pedrinho e Cantarutti non riuscivamo a fare la spesa. Alla pescheria, dal fruttivendolo vicino gli archi della marina, al panificio. Ci regalavano tutto e a noi non sembrava giusto. A distanza di anni, me lo permetta, saluto il mio amico panettiere Salvo Stagnitta».
Catania-Juve, oggi, come andrà a finire?
«Sono nato a Torino, anzi a Rivoli, ma il Catania mi ha regalato molte emozioni. Spero che il Catania si salvi e che la Juve vinca lo scudetto».
Chi saranno i protagonisti?
«Il Catania gioca di gruppo. A me piaceva molto Peppe Mascara, ma adesso è a Napoli. Sono sicuro che la spinta dei tifosi sarà determinante, come lo fu per noi, splendidi ragazzi che negli Anni Ottanta regalammo ai catanesi e ci regalammo un sogno».

 

Il tecnico nativo di Rivoli (TO), è un esperto delle massime categorie dilettantistiche. Dopo essere cresciuto nel vivaio juventino, inizia la carriera professionistica esordendo in Serie A il 24 settembre 1972 in Napoli-Ternana 1-0. Gioca come libero e all'occorrenza anche come centrocampista. Dopo il campionato 1972/73 con la maglia rossoverde, ritorna a Torino. Al termine del campionato 1973/74, le sue presenze saranno solamente 8; Mastropasqua viene ceduto all’Atalanta. Mastropasqua, rimane nella compagine orobica per cinque stagioni, prima di cominciare un lungo girovagare per l’Italia, che lo porterà a vestire le maglie di Bologna, Lazio, Catania, Piacenza e Pavia, con la quale concluderà la carriera professionistica nel 1988.

 

Si parte subito con 3 vittorie esterne di fila nelle prime 3 gare fuori casa: Cremona, Lecce e Bergamo (bomba di Giovannelli) cadono espugnate. Sulla via del Salento Cantarutti si "perde" a Trebisacce e arriva a Lecce in taxi evitando il viaggio su un torpedone che "ricordava il medioevo".

Il Catania viaggia nelle prime posizioni ma stenta in un Cibali dal fondocampo impossibile.

Il primo successo interno data 21 novembre: 11° turno - 3-0 al Bari con segnature di Crusco, Cantarutti e Mastropasqua.

Frattanto l'aletta ligure Barozzi (classe '60) completa i ranghi nel mercato novembrino.

L'undici-base subisce rarissimi infortuni e scende in campo quasi sempre senza defezioni cementandosi in un tutt'uno recitato come un mantra dai tifosi rossazzurri: Sorrentino- Ranieri-Mosti-Giovannelli-Chinellato-Mastropasqua-Morra-Mastalli-Cantarutti-Crusco-Crialesi.

L'unico stop lo patisce capitan Sorrentino in occasione di Catania-Monza 2-0 del 2 gennaio '83: lo scontro col brianzolo Loris Pradella costa la spalla al portierone sostituito dal deb Marco Onorati per 4 gare consecutive. Che il Catania non perde girando a 23 punti, alle spalle di Lazio, Milan e Cavese.

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Girone di ritorno

In curva sud compare un nuovo gruppo ultràs, i "Catania Raiders", fondati dal futuro giornalista Umberto Teghini. Nella pausa di campionato del 6 febbraio la nazionale di serie B vola a Nairobi per un'amichevole. Gli etnei Crusco, Mastalli e Cantarutti fanno parte in pianta stabile dell'11 titolare.

Il 13 febbraio il Catania strappa lo 0-0 a San Siro col Milan alla seconda di ritorno. Ciampoli sfiorò il colpaccio nel finale. In ogni caso è la gara che fa scattare la consapevolezza del possibile salto in A.

I rossazzurri, tuttavia, si inceppano in trasferta perdendo a Reggio, Pistoia, Varese e Bari. Lo 0-0 casalingo col Como pare vanificare tutti gli sforzi.

Un magnifico maggio

Otto punti in 5 gare: il Catania passa a San Benedetto (1-3) sul terreno dell'inespugnabile "fratelli Ballarin" con una cavalcata monstre "coast to coast" di Mastalli a siglare l'impresa.

In un Cibali trasformato in una bolgia infernale il Bologna è sconfitto in rimonta da una zuccata di Barozzi sotto la sud. Alla vigilia della penultima sfida, in casa della Lazio, il Catania è saldamente in vista della promozione.

I biancocelesti sembrano alla canna del gas avendo dilapidato un tesoro di punti. Alla truppa di Giordano e soci riesce di piegare un Catania onestamente superiore grazie ad un dubbio rigore e ad un finale di gara non proprio sportivo con la sfera gettata fuori dal campo e i raccattapalle svaniti nel nulla.

Qualcuno raccontò di una visita di Ciccio Cordova nel ritiro pre-gara del Catania: era andato a salutare la sua vecchia squadra?

Per molti i sogni promozione sono finiti: la Cremonese è ora terza solitaria e si reca a Varese per la formalità finale.

 

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Epilogo con sparatoria

Il Catania ospita il Perugia e il Cibali è gremito all'inverosimile nonostante la delusione di Roma. Poco prima del fischio d'inizio un rumore di colpi sordi turba l'atmosfera festaiola. Sembrano solo petardi, forse qualcuno si è lievemente fatto male?

Diradatasi la cortina fumogena si palesa l'assurda verità: Angelo Grasso, il custode dello stadio, ha preso a fucilate una serie di giovinastri che dileggiandolo e financo orinandogli quasi sotto casa, molestavano anche le giovani figlie. È il panico. Un tifoso muore. I feriti sono decine. Il clima è surreale.

Il Catania gioca ma è turbato: gli umbri si portano avanti con Amenta. La ripresa premia gli etnei che rimontano 2-1.

Da Varese sorpresa: 1-1, l'undici di Barluzzi nel quale militano i siciliani Rampulla e Auteri, ha bloccato i grigiorossi del diciottenne Gianluca Vialli. Catania, Como e Cremonese vanno agli spareggi.

Gli spareggi romani

Il Catania fa suo il primo match contro il Como in un sabato uggioso di metà giugno inoltrato: 1-0, rete di Crialesi. Quattro giorni dopo è 0-0 nel derby lombardo. Il Como è fuori causa.

Al Catania basterebbe un pari nello scontro di chiusura con la Cremonese. È proprio questo il punteggio che alle 19:49 di sabato 25 giugno '83 manda in estasi una città viaggiante trasferitasi in uno stadio.

 (a cura di Piero Armenio)

 

 

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ROBERTO SORRENTINO è nato a Napoli il 14 agosto '55. Cresciuto nel Napoli ha poi indossato le maglie di Gladiator, Nocerina e Paganese prima di vestire il rossazzurro per cinque memorabili stagioni vissute coi gradi di capitano. Due promozioni nel palmarès catanese. Poi il divorzio. Il portierone campano ha chiuso la carriera a Cagliari e Bologna. Oggi vive da tempo a Torino.

 

"Mi sarebbe piaciuto chiudere il cerchio e allenare il 'mio' Catania...", sincere parole del portiere per antonomasia intervenuto al telefono. La sua piacevole generosità e disponibilità ci travolgono: "Arrivai dalla Paganese nel '79. Noi della Paganese eravamo stati la bestia nera del Catania...io parai tre rigori tre ai rossazzurri l'anno prima! Tra cui uno a Ciceri al Cibali".

Ma non furono tutte rose e fiori...

"È vero: Catania era la mia prima esperienza fuori da casa. Avevo 24 anni e un figlio piccolo.

Nei primi tempi non avevo ancora la mia consueta esplosività. Poi sostituii Dal Poggetto e mi consacrai. Ma ho sempre avuto un rapporto eccellente coi colleghi: con Marco Onorati, l'anno della promozione in A, addirittura speciale. Ebbi un lieve infortunio e Marco mi ha sostituito confermando che la difesa di quell'anno era impenetrabile [19 reti incassate in 40 partite! N.d.r.], Marco Onorati merita di stare nel calcio: è il top anche come preparatore dei portieri".

"Attraverso le vhs che ho conservato - ci incalza l'ex numero uno - mostro ai miei figli cosa ho fatto: gli spareggi di Roma sono stati una leggenda...; spererei che la rivalità col Palermo finisca, a Palermo non mi hanno mai fischiato quando vestivo il rossazzurro".

E gli impegni di tecnico non sono finiti...

"Mi hanno proposto una panchina in Russia! Ma a 58 anni non so se sentirmela...certo, se mi proponessero il Catania...".

Mai dire mai!

(a cura di Piero Armenio)

 

ANGELO CRIALESI è nato a Roviano ( Roma ) l'11 gennaio 1958, definito dagli almanacchi "centravanti-ala, m.1,76 × 70 kg" è cresciuto nel Banco Roma, compagine capitolina di C/2 presso le cui fila militò il celebre doppiatore Pino Insegno. Giunto dal Brescia nell'estate '81 costituì per un triennio un duo d'attacco proverbiale con Aldo Cantarutti. Crialesi ha collezionato con i rossazzurri 97 presenze segnando 17 reti. Nell'ottobre '84 fu ceduto al Piacenza, in C/1.

L'ultima puntata del 2014 la celebriamo con un compiaciuto Angelo Crialesi all'altro capo della cornetta. Dopo 30 anni Catania non vuol proprio dimenticarlo. Gli chiediamo subito del "mago" Di Marzio:

"A posteriori lo definirei un "Mourinho" dell'epoca: faceva tutto lui! Poteva fungere perfino da addetto stampa o da magazziniere. Col suo carisma allontanava da noi calciatori le tensioni. Comunque il quel periodo era abituale questa figura di allenatore-factotum".

Chi era il più burlone di quel gruppo che conquistò la A?

"Io ero piuttosto tranquillo, a dir la verità; ma c'era Giovannelli che faceva scherzi tremendi! Ricordo che un giorno Gamberini stava leggendo il giornale e Maurizio [ Giovannelli n.d.r. ] da sotto glielo incendiò...".

Perchè a Roma con la Lazio si perse nonostante un suo pregevole gol?

 

 

LAZIO CATANIA

"Quella partita la ricordo perfettamente. Stavamo pareggiando e avevamo pensato di vincerla! Sul campo non c'era storia ma subimmo due gol "strani"...dopo il 2-1 loro non si potè più giocare, la palla spariva nel fossato attorno al campo. Diciamo che fummo..."sfortunati", ecco...".

La A arrivò poco dopo, all'Olimpico contro la Cremonese di Mondonico.

"A fine gara ero corso sotto la curva perchè c'erano i miei amici d'infanzia di Roviano cui avevo promesso la maglia. Per farlo dovetti scavalcare il fossato e, tornando indietro senza maglietta, un poliziotto mi aveva scambiato per un invasore e stava per manganellarmi!". "La A fu un calvario - precisa il bomber capitolino - anche perchè squadra e città non erano pronte a quello scenario. Ancora a novembre a Catania si festeggiava la promozione e la squadra a momenti era già in B".

"Sono rimasto tre anni a Catania - racconta con una punta di rammarico il buon Angelo - io e mia moglie eravamo innamorati della città. Ma nell'ottobre del 1984 feci le valigie e andai via. Era finito un ciclo: dopo pochi giorni di ritiro mi sentivo spaesato e preferii andare a Piacenza".

Anni dopo Crialesi e il Catania si rincontrarono da avversari.

"Vestivo i colori della Salernitana [ in C/1 '87/88 n.d.r. ] e mi toccò di battere il rigore decisivo nella sfida d'andata al "Vestuti". Ma nella sfida di ritorno del Cibali...be', dopo 26 anni posso dirlo...: mi capitò un'occasione d'oro per segnare grazie ad un assist di Campilongo. Io, anzichè filare in porta tentai un aggiramento temporeggiando: il Catania aveva troppo bisogno di quella vittoria per salvarsi...".

Un vecchio cuore rossazzurro non tradisce mai!

( a cura di Piero Armenio )

 

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Quella volta che l'Olimpico di Roma si tinse di rossazzurro

Gianfranco Troina

 

Quei sogni smarriti tra mille gioie, mille illusioni, mille delusioni, aspettando sempre che tutto torni ad essere realtà: il Catania tra le big della Serie A. La storia del calcio rossazzurro s'interseca con la vita della città in modo quasi costante nei suoi alti e bassi, quasi come un campionato della vita sociale in cui si cerca di aggrapparsi ad un esempio, un qualcosa che ti indirizzi, ti dia entusiasmo. Dall'altare alla polvere, toccare il cielo con un dito e poi ritrovarsi d'un colpo giù, sopraffatti dal pessimismo più acuto. Dall'entusiasmo alla depressione, travasi di allegria e di bile per un pallone in fondo al sacco di una vita in cui il gol è lo… spread continuo.

Son passati più di cinquant'anni dalla prima promozione del Catania in Serie A, quando la squadra tornava da Valdagno. Erano passate ventiquattro ore dalla fine del campionato, era il 3 giugno 1954 e la città si svuotò per celebrare i suoi eroi rossazzurri. Candido Cannavò da queste colonne raccontava che quasi in duecentomila si erano riversati sulla nazionale Catania-Messina per andare incontro alla squadra. A Giarre il treno coi giocatori reduci dal Veneto non poté più andare avanti: "30 chilometri d'inferno, in un pomeriggio storico, indimenticabile, Non c'è una fervida mente immaginifica che possa arrivare a quella che è la pura realtà. I rossazzurri del Catania, tornando con la Serie A in tasca, hanno messo in rivoluzione mezza Sicilia".

Una città ebbra di felicità per la sua prima grande conquista. Erano passati meno di dieci dalla fine della seconda guerra mondiale, Catania diventava sempre più il fulcro di una Sicilia Orientale operosa che cercava sviluppo economico e sociale in una grande area metropolitana che attirava anche imprenditori settentrionali ad investire nella nascente Zona Industriale che andava via via bonificando l'acquitrino di Pantano d'Arci. Ma non solo, Catania era, soprattutto, un grande polo commerciale, un punto di riferimento per quasi sette province dell'Isola. Il fascino barocco della città, l'Etna e il trinomio turistico sempre più costante con Taormina e Siracusa erano attrattive uniche.

Insomma una città che si risvegliava dal suo torpore, una città viva che assorbì con grande disappunto la retrocessione immediata della squadra che non avvenne per meriti sportivi, ma per un "illecito-guazzabuglio" che coinvolse il Club Calcio, l'Udinese e l'arbitro Sgaramella. Ci vollero cinque anni per ritentare dopo aver toccato una crisi che stava per portare il Club Calcio in Serie C, ma l'avvento di Ignazio Marcoccio da commissario alla guida del Catania fu il toccasana e, a quel punto, la storia della squadra con la città s'intreccia ancor di più.

Perché la promozione del '59-'60 arrivò con grande slancio con acquisti azzeccati, con una conduzione puntigliosa, senza sprechi tra sofferenze economiche di una gestione "a stecchetto", improntata sull'acquisto di giovani di belle speranze o campioni da recuperare e da rivendere poi con un "surplus" importante per sopravvivere in una Serie A in cui ancora le società per azioni non erano entrate a pieno titolo.

La ingegnosità rossazzurra degli anni del "Clamoroso al Cibali" in cui Catania per tanti era la Milano del Sud aveva un riscontro economico e sociale importante

La ingegnosità rossazzurra degli anni del "Clamoroso al Cibali" in cui Catania per tanti era la Milano del Sud aveva un riscontro economico e sociale importante. La città sognava il suo grande progetto. Idee e industriosità erano le qualità messe in campo, ma non sempre per l'interesse comune, con una classe politica indecisa e impreparata (oltreché avviluppata nei suoi gangli peggiori) non sempre pronta a raccogliere l'evoluzione (direi la rivoluzione) che era in corso a livello economico e sociale. Molte infrastrutture restarono indietro: ci vollero anni e anni perché l'aeroporto di Fontanarossa avesse un volto decente (ma direi tutt'oggi insufficiente). Fontanarossa come esempio, ma l'autostrada per Siracusa o la superstrada per Ragusa sono progetti rimasti nel cassetto per tanto tempo (qualcuno ancora purtroppo lo è). Anche quella seconda promozione portò grande entusiasmo, la squadra come simbolo. Il calcio era tutto o quasi, ma Catania, nonostante se ne fosse parlato tanto, non seppe darsi uno stadio moderno che potesse sostituire il vecchio polisportivo Cibali ormai sorpassato dai tempi.

Un "buco" che è stato pian piano riparato negli anni con qualche rattoppo. Oggi il Cibali è uno stadio appena sufficiente, meno che decente, soprattutto per la sua collocazione in un quartiere che ha finito con l'ingoiarlo del tutto nelle sue problematiche.

Ma furono favolosi anni Sessanta, momenti stupendi per il Catania Calcio. Stagioni super in Serie A all'insegna di "pane, amore e fantasia" o del "poveri ma belli" del duo Marcoccio-Di Bella, con l'occulta regia a Milano di un tesoriere di Lega come Michele Giuffrida. Senza l'orgia televisiva dei nostri giorni il calcio viveva negli stadi e il catino del Cibali si riempiva già alle 11 del mattino per la partita: "pesce d'uovo" o mortadella nel panino e via allo stadio per celebrare la squadra incitata dalla celebre canzoncina di Natalino Otto, che nei primissimi minuti trovava gol importanti: "Forza Catania, dalla mezzala al centro…".

Una Catania felice e spensierata. Nona città d'Italia ma sempre con un altissimo tasso di emigrazione. Torino e il boom della Fiat, Milano e le sue industrie, la Germania, la Svizzera e il Belgio erano il richiamo per chi non riusciva ad emergere e a trovar lavoro. Catania s'illuse. Mancò la seconda fase di quella evoluzione socio-economica che avrebbe potuto farne davvero la capitale del Mediterraneo. Nel calcio l'avvento delle società per azioni non favori di certo il Club Calcio che non poteva competere coi grandi "padroni" del Nord. Furono anni difficili e il passaggio di testimone da Marcoccio ad un imprenditore come Angelo Massimino sortì la promozione del ‘69-'70, anch'essa celebrata con un superesodo in quel di Reggio Calabria.

 

Ma quanto il calcio contasse per i catanesi lo si poté cogliere quel famoso 25 giugno 1983 quando in quarantamila, ma forse erano di più, invasero Roma per festeggiare il ritorno in A del Catania di Angelo Massimino e di Gianni Di Marzio. Un esodo biblico, una giornata indimenticabile nel segno di una grande civiltà. "Roma, città aperta" per il tifo rossazzurro. Bastava un pari con la Cremonese quel giorno dopo che i rossazzurri grazie ad un gol di Crialesi avevano battuto il Como nel triplice spareggio con i lariani di Burgnich e i cremonesi di Mondonico e Vialli.

Grande attesa, boom di abbonamenti, ma quella stagione in A fu un calvario. Il ritorno in B e la caduta in C andarono di pari passo con un decadimento della città che stentava a decollare. Solo il commercio continuava a fare da punto di riferimento per mezza Sicilia. L'industria più fiorente diventò l'Università che con l'inserimento di nuovi corsi ha sfornato moltissimi talenti, quasi tutti "emigrati" altrove.

Il calcio annaspava, la città degradava. Vent'anni di quasi silenzio, poi il nuovo boom del calcio. La promozione stavolta s'è conquistata in casa in un caldo pomeriggio di prima estate. Un tourbillon di colori per la grande festa che si sperava potesse esorcizzare e risollevare anche una Catania decadente. Sono stati anni bellissimi per il calcio, restare a galla in un mare di milioni di euro non era facile, la nascita di Torre del Grifo come villaggio rossazzurro è un fiore all'occhiello, ma nel contempo la città ha perduto realtà importanti a livello economico che la crisi mondiale ha accentuato in maniera spaventosa. La società è tornata in B e soffre, sembra avere smarrito l'idea-progetto vincente. La città "percossa e attonita, muta" guarda ad un suo futuro che il calcio di certo non le regala in questo momento, anche se nel cuore dei tifosi cova la fiammella di una speranza (che è sempre l'ultima a morire) per non ricadere nei meandri assurdi dell'oscurantismo calcistico. E Catania "città bedda" ci spera, così come cerca un futuro da costruire, magari con nuove risorse nuove idee, abbandonando i vecchi sogni puntando su essenzialità e certezze. Senza grandi voli pindarici.

28/02/2015 - La Sicilia

 

 

 I QUARANTAMILA ALL'OLIMPICO

25 Giugno 1983, strade di Roma, invase da ondate di tifosi bardati di rossazzurro...il momento più atteso dopo 12 anni di sofferenze e pellegrinaggi nel calcio minore; un uomo tra questi non sa, che forse quello è l'ultimo sussulto, l'ultimo momento topico della sua vita di sportivo, il più bello, il più sofferto...il compendio città, tifosi, squadra, giocatori, presidente che si fondono e diventano tutt'uno; preso dall'emozione si fa trascinare in questo mare rossazzurro di passione, di tifo e di colori...durerà solo un anno....poi soprusi, angherie e vessazioni varie mettono subito da parte il giocattolo riportandolo alla sua ordinaria dimensione; il seguito nel giro di un triennio lo faranno gli errori (sportivi sopratutto) le incomprensioni con l'ambiente e con i collaboratori, e non ultimo qualche debito accumulatosi negli anni, che costringono il nostro a passare forzatamente la mano a gente che cerca di far passarella per riscuotere consensi in altri campi (spesso in quello politico), con risultati alla mano decisamente pessimi e molte ombre sul futuro a venire (per la società, e per detti individui).

Ma lui è testardo, vuol tornare, perchè in cuor suo come don chichotte è convinto di potercela fare e vincere la guerra contro i mulini a vento....la città che gli ha detto "fatti da parte...sei vecchio...ci vogliono idee nuove..." adesso lo accoglie con aria di sufficienza...lo aspettano altre traversie altri soprusi...c'è ormai abituato e stavolta nel suo piccolo, nelle sue possibilità cerca di attutire le botte e, in un certo qual modo vi riesce...farà storia quella calda estate del 1993, sopratutto per chi si avvicina alla giurisprudenza...il tempo scorre, il passato e i momenti belli non tornano più...gli occhi lucidi ed ebbri di gioia nel 1983, sono ormai stanchi e sfocati nel 1995, allorquando v'è il tempo per un ultimo cameo, la festa dei "peones", per il ritorno nel calcio, dalla porta di servizio.

Poi la pioggia. Lo schianto. La fine...La consegna del mito ai posteri, la mitizzazione e stilizzazione del personaggio, nel bene e nel male. La salma portata a spalle da gente che bestemmiava e ce l'aveva con lui...quant'è stato breve lo scorrere dei giorni da quel triste pomeriggio a valverde fino a quel tristissimo 4 marzo tra scillato e tre monzelli.

Il calcio da quel fatidico giorno di quasi 4 lustri passati, è radicalmente cambiato...i personaggi sembrano fatti di cartone, tutti attenti al capello impomatato e il tatuaggio in bella vista a dire le solite "cazzate" di rito, per fare contento il giornalista di mamma sky...i personaggi veri, anche un pò ruspanti, genuini, sanguigni, istintivi e generosi come lui, hanno segnato il passo, e purtroppo lasciato lo spazio alle marionette di oggi...pertanto a critici o ammiratori invoco, almeno solo per questa data siamo tutti unanimi e concordi....GIU' IL CAPPELLO PER IL PRESIDENTE....MASSIMINO OLE' !

Sergio Nunzio Capizzi

 

 

Aldo Cantarutti, un gigante di muscoli e cuore (catanesi)

 

Nella stagione 83/84, priva di gioie per il Catania di Massimino, ultimo e retrocesso in B, al Cibali fu realizzato dal centravanti etneo uno dei più bei gol annullati nella storia del campionato di serie A.


Catania: Sorrentino, Chinellato, Pedrinho, Torrisi, Mosti, Ranieri, Morra II, Luvanor, Cantarutti, Bilardi, Carnevale I (77' Crialesi) - All.: Fabbri
Milan: Piotti, Gerets, Spinosi, Tassotti, F. Galli, Baresi II, Damiani (66' Incocciati), Carotti, Blissett, Verza, Evani - All.: Castagner - Reti: 4' Carotti, 38' Bilardi  Arbitro: Benedetti

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La sua spettacolare rovesciata lasciò di sasso il portiere rossonero Piotti: palla spiovente in area, stop di petto, controllo di coscia e girata al volo. Che gol! Dopo un capolavoro simile, l'intero stadio Cibali sembrò esplodere come l'Etna. Coordinazione perfetta, come il palleggio e la scelta di tempo, Franco Baresi riuscì appena ad abbozzare il contrasto. Il pallone concluse la sua traiettoria alle spalle dell'estremo difensore milanista.
Il fotogramma della sforbiciata di Cantarutti da stilizzare e tramandare ai posteri, come l'immagine di Parola immortalata dalle figurine Panini. Ed invece, tomo tomo…cacchio cacchio, l'arbitro romano Benedetti, anziché indicare il centrocampo, si fermò nell'area rossonera con il braccio alzato.

 

 

SFREGIATO  UN CAPOLAVORO
La magnifica rete di Cantarutti era stata annullata. Un capolavoro sfregiato. Mancavano sett
e minuti alla fine della partita. I giocatori rossazzurri protestarono in modo veemente,  alcuni tifosi catanesi invasero il rettangolo di gioco. Chinellato, Bilardi e il brasiliano Pedrinho furono i primi a tampinare il direttore di gara. Baresi, Tassotti, Filippo Galli ed Evani (future pedine inamovibili del Milan stellare di Sacchi e Capello) restarono in silenzio mentre Piotti, rianimato dalla decisione dell'arbitro, rimise subito la palla in gioco. Quel pomeriggio, di clamoroso al Cibali vi fu solo l'abbaglio del direttore di gara, la scriteriata ed ingiusta decisione di Benedetti che penalizzò una squadra già spacciata, malinconicamente ultima in classifica ed avviata a retrocessione certa.

Per riportare la calma, in campo dovettero entrare anche i carabinieri. Il portiere Sorrentino, tra i migliori giocatori nella trionfale stagione catanese 82/83, si fece di corsa tutto il campo, urlando all'arbitro la sua delusione per la rete annullata. Cantarutti rimase al limite dell'area di rigore rossonera, incredulo e con le mani sui fianchi. Dava l'impressione di un bambino che aveva appena visto volare, irrimediabilmente, il palloncino compratogli dal nonno per la festa del santo patrono.

Giocate simili capitano, se capitano, una sola volta nella carriera di un giocatore, specialmente se non si tratta di un campione. E Aldo, friulano nato a Manzano ventisei anni prima, cresciuto nelle giovanili del Toro, non era un fuoriclasse ma solo un discreto attaccante dal fisico possente. Quel gol lo avrebbe consegnato alla storia del calcio e a tutte le antologie di football ed invece finì nella sezione meno nobile delle opere accantonate. Dopo una lunga interruzione, Catania-Milan potè riprendere, volgendo al termine sul risultato di parità. L'arbitro Benedetti, protagonista dell'assurda decisione e di una direzione di gara ben al di sotto della mediocrità, rassegnò le dimissioni dal settore arbitrale. I tafferugli dei tifosi etnei furono sanzionati con quattro giornate di squalifica dello stadio Cibali.

Per la stagione 83/84, il Catania di Angelo Massimino, indimenticabile presidente a cui è stato intitolato lo stadio etneo, aveva confermato quasi l'intero organico della trionfale annata precedente, culminata con la promozione (giugno '83) dopo gli spareggi contro Como e Cremonese che videro Roma invasa da trentamila tifosi siciliani. Nel match contro i lariani, Cantarutti fornì l'assist vincente a Crialesi per il gol che determinò il ritorno in A dei rossazzurri dopo ventitré anni d'assenza.

Impresario edile emigrato in Argentina, Massimino era rientrato in Italia dopo aver messo da parte una montagna di soldi. Dirigente mosso da sconfinata passione per i colori calcistici della sua città, simile a presidenti vulcanici del calibro di Anconetani e Rozzi, il patron del Catania Calcio era inviso alle regole grammaticali e sintattiche della lingua italiana.

I suoi strafalcioni linguistici gli diedero una certa ribalta mediatica, facendolo diventare il presidente delle interviste possibili ma con risposte impossibili. "Sto per recarmi in uno Stato che non posso riferire ai giornalisti, per prelevare due calciatori brasiliani", annunciò Massimino prima di volare in Brasile per chiudere le trattative con i due stranieri Pedrinho e Luvanor.
In estate si vociferava dell'arrivo in rossazzurro di Prohaska, Juary, Marangon e Galderisi o del prestito di Matteoli. Alla fine, l'allenatore Gianni Di Marzio dovette accontentarsi dei brasiliani Pedrinho (già nel giro della nazionale verdeoro) e Luvanor (frettolosamente ribattezzato "il nuovo Zico").

Arrivarono, inoltre, Sabadini (ormai a fine carriera), Torrisi e Bilardi, ex della Cavese che nella partita della "rovesciata di Cantarutti" firmò il gol del pareggio dopo la rete, in avvio, del milanista Carotti, il giocatore rossonero che, in un'intervista, ebbe l'ardire di accostare il suo controllo di palla a quello di Gianni Rivera.

Pedrinho, terzino dalla tecnica apprezzabile, era cresciuto nel Palmeiras prima di passare al Vasco de Gama. Tele Santana lo inserì tra i convocati per il Mundial spagnolo del 1982. 

A Catania si diede alla vita mondana, considerando il trasferimento in Sicilia come una sorta di vacanza premio. L'inizio fu incoraggiante: a San Siro, proprio contro i rossoneri, andò in gol su calcio di punizione in una partita risolta da una doppietta del milanista Evani.

Luvanor, centrocampista abilissimo nel "palleggio corto", fu prelevato dal Gojas. Giunto con l'etichetta di "grande promessa" del calcio brasiliano, temeva tremendamente le botte dei difensori avversari e nella prima stagione in maglia rossazzurra combinò poco o nulla, restando a zero gol segnati.

Per l'ingaggio di Aldo Cantarutti, nell'estate del 1981, il presidente Massimino rinunciò a Marco Piga, tirando di tasca una cifra intorno ai 900 milioni di lire. Centravanti dal fisico possente (82 chili spalmati su 187 centimetri di altezza), il friulano non deluse le attese, mettendo a segno 10 reti. Un anno dopo, i gol furono 11, con annessa promozione in A.

Nel 1977, Cantarutti aveva disputato il Mondiale Under 20 in Tunisia. L'Italia, guidata da Antonio Acconcia, eliminata al primo turno, schierava, tra gli altri, Giovanni Galli in porta, Beppe Baresi in difesa e Di Gennaro a centrocampo. Due anni dopo, Cantarutti indossò anche la maglia della Nazionale under 21. Azeglio Vicini lo convocò per un'amichevole con l'Unione Sovietica.
Centravanti titolare del Catania 83/84, Cantarutti firmò subito una doppietta nell'incoraggiante vittoria del rossazzurri contro il Pisa, primo e ultimo successo stagionale. Ben presto, infatti, l'annata dei siciliani finì su un binario morto.

Ad ottobre, l'arrivo di Andrea Carnevale non migliorò le cose ed il 20 novembre '83, dopo la sconfitta interna contro la Juventus, la squadra etnea atterrava all'ultimo posto solitario, restandovi fino al termine del campionato.https://www.mimmorapisarda.it/2023/293.JPG

La stagione che avrebbe dovuto lanciare Cantarutti nell'elite del calcio italiano, riservò un ulteriore imprevisto: il 31 dicembre '83, un infortunio costrinse l'attaccante al riposo forzato. Al suo rientro, niente era più come prima: squadra in disdetta, intesa approssimativa con Carnevale ed una posizione in classifica da encefalogramma piatto.

Le cose non migliorarono neanche dopo l'esonero di mister Di Marzio e l'arrivo di G.B. Fabbri. La coppia brasiliana, Luvanor soprattutto, si rivelò inadeguata al palcoscenico della serie A italiana. Il gol annullato a Cantarutti contro il Milan sembrò, pertanto, l'ulteriore sberleffo verso gli sconfitti, il colpo di grazia ad un animale ormai morente, l'ingiustizia a danno dei vinti, Estragone stordito proprio mentre arrivava Godot.

A quel Catania fu tolta persino la soddisfazione, parziale, di una vittoria di prestigio contro il Milan che, sia pur ancora in versione "piccolo diavolo" e con l'improponibile Blissett centravanti, restava comunque una delle tre società più blasonate del calcio italiano. Per gli etnei fioccarono i record negativi: 14 gol all'attivo e 55 al passivo, una sola vittoria a fronte di 19 sconfitte.

La permanenza di Cantarutti a ridosso dell'Etna si concluse alla fine di quella stagione. Il centravanti passò all'Ascoli ma fu con la maglia dell'Atalanta, qualche anno dopo, che si tolse le ultime soddisfazioni da calciatore. Fu suo il gol decisivo contro lo Sporting Lisbona che qualificò gli orobici alla semifinale di Coppa delle Coppe '87/88. Cantarutti concluse la sua carriera con la maglia del Vicenza.

L'ex centravanti del Catania finì anche in una battuta del celebre film Al bar dello sport. Cantarutti venne citato come l'autore di una doppietta contro la Juve che permise al protagonista del lungometraggio (Lino Banfi) di indovinare il 13 al Totocalcio. Dal gol vero sul campo, non convalidato, alla doppietta inventata per esigenze di copione.
http://www.storiedicalcio.altervista.org/cantarutti-catania_1983-84.html

 

 

 

UNA PIZZATA COL BOMBER

 

quel che sente Filippo Fabio Solarino davanti a una Capricciosa

Quando nel 1974 a quindici anni arrivai negli spogliatoi del vecchio Filadelfia mi sentii spaurito: pensare che quei muri avevano ascoltato le grida di Maroso,Menti,Loik,Gabetto,Valentino Mazzola ti faceva tremare le gambe. Appena arrivati l'allenatore Rabitti ci disse che dovevamo imparare a detestare la Juventus per tre motivi: a)perche' eravamo del Toro. b)perche' la vera squadra di Torino eravamo noi mentre loro erano solo ospiti,tanto che il 90% dei loro tifosi domenicalmente venivano da fuori citta'.c) Perche' noi rappresentavamo il popolo e loro i padroni.
Il Cavaliere Massimino era davvero unico,ricordo che la sera prima del derby col Palermo nel 1982 venne da me e mi disse :'' Aldo prendi questo piccolo corno, vedrai che domani farai due gol'',lo guardai un po stranito,ma poi lo presi perche' mi sembrava male rifiutarlo. Il giorno dopo prima del match lo attaccai al parastinchi , poi feci due gol,ed in uno scontro involontario ruppi la gamba al portiere del palermo . A fine partita tra dolori lancinanti tolsi il corno e a momenti avevo bisogno di punti per chiudere la ferita che mi aveva procurato. Nel 1997 Proto mi chiamo' per darmi la primavera dell'Atletico. Rifiutai spiegandogli che per quanto ne sapevo,Catania aveva una squadra sola, che non era la sua.
Le due città che mi hanno dato piu' calore sono state Catania e Bergamo, ma Catania e' unica per il senso d'appartenenza che pregna i suoi tifosi, per il colore del suo cielo,per il suo stupendo mare. Tornero' in autunno,e spero di trasferirmi appena potro',mi sento catanese dentro,e nessuno me lo potra'mai togliere.

quel che ha sentito Sergio Nunzio Capizzi davanti a un Calzone

Aldo ci raccontava di una trasferta dove si doveva andare a Lecce...arrivò un pullman con i sedili in legno..tutti che si lamentavano che non volevano partire, non partiamo non partiamo...Massimino fa la voce grossa e previa mazzetta partono tutti...così Aldo fa: "ah non partiamo, invece vi siete convinti ? Bene, io non salgo!" si ritira a casa sua quando gli arriva la chiamata del presidente: "signor cantarutti..come pensava di andarci a lecce, in macchina o in aereo ? Quelli pecoroni sono !" così partì col presidente....certo l'episodio della maga che prevede i due gol ha fatto più effetto...bella anche quella raccontata da Alessandro, con Aldo che se la rideva sotto sotto...il presidente va a Torino per trattare la cessione di Aldo alla juve; Massimino a Boniperti: "ah Boniperti mi creda cantarutti è un fior di campione, è un giocatore eccezionale" Boniperti: "si è un buon giocatore" Massimino: "di testa è fortissimo, impareggiabile" Boniperti: " si è bravo di testa,già" Massimino: "e c'ha un sinistro formidabile!" Boniperti: "è vero ha un bel sinistro" Massimino: "anche diestro è micidiale!" Boniperti: "Ah ah Massimino Massimino...." Massimino: "?" Boniperti:" Massimino, il destro proprio non è il suo forte !" morale della favola, l'affare non si fece e cantarutti rimase a catania...il presidente l'aveva esaltato troppo agli occhi di boniperti.
quel che ha sentito Roberto Quartarone davanti a una Quattro stagioni

Un altro aneddoto particolare che è saltato. Massimino cede Cantarutti all'Ascoli, ormai il ciclo si era chiuso e comunque con la retrocessione tutto cambiava... Il giorno dopo aver firmato il contratto e fatto le visite, Massimino chiama: "Signò Cantarutti, non vada all'Ascoli..." Peccato che ormai era troppo tardi! «Era un sentimentale», dice Aldo...

 

 

ALDO CANTARUTTI è nato a Manzano ( Udine ) il 17 gennaio '58, centravanti m 1,87 × 82 kg come da almanacco. Cresciuto nel Toro, esplose nel Pisa di Anconetani prima che il Catania lo rilevasse a suon di milioni. 94 presenze e 25 reti ( o 26!? ) in casacca rossazzurra. In seguito vestì i colori dell'Ascoli e dell'Atalanta con cui disputò la coppa coppe segnandovi 3 reti. Fine carriera a Vicenza, in C/1, manco a dirlo a suon di gol.

 

Anni amari con due retrocessioni e il salto indietro dalla A alla C/1. Fortuna che ALDO CANTARUTTI ebbe davvero poche colpe in quel doppio ruzzolone.

La sua vigorosa voce friulana non ha perso la loquacia e non possiamo non chiedergli del maledetto gol annullato contro il Milan...

"Per l'ennesima volta ne parliamo! Il danno lo fecero più alla squadra che a me; un gol più o uno in meno non mi cambiavano la vita. Ma un punto in più poteva essere vitale per il Catania. Ricordo il calvario al processo del lunedì: avevamo ragione ma che si poteva fare?".

A tuo dire perchè la retrocessione fu così umiliante?

"La società non era all'altezza: la A era dura. Non avevamo strutture adeguate per allenarci, uno strazio. Usammo il vecchio Tupparello che era all'epoca un terreno agricolo...beccavamo malanni a ripetizione. La squadra era all'altezza in realtà e difatti taluni rimasero in massima serie ed esplosero come Carnevale. Città e società non erano pronte".

Non resistiamo e portiamo l'orologio ancora più indietro, ad un pomeriggio di trasferta a Lecce in cui il gigante di Manzano...si perse per strada:

"Già...all'epoca non c'erano mica le cuffiette e i walk-man per passare il tempo nei viaggi in pullman. Rimasi appiedato lì a Trebisacce a cercar insaccati. Il mio look? Jeans tagliati corti "artigianalmente" e zoccoli di legno...giravo così per il paese a caccia di un taxi per Lecce...".

"Venne il momento che io e il Catania dovemmo separarci - si fa serio il buon Aldo ricordando la figura del presidente Massimino - nell'estate '84. Io ero a caccia di altri stimoli, l'Ascoli mi cercava e firmai per Rozzi. Poi però seppi che Massimino mi voleva tenere. Era troppo tardi ma mi riempì d'orgoglio sapere che dopo tre stagioni ero ancora considerato importante".

 (a cura di Piero Armenio)

 

 

 

Che fortuna sarebbe stata averli avuti in campo, assieme! I due più grandi centravanti della storia del Calcio Catania! 

 

Estate '83: Massimino vuol cedere Mastalli all'Avellino. Rivolta dei tifosi che per protesta si rasano a zero i capelli. Ennio resta altri due anni. L'inflazione galoppa e gli abbonamenti del Cibali costano cari: 750.000 lire in Tribuna A; 390.000 in tribuna B; 240.000 in tribuna C e 105.000 in curva sud.

 

 

 

 

 

 

 

Di Marzio

 

G.B. Fabbri

 

16° POSTO

1983-84

Onorati; Costa; Chinellato; Sabadini; Morra; Bilardi; Crialesi; Crusco; Ciampoli; Gregori; R. Di Stefano; Gullotta; Picone.

 

 

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Si parte dalla riconferma di Gianni Di Marzio. Il Catania quell'anno, durante il mercato estivo, aveva rifiutato gente del calibro di Prohaska, Juary, e Colomba (si disse che erano troppo vecchi). Massimino aveva puntato su due giovani promesse del calcio brasiliano Luvanor e Pedrinho, e su alcuni elementi considerati "adatti" ad una matricola: Torrisi, Sabadini, Bilardi ecc.. ad ottobre invece, arrivò il giovane e promettente Andrea Carnevale dal Cagliari.

Una stagione negativa, la peggiore in assoluto per i rossazzurri che, con 12 punti nella classifica finale, fanno registrare il record negativo nei campionati di serie A a 16 squadre (quando ancora la vittoria valeva 2 punti).

Una sola vittoria, contro il Pisa, e dieci pareggi per una squadra dal destino già segnato e con qualche partita persa “grazie” ad arbitraggi infelici (vedi il goal annullato a Cantarutti in Catania-Milan).

I due acquisti brasiliani, Pedrinho e Luvanor, non rendono come da previsioni. Alcuni altri acquisti si rivelano completamente sbagliati (vedi Sabadini, ormai sulla via della pensione). Il presidente Angelo Massimino viene duramente contestato dalla tifoseria. Insomma, una stagione da dimenticare.

 Il Catania dopo un buon pareggio al Cibali col Torino prese una piccola sbornia a Udine e da quel momento perse un pò la bussola. Di Marzio viene esonerato nel corso del campionato e la squadra viene affidata a G.B. Fabbri, che purtroppo, non riesce a fare il miracolo e il Catania retrocede in serie B. Nel 84/85 arriva come allenatore Mimmo Renna coadiuvato (solo per sei mesi) da Giacomo Bulgarelli come Direttore Sportivo. Il Catania disputa un campionato anonimo e si piazza al 15° posto. Nel 85/86 tornano due vecchie conoscenze dei catanesi: Giovanni Mineo come General Manager e Gennarino Rambone come allenatore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Renna

 

 

14° POSTO

1984-85

Marigo; Pidone; Coppola; Pellegrini; Pari; Caracciolo; Picone; Ermini; Juculano; Di Stefano, Gullotta; Garaffa.

 

E' passato soltanto un anno dagli spareggi di Roma ma il disastroso anno in massima serie ha lasciato scorie pesantissime nella tifoseria che adesso chiede a gran voce il passaggio di mano. L'unico interesse concreto è manifestato da una cordata di imprenditori capitanata da Salvatore Massimino, fratello di Angelo, e sponsorizzata dall'ex commissario straordinario Marcoccio. L'accordo, però, non viene raggiunto e il Cavaliere resta in sella, mentre il fratello ripiega sul Messina, rilevando la società giallorossa. La mossa attraverso la quale si cerca di ricucire il rapporto con la piazza è l'ingaggio di Giacomo Bulgarelli, già bandiera bolognese e gloria del calcio italiano, che da qualche anno ha intrapreso la carriera da dirigente. Alle falde dell'Etna “Giacomino” ricopre il ruolo di direttore sportivo e affida la panchina ad un vecchio compagno di squadra del Bologna, Mimmo Renna, il quale allena da una decina d'anni ed ha un palmarès di tutto rispetto, nel quale spicca la promozione in A conquistata con l'Ascoli, a suon di record, nella stagione 1977/78. La coppia Renna-Bulgarelli procede ad una rivoluzione dell'organico imposta dalla retrocessione in cadetteria e dalla conseguente fine di un ciclo, simboleggiata, in particolar modo, dall'addio di Damiano Morra.

 

 

 Il capitano di mille battaglie, passato al Cosenza, saluta la città da primatista di presenze con la maglia del Catania (320, grazie alle quali scavalca l'ex recordman Rino Rado). Il restyling non risparmia nessun settore del campo. Il posto di Roberto Sorrentino, che resta da separato in casa in attesa di sistemazione, è assegnato al giovane Onorati, il quale però finisce col farsi scavalcare presto nelle gerarchie da Dario Marigo, ventiquattrenne guardiapali che ha dei trascorsi in B con la Lazio e che è stato prelevato dal Campania, club di terza serie. In difesa si registra un vero e proprio repulisti: Ranieri non rinnova e si accasa al Palermo, Chinellato va al Cagliari, Mastropasqua al Piacenza. Si riparte dall'unico riconfermato Mosti, al quale viene affiancato il prodotto del settore giovanile Rosario Picone, mentre le fasce vengono presidiate da Maurizio Longobardo, terzino destro proveniente dal Pisa, e Roberto Pidone, colonna della Cavese della prima metà degli anni '80. Il centrocampo, orfano di Morra, Bilardi (che va a chiudere la carriera ad Ischia) e Torrisi (che si trasferisce alla Lazio), punta sul recupero di due protagonisti della promozione, Giovanelli e Mastalli, e sul rilancio dei deludenti Pedrinho e Luvanor. Sulle fasce agiscono i nuovi acquisti Guglielmo Coppola, giunto in prestito dal Padova, e Alessandro Pellegrini, promessa ventenne che arriva dal Torino, mentre la maglia numero 10 è indossata spesso da Franco Ermini, talentuoso centrocampista ex Perugia. Anche l'attacco viene totalmente rivisto: Cantarutti resta in Serie A, trasferendosi all'Ascoli insieme all'ex compagno Sabadini. I piceni girano al Catania Carletto Borghi, cavallo di ritorno al quale è affidato il peso del reparto (con il duttile Coppola prima alternativa). Resta sul groppone Crialesi che, come Sorrentino, rimanda il proprio addio a novembre.

Per divergenze sulla gestione della società, Massimino decide di interrompere il rapporto con Bulgarelli. Sia i risultati della squadra che gli umori del pubblico risentono di questa scelta che, col senno del poi, si rivelerà scellerata.

In un'annata dai due volti, tra i migliori si segnalano due giocatori che aprono il nuovo ciclo del reparto arretrato: il portiere Marigo e il difensore Polenta, che con le loro prestazioni contribuiscono al contenimento del passivo. A centrocampo Giovanelli e Mastalli tirano la carretta senza raggiungere, però, i livelli di due anni prima. In avanti Borghi e Coppola si fermano a quota 5 reti, lasciando il “trono” di capocannoniere interno a Pedrinho, il quale con 7 marcature sigilla la sua miglior stagione all'ombra del vulcano.

 

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

Bulgarelli a Catania, stile e competenza.


di Andrea Lodato - la Sicilia, 15.2.2009

Un campione elegante e garbato in campo. Un uomo gentile e per bene nella vita. Insomma Giacomo Bulgarelli, "Giacomino" per i tanti amici come me che hanno avuto la fortuna e l'onore di conoscerlo e di lavorare con lui, era davvero una persona splendida, di quelle con le quali dovevi necessariamente instaurare un rapporto corretto e leale, veroe sincero.
E in quei sei mesi della stagione calcistica 1984-'85, quando il Catania del presidentissimo Angelo Massimino gli affidò il ruolo di direttore sportivo in serie B, tra me, giovanissimo cronista sportivo di questo quotidiano, e Lui, ex calciatore di chiara fama e di classe cristallina e dirigente alle prime esperienze importanti, era davvero nato subito un rapporto speciale.
Sì, è proprio così, forse in me, e per la verità anche in qualche altro giovane collega di allora, Giacomino aveva visto più un figlio, un ragazzotto pieno di buona volontà che cominciava ad affrontare con impegno la difficile ma affascinante vita del giornalista, e quindi, da buon padre di famiglia, da bolognese tutto d'un pezzo, nei miei confronti aveva quasi un occhio di riguardo, che cercai di meritarmi sempre.
Ma c'è da dire che Bulgarelli, arrivato con il tecnico Mimmo Renna in un Catania appena tristemente retrocesso dalla serie A dopo una stagione disastrosa nella quale aveva racimolato la miseria di 12 punti,
aveva subito affascinato tutti con il suo garbo da gentiluomo vecchio stampo, coi suoi occhi buoni dal colore ceruleo, con la riga dei capelli sempre ordinata, col suo dialetto bolognese simpatico e forbito, con la sua passione per la buona tavola e per il vino di qualità, con le sue idee moderne e innovative
in campo calcistico, con la sua storia di atleta serio e di gran classe.
In quei sei mesi in rossazzurro mi parlò di tante storie della sua vita, belle e brutte. Era orgoglioso delle 486 partite giocate sempre e solo con la maglia del Bologna, dell'unico scudetto vinto coi felsinei nello storico spareggio del 1964 a Roma contro la grande Inter del mitico Helenio Herrera e del titolo europeo conquistato nel 1968 con la Nazionale, di cui faceva parte anche il catanesissimo Pietruzzo Anastasi.
Gli bruciava, invece, ancora la sconfitta subita nel 1966 ai Mondiali d'Inghilterra contro i dilettanti della Corea del Nord e mi parlava spesso anche di quel rigore "inesistente" fischiatogli a favore dall'arbitro Gonella nell'altrettanto famosa finale di Coppa Italia tra Palermo e Bologna. "E' vero, quel rigore non c'era, ma il Palermo in quella partita si mangiò almeno dieci gol", ripeteva con la solita onestà quasi a giustificarsi ancora nei confronti del Palermo, squadra con la quale per altro lavorò dopo aver lasciato il Catania.
Questo era Bulgarelli, che voleva rilanciare la squadra rossazzurra ma alla fine non riuscì a trovare il feeling giusto con Massimino, nonostante la stima reciproca. E così, prima che quel campionato finisse, andò via, sempre con grande stile e con una classe immensa. Quella stessa con la quale volava sul campo insieme con i campionissimi di allora Rivera e Mazzola, con la quale ha vissuto tutta la sua vita e della quale, chi lo ha conosciuto, non si dimenticherà mai.

 

 

 

 

 

Rambone

 

Bianchetti

 

Mazzetti

 

 

13° POSTO

1985-86

Onorati; Picci; Pellegrini; Onofri; Picone; Galletta; Lubbia; Garzieri; Gullotta; Caracciolo; Garaffa;

 

La mancata rivincita nella stagione precedente ha aggravato il disamore della città nei confronti del presidente. Massimino non è tipo da piangersi addosso e come al solito studia le soluzioni per ripartire. Nell'estate del 1985 pone quindi le basi per un ritorno in grande stile, quello di Carmelo Di Bella, il quale non allena più da un lustro e accetterebbe di buon grado le mansioni di direttore generale. Tuttavia, nel momento in cui la società, senza previa consultazione, ingaggia come tecnico Gennaro Rambone, Don Carmelo stigmatizza tale modus operandi e rifiuta l'offerta.

 

 

Per costruire la squadra da consegnare al figliol prodigo, che torna dopo le “toccate e fughe” del 1974 e 1979, ci si affida quindi al mercato “fai da te”. Le partenze di Mosti, Mastalli (direzione Foggia, Serie C1, dove si accasa anche Pidone) e Giovanelli (che passa all'Ascoli, appena tornato tra i cadetti) chiudono definitivamente la gloriosa pagina degli eroi degli spareggi di Roma.

L'unico reduce di quell'organico è infatti Onorati, ai tempi riserva di Sorrentino, ora serio contendente di Marigo per il posto da portiere titolare. In difesa si riparte da Longobardo, Polenta, Picone, Maggiora e dal nuovo acquisto Marco De Simone, terzino proveniente dal Napoli. Dal club partenopeo giunge anche, in prestito, l'ala Pietro Puzone, il quale sostituisce Coppola, rientrato al Padova, ed ha il compito di supportare un attacco che continua ad aggrapparsi al solo Borghi. A quest'ultimo si prova ad affiancare il venticinquenne Roberto Mandressi, ex promessa lanciata dal Milan, da tre anni “incastrato” nei meandri della Serie C1. Le chiavi del centrocampo (che ha perso anche Ermini, trasferitosi all'Arezzo) vengono affidate all'esperto regista Piero Braglia, ex colonna del Catanzaro, reduce da una fugace esperienza alla Triestina. Il reparto è completato dal duo brasiliano, dal quale si attende ancora il salto di qualità, e dai duttili Pellegrini e Silvio Picci (ventenne esterno sinistro cresciuto nel Torino).

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

 

 

 

 

 

 

Rambone

 

 

Pace

 

 

19° POSTO

1986-87

Onorati; Benedetti; Allievi;Breve; Pellegrini; Frazzetto; Gullotta; Longobardo; Maggiora;  Tarantino; Cipriani; Picone; Puzone; Galletta; Mandressi; D'Agostino.

 

Il ritiro "portafortuna" è a Chiusi della Verne. Il Catania si imbottisce di vecchie glorie ( Novellino-Mattolini-Vullo ) e fatica a segnare. Gli abbonati sono solo 248.

La partita Catania-Genoa 1-1 è rinviata di un giorno e teletrasmessa il lunedì in diretta su un'emittente locale etnea.

Il giovane cronista Alfredo Pedullà è spesso ospite della trasmissione televisiva catanese "Fuorigioco".

A rubare la scena è però l'A.C.R. Messina di Turi Massimino, matricola in lotta per la A.

La partita Catania-Pisa 0-0 si gioca sul neutro di Palermo per squalifica. Il Palermo non ha squadre di calcio e i tifosi rosanero tifano Pisa.

Lecce-Catania 2-2 è rinviata di 24 ore per neve. Giocata di lunedì osserva nel suo tabellino ben tre autoreti. È l'unica gara nella quale gli etnei segnano più di un gol.

Rambone, sfinito dai tradimenti della sua truppa, lascia a poche giornate dal termine. Subentra Bruno Pace che a 6 giornate dalla fine sfiora il miracolo tenendo la porta rossazzurra inviolata per 360'.

 

 

 

A sfavorire il Catania alcuni "strani" risultati di fine stagione: la Sambenedettese che sbaraglia 2-0 il Messina seguìto nelle Marche da 4000 tifosi speranzosi nella A e poi va a vincere 4-0 a Modena e 4-3 a Bari; il Taranto che schianta 3-0 il Genoa ad un passo dalla A; lo stesso Messina che impatta in casa con L.R. Vicenza e Campobasso.

Lo 0-0 di Catania-Cagliari al penultimo turno vede i rossazzurri scontrarsi con le prodezze del portiere sardo Dore, proprietà del Messina, e battere un diluvio di calci d'angolo ( 14-2 ). Non basta.

A Cesena l'epilogo in un pomeriggio tragico e caldissimo. 8 gare su 10 di quell'ultimo turno di B assegnano piazzamenti vitali.

L'arbitro Paparesta fa ripetere tre volte il rigore del pari etneo ( 2 Polenta e Braglia l'ultimo e valido) e poi ne assegna uno al Cesena per inesistente fallo di Garzieri sul cascatore Barozzi ( ex, un "core ingrato" ). Per il Catania è serie C.

Nel 86/87 nonostante i giocatori siano di primo piano: Benedetti, Tesser, Braglia, Canuti, Borghi tanto per fare alcuni nomi, la squadra etnea prende una piccola sbornia e retrocede in C1.

 

Alla luce degli altri risultati, il Catania chiude al penultimo posto e retrocede insieme al Vicenza, mentre Lazio, Campobasso e Taranto si giocano le rispettive residue chances nella coda di stagione, che condannerà alla C1 i molisani. Dopo un disastro del genere, c'è poco da salvare. Magre consolazioni sono raccolte da: Onorati, che vince il confronto con Mattolini; Polenta, che si conferma leader del reparto difensivo; Allievi, che mette in mostra un tiro niente male e gonfia la rete in 5 circostanze; Sorbello, infine, che vince la classifica marcatori interna con 6 reti, bottino magro ma degno del peggior attacco del campionato.

fonti:   http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/

 

 

 

33ª giornata di serie B. Il 17 maggio 1987, al Celeste arrivò il Catania e il Messina di Turi Massimino, allenata dal Prof. Scoglio,  stava tentando la promozione in serie A con la sua stella nascente Schillaci.

Nel Messina giocavano Bosaglia, Napoli, Petitti (Dal Rosso), Gobbo, Rossi, Bellopede, Venditelli, Orati, Schillaci, Catalano, Mossini. Nel Catania giocavano Onorati, De Simone, Vullo (Picone), Allievi, Canuti, Polenta, Garzieri, Maggiora, Borghi, Braglia (Benedetti), Sorbello.

Il Catania chiuse il primo tempo con un gran gol al 46’ di Allievi, che dalla tre quarti insaccò il pallone nella porta giallorossa, mandando a sedere nella rete il portiere giallorosso Bosaglia.

Il vantaggio durò quasi tutta la partita, mentre Canuti cercava di tenere a bada in tutti i modi uno scatenato Totò. Grande battaglia e grande difesa orchestrata da Polenta fino a  quando, allo scadere, Napoli realizzò all’86’ il gol del pareggio.

Lo stadio si trasformò in una bolgia, non si capiva più nulla, sembrava di essere alla Bombonera d’Argentina. Il nostro portiere Marco Onorati, per non perdere tempo e cercare di rimediare alla beffa, andò dietro la sua porta per raccogliere il pallone e far ripartire l’azione, visto che i raccattapalle li avevano fatti tutti sparire.

Ma chi c’era dietro la porta? Turi Massimino, che sferrò un calcio al nostro portiere per impedirgli la rimonta. Canuti se ne accorse e con il suo fisico da corazziere si presentò davanti a quel signore che non conosceva e gli mollò un ceffone. Mezzo parapiglia, come sottolineato (alla fine) dallo speaker del video che ho postato.

La partita finisce e mentre rientrano negli spogliatoi, i compagni di squadra avvertono Nazza: “ma lo sai chi hai schiaffeggiato? E’ il fratello del nostro Presidente!”.

Dopo la doccia gli si avvicinò il Presidentissimo che lo guardò negli occhi e gli disse “Sceriffo (così lo chiamava), domani mattina in ufficio!”. Canuti cominciò a preoccuparsi “oh, ma che ho combinato? Chissà che multa mi aspetterà domani!”

Così l’indomani si presenta all’Ufficio del cantiere edile del Cavaliere.

Angelo Massimino lo saluta, si gira, apre la famosa cassaforte e tira fuori un assegno circolare di 5 milioni di lire. Poi lo consegna allo Sceriffo e gli dice “Facisti bbonu!”.

Mimmo Rapisarda

 

https://www.youtube.com/watch?v=7c0mwmN8gIs&fbclid=IwAR1lQKJ04Z07ySPClTa2i_Aa3uAhKaF-2wYyomMkVSiRwMaBGLd4Z7d2ML8

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Tutto vero tranne : non gli diedi una sberla ma un calcio nel sedere . mi disse solo " che bello quel calcio nel ... a mio fratello!! ma non mi diede assolutamente una lira .Per l'occasione fui scortato dalla polizia dallo stadio all ' autostrada di nascosto su un celulare! Un abbraccio e foza Catania!!

Nazzareno Canuti.

 

ALTRI RICORDI DI CANUTI

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