Sant’Agata Li Battiati, piccolo centro dell’hinterland catanese, sorge sul declivio collinare a nord del capoluogo etneo, a.m. 263 s.l.m. Oltre che con Catania, confina con Gravina di CT, Tremestieri Etneo, San Giovanni la Punta e Trappeto.

A causa della vicinanza alla grande città, ne ha sempre seguito gli avvenimenti storici, per cui non possiede un passato che lo distingua per eccelsi eventi. Notizie della sua nascita, fra storia e leggenda, tramandate da una generazione all’altra e riportate pure su tanti libri di storia catanese o dei comuni limitrofi, ci ricordano che le origini della cittadina risalgono a un eponimo illustre: Sant’Agata, la Vergine e Martire catanese, che l’ha voluta onorare della sua protezione.

Nel 1444, infatti, una imponente colata lavica, iniziata un anno prima, minacciava di distruggere gran parte dell’area sud-orientale dell’Etna. La lava, fuoriuscita fra Monte Arso e Montepeloso, come dice Giuseppe Recupero (1720-1778), si divise in due bracci, dei quali: uno si fermò nei pressi di Bonaccorsi e l’altro, sceso fra Tremestieri e S. Giovanni la Punta, minacciava seriamente di procedere per Catania, dove sia la popolazione, preoccupatissima, che le autorità civiche, oltre agli abitanti dei casali interessati, chiesero al Vescovo Giovanni De Pescibus di fare una processione col Velo di Sant’Agata. Davanti al Velo la lava rallentò, fino ad arrestarla, la sua forza distruttrice, per cui si gridò al miracolo. In quel sito, allora denominato "quartiere (o ruga) dei Valenti" poiché vi risiedevano famiglie omonime, a ricordo del prodigioso evento, inizialmente fu eretta una piccola chiesa. In seguito, nel 1635, essendo proprietario di quel terreno il giudice catanese Lorenzo D’Arcangelo, per sua volontà e in segno di devozione verso la Santa, sul posto venne costruito un tempio più grande, che successivamente fu dallo stesso concesso in uso agli abitanti delle tre contrade limitrofe fra loro: i suddetti Valenti, i Battiato e i Murabito.

Successivamente, verso la metà degli anni Ottanta del XVII secolo, fu edificato, a circa 300 metri più a sud dalla Cappella del Velo, un tempio più grande dedicato a Maria SS. Annunziata, che diventerà la Chiesa Matrice. Per cui, data l’importanza di questo nuovo edificio religioso, la zona attorno diventerà il centro del piccolo paese.

Il territorio di Sant’Agata li Battiati, dopo la colata lavica del 1444, non è mai stato direttamente interessato da altri eventi vulcanici, neanche dalla lava del 1669, che, com’è noto, arrivò a Catania, fino al mare. Mentre nel 1693, al pari di quasi tutta la Sicilia orientale, fu colpito da un forte terremoto, subendo notevoli danni.

Nel 1645, come per altri casali di Catania, pure la "Terra di Sant’Agata", così allora veniva anche chiamata Sant’Agata li Battiati, fu acquistata dal duca Giovanni Andrea Massa.

In origine il paese si chiamava San Giovanni De Nemore (dal latino nemus che significa bosco), ma in seguito ad una eruzione vulcanica che si fermò a forma di punta davanti ad un'edicola votiva di San Giovanni Evangelista, il paese cambiò nome in quello attuale. Il borgo appartenne per un lungo periodo al comune di Catania. Nel 1646 fu sotto il dominio della famiglia Massa, duchi di Aci Castello, e ad essa rimase sino all'abolizione dei diritti feudali. Nel 1693 il paese, che allora contava solo 1200 abitanti, venne raso al suolo da un forte terremoto. Nel 1817 divenne comune autonomo e nel 1831 vi fu aggregata la frazione di Trappeto.

San Giovanni la Punta è un importante polo commerciale, punto nevralgico dei paesi etnei per le intense attività commerciali concentrate principalmente sull'asse viario denominato Viale della Regione che attraversa il paese per una lunghezza di 2 km.

All'interno del polo commerciale sono presenti due grandi centri commerciali, Le Zagare, inaugurato nel giugno del 2000, e I Portali, inaugurato nell'ottobre del 2007, oltre a diverse altre attività commerciali. Vi si trovano il più grande punto vendita in Sicilia del gruppo Lidl, la sede dell'Aligrup, società che gestisce i supermercati e gli ipermercati con il marchio DESPAR, il Centro Medico Le Zagare(centro polispecialistico) e numerose sedi e filiali di aziende nazionali ed internazionali tra i quali il design center siciliano della multinazionale dei ciruiti integrati Maxim Integrated Products.

 

 

Tremestieri Etneo (Trimmisteri in siciliano) è un comune italiano di 21.569 abitanti della provincia di Catania in Sicilia.

L'attuale territorio di Tremestieri Etneo, per le sue favorevoli condizioni ambientali e la centralità della sua posizione geografica, posta tra l'Etna e la città di Catania, è stato sede di nuclei abitati sin da tempi remoti. Di tale evenienza restano solo sparute tracce essendo state le altre, nella maggior parte, cancellate dai numerosi e ricorrenti eventi calamitosi, soprattutto di natura vulcanica e tellurica, che si sono abbattuti in ogni tempo sul territorio.
Confermano tale tesi i pochi ma significativi reperti archeologici, casualmente rinvenuti nel territorio, costituiti da spezzoni di sepolcri di terracotta, lucerne, vasellame, monete e piccoli utensili in metallo o in pietra, riferentisi, per lo più, al periodo romano e bizantino e, più raramente, a quello ellenistico.
Le prime citazioni scritte del toponimo "Tria Monasteria" si trovano in scritture pubbliche risalenti al periodo della dominazione normanna in Sicilia; la più antica è contenuta nel testo di un diploma del 1198, custodito nella biblioteca dei Benedettini di Catania.
Frequenti sono stati i terremoti e le lave che sin dalla preistoria hanno sconvolto e distrutto il territorio e l'abitato di Tremestieri. Per la violenza e gli ingenti danni provocati si ricordano le lave del 122 a.C., del 1381 e del 1444 ed i terremoti del 1169, del 1693 e del 1818.
Nonostante le frequenti e ripetute calamità dovute alle eruzioni, ai terremoti, alle micidiali epidemie ed alle ricorrenti avversità atmosferiche, alle quali seguivano spesso lunghi periodi di carestia, la piccola comunità di Tremestieri è sempre riuscita a risorgere ed a proliferare grazie alla indomita volontà di rinascita e allo spirito di attaccamento ai luoghi dei suoi abitanti perennemente corroborati da una radicata e profonda fede religiosa.

 

La crescita e l'importanza assunta dalla comunità tremestierese è indirettamente comprovata dalla bolla papale, emanata nel 1446 da papa Eugenio IV, con la quale la chiesa " de tribus monasteriis", che da tempo accoglieva anche i fedeli delle contrade circonvicine, fu elevata alla dignità parrocchiale.
Nei primi anni del XVII secolo l'abitato di Tremestieri contava una popolazione di oltre 1.200 persone e aveva ben sette chiese.
Nel 1641 il casale di Tremestieri, essendo stato venduto al ricco mercante genovese Giovanni Andrea Massa, venne staccato dalla giurisdizione demaniale di Catania a cui apparteneva sin dal periodo aragonese ed acquistò una propria autonomia amministrativa seppure alquanto condizionata da un anacronistico sistema di governo di tipo feudale.
Nel 1817, per effetto della riforma amministrativa introdotta in Sicilia dalla restaurata monarchia borbonica, fu abolito il sistema feudale e Tremestieri divenne Comune.
Le prime amministrazioni comunali, superando non poche difficoltà, soprattutto di ordine finanziario, riuscirono a realizzare un modesto programma di opere pubbliche volto, tra l'altro, a migliorare i collegamenti con i paesi confinanti ed alla costruzione del cimitero.
Nel 1874 al toponimo Tremestieri, la cui etimologia sembra derivare dalla corruzione del latino "Tria Monasteria", venne aggiunto l'aggettivo "Etneo" per distinguerlo da una omonima località nei pressi della città di Messina.
A partire dagli anni sessanta Tremestieri, (prima nella frazione Canalicchio, un'isola amministrativa posta a ridosso di Catania, e poi nel capoluogo e nella frazione Piano, distanti 9 chilometri circa dalla città), ha registrato un eccezionale sviluppo edilizio con conseguente aumento della popolazione da duemila abitanti degli anni cinquanta agli oltre 22.000 attuali.
Il fenomeno è stato determinato dalla concomitanza di una serie di fattori socio economici, quali la espansione urbanistica della città di Catania e la crisi del settore agricolo che ha fatto definitivamente tracollare la tradizionale economia del paese basata originariamente sulla viticoltura ed olivicoltura e, negli ultimi anni, sulla agrumicoltura.
Le emergenze architettoniche di Tremestieri degne di nota sono costituite dalla Chiesa Madre, dalla Chiesa S. Maria delle Grazie, dalla Chiesa dell'Immacolata, di S. Antonio di Padova e da alcune ville padronali risalenti al XIX secolo disseminate lungo la via Etnea.
Interessante da visitare è la singolare raccolta privata di carretti siciliani della famiglia Costantino nella frazione di Piano così come i superstiti palmenti di cui era ricca la zona per la sua antica produzione vitivinicola.

http://it.wikipedia.org/wiki/Tremestieri_Etneo

 

 

Nel 1812, con l'abolizione del feudalesimo e del baronaggio, ai "Giurati" successe il "Decurionato", un gruppo di dieci uomini eletti dal popolo e approvati dal re. Con l'unità d'Italia, nel 1860, anche il "Decurionato" fu abolito e subentrò l'attuale sistema amministrativo, ad eccezione del periodo fascista durante il quale il sindaco era sostituito dal "Podestà". Il paese di San Gregorio prese nome dal suo Santo protettore Papa Gregorio Magno. Oggi San Gregorio è un rigoglioso paese ricco di attività commerciali e professionali che conta più di 10.000 abitanti. Il suo territorio, situato a 321 metri s. l. m. confina con: Catania, Tremestieri Etneo, San Giovanni La Punta, Valverde e Aci Castello.

 

I ricordi di Pietro Barcellona bambino a San Gregorio
Si partiva all'alba ai primi giorni di giugno. Io e mia madre con il cocchiere che ci conosceva e mi faceva stare ogni tanto a cassetta. Direzione: San Gregorio. Sin da piccolissimo, per molti anni, trascorrevo almeno tre mesi nella casa di campagna di San Gregorio in un'atmosfera che ha accompagnato la mia infanzia e parte della mia giovinezza. San Gregorio era il paradiso terrestre dove io, finalmente libero, potevo correre, arrampicarmi sugli alberi, fare capriole sui prati, giocare in tutti i modi anche scavando buche per poi ricoprirmi di terra. La terra mi piaceva. Imbrattarmi il corpo e la faccia era come un rituale di iniziazione. Mi sentivo finalmente a casa. La luce del giorno era abbagliante e il sole scottava le pietre ma all'alba e al tramonto i colori del paesaggio e del cielo erano tra le cose più belle che io abbia mai visto.
Alle cinque del mattino mio padre si svegliava per prendere la corriera per la città dove andava a lavorare. Anche io mi alzavo perché, sebbene avessi solo cinque anni, mio padre mi aveva regalato un flobert a pallini con il quale andavo a caccia di passeri e cinciallegre. Mi inoltravo a lungo nella campagna fino a raggiungere una sorta di torre di pietra dove mi nascondevo sotto un albero d'ulivo o sotto un albero di fico, aspettando con infinita pazienza che qualche minuscolo uccelletto si posasse su un ramo. Quante albe ho passato esercitando la pazienza silenziosa di chi sta in agguato della preda e allo stesso tempo lascia viaggiare i suoi pensieri e le sue fantasie verso mondi sconosciuti. San Gregorio era la giungla nera dove il piccolo d'uomo sfidava le forze della natura. Quando dopo diverse ore tornavo a casa mia madre mi aspettava ansiosa di vedere le mie prede e io depositavo sul grande tavolo della stanza da pranzo cinque o sei uccelletti che dovevano essere cucinati per cena dentro una cipolla svuotata con un pezzo di burro e qualche foglia di rosmarino. Quando mio padre tornava dalla città a sera tardi io lo aspettavo alla fermata dell'autobus, lo vedevo scendere col suo vestito di lino bianco e il suo panama, pronto a raccontare i miei successi di caccia. Mio padre mi prendeva in braccio per i cento metri che separavano la fermata dall'ingresso di casa nostra. Prima di andare a letto venivo immerso in una vasca d'acqua per liberarmi della terra che portavo addosso e tutto pulito come un principe passavo con mio padre e mia madre le sere e parti delle notti su un sedile di pietra a guardare il cielo mentre mio padre mi indicava le costellazioni. Attaccata alla nostra abitazione c'era quella del massaro che in cambio della custodia coltivava la terra e anche un piccolo orto dal quale ricavava primizie che vendeva sulla strada provinciale.
Il massaro era un uomo imponente che aveva combattuto sul Carso e aveva sperimentato il disprezzo degli ufficiali borghesi del Nord verso i terroni del Sud. La mia visione della questione meridionale coincide con questo rapporto col massaro che mi raccontava gli assalti all'arma bianca contro gli austriaci e coi suoi racconti riusciva a farmi persino vedere gli ufficiali della borghesia spingere all'assalto i terroni proletari per poi vantarsi del gran numero di morti che aveva subito il proprio battaglione. Il massaro era un comunista ancestrale, di quelli che non potevano non esserlo per via della sperimentazione immediata che avevano fatto del conflitto di classe e della differenza tra il Nord e il Sud. Il massaro era esperto di reti che servivano a catturare canarini e pettirossi per poi educarli al canto e rivenderli dentro piccole gabbiette alla fiera del paese. Il massaro è stato il mio primo vero maestro nella comprensione delle drammatiche differenze sociali tra ricchi e poveri, e della lotta dei poveri per non essere completamente cancellati dalla faccia della terra.
Nella mia casa di campagna a San Gregorio non c'erano né l'acqua né la luce elettrica, e la sera dopo cena si passavano le notti ascoltando il racconto epico di Orlando furioso e dei paladini per bocca di questo massaro cantastorie che sapeva trasmettere mirabilmente il senso della sfida e il gioco mortale di sciabole e durlindane. Anche mio padre e mia madre ascoltavano le storie, seduti all'aperto sui gradini di pietra insieme alla numerosa famiglia del massaro, il cui figlio più grande era diventato il compagno delle mie avventure.
Nei pomeriggi, quando la calura sembrava avvolgere tutto in una sorta di bambagia umidiccia, io e mia madre andavamo nei campi non coltivati né a vigneto né a ortaggi, dove l'erba cresceva incolta ma sempre piena di fiori selvatici: papaveri, margherite e roselline selvatiche facevano dei prati una specie di pianura celeste, abitata da misteriosi personaggi. Mia madre sedeva in un angolo su uno sgabello di legno morbido mentre io scorazzavo di qua e di là cercando di catturare insetti, anche piccoli scarafaggi, che poi racchiudevo dentro piccole scatolette destinate a un allevamento di strani animaletti terrestri. Le scatolette di scarafaggi erano la mia specialità e mi servivano a far impaurire le donne di casa che lanciavano piccoli urli ogni volta che mi vedevano maneggiare le mie strane scatolette. Ero diventato anche un bravo cacciatore di lucertole che riuscivo a catturare con un filo d'erba e una goccia d'acqua come specchio. Mettevo le lucertole in un barattolo e poi le liberavo vicino alle gonne delle ragazze che facevano parte della squadra di aiutanti di mia madre. Infatti, in questi mesi mia madre, assistita da una donna anziana - una specie di matriarca che aveva allevato anche mio padre- e dalla sua bellissima figlia, preparava provviste per tutto l'inverno. Ricordo bene i fuochi all'aperto con le grandi pentole dove si facevano le mostarde di ficodindia e i concentrati di vino cotto che servivano per un dolce straordinario chiamato col nome arabo di "mustazzolo".
A San Gregorio ho trascorso gli anni di guerra e ho conosciuto i tedeschi della Wehrmacht, che presidiavano le retrovie dell'esercito in fuga, e gli inglesi di Montgomery che avanzavano timidamente da Sud. Ho visto così i "nemici" faccia a faccia e, per la verità, nessuno mi è apparso così ostile da essere meritevole di morire. Ho capito che la guerra non è decisa dagli uomini che combattono, magari affrontando il corpo a corpo, ma da qualcuno che sta al di sopra degli altri e che può deciderne della vita e della morte.
Nell'autunno del '43, il parroco di San Gregorio riuscì a far sapere agli uomini dell'ottava armata britannica che i tedeschi rimasti in Paese erano soltanto cinque e che quindi potevano avanzare tranquillamente. Ho visto lo scontro tra quei cinque e l'armata che avanzava. Dopo qualche giorno tutto era dimenticato. I carri armati dell'ottava armata di Montgomery avevano invaso e distrutto i miei campi di fiori, e mia nonna mi chiuse in una stanza piuttosto nascosta perché avevo dichiarato che con il mio flobert avrei fatto la guerra agli americani. Per circa un mese mia nonna mi tenne segregato, alimentato con succhi di fave e biancomangiare, temendo che potessi irritare gli ospiti inglesi.
Anche negli anni del dopoguerra le vacanze continuarono a susseguirsi a San Gregorio con rigorosa regolarità da giugno a ottobre. Il tempo più entusiasmante era quello della vendemmia quando venivano decine di ragazze che, senza scarpe e qualche ciuffo di stoffa colorata sul seno, si tuffavano cantando nei campi e si fermavano soltanto per mangiare pane e acciughe. Ragazze gioiose, atletiche come le sportive di giochi olimpici e capaci di trascinare sul capo cestoni colmi di uva. Per concessione paterna io potevo stare insieme ai pestatori e mi divertivo a schiacciare l'uva con gli stivali di gomma, mentre sentivo scorrere il succo nel piccolo canale che poi portava nel grande vascone della fermentazione.
Mai come in quegli anni mi sono sentito parte integrante di un mondo che conosceva la fatica, la sofferenza e anche la miseria ma che esprimeva una gioia di vivere in tutte le circostanze in cui si faceva festa come non ho mai più visto. I cori delle vendemmiatrici riempivano l'aria e sembrava che un anonimo concerto stesse accompagnando le nostre ore pestando vino e mangiando pane e acciughe.
La Sicilia, 5 agosto 2012

 

Come per Tremestieri Etneo e Acicastello, anche le braccia geografiche di questo paese arrivano fino alla parte nord di Catania dove, fin dagli anni Settanta, si sono sviluppate parecchie zone residenziali (foto Google - Recos Costruzioni) ormai quartieri dormitoi "catanesi".

Il casello di San Gregorio, nota porta di Catania per chi arriva in autostrada da Messina.

 

 

Aci S. Antonio e il carretto siciliano

INTERVISTA A DOMENCO DI MAURO
Personalità dura, per certi versi aspra, tenero nei sentimenti ma anche impulsivo di carattere, come tutte le persone forti e coerenti che rimangono ferme nello scelte di determinati valori DOMENICO DI MAURO non ha mai conosciuto via di mezzo, è stato sempre o pro o contro, senza mezzi termini. Ha amato, da sempre la pittura, che ha vissuto nella sua bottega, da dove magicamente sono uscite tante sue opere con le scene della mitologia carolingia o della cavalleria rusticana con donna Lola e Turiddu o con i personaggi classici del mito greco. Non c’è solo, però, un D. Di Mauro pittore, c’è anche se un pò in subordine, un D. Dimauro che ha praticato l’impegno politico e civile, è stato sindaco, sindacalista, consigliere comunale per tante legislature, appassionanti e tremendi certi suoi comizi di diversi anni fa quando attaccava il potere dell’epoca ed era un personaggio pubblico, l’opposizione in paese all’establishment. Personaggio poliedrico e scomodo dipinge dall’età di 12 anni, le sue opere si trovano dappertutto, perfino in Russia, con un seguito di estimatori, fedele e crescente. MA DIAMOGLI LA PAROLA, vediamo cosa dice.

MAESTRO, MI DICA QUANDO HA COMINCIATO A CAPIRE CHE LA PITTURA AVREBBE AVUTO TANTA IMPORTANZA NELLA SUA VITA?
Da ragazzo, quando ho cominciato a frequentare le botteghe dei miei maestri, mi ricordo che ero divorato dalla curiosità, cercavo di capire la tecnica delle pennellate, come dare i colori e ottenere i chiaroscuri e mi accorgevo che gli occhi erano più importanti della stessa mano e quale importanza potesse avere il disegno o la cura del dettaglio in quel insieme che alla fine sarebbe diventato un quadro o un dipinto. Nel tempo ho anche apprezzato i modi bruschi che sentivo come intemperanze di Antonio Zappalà il mio più grande maestro, perché mi sono reso conto che mi sono serviti per correggere il mio stile e migliorarlo.

MAESTRO, CHE COS’È PER LEI LA PITTURA?
E’ una specie d’invasamento che ti prende tutto, una sana malattia dello spirito che ha una strana capacità pervasiva. La pittura è un misto di realismo e di fantasia, un dono che deve essere accettato con il continuo esercizio e che non perdona l’improvvisazione e il pressappochismo, perchè il gioco delle tinte, la geometria della prospettiva puniscono senza rimedio chi le si avvicina improvvisando.

VUOLE RICORDARCI QUALCHE EPISODIO DELLA SUA VITA CHE L’HA PARTICOLARMENTE IMPRESSIONATO.
Ce ne sono tanti e per questo ne ricorderò qualcuno. Intanto voglio ricordare la mia età, ho 94 anni e ho studiato sino alla 5° elementare, per questo non ho i modi e la cultura dell’intellettuale raffinato e profondo. Desidero, però ricordare che mi è sempre piaciuta la lettura e che ancora, nonostante l’età mi piace leggere, leggo specialmente i libri che trattano delle arti figurative.
Voglio, poi, parlarti sul filo della memoria, che spero mi aiuti dell’episodio di quando venne a visitare la mia bottega il re GUSTAVO DI SVEZIA con la moglie, il suo arrivo mi fu prima annunciato da una staffetta della polizia, il capopattuglia scese dalla moto e mi disse, che da lì a poco, sarebbe venuto il re di Svezia.
Io non credendo a una notizia del genere, gli risposi che in Italia c’era la repubblica. Fatto sta che dopo alcuni minuti venne veramente il re Gustavo di Svezia che parlava la lingua italiana meglio di me.
Si fermò a lungo a guardare pannelli, tamburi, carretti e mentre scambiava le sue idee con la moglie mi fece delle domande alle quali non seppi rispondere con la dovuta accortezza. Io gli raccontai la storia di Orlando e di Angelica e le vicende della cavalleria rusticana con donna Lola e Turiddu. Mi chiese se ero un pittore “naif”, termine che non capii e per questo risposi per come potevo e per quello che sapevo. Credo che, comunque il re rimase positivamente impressionato, anche perché portò con sè tante mie cose dimostrandosi, fra l’altro, molto generoso.
Ma è con PRIMO LEVI che ho avuto, per così dire, più possibilità di esprimere me stesso, anche perché con lui ho avuto una certa frequentazione. Certo, Primo Levi, non sono io a scoprirlo, è stato un gigante nella storia della cultura del nostro paese, io nei suoi confronti sono una piccola cosa, lui la città, il mondo, io la campagna, il piccolo paese. Quando parlava lo trovavo affascinante, sapeva tutto quello che io avrei voluto sapere, s’intendeva di tutto di letteratura, d’arte, di musica, di scienza e spesso non riuscivo a seguirlo.
Una volta gli chiesi cosa trovava d’interessante nella mia bottega e in quello che facevo e lui mi rispose: “La semplicità della natura” risposta che sto ancora cercando di capire.

LEI, E’ UNA VITA CHE DIPINGE CARRETTI, PANNELLI, RUOTE, TAMBURI E HA COMMISSIONI CHE VANNO OLTRE IL 2010, RIESCE A SPIEGARSI, COME MAI QUESTO TIPO DI ARTE NON E’ SEGUITA DAI GIOVANI E VIENE COLTIVATA ORMAI DA POCHE PERSONE?
In effetti, è vero, sono pochi ormai a praticarla, lo vedo nella mia stessa bottega, non c’è quella schiera numerosa di apprendisti che io vorrei avere, purtroppo, pur essendoci nella zona l’Accademia delle Belle Arti, il Liceo Artistico, ecc…. i giovani sono attirati da altro, dai grandi pittori (i nomi sono tanti) e dal business dei mercanti dell’arte e considerano questa forma espressiva poco soddisfacente, forviati dai grandi guadagni e dal facile successo. Non si accorgono che, ai livelli eccelsi, pochi arrivano e che uno degli insegnamenti che dà la vita e quello di sapersi accontentare. Manca, poi, da parte di chi può fare un’adeguata educazione per apprezzare quest’arte povera, che è vero non dà la ricchezza, ma fa vivere in modo più che dignitoso. Un apprezzamento, comunque, desidero farlo, so che ad Aci Sant’Antonio sarà aperto un museo del carretto e di questo ringrazio la Provincia Regionale di Catania che spero lo realizzerà.

 

 

Viscalori di Viagrande, aprile 2012

 

CHE CONSIGLIO SI SENTE DI DARE AI GIOVANI CHE OGGI PENSANO DI INTRAPRENDERE UN CAMMINO ARTISTICO E SCELGONO DI PRATICARE LA SUA ARTE?
Dico loro di venire, che non c’è da aspettare, di venire in tanti e non solo nella mia bottega, ma anche nelle poche botteghe che sono rimaste, devono sapere che ci sono molto committenti e di ogni tipo e che le richieste sono tante al punto che non si è in grado di soddisfarle. Non c’è artista o artigiano che non lavori, in questo campo la disoccupazione non esiste. E ovvio, che questa scelta deve essere poi accompagnata dal dovuto addestramento e dallo studio, perché l’inclinazione artistica ha bisogno di essere esercitata e coltivata, l’arte del carretto può e deve ancora vivere, ha bisogno di tanti praticanti e se tanti la praticheranno emergerà prima o poi l’ARTISTA.

Filippo Laganà
http://www.ilcarrettodomenicodimauro.com/?page_id=14

 

La chiesa madre di Aci S. Antonio

 

 

 

La pasticceria Miraglia,

il ristoro dei Giganti.

 

(da un'opinione in rete) L'unione tra bontà ed originalità è senz'altro raggiunta dalla pasticceria Miraglia, ad Aci S.Antonio. La particolarità di questo laboratorio è la dimensione dei pezzi. Vi basti pensare che una briosche con il gelato vi sazia per pranzo e cena, e se si decide di fare colazione in questo bar magari con un cornetto alla nutella, si rimane a bocca aperta di fronte al mega cornetto gigante che una sola persona non può affatto mangiare. Almeno ci mangiano tre persone!! Senza contare che è una bomba ipercalorica perchè contiene mezzo barattolo di nutella! Infatti, in ogni pezzo dalle super dimensioni, anche di tavola calda, i condimenti sono quasi eccessivi e non si corre mai il rischio di restare digiuni. Per quanto riguarda i prezzi, in proporzione è come comprare due pezzi alla volta. Anche se devo ammettere che vista la notorietà che questa pasticceria sta conoscendo sempre più i prezzi tendono a lievitare..

Via Roma, 64 - Aci Sant'Antonio

 

 

 

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scene girate ad Aci S. Antonio, Palazzo Riggio e Villa Paternò

 

 

San Giovanni La Punta

 

 

Valverde si sviluppa a 305 metri sul livello del mare e raccoglie quasi 7.000 abitanti.

Dal punto di vista artistico Valverde si ricorda soprattutto per i suoi edifici sacri, a partire dal Santuario della Madonna di Valverde. Tale edificio risale alla fine del 1600 e prevede l'annessione del Convento degli Agostiniani. Esso si presenta con un portale tardoquattrocentesco che raccoglie dei motivi floreali nella fascia dei capitelli. L'interno si presenta con l'impianto e gli arredi risalenti alla fine del 1600 e permette di ammirare le sepolture dei Riggio, una nobile famiglia che influi' molto sulla storia catanese del 1700.

Nel vicino comune di Aci San Filippo si trova un'altro edificio sacro interessante, la Chiesa dell'Eremo di S. Anna. Il complesso si trova in una posizione davvero suggestiva: essa domina una buona parte della costa ionica ed alcuni comuni rientranti nella provincia di Catania il cui nome inizia per "Aci"; il sito e' circondato da una vasta zona comprendente numerosi agrumeti e vigneti. La Chiesa si presenta con un pavimento in maiolica ed offre la possibilita' d'ammirare una tela raffigurante la Madonna col Bambino e S.Anna.

Tra le Chiese minori cittadine occorre citare quella intitolata a Santa Maria della Misericordia.

l'Eremo di SantAnna a Valverde

 

 

 

VALVERDE - SAGRA DELLA VENDEMMIA

 

 

 

salendo sull'Etna

 

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/2023/340.jpg

Aci Bonaccorsi

 

 

Ogni mese di luglio si tiene a Valverde il week-end della birra. La festa nacque all’inizio del nuovo secolo per ricordare

la tradizione della produzione della birra che dal 1957 fa veniva prodotta nello stabilimento della birra Henninger,

nota casa Tedesca, presente nel centro storico di Valverde (come da antica fotografia)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Viagrande e' una cittadina sulle pendici sud-orientali del vulcano ETNA. Posizionato tra il vulcano e il mare sorge a circa 410 m. d'altezza. La sua popolazione, di circa 5688 abitanti, vive principalmente di agricoltura e commercio dei prodotti ad essa connessa (Agrumi e Vino). L'industria edile e le attivita' connesse ad essa sono molto sviluppate e moltissimi cittadini viagrandesi la svolgono anche nei comuni e provincie limitrofe. Anche l'artigianato e' molto sviluppato, sopratutto la lavorazione del ferro, del legno e delle pietre. Viagrande prende il nome dall'antica via regia per Messina detta appunto viagrande.

La baronia di Viagrande appartenne dal 1700 sino agli ultimi tempi feudali alla famiglia Alliata dei principi di Villafranca.

Il centro del paese è pavimentato a grandi lastroni di pietra lavica. La settecentesca Chiesa Madre ha una facciata scandita dalla stessa scura pietra che sottolinea le linee verticali, i portali e le finestre che li sovrastano. La pietra lavica decora sia la Chiesa Madre (S. Maria Dell'idria in Piazza S. Mauro) che la chiesa di Santa Caterina in Via Garibaldi. Gli interni di entrambe le chiese sono decorati con pregevoli stucchi ed affreschi.

Passando da Viagrande non si possono non assaggiare le "Siciliane" da Urna

 

la frazione di Viscalori


Il Gran caffè Urna, marchio doc
Dal 1885 la "Siciliana" è uno dei prodotti più apprezzati del Gran Caffè Urna, storica pasticceria di Viagrande. Praticamente da sempre. Solo tuma, acciughe e pepe. Ma la ricetta che unisce mirabilmente i tre ingredienti che compongono il ripieno del calzone fritto più soffice del mondo è rigorosamente segreta. Non c'è catanese (e non solo) che non abbia gustato e decantato la "Siciliana" di Urna.

Ma il Gran Caffè Urna è anche finissima pasticceria etnea e non c'è dolce tipico che gli abili pasticceri non preparino ad arte. Di Urna è anche la ricetta originale del "Pazientino" un delicato quanto genuino biscotto che, come spiegava Lorenzo Urna ai figli Maurino e Casimiro, necessita per la perfetta riuscita e come dice il nome, di tanta pazienza.
Il Gran Caffè Urna è a Viagrande, in via Lorenzo Urna 36 - tel. 0957894579.
http://www.grancaffeurna.it/

 

 

 

 

 

 

 

 

Zafferana Etnea e' riversata sulla costa ionica e la Timpa di Acireale, a 574 sul livello del mare. La citta' attualmente raccoglie quasi 8.100 abitanti.

Il borgo sorge intorno al XII secolo nelle strette vicinanze del monastero dei Frati Benedettini del quale oggi sfortunatamente non rimane nulla. Esso divento' un comune autonomo nel 1826.

Zafferana ha saputo risorgere con orgoglio da alcuni cataclismi naturali, a partire dal terremoto del 1693 e a quello del 1818.

Il nucleo abitativo attuale ha come fulcro la principale Piazza Umberto I arricchita dalla presenza del ricco Giardino Pubblico e della Chiesa Madre intitolata alla Madonna della Provvidenza. Tale edificio sacro si presenta con un barocco blocco centrale affiancato da due campanili gemelli ed una facciata in pietra bianca contenente la statua della Madonna. Il suo interno conserva alcune espressioni dell'arte figurativa a tema sacro,  come il dipinto raffigurante San Giuseppe col Bambino.

La citta' e' nota soprattutto per il suo ambiente circostante. Esso comprende la famosa quanto affascinante Valle del Bove costituita dall'antico cratere Rocca degli Zappini, dalla Serra Giannicola Grande - la spaccatura dei crateri avvenuta nel 1908 - ed il Sentiero Natura di Monte Zoccolaro che inizia con un bosco di castagni.

 

 

 

Indiscussi protagonisti di ciascuna domenica a Zafferana Etnea sono infatti i prodotti tipici della terra e i loro derivati; il visitatore attratto dalla gastronomia tipica siciliana troverà l'occasione di apprezzare l'uva, il vino, la mostarda, il miele, le mele, la frutta di stagione (fichi d'India, melograni, noci, nocciole, castagne, pistacchi ecc.), i funghi porcini dell'Etna, l'olio, le olive e le conserve sott'olio. La piazza Umberto, come ogni anno, ospiterà numerosi stand in cui sarà possibile degustare i dolci tipici locali (gli sciatori, le zeppole, le paste di mandorla, le foglie da tè, etc.), i liquori, i vini, il miele, i torroni e la frutta secca caramellata, i gelati al pistacchio e molte altre bontà. La Villa Comunale sottostante la piazza, invece, ospiterà gli stand che daranno risalto ai salumi, formaggi tipici siciliani e conserve alimentari. 

Da non lasciarsi sfuggire, poi, i diversi appuntamenti dello Slow Food, sito in piazza della Regione Siciliana, durante i quali sarà possibile, attraverso degustazioni guidate, assaporare diversi piatti tipici siciliani. Infine, per completare il circuito gastronomico, il visitatore potrà lasciarsi coinvolgere dai sapori della gastronomia “sotto il tendone” nell'area dell'ex campo sportivo: qui, inoltre, tutte le serate saranno animate da spettacoli musicali di gruppi emergenti.

 

Ma ampio spazio è dedicato anche ai prodotti artigianali: tutto il percorso che attraversa il centro storico è dedicato alle mostre degli antichi mestieri ormai in via di estinzione. Il visitatore più curioso potrà fermarsi ad ammirare il lavoro di scultori del legno e della pietra lavica, pittori di sponde di carretti siciliani, ricamatrici, lavoratori del ferro battuto, pupari. Lungo questo percorso, poi, saranno diversi i locali che, come ogni anno, ospiteranno varie mostre di pittura, fotografia e artigianato.

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Zafferana Etnea è un polo d'attrazione turistica per la sua posizione strategica tra l'Etna e il mare.

 

Il vulcano incluso dall'Unesco nell'elenco dei beni patrimonio mondiale dell'umanità rappresenta una ricchezza naturale dal valore incommensurabile sul piano paesaggistico, turistico, economico e culturale. Per questa sua posizione privilegiata all'interno del Parco dell'Etna, le condizioni climatiche favorevoli Zafferana vanta una forte vocazione turistica tanto da essere stato denominato «Centro turistico estivo e invernale per l'Etna».

Sul turismo ha fortemente scommesso l'amministrazione comunale guidata dal sindaco Alfio Russo che intende fare di Zafferana la porta del versante orientale dell'Etna da realizzarsi in corrispondenza dei siti di Piano dell'acqua, dell'ex Priorato di San Giacomo (dove affondano le radici storiche di Zafferana) di Cassone, di monte Pomiciaro e di Piano del vescovo.

«La nostra comunità diventerà Porta del versante orientale dell'Etna - ha spiegato il primo cittadino - punto base per l'escursionismo, attraverso una politica mirata alla realizzazione di adeguate infrastrutture e sul versante intercettando i flussi turistici diretti sul nostro vulcano.

Il turismo naturalistico - conclude il primo cittadino - rappresenta una delle principali fonti di ricchezza oltre che un autentico volano di sviluppo per l'economia locale».

 

L'assessore al Turismo Giovanni Di Prima ha aggiunto un'altra delle peculiarità di Zafferana: «Il turismo del gusto, che costituisce un pilastro dell'economia zafferanese e che si promuove attraverso percorsi enogastronomici che facciano conoscere e apprezzare le nostre tipicità».

A partire dal miele, autentica ricchezza per Zafferana e costituisce il 30% della produzione nazionale. Zafferana è «città del miele». A tutela della sua genuinità si auspica che presto venga dato al miele di Zafferana un riconoscimento dop (denominazione d'origine protetta), o igp o un marchio Stg (specialità tradizionale garantita), a garanzia della qualità, tipicità e unicità del prodotto che non ha pari sul mercato.

Zafferana è anche «Città del vino», infatti la produzione vitivinicola costituisce un'altra risorsa importante pe l'economia locale. Vige un'autentica cultura del vino. Molte sono le vetrine che mostrano i rinomati e inimitabili vini doc rosso, rosato e bianco dell'Etna dalla fragranza particolarele le cui caratteristiche organolettiche risentono del terreno lavico.

 

 

 

 

Altra risorsa le mele dell'Etna, autentica chicca dei frutteti di Cassone: ce ne sono circa 14 tipologie. Obietttivo dell'Amministrazione e dei proprietari l'ottenimento del dop per le mele cola e gelato cola. Questo marchio confermerà la qualità e la territorialità del prodotto. I nostri boschi, poi, offrono i porcini prelibati e profumati alla base di molti piatti che hanno fatto il giro del mondo. Zafferana vanta delle produzioni uniche: la pizza siciliana nata da una signora laboriosa chiamata «Donna Peppina» che inventò e tramandò il segreto di questa sua pietanza che è rimasto a Zafferana. Lo stesso dicasi per dolci come le foglie da tè, gli sciatori, i bersaglieri e le cassatelle con la ricotta.

 

 

Enza Barbagallo - La Sicilia, 19.7.2014

 

 

Zafferana Etnea (CT)
Chiesa Di Santa Maria Della Provvidenza

La chiesa di Santa Maria della Provvidenza è la chiesa madre di Zafferana Etnea. Essa è sede dell'omonima parrocchia, facente parte dell'Arcidiocesi Metropolitana di Catania e dell'XI Vicariato Paesi della Zona Bosco.
Svettante su di un'ampia e scenografica scalinata in pietra lavica, in netto contrasto con la bianca facciata, la Chiesa Madre, intitolata alla Patrona, è il monumento più importante della città.
La sua costruzione, iniziata nel 1731 per volere di don Francesco Gagliano, decano della Basilica Collegiata di Catania, si protrasse per lungo tempo, più volte ripresa a causa dei numerosi eventi sismici che la resero inagibile. Nei secoli la sua struttura fu rimaneggiata e ampliata. La chiesa originaria, infatti, era molto più piccola, disposta perpendicolarmente a quella attuale; il 20 febbraio 1818 un terribile terremoto distrusse l'edificio causando ventinove vittime tra i fedeli presenti alle sacre funzioni.
I lavori di ricostruzione, cominciati nel 1832 e conclusi nel 1837, valsero alla chiesa la possibilità di essere dichiarata "Chiesa Matrice" dall'allora vescovo di Catania, mons. Orlando. Nel 1882 un nuovo intervento di ampliamento portò all'allungamento delle navate.
L'ultimo intervento di recupero e di restauro risale agli anni precedenti al 1997, quando la chiesa venne riaperta al culto dopo quattordici anni, essendo stata resa inagibile dal terremoto del 1984, che causò il crollo della volta della navata centrale e innumerevoli altri danni strutturali.

 

 

L'esterno è caratterizzato da un'imponente facciata in pietra bianca di Siracusa, realizzata dal 1897 al 1928 in stile eclettico, con elementi che vanno dal barocco siciliano al liberty su progetto dell'architetto Carmelo Sciuto Patti. Il prospetto è formato da un corpo centrale lievemente arretrato rispetto ai due campanili gemelli.
A seguito della riapertura della Chiesa, avvenuta il 30 ottobre 1997, le porte sono state decorate con pannelli bronzei in rilievo. Nella porta centrale troviamo rappresentate la processione durante l'eruzione del 1792 (in basso a sinistra), una scena di vita monastica del Priorato di San Giacomo (in basso a destra) e in alto scene tratte dal Nuovo Testamento in cui è presente la Madonna. Le porte laterali, invece, sono arricchite da pannelli che raffigurano scene della vita di Cristo.
Sul portale maggiore, a ridosso di una cornice curvilinea, si trova un grande Cristo Pantocratore che, con le braccia aperte, accoglie i fedeli e li invita ad entrare. Sul livello superiore, al centro di un trittico, è posta una statua di pregevole fattura raffigurante la Titolare della chiesa e Patrona della città, Maria Santissima della Provvidenza. Su di essa, nel frontone, si erge lo stemma mariano.
Delle due torri campanarie, d'impronta prettamente barocca, solo quella di destra ospita cinque campane.
Dei due ingressi sui prospetti laterali, il più interessante è quello di destra, rivolto ad oriente. È in pietra lavica scolpita, e sulla sua soglia è incisa la data del 1730, l'anno in cui furono iniziati i lavori di costruzione della chiesa. Pare certo che questo fosse, nel progetto iniziale, l'ingresso principale della chiesa, allora molto più piccola, e rivolta quindi ad oriente perpendicolarmente alla chiesa attuale.

 

 

La cupola, di forma ottagonale, è artisticamente rivestita da tessere in maiolica blu, caratteristica comune a molte delle cupole e delle guglie delle chiese etnee.
L'interno, elengante e sobrio nel suo insieme, è a croce latina e a tre navate. All'incrocio del transetto con la navata centrale si innalza la cupola. Nonostante gli eventi sismici remoti e recenti l'abbiano spogliata di molte delle finiture e degli affreschi originari, la chiesa conserva interessanti opere artistiche.
All'ingresso, sulla destra, è collocato il fonte battesimale in marmo, sormontato dall'Agnello e circondato da una ringhiera in ferro battuto.
L'abside presenta un altare maggiore di pregevole fattura, al di sopra del quale si erge maestoso un grande quadro della Madonna della Provvidenza, opera novecentesca del pittore Raffaele Stramondo; dello stesso autore, sempre nell'abside, troviamo a destra Il sacrificio di Melchisedech e a sinistra La Cena di Emmaus.
Ai lati dell'altare maggiore due splendide porte in legno scolpito, recanti i rispettivi simboli iconografici, conservano le statue di San Giuseppe (a destra) e della Madonna della Provvidenza (a sinistra), mentre dietro l'altare, al centro, si trova una simile porta che custodiva un tempo la statua di Sant'Antonio abate.

 


 

In fondo alla navata destra si trova la cappella della Madonna della Provvidenza, uno splendido altare in marmo policromo in cui è incastonato il venerato quadro della Madonna, dipinto nel 1838 da Giuseppe Rapisarda.
In fondo alla navata sinistra, invece, si trova la cappella del Santissimo Sacramento; sull'altare, fiancheggiato da due statue raffiguranti Santa Margherita Maria Alacoque e Santa Giuliana Falconieri, è posto il simulacro del Sacro Cuore di Gesù.
Lungo il transetto troviamo invece a destra l'altare di San Giuseppe, con una grande pala dipinta dal pittore zafferanese Giuseppe Sciuti nel 1854 a soli vent'anni; a sinistra, l'altare del Santissimo Crocifisso, con un monumentale Crocifisso ligneo ottocentesco alla base del quale è posto un quadro dell'Addolorata.
Due statue si fronteggiano, poste nelle navate laterali: a destra troviamo quella di Sant'Antonio di Padova, a sinistra quella di Sant'Antonio abate, compatrono della città.
Altri interessanti simulacri sono conservati nella Matrice, ma esposti solo nei giorni delle rispettive feste; tra questi ricordiamo: il Cristo Morto col suo cataletto (portantina), di fattura settecentesca; la Madonna della Provvidenza, scolpita intorno alla metà del secolo XIX; l'Addolorata e San Giovanni Apostolo; Santa Rita da Cascia; San Giuseppe; la Madonna di Lourdes; il piccolo simulacro di Maria Santissima Bambina; Sant'Agata; Santa Lucia; il Cristo Risorto.
Foto di Francesco Raciti

 

 

 

 

 

 

 

 

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UN MOMENTO DELL'OTTOBRATA

 

Puma Cola, regine dell’Etna

di Paola Pasetti (In Viaggio - supplemento a La Sicilia)

C’è stato un tempo in cui l’Etna poteva a buon titolo dirsi il regno delle mele. Di quelle autoctone, s’intende, almeno una quindicina di varietà (nella maggior parte dei casi andate quasi perdute) i cui nomi sono tutto un programma: come la Rotolo, chiamata così per le sue dimensioni (un rotolo, antica unità di misura, equivaleva infatti a circa 800 grammi); la Turco, dalla buccia scura, color granata; la mela Lappio, da “lappusa”, ossia dal sapore astringente. Cultivar passate alla storia e oggi quasi del tutto scomparse. I meleti etnei sono stati per decenni un unicum nel panorama frutticolo siciliano, tanto più che in quella fascia altimetrica dell’Etna compresa
tra 700 e 1500 metri sul livello del mare il melo ha trovato condizioni pedoclimatiche particolari, capaci di conferire ai frutti proprietà organolettiche uniche. Così, finché non sono arrivate le mele “del Continente”, quelle nostrane
- seppur coltivate su terreni impervii e difficili - avevano potuto ritagliarsi anche sul mercato dell’isola una fetta importante.
La più coltivata, definita a buon titolo “regina dell’Etna”, era la mela Cola. “Puma Cola”, come vengono intese da queste parti: un nome che è derivato - pare - dal fatto che questa particolare varietà si diffuse in principio a Nicolosi, in una zona limitrofa al convento di San Nicola. Forma cilindrica arrotondata, buccia gialla segnata da piccole lentiggini color ruggine, polpa croccante e leggermente acidula. La mela Cola è stata coltivata ed è ancora presente su vari versanti: meleti si trovano anzitutto a Biancavilla e Ragalna, ma anche nel distretto Trecastagni-Pedara- Nicolosi, sul lato Sud; Zafferana e areale Milo-San’Alfio-
Mascali, a Est.

Da qualche decennio, però, la Cola ha dovuto cedere lo scettro della più coltivata a sua “figlia”: la Gelato-Cola. O Cola-Gelato, se si preferisce. Un ibrido nato dall’innesto su un’altra varietà autoctona dell’Etna, la “Gelatu”, oggi
quasi del tutto scomparsa. Chi ha avuto la fortuna di addentarla, ne ricorderà sicuramente la tipica vitrescenza della polpa, da cui per alcuni deriverebbe il nome.

 

 

 

Le caratteristiche della “nuova nata” la rendono diversa dalla Cola per il sapore della polpa, meno acidula, per il profumo più intenso e per la grana più raffinata. A occhio nudo, la si riconosce comunque per la forma tronco-cilindrica e per il colore che va dal giallo-verdolino subito dopo la raccolta al paglierino chiaro, quando la maturazione arriva a compimento.
Chi voglia conoscere più da vicino e apprezzare il sapore di questi prodotti del Vulcano non ha che da mettersi in cammino senza perder tempo: ottobre è infatti il mese della raccolta, che si protrae, man mano che si sale di altitudine, fino all’ultima decade del mese.
Fino a poco tempo fa erano le mele più diffuse sul Vulcano. Oggi rischiano di scomparire come è già accaduto ad altre varietà autoctone. Lungo il sentiero della Scalazza alla scoperta dei vecchi meleti
Non c’è migliore occasione, quindi, per fare un salto nei paesini etnei. A partire dal versante Sud, da quella Nicolosi che fu culla della Puma Cola, proseguendo in direzione est verso Pedara, Trecastagni, fino ad arrivare a Zafferana Etnea, uno dei centri di maggior produzione di queste mele.
Una passeggiata in macchina lungo questo percorso, attraverso le piacevoli strade provinciali immerse nel verde, riappacifica con il mondo. I centri abitati, poi, accolgono il visitatore con le loro botteghe aperte anche la domenica mattina, quando la montagna vive per i gitanti alla ricerca di aria buona. Un’occasione ghiotta per provare anche gli altri sapori tipici dell’Etna: funghi, miele, fichidindia, castagne, olio, vino. Tutti, insieme alle mele, si possono trovare nelle botteghe, nei mercatini locali o, più facilmente, lungo le strade man mano che si sale: panieri intrecciati ricolmi di frutta (o, meno poeticamente, secchi gialli di plastica) dal ciglio della strada invitano chi transita a fermarsi per un’acquisto, come si usa dire oggi, a chilometri zero.
Chi voglia, poi, visitare un meleto e non tema una piacevole passeggiata di circa un’ora, da Zafferana potrà spingersi fino alla Scalazza, un’antica mulattiera - oggi praticabile grazie all’intervento di alcune associazioni di volontariato - che nell’Ottocento costituiva l’unica via di accesso ai frutteti coltivati dagli zafferanesi alle falde di Monte Pomiciaro.

Per raggiungerla, bisogna lasciare la strada asfaltata che da Zafferana sale verso Piano dell’Acqua all’altezza del fontanile di Scalazza. Subito sulla sinistra si apre una stretta stradina sterrata che scende per qualche centinaio di metri all’interno della grande conca in cui confluiscono valle San Giacomo e il vallone Cavasecca. La Scalazza inizia proprio lì, alla base del costone che divide le due vallate. Una visione mozzafiato: il sentiero, in gran parte lastricato, è completamente immerso nel bosco di castagni; cento tornanti consentono di coprire un dislivello di quasi 500 metri, dai 700 di Piano dell’Acqua ai 1200 della zona di Cassone,
dove si trovano, appunto, diversi meleti. È in un luogo così che si può apprezzare fino in fondo l’unicità di queste “vecchie” mele, frutto, come tutto ciò che si coltiva sui terreni scoscesi del vulcano, della infinita sfida tra l’uomo e la natura.

 

 

 

 

 

Km 27 da Catania, 750 mt. s.l.m. e 10 Km dalla costa Jonica. E' il più alto dei comuni sul versante orientale del vulcano. Si trova in un territorio di grande interesse naturalistico nell'area del Parco dell'Etna.

Economia: turismo estivo, coltivazione della vite, commercio di legno.

La sua ubicazione è ideale per chi ama la montagna senza voler rinunciare al mare. Fu fondata nel '300 da Giovanni d'Aragona e duca di Randazzo, nel territorio della contea di Mascali. E' stata frazione di Giarre fino al 1923 e poi di Sant'Alfio. Nel 1955 raggiunge l'autonomia. Il nome proviene dal greco-bizantino "Milos" il cui significato è "scuro", come il colore della lava. E' un rinomato luogo di villeggiatura estiva collinare, insieme alle sue frazioni di Fornazzo e Caselle. Il suo ambiente, immerso nel verde e ombreggiato, è stato scelto come dimora estiva anche dai cantautori Franco Battiato e Lucio Dalla.

 

Milo non conoscerebbe forse le sue attuali fortune, se un certo en Juan, fratello di en Pere (Pedro II, re d’Aragona e di Sicilia) e suo vicario nell’Isola, non avesse deciso di costruire intorno al 1340 fra i boschi del Milo, un chiesetta dedicata a Sant’Andrea attribuendole i relativi valori feudali che le permisero di sopravvivere con i tributi locali e di diventare un priorato della chiesa di  Catania. En Juan, che trascorreva parte della torrida stagione estiva nelle costruzioni adiacenti la chiesa e svolgeva la sua opera amministrativa ricevendo i grandi del tempo, finì per trasformare Milo, almeno nei mesi più caldi, nel centro politico della Sicilia. Qui, colpito dalla grande peste del 1348 che aveva vanamente tentato di sfuggire, lasciò per sempre l’amata montagna e le sue spoglie mortali furono trasportate a Catania dove ancora riposano. Con la morte di en Juan anche Milo perse la sua importanza, ma la vita continuò e la comunità si accrebbe di altre anime che trovarono nei boschi circostanti di che vivere e lavorare. Milo può essere raggiunta da Catania mediante la provinciale per San Giovanni la Punta, Viagrande e Zafferana (29 chilometri) oppure lasciando l’autostrada A 28 Messina - Catania allo svincolo di Giarre, salendo fino al borgo per una decina di chilometri di piacevolissimo percorso. 

 

 

 

Dopo la «conversione» all'agricoltura dell'ex leader dei Police, boom dei vip che si sono dati al vino: da Ornella Muti a Gerard Depardieu, da Paolo Rossi e Ottavio Missoni, da Adriano Celentano al «Baccano» di Gianna Nannini. Intanto l'Italia ha superato la Francia
Sarà amabile e ottimo a fine pasto lo Zibibbo di Gerard Depardieu e il Dolcetto doc di Ornella Muti corposo e rotondo. Invece, chissà che sapore avrà lo «Stronzetto dell'Etna» imbottigliato da Lucio Dalla alle pendici del vulcano. Buono comunque e di alta qualità come alto è anche il numero dei vip-coltivatori che, come se si fossero passati la parola, si sono buttati ad investire sul vino italiano. Insomma, non è solo Sting a essersi dato all'agricoltura.
La passione dell'ex leader dei Police per la terra toscana e i suoi prodotti non è soltanto un'infatuazione, ma un vero e proprio lavoro, come ha raccontato lui stesso in una affollata conferenza stampa a Figline Valdarno. Ma la rockstar è davvero in buona compagnia. «Cantanti, attori, stilisti, sportivi. Sono sempre di più - raccontano alla Coldiretti - i personaggi pubblici che negli ultimi tempi hanno scelto di mettere i loro soldi nella campagna italiana».
Gerard Depardieu, noto gourmet, produce infatti infatti ottimi zibibbi e moscati nel suo vigneto di Pantelleria. Con altri vini dolci dell'isola, gli fa concorrenza l'attrice Carole Bouquet, non solo bella ma dal cognome in questo settore molto promettente. Stefania Sandrelli invece va sul classico e ha puntato sul Chianti docg, mentre pure Ornella Muti si tiene sul sicuro e ha scelto il Dolcetto d'Ovada doc. Folto anche il gruppo dei cantanti agricoltori, guidato da Lucio Dalla con il suo giù citato «Stronzetto dell'Etna», bianco e rosso. 

 

 

Tra i cantanti Adriano Celentano, Gianna Nannini che fa rumore con il suo Baccano e Ron, che ha investito sulle vigne dell'Oltrepo pavese. E al fascino morbido del vino non hanno saputo resistere nemmeno stilisti del calibro di Roberto Cavalli, Ottavio Missoni e Roberto Rosso. Buona pure la presenza del mondo dello sport, da Paolo Rossi, il Pablito nazionale, fino a Francsco Moser.
La coltivazione delle uve sembra dunque attirare i vip. «Ma non è solo moda - sostengono alla Coldiretti - . La spiegazione del fenomeno sta nel fatto che, in un momento di grave crisi generale, il settore vinicolo sta andando alla grande». Nel 2008, grazie a una vendemmia record di 45 milioni di ettolitri, più cinque per cento, si è infatti verificato lo storici sorpasso dell'Italia ai danni della Francia, ferma a 44 milioni. «Un successo che è il frutto anche di una crescita qualitativa, con il circa sessanta per cento dei raccolti destinati alla produzione di vino doc, docg e igt. Il risulatto è che oggi abbiamo 477 vini a denominazone controllata, controllata e garantita e a indicazione geografica tipica».

Massimiliano Scafi

 

 

UN BOLOGNESE CHE VOLLE DIVENTARE SICILIANO

 

 Lucio Dalla è sempre stato innamorato della Sicilia, celebre il suo video "Siciliano" girato in Sicilia, soprattutto a Castel di Tusa. Considerava Milo un posto incantevole, con panorami unici al mondo. Così tanto che si fece costruire una bella casa (non proprio in riva al mare) fra i boschi della contrada Praino, quasi al confine con un vicino che era il suo amico e collega Franco Battiato. Da lì, sotto il vulcano, i suoi occhi venivano inondati dal mare azzurro che amava tanto, dalla Calabria a Pachino. Ma trovava anche il tempo di coltivare lo  "Stronzetto dell'Etna", il suo vino siculo in distribuzione privata. Lo ricordo quando, nel 1992, un po' all'insaputa e per pochi intimi, gli fu donata la cittadinanza onoraria di Milo e che lui ricambiò regalando a quella cinquantina di spettatori in piazza un mini concerto con le sue canzoni più famose.

Mi raccontarono che durante quella prima estate di residenza a Milo si presentava alle sette del mattino al bar della piazza centrale, di fronte al Municipio, e diceva "Buongiorno, il caffè lo pago io". Smise di dirlo quando il gestore, per motivi di ordine pubblico, lo prese a parte e gli disse "Signor Dalla, qui la voce è arrivata fino a Catania e siccome per "spacchiamento" c'è già qualche catanese (sono fatti così) che si mette a dire "Dumani acchianu o Milu …. c'è Lucio Dalla ca mi offri u cafè!" qui davanti c'è la fila ogni mattina. Le consiglio di non offrire più il caffè a tutti, anche se ci rimetto". Non so se la storiella è vera o no, ma questo era quello che mi fu raccontato.

Comunque non era difficile vederlo anche a Catania, dove era di casa. Lo si poteva incontrare dovunque: a consumare una granita a tavolino, a suonare con Alemanno sotto un famoso castagno, in processione dietro il fercolo di Sant'Agata, a far quasi il chierichetto nella chiesa di Milo, al cinema, alla posa di una prima pietra, all'inaugurazione di una galleria d'arte, o mentre passava con la sua barca davanti a Piazza Europa in direzione Riposto. Nel frattempo collaborava con tanti artisti catanesi e i duetti si contano a decine con Franco Battiato, Vincenzo Spampinato, Carmen Consoli, Antonio Di Bella, e tanti altri.

L'ultima volta che lo vidi fu davanti ai camerini del Teatro Greco a Taormina, dopo la serata di Work in Progress con Francesco De Gregori. Mi passò davanti, in vestaglia, mentre si avviava all'attiguo Hotel Timeo per riposarsi in camera. Disse a tutti Buonasera e se ne andò via. Era piccolo piccolo, un omino, a Catania diremmo "n'rappareddu". Ma in quel momento non pensai assolutamente al suo aspetto, perchè ebbi l'impressione che davanti ai miei occhi fosse passato un gigante! Ne sentivo la ventata, la scia appena emanata, l’inconfondibile tanfo di  ciclope!

Lucio Dalla e noi siciliani: è stata una bellissima storia d'amore! La Sicilia non ti dimenticherà.

Ciao Lucio, ci mancherai tanto tanto tanto. Baciuzzu.

(Mimmo Rapisarda)

Lucio Dalla e "quei discorsi sulla fede fatti a Milo"

di Salvatore Calafiore 2 marzo 2012 

Sull’Etna, a Milo sono nate canzoni indimenticabili dal cuore e dal genio di Lucio Dalla, in pochi sanno che il cantautore bolognese amava rilassarsi nel paesino siciliano per ritrovare energia e concentrazione. Abituato a grandi scenari e a palcoscenici internazionali, il cantante dalle finestre della sua casa etnea scrutava il cielo, alla ricerca di emozioni e sensazioni.

Non solo estro creativo, ma una grande spiritualità, vissuta senza scalpori.

A ricordare questo aspetto meno noto di una vita straordinaria, è intervenuto a BlogSicilia padre Gaetano Lo Giudice, parroco del paese di Milo.

 

 

“Quando scendeva qua a Milo veniva sempre in chiesa ogni domenica come ogni buon fedele, ma la cosa che mi ha colpito molto era la sua semplicità e la sua modestia. Si metteva sempre a disposizione della mia parrocchia e degli altri fedeli. Era sempre pronto ad aiutare il prossimo”.

Il parroco amava spesso dialogare con il famoso cantautore: “Mi soffermavo a parlare con lui perché aveva dei pensieri puri sulla vita e sulla fede. Si proponeva spesso per aiutare i meno fortunati come del resto faceva anche a Bologna nella sua città natale quando ogni anno organizzava delle iniziative per i senzatetto”.

Oggi in molti piangono Lucio Dalla. Una scomparsa che fa sentire, tutti, un po’ più soli.

 

Lucio adorava la luce siciliana, quei cieli che definiva "vergognosamente azzurri",

la cordialità antica e comunque riservata della gente e tutto ciò che fosse profondamente siciliano: i templi di Agrigento, Selinunte e Segesta, segnati dal passaggio della storia; i teatri antichi di Siracusa e Morgantina; Ragusa Ibla vista al tramonto dal terrazzo di casa Forni-Tonelli; Noto e il suo strabordante barocco; le affascinanti grotte di Pantalica; la meraviglia intatta di posti unici come Vendicari e Marzamemi; l'incredibile complesso monumentale di San Giovanni degli Eremiti a Palermo; gli straordinari mosaici romani di piazza Armerina; l'incanto delle isole di Favignana, Lampedusa, Pantelleria, e più di tutte le altre delle Eolie, specialmente Salina; e ancora i monti Nebrodi e le Madonie; i piccoli centri perfettamente conservati di Geraci, Gangi e Castelbuono; Castel di Tusa con la coraggiosa Fiumara d'Arte dell'amico Antonio Presti; fino ad arrivare quasi sull'Etna, in un paesino di appena mille anime chiamato Milo.
Qui Lucio decise di comprare una casa nei primi anni novanta. Lo divertiva soprattutto un dettaglio non indifferente: avrebbe avuto come vicino di casa, anzi, precisava, come "confinante di bosco", un suo carissimo e molto stimato collega, il "solo apparentemente austero ma poi invece sorprendentemente brillante e molto divertente" Franco Battiato, come amava apostrofarlo Lucio quando parlavamo di lui con qualcuno. Col tempo la zona ha continuato misteriosamente a riempirsi di altri artisti innamoratisi di questi luoghi tanto da volerci vivere: tra questi, il cantante dei Simple Minds e quello dei Simply Red, nonché gli autoctoni Carmen Consoli e Rosario Di Bella, amico di vecchia data di Lucio. Sin dall'inizio della sua vita in Sicilia, quando riusciva a passarci dei periodi più o meno lunghi, ha familiarizzato con questi posti d'incredibile bellezza, creando anche qui delle amicizie semplici e profonde durate fino all'ultimo, come quella con la storica famiglia di pasticc
eri Russo, giù nella deliziosa Santa Venerina, dove ogni volta compravamo i biscotti al sesamo e le praline al cioccolato, rigorosamente per gli ospiti visto che Lucio odiava i dolci. In Sicilia cercò di vivere il più possibile da vero siciliano, appassionandosi ai costumi e alle tradizioni locali: uno dei momenti di più grande e ispirata esaltazione filosiciliana che Lucio ha provato, secondo i suoi racconti, è stato quando per la prima volta ha assistito alla processione in onore di sant'Agata a Catania.
Le urla strazianti dei fedeli, la fatica visibile sui volti di chi porta a spalla la statua della santa, tutta quanta la cera delle centinaia di candele accese che, finendo sotto i piedi dei "porta-santa", ogni volta rischia di farne scivolare qualcuno: tutto questo infiammò il suo animo, facendogli conoscere da vicino la "benedetta follia siciliana". Fu uno dei motivi per cui decise subito anche di viverci: perché in quel coacervo di umanità pieno di fede abbagliante ma anche di un po' di puro paganesimo, Lucio si sentiva decisamente a casa, tanto da ripetere spesso: "Io ogni volta in Sicilia sto benissimo! ".
E così è continuato a essere fino all'ultima estate insieme, quando decidemmo di passare un mese a girare liberi in macchina percorrendo quasi tutta l'isola, di cui nel frattempo mi ero perdutamente innamorato anch'io, soprattutto di Catania e dei paesi etnei. In quei bellissimi giorni siamo stati accuditi come sempre con amore da Alfio, Maria e i loro figli, custodi della villa di Milo durante la nostra assenza, tra un pranzo o una cena a base soprattutto di "u trunzu", rara verdura locale di cui Lucio e io andavamo ghiotti, e di altri famigerati piatti speciali, come il pollo e le irresistibili patate al forno di Maria, o la sua parmigiana di melanzane, altra "quasi imbarazzante" perversione culinaria di Lucio, a tal punto da creare una sorta di gara tra le sue amiche e collaboratrici domestiche a chi la facesse più buona. A Milo, Lucio amava starsene di notte in una piccola stanza col camino acceso, a guardare qualche film oppure a leggere, o semplicemente a sonnecchiare beato alla luce del fuoco che illuminava le alte pareti col soffitto a stella. Di giorno si nuotava in piscina, si prendeva il sole e si leggeva un libro oppure i giornali, bevendo litri di limonata fresca; poi, dopo pranzo, puntualmente si usciva, per andare a vivere, "guardandola in faccia", come diceva Lucio, la Sicilia con le sue rare bellezze. Siamo tornati, anche la scorsa estate, a rivedere tutti i luoghi che amava e che mi aveva fatto scoprire in quegli anni, specie quelli intorno a Milo: da Sant'Alfio, con il suo incredibile Castagno dei cento cavalli, sotto il quale ci siamo esibiti in una performance di letture e musica con Gionata Colaprisca, fino a Zafferana Etnea; e poi tutti i paesi con i nomi che cominciano per "Aci", quindi l'Acitrezza di I Malavoglia di Giovanni Verga e di La terra trema di Luchino Visconti nonché degli enormi massi scagliati, secondo la leggenda, dai Ciclopi contro Ulisse; Acireale con tutte le sue chiese; Aci Bonaccorsi, dove ogni estate si tiene una seguitissima gara di fuochi d'artificio a cui Lucio stesso ha partecipato un anno come giurato d'eccezione; e poi Aci Castello, Aci Catena e Aci Sant'Antonio. E ancora altri luoghi particolarmente amati, come piazza Dante a Catania per il fascino misterioso dell'inquietante chiesa di San Nicolò l'Arena, in cui ci sarebbe piaciuto esibirci; oppure l'agriturismo Case Perrotta, Riposto e la sua Darsena, dove tenemmo per un po' di tempo anche la nostra barca; Fiumefreddo con le sue sorgenti gelate; Taormina e Giardini-Naxos; ma soprattutto l'Etna, o come la chiamano i siciliani "la montagna", perennemente sveglia, perennemente bella.
Dei nostri lunghi e ripetuti soggiorni a Milo, personalmente ricorderò più di tutto i continui giri notturni o preserali per le strade che portano al vulcano. Bastava solo guardarsi per capire che anche l'altro in quel momento aveva voglia di perdersi di nuovo ad ammirare le ginestre gialle tra la lava nera e magari, da lontano, vedere anche la neve o, se la montagna era "incazzata", come diceva Lucio, lo spettacolo unico dei suoi alti lapilli infuocati. Tornavamo spesso anche presso i vecchi
Marco Alemanno
La Sicilia, 3/03/2013

 

 

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VIVO sulle pendici orientali del Mongibello, in un piccolo paese a 750 metri sul livello del mare. Appena presi casa qui, una donna molto anziana, incontrandomi per strada, come ad avvisarmi, mi disse: « Milu avvilinatu, si nan chiovi è annuvulatu ». E, aggiungo, in inverno a volte si vede solo la nebbia.

L' Etna esprime i suoi umori. Da più di venti anni come una sentinella, senza mai stancarmi, da una veranda che dà su una parte di un giardino, osservo quello che vedo. Il cielo con il suo carattere "meridionale" mi incanta. Scuro o chiaro che sia, è sempre sorprendente. Le sue nuvole, a strati, cambiano continuamente forma, velocità, dimensione, colore.

A scendere, a qualche chilometro, il mare e "Jonia", il paese dove sono nato. Si chiamò così per poco tempo, poi lo cambiarono in Riposto (mah!). Quand' ero giovane ci tenevo a quel nome. Se in qualche ufficio pubblico un impiegato mi chiedeva: «Nato a...?». «Jonia», rispondevo, e aggiungevo con orgoglio: «Con la i lunga».

Guardando da lontano i luoghi del mio passato, può succedere che riaffiorino di nuovo impressioni di quella esistenza. Con il piacere che si aveva, allora inconsapevole, di quella vita. Sono paradigmi che vengono prepotentemente a galla per affermare la validità di quel sentire.

Zummando all' indietro, a salire, si trova il mio giardino (e mi auguro non vada all' asta come quello di Cechov). L e finestre della veranda si aprono verso l' interno. Seduto annuso aria e fiori. A destra un cespuglio di rose delicate e sensibili (le spine sono una difesa), si aprono in pochi giorni e poi di colpo spariscono... e poi di nuovo riappaiono e sembrano le stesse di prima. A sinistra risponde uno squillo di gelsomini. Il suo incredibile profumo mi invade. Di tanto in tanto, da lontano, uno sparo di fucile di un ottuso cacciatore si ripercuote in tutta la valle riportandomi all' esistenza ordinaria. Un qualche pensiero negativo si forma. Il silenzio non è mai totale. I rumori ambientali sono spesso attutiti dalla lontananza. Un cane che abbaia, una campana all' imbrunire che chiama al vespro, voci di bambini, il motore di una macchina. Ma ciò che mi incatena è l' estatica vita vegetale. Ci sono due magnifiche palme e un antico pozzo. Tempo fa, dal suo interno, sbucò spontaneamente un piccolo ramoscello che a poco a poco si divise in due tronchi ed emerse. Oggi è un grande albero di fichi (squisiti).

Dimenticavo, gli uccelli. Oh! mi piace seguirli mentre mangiano. Un giorno uno di loro, a poca distanza da me, sbatté velocemente le ali restando fermo in aria. Mi parve, ma forse mi sbaglio, un ringraziamento per il cibo che gli diamo. Comunque sia, questi miei coabitanti mi stanno insegnando a vivere in altro modo e forse a crescere. Ma quando da questa naturale oasi rientro nel mio studio e accendo per esempio la televisione per seguire un telegiornale, allora mi accorgo che il trauma è forte. «... come un branco di lupi che scende dagli altipiani ululando...» (Sgalambro). E siccome sono in tanti ed enunciano programmi incondivisibili, e siccome hanno già infettato la società civile, e siccome quando si muovono con le loro guardie del corpo sono ripugnanti, mi dico: ma non sarebbe bello poter cambiare genere? Abdicare, rinunciare al mandato umano? Diventare nuvola che poi si fa pioggia e poi diventa fiume che poi finisce in mare.

FRANCO BATTIATO

da "La Repubblica" (11 ottobre 2009)

 

 

dalla piazza Belvedere di Milo, Lucio guardava la sua barca ormeggiata al porto di Riposto.

 

 

 

 

Giungendo da Zafferana, Milo si presenta come meglio non potrebbe, con il Bosco Nicolosi che vale come dimostrazione completa delle bellezze naturali di questo fortunato territorio e che, inaspettatamente, si ritrae alla vista del paese. Dopo l’affascinante storia del Principe Giovanni e del suo grande amore per Milo, il borgo continuò la sua tranquilla esistenza fatta di attività boschive, agricole e pastorali ma anche di diritti feudali che la Chiesa di Catania ebbe a concedere in successione ai vari ordini monastici. Si hanno notizie fra il XIV ed il XVII secolo della presenza dei Certosini, dei Benedettini e dei Teresiani: per certo solo nel 1815 Milo, che contava un migliaio di abitanti, si affrancò dalla contea di Mascali conquistando l’autonomia. L’esperienza più tragica per Milo, comunque, doveva iniziare il 26 novembre 1950 allorché,  apertesi due bocche eruttive a 1800 metri, l’Etna fece sentire la sua voce tonante e l’imperio vulcanico ebbe termine solo sei mesi dopo quando i Milesi sfollati poterono finalmente tornare a casa. Le ferite inferte al territorio erano però state gravissime: scomparse molte delle famose fonti cui pare si ristorasse en Juan, inghiottiti ettari di vigneti, frutteti e bosco, divorati palmenti, mulattiere e casette rurali. Il resto è storia recente: nel 1955 Milo, dopo una lunga battaglia legale condotta nei confronti del comune di Giarre, conquista per sé e per la frazione di Fornazzo l’autonomia amministrativa. 

 

 

Dopo di allora, malgrado le devastanti eruzioni del 1971 e del 1979 che assestarono un altro duro colpo all’economia del paese e provocarono uno spostamento del tradizionale flusso turistico legato alla villeggiatura estiva dei Catanesi, Milo ha ricominciato a ricandidarsi con autorità come centro turistico legato alla cultura del vino e all’escursionismo di qualità.Posizionato sul fianco orientale del Vulcano, Milo si sporge come da un balcone sul mare Ionio. Terra di boschi, frutteti e vigneti, è meta importante per escursionisti ed enoturisti alla ricerca degli antichi sapori della tradizione gastronomica isolana. A Fornazzo, piccolo borgo di Milo, queste tradizioni trovano il loro naturale rifugio.

Frazione di Milo, Fornazzo è il più alto dei comuni sul versante orientale del Vulcano. Sviluppatosi ad una altitudine media di 750 metri, ha un territorio di grande interesse naturalistico che ricade pressoché per intero nella area del Parco dell Etna. La sua posizione geografica ne fa base ideale per chi ama la montagna ma non intende rinunciare al mare: appena 14 chilometri, infatti, lo separano dai 1.714 metri di quota del Rifugio Citelli e soltanto 10 dalle coste dello Jonio.

Il Centro Visita Parco dell’Etna del Comune di Milo si trova a Fornazzo, accanto alla Chiesa Madre, nei locali dell’ex scuola elementare. Fornazzo, nominato nel 1992 "Villaggio ideale d’Italia" dalla rivista Airone, è posto a circa 800 metri di quota sul versante orientale dell’Etna.

Il Centro Visita è particolarmente importante in quanto offre alle scolaresche, agli insegnanti e ai semplici visitatori l'occasione di approfondire la conoscenza del territorio in maniera diretta, pratica, interattiva. A tale scopo il Centro Visita è in grado di fornire servizi differenziati a seconda del tipo di utenza.

Nel Centro Visita sono presenti: una reception con funzioni informative generali (distribuzione di depliants e materiale vario, informazioni turistiche e naturalistiche, assistenza, ecc.); una sala attrezzata come laboratorio didattico - naturalistico dotato di collezioni naturalistiche, terrario, raccolta di tracce, pennario, xiloteca, raccolta sonora di canti e versi di animali, microscopio, ecc... che rende possibile la realizzazione di svariate attività nel campo dell’educazione ambientale; una sala adibita ad accogliere mostre tematiche sul Parco dell’Etna; una biblioteca naturalistica.

L’area circostante l’edificio del Centro Visita, ricco di querce e ginestre dell'Etna, viene utilizzata come laboratorio naturalistico all'aperto. Il Centro Visita è gestito da NeT, Natura e Turismo, associazione ONLUS, formata da geologi, naturalisti, paleontologi e biologi, che opera nel campo del Turismo Naturalistico, dell'Educazione Ambientale e dell'Attività Scientifica. L'Associazione NeT aderisce all'Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche.

L'Associazione NeT è inoltre gruppo locale dell'Associazione Nazionale CTS AMBIENTE - Centro Turistico Studentesco e Giovanile - (riconosciuto nel 1992 dal Ministero dell'Ambiente tra le associazioni nazionali di protezione ambientale).

 

 

Milo innevato

 

 

eruzione 2012 vista da Milo

 

 

Sant'Alfio si sviluppa a 531 metri sul livello del mare e conta 1.769 abitanti. La citta' colpisce soprattutto per la bellezza naturalistica dei dintorni. In effetti da qui e' possibile effettuare varie escursioni. La prima interessa i "Crateri del 1928" che furono creati da una potente eruzione dell'Etna. Essi sono raggiungibili partendo dalla contrada Magazzeni in direzione della contrada Ripe della Naca dove e' possibile ammirare i conetti di scorie saldate create dall'eruzione. Una seconda escursione interessa il Sentiero Natura Monti Sartorius, un'escursione che permette di ammirare i crateri a bottoniera dei Monti Sartorius, i boschetti di ginestra dell'etna e la formazione di betulla endemica. Una terza escursione riguarda il Parco Comunale di Contrada Cava, affascinante dal punto di vista naturalistico perche' raccoglie vari esempi di vegetazione, dalla macchia mediterranea ai boschi di castagno, di leccio e di cerro, ma interessante anche dal punto di vista storico perche' permette di ammirare i primi insediamenti rurali d'origine seicentesca.

 

Davanti allo Stretto: Castelmola, Taormina, Giardini e la Baia di Naxos viste dalla piazza Belvedere di Milo (CT)

 

 

Completa l'aspetto naturalistico della citta' il cosi' chiamato "Castagno dei 100 cavalli" Il Castagno dei Cento Cavalli secondo il noto botanico torinese Peyronal ha un'età di 3000 - 4000 anni ed è l'albero più antico d'Europa e il più grande d'Italia. 
A soli 300 metri di distanza, in contrada Taverna di Mascali, si trova il secondo albero più grande d'Italia con un'età di oltre 1000 anni il cosiddetto "Castagno della Nave".
Alcuni, negli anni passati, hanno scritto delle  mal ridotte condizioni del Castagno dei Cento Cavalli; è facile dimostrare il contrario, basti pensare che già alla fine del '700 Jean Houel nel Voyage de la Sicile, de Malta e Lipari (1784 II pg 76-80) lo descrive "in uno stato non ottimale" e Alberto Fortis (1780 "Della coltura del castagno) rincara sostenendo che "esso trovasi attualmente degradato......"  mentre nel 1967 l'eminente professore dell'Università di Padova Lucio Susmel, riportando le notizie scritte a fine ottocento dal botanico Parlatore lo classificò come non più esistente, salvo a ricredersi dopo una simpatica corrispondenza con un intellettuale del luogo.
Vale la pena citare lo scrittore Vincenzo Consolo che su Specchio  del 16/10/1999 ha definito il Castagno dei Cento Cavalli "un prodigio della natura, una miracolosa sopravvivenza di un profondissimo tempo" per smentire quanti vorrebbero privarci di questo "superbo orgoglio di una vita che non si spegne".

Il Comune di Sant'Alfio negli ultimi anni ha profuso un forte impegno per salvaguardare il millenario Patriarca; sono stati eseguiti diversi interventi sulla pianta consistenti essenzialmente nella potatura delle parti secche e nella cura e manutenzione dell'albero. Tali interventi sono stati operati seguendo i suggerimenti tecnici per il risanamento e la conservazione guidata dell'albero tratti da uno studio eseguito dai docenti Oscar Alberghina, Giovanni Granata e Santi Longo dell'Università di Catania nonchè sotto la sorveglianza di un'apposita commissione tecnico scientifica composta da rappresentanti del Comune, della Forestale, della Soprintentenza BB.CC. e dell'Università e con la collaborazione della Provincia Regionale di Catania. In atto l'albero gode di buona salute ed è ricoperto di una sana e rigogliosa vegetazione.

E' considerato l'albero più antico e più grande d'Europa. Il nome è legato alla tradizione secondo cui, sotto le sue enormi chiome, durante un temporale trovarono piacevole... riparo la regina Giovanna d'Aragona e il suo seguito di cento cavalieri. Cantato e descritto da numerosi viaggiatori e studiosi nel '700 e nell'800, il Castagno è oggi meta di visitatori di tutto il mondo oltre che di botanici per i quali costituisce interessante oggetto di studio.

Dal punto di vista artistico la citta' si ricorda soprattutto per la seicentesca Chiesa Madre intitolata ai "tre fratelli martiri" S. Alfio, San Filadelfo e San Cirino che da qui passarono seguendo il loro percorso per il luogo destinato al loro martirio. La Chiesa e' impreziosita dalla presenza di alcuni altari in marmi policromi e svariati affreschi tra i quali spiccano quelli ottocenteschi presenti nell'abside che rafffigurano il "Trionfo dei Tre Martiri".

Tra le Chiese minori cittadine occorre citare quella ottocentesca del Calvario, situata in un luogo privilegiato che consente di ammirare splendidi panorami sullo Ionio che domina nella parte bassa del paese, e quella dei Nucifori che si ricorda soprattutto il busto della Madonna di Tindari, molto venerato dagli abitanti di S. Alfio.

Mick Hucknall canta l’Etna

Tra un concerto e un'esibizione trova anche il tempo per produrre del vino, del buon vino siciliano. Mick Hucknall, voce storica del gruppo inglese dei Simply Red, ha scovato la sua isola di Paradiso nelle pendici dell'Etna, in una cantina-palmento del 1760 adibita a museo vitivinicolo e sala degustazione nella zona di Sant'Alfio e in un vigneto di circa 5 ettari che si trova ad Alberello.
Novemila viti per ettaro, con una selezione di vitigni autoctoni etnei (nerello mascalese, nerello cappuccio, carricante, minnella e grecanico) perfetti per la produzione dell'Etna Doc, ma anche venticinquemila bottiglie annue confezionate. Sono questi i numeri della sua tenuta, dalla quale provengono l'Etna rosso, estratto dalla vigna ultra centenaria di Castiglione di Sicilia, e l'Etna bianco che ha origine a Sant'Alfio.
Cronache di Gusto ha intervistato Mick Hucknall, per parlare della Sicilia e della sua enologia con un produttore che ha prestato il suo estro anche alla musica.

Dopo 10 anni dal tuo investimento in Sicilia, sei ancora contento?
“Più che contento io direi che sono ancora innamorato dell'Etna, dei miei vini e delle mie bellissime vigne ad alberello”.

Cosa pensi del vino siciliano in genere?
“In Sicilia ho avuto modo di assaggiare tanti bei vini, ma solo pochi vini buoni veramente siciliani”.

Quando bevi il tuo vino?
“Nei momenti importanti, quando devo condividere un piacere o una ricorrenza con i miei collaboratori o i miei amici. Alcune volte quando sono solo e desidero essere sull'Etna”.

Nel Regno Unito come hanno accolto la notizia che sei un produttore di vino?
“Direi senza tanto clamore, perchè ho cercato sempre di comunicare questa mia passione, questo mio hobby, nell'assoluta normalità: un'attività mia privata e non legata al mio lavoro di musicista”.

Ci puoi suggerire uno slogan per promuovere la Sicilia o l'Etna del vino?
“Di fare dei vini veramente e culturalmente siciliani!”

Cosa ne pensi della cucina siciliana?
“Dico spesso che la cucina francese, che amo molto, è la cucina della domenica, mentre la cucina quotidiana è quella siciliana!”

 

P.Pi.

http://www.cronachedigusto.it/component/content/article/199-numero-159-del-01042010/4448-gg-mick-hucknall-canta-letna.html

 

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Eruzione del 07-Ago-2014
La Chiesetta Magazzeni situata a circa 6 km dal centro abitato di Sant'Alfio è stata eretta nel 1958 come sacro memoriale dello scampato pericolo del paese e delle campagne, dalla eruzione del 3 Novembre 1928.
La lava che minacciava il paese mise la popolazione in allarme, tanto che coloro i quali avevano in pericolo la proprietà cercarono di salvare il salvabile.
La folla accorse nella Chiesa Madre invocando l'aiuto di Dio e dei Santi Patroni.
Fu così che i più anziani rimasero nella Chiesa a pregare, mentre gli altri partirono in processione verso Magazzeni con le sacre Reliquie dei Santi.
Quanti avevano visto il fuoco della lava esortavano la processione a tornare indietro dato l'incombente pericolo, ma il popolo rispondeva abbiamo con noi i tre Santi e non abbiamo paura.
Il popolo inginocchiato gridava e supplicava Viva Sant'Alfio, la lava fece ancora qualche passo avanti e poi si fermò.
Il 4 Novembre nella notte si apriva a quota 1300 s.l. un'altra bocca la cui lava sommerse interamente il paese di Mascali, la coincidenza fra il fenomeno e le preghiere elevate a Dio per intercessione dei Santi, è stata interpretata come un fatto prodigioso.

 

 

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scene girate ad Acireale, stazione Circumetnea di Giarre, Sant'Alfio

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L'ALBERO PIU' GRANDE E VECCHIO D'EUROPA - Il Castagno dei Cento Cavalli

Autorevoli studi botanici lo descrivono come l'albero più grande (per la sua circonferenza di circa 52 metri) e più vecchio d'Europa (la sua età è stimata tra i 2000 e i 4000 anni).
Testimonianza della sua vetustà sono le innumerevoli stampe e dipinti di artisti stranieri dei secoli scorsi, che trovatesi a passare innanzi all'albero più grande che avessero mai visto si fermavano ad immortalarne le forme.
Il tempo, le intemperie e la cattiveria dell'uomo, hanno in qualche modo cambiato il suo aspetto esteriore, che si presenta diviso in tre tronconi originati da un unico ceppo.
Vero e proprio "monumento vegetale" costituisce sicuramente uno dei motivi per andare a visitare Sant'Alfio.

In questo modo Jean Houl dopo una sua visita al castagno dei cento cavalli ne rese la storia. Oggi non c'è più la casa al suo interno ma tuttavia conserva un fascino ed una floridezza inalterati, a testimonianza che spesso , le meraviglie della natura sono superiori a quella dell'arte.
"la sua mole è tanto superiore a quella degli altri alberi, che mai si può esprimere la sensazione provata nel descriverlo.
Mi feci inoltre, dai dotti del villaggio raccontare la storia di questo albero si chiama dei cento cavalli in causa della vasta estensione della sua ombra. Mi dissero come la regina Giovanna d'Aragona recandosi dalla Spagna a Napoli, si fermasse in Sicilia e andasse a visitare l'Etna, accompagnata da tutta la nobiltà di Catania stando a cavallo con essa, come tutto il suo seguito. Essendo sopravvenuto un temporale, essa si rifugiò sotto quest'albero, il cui vasto fogliame basto per riparare dalla pioggia questa reggina e tutti i suoi cavalieri. Questo albero sì decantato e diametro così considerevole è interamente cavo, cioè sussiste per la sua scorza, perdendo con l'invecchiare, le parti interne e non cessando perciò di incoronarsi di verdura. L a sua cavità essendo immensa, alcune persone del paese costruirono una casa nella quale vi è un forno per seccarvi castagne e mandorle"

http://www.prolocosantalfio.it/ilcastagno100cavavalli.htm

 

Lucio Dalla al Castagno dei Cento Cavalli per una Lectio Magistralis
5 agosto 2011 - Una lectio magistralis tenuta da uno degli interpreti più intensi della canzone italiana in una location di rara bellezza naturalistica.

Nello spiazzo attiguo al Castagno dei Cento Cavalli – un esemplare botanico tra i più antichi d’Europa – accanto alle coltivazioni tradizionali della vite e del nocciolo, nel territorio di Sant’Alfio, nel catanese, si è svolta, al calar del sole, la lectio magistralis di Lucio Dalla.

L’iniziativa è stata patrocinata dalla Provincia regionale di Catania per sviluppare il tema “il mito e leggenda tra passato e presente; la funzione pedagogica e sociale dell’immaginario fantastico”. All’incontro hanno partecipato l’assessore provinciale alla Pubblica istruzione Salvo Licciardello e il consigliere provinciale Salvo Patanè.
Lucio Dalla, introdotto dal poeta Angelo Scandurra, ha accompagnato alla tastiera l’artista Marco Alemanno che ha letto brani tratti da “Viaggio in Sicilia e a Malta” di J. Houel, “Ricordi del viaggio In Sicilia” di E. De Amicis, “Viaggio in Italia” di J. W. Goethe ed il “Polifemo innamorato” di Santo Calì, la cui appassionata e magica lettura ha rapito il pubblico presente.
Poi il momento più atteso dell’evento letterario, quando Lucio Dalla ha dissertato sul significato profondo del mito e del valore sociale della leggenda, anche con riferimenti al suo essere personaggio mitico.

E trattando un argomento così fortemente evocativo e dominato dal racconto dell’immaginario fantastico, non ha potuto fare a meno di concludere con due tra le più amate canzoni del suo vasto repertorio musicale: “Itaca” e “4 Marzo 1943.

L’assessore Licciardello, ringraziando il musicista per la sua Lectio Magistralis ha invitato Dalla a rendersi disponibile ad altre iniziative promosse dalla Provincia regionale di Catania. “La valorizzazione del territorio – ha affermato l’assessore – ha bisogno di uomini straordinari come Dalla, che ha sempre dimostrato un amore viscerale per l’Etna e i nostri paesini pedemontani ”.

 

 

Profumo è la parola chiave che descrive meglio di ogni altra la pasticceria Russo, piccolo e storico laboratorio di SaPasticceria Russo, mostardanta Venerina, paese etneo. Profumo di dolci, di cannella, mosto cotto, canditi, chiodi di garofano, mandorle e liquirizia in un mix che ci riporta indietro. Al tempo in cui a spadroneggiare non erano solo cannoli e cassate, di cui qui per scelta non parleremo, ma i mille altri dolci di Sicilia, quelli creati in varietà infinite nei piccoli borghi di provincia. Delizie aromatiche, paste secche e biscotti di ogni tipo.

E’ il 1880 quando il signor Lucio, nonno dei fratelli Russo, attuali proprietari dell’omonima pasticceria, appena diciannovenne e figlio di ebanisti, decide di partire per Catania e lavorare in una bottega di dolci. Gli basta un mese per fare bagaglio della propria esperienza, ritornare al paese, aprire un suo laboratorio e inventare i “biscotti ca’ liffia” da vendere nei battesimi organizzati dalle famiglie benestanti.

Per ogni battesimo chili e chili di paste tra cui ne spiccavano tre, come piramidi: uno per il parroco, uno per la levatrice e uno per la madrina, ospiti d’onore.

Sono passati 135 anni da quel momento, ma la specialità dei fratelli Russo è sempre la stessa. Stessa ricetta, stessa preparazione, stesso ingrediente: la “liffia”. Cacao con aggiunta di zucchero e acqua, un’emulsione che viene “alliffiata”, raffinata, con la sua lavorazione. Ne viene fuori una glassa che mani sapienti fanno scivolare sul biscotto.

Il profumo diventa allora qupasticceria russo, cotognate, mostardeello della storia. Tre generazioni che continuano nello stesso mestiere. A impastare, mescolare, riempire, decorare, infornare con la calma e la pazienza che solo i veri pasticceri e i veri artigiani possono avere.

Da buon figlio di ebanista, il signor Lucio diede la giusta importanza all’arredamento acquistando un mobile da una antica farmacia in chiusura, che servisse da vetrina per i dolci e separé tra la bottega aperta al pubblico e il piccolo laboratorio.

Quel mobile è ancora li, imponente e caldo, vigile pastore dei dolci esposti in vetrina.

Ancora è lì, presentato con lo stesso orgoglio da Anna, la sorella più piccola dei Russo. Un po’ in contrasto con la sala destinata ai clienti, meno curata nei dettagli, poco accogliente e fredda d’inverno. Un contrasto accettabile perché rispecchia autenticamente le peculiarità dei fratelli, divenuti pasticceri contro la volontà dei loro genitori.

Accogliente, fiera e intelligente, Anna è l’anima della pasticceria Russo. E’ lei che tiene unita la famiglia mediando tra il laboratorio e la sala, tra i fratelli, tra l’azienda e i clienti, tra il passato e il futuro della pasticceria. E’ l’unica dei tre ad avere una figlia e due nipoti, speranza di continuità di una tradizione ormai secolare nella produzione di dolci che va preservata e tramandata.

Introverso, delicatamente schivo, Salvatore sta alla cassa, accenna un sorriso distaccato senza mai riuscire a lasciarsi andare. Gentile su richiesta, senza troppo pretendere, è lui che si occupa con attenzione e meticolosa dedizione della contabilità dell’azienda familiare.

E poi Maria Nevia. Curiosa, creativa, vivace e testarda. La vera pasticcera: il cuore dei Russo. Infinitamente appassionata. Da 49 anni lavora, stampa e decora la pasta reale.pasticceria russo, ingresso bar

Altra specialità composta da zucchero e mandorle che insieme danno vita ad un’imitazione della natura nelle sue infinite forme.

Una pasta che si trasforma nei frutti locali, nelle mele dell’Etna (le cosiddette puma cola) o nelle fragole di Maletto, nei fichi d’india, negli agrumi (mandarini e tarocchi), e poi frutta secca come i pistacchi di Bronte.

E ancora in ortaggi, cozze, “masculine ra magghia” e pesci di ogni tipo, tutto rigorosamente siciliano. Impossibile alla vista distinguere tra il vero e il falso.

Dai Fratelli Russo non potete perdere la mostarda fatta con mosto cotto, ridotto della metà, e cenere di sarmenti in infusione. Niente zucchero aggiunto. Bastano i sarmenti (tralci di viti) ad addolcire l’uva ed eliminarne l’acidità. Il tutto viene poi filtrato, addensato e messo negli stampi per la stagionatura.  Ne vengono prodotte due tipologie. La mostarda fresca, consigliata per i più golosi, è una crema gelatinosa e scura ricoperta di cannella, da mangiare al cucchiaio. A pezzi invece quella stagionata, presentata su foglie di alloro che anticamente avevano la funzione di allontanare gli insetti durante la stagionatura.

In un’antica pasticceria siciliana è obbligatorio assaggiare la cotognata. Provarla significa entrare nelle case di ogni singola famiglia dell’isola ossessionate dalle tradizionali e cicliche preparazioni legate ai periodi dell’anno.

Preparata con mele cotogne, frutto aspro utilizzato solo per preparare marmellate e, per l’appunto, le cotognate, fatte indurire in stampi di terracotta, talmente belli da diventare col tempo oggetti di arredo.

Consigliamo di assaggiare le tortine paradiso, versioni in miniatura della torta paradiso, inventate dal padre dei Russo, Giuseppe, che volle trovare il modo di non buttare via i tuorli delle uova usate per creare le paste di mandorla.

Ne vennero fuori delle tortine golose ma un po’ dure, motivo per cui vennero in seguito ammorbidite con l’aggiunta di albume.

Da provare anche i pasticcioni o le paste secche fatte con la “zuccata”, una zucca lunga dalla buccia verde e dalla pasta bianca, che viene fatta decantare su sale grosso per perdere acidità e lavorata poi con lo zucchero. Ottima anche come frutta candita.

Infine, nonostante la nostra scelta iniziale, non possiamo fare a meno di consigliare il cannolo, meglio ancora se con crema pasticciera e spolverata di cannella regina. Se poi fate colazione e i vostri palati non si sono stancati di peccare di gola, prendete una granita alla mandorla amara e un croissant al miele dell’Etna.

Lo so, siamo in Sicilia, mica in Francia, ma sappiamo fare tutto.

 

Via Vittorio Emanuele, 105 – S. Venerina (CT)

Tel/Fax +39 095 953202   email: informazioni@dolcirusso.it

http://www.dissapore.com/grande-notizia/pasticceria-russo-santa-venerina-recensione/

 

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Santa Venerina (C.A.P. 95010) dista 223 Km. da Agrigento, 151 Km. da Caltanissetta, 24 Km. da Catania, alla cui provincia appartiene, 116 Km. da Enna, 69 Km. da Messina, 267 Km. da Palermo, 128 Km. da Ragusa, 82 Km. da Siracusa, 374 Km da Trapani.

Il comune conta 7.692 abitanti e ha una superficie di 1.879 ettari per una densità abitativa di 409 abitanti per chilometro quadrato. Sorge in una zona litoranea collinare, posta a 337 metri sopra il livello del mare.

Il municipio è sito in piazza Regina Elena, tel. 095-953717 fax. 095-7001101.

Consigliata una visita alla pasticceria Russo. La produzione agricola locale è basata sulla coltivazione dell'uva da mosto, della frutta, degli agrumi e sulle nocciole.

Già abitato in età bizantina e romana, come attestano resti di terme e un antico oratorio propri di quelle epoche, il territorio di Santa Venerina fu compreso in quello della vicina Acireale fino al 1934 quando ottenne la costituzione del comune. Il suo nome è legato alla Patrona di Acireale Santa Venera modificato da un amoroso vezzeggiativo.

Dedicata a Santa Venera è la Chiesa Matrice con all'interno settecenteschi dipinti di Alessandro (1720-1793) e Pietro Paolo (1697-1760) Vasta. Nella limitrofa frazione di Dàgala del Re è possibile ammirare resti di un tempietto cristiano con pitture parietali.

Tra le manifestazioni locali grande interesse desta il Presepio Vivente che si tiene annualmente nel mese di dicembre nella pubblica piazza.

 

Per arrivare a Santa Venerina da Catania, nel modo più veloce, bisogna uscire al casello di Giarre dell'Autostrada Catania-Messina.

  

 

 

 

IL VANTO DI SANTA VENERINA SONO DUE FAMIGLIE. 

NON SONO PARENTI TRA LORO, MA IL LORO COGNOME E' UN MARCHIO DI QUALITA'.

 

DISTILLERIA RUSSO

La Distilleria Fratelli Russo, le cui origini risalgono al lontano 1870, sorge su una ridente collina ai piedi dell'Etna, non lontano dall'incantevole costa ionica, nel paese di S.Venerina, in provincia di Catania.
Attraverso varie generazioni essa ha continuato e sempre più perfezionato nel tempo l'antica arte dei mastri distillatori isolani. Attualmente i fratelli Salvatore e Giuseppe hanno apportato all'azienda di famiglia notevoli innovazioni. Il nuovo impianto di distillazione, utilizzando tecnologie all'avanguardia, ha permesso loro di produrre in proprio, nel pieno rispetto dell'ambiente e con un notevole risparmio energetico, distillati di grande pregio e di altissima qualità che si pongono in modo competitivo nei mercati internazionali.

Attraverso la produzione di distillati, di liquori tipici e di rosoli artigianali, l'azienda si è posta l'obiettivo di custodire la tradizione, esaltare le fragranze di Sicilia ed esprimere amore alla propria terra nella garanzia della genuinità e della qualità. Le materie prime impiegate (agrumi, erbe, frutti vari) provengono, ove possibile, da coltivazioni biologiche. Appena raccolte, esse vengono subito lavorate con metodi artigianali, così da mantenere intatti i loro inconfondibili aromi e le loro proprietà benefiche.

L'azienda, grazie all'impegno profuso nel rivalutare e nel far rivivere le più antiche ricette della tradizione siciliana, ha ottenuto lusinghieri riconoscimenti a carattere internazionale.
La Grappa dell'Etna è stata premiata nel 2000 con la medaglia d'argento a Pechino, e ha vinto nel 2005, ad Asti, insieme alla Grappa di Moscato di Pantelleria, l'Alambicco d'oro, premio di eccellenza delle Grappe, promosso dall' Anag, riconoscimento già ottenuto nel 2003 dalla Grappa di Nero d'Avola. Il Limoncello di Sicilia è stato premiato nel 2003 con la medaglia d'oro a Shanghai. Il Rosolio di Cannella ha ottenuto la medaglia d'argento a Londra nel 2003 e in Germania nel 2004. L'Amaro di Sicilia è stato premiato nel 2004 a Bruxelles con la medaglia d'oro. 

riportando ovunque consensi unanimi. Il consumatore sa di potersi fidare della ditta Russo perchè è sicuro di poter contare su anni di esperienza e sulla serietà e professionalità che da sempre la contraddistinguono.

http://www.russo.it

 

DOLCI RUSSO

Santa Venerina è un piccolo paesino ai piedi dell'Etna, eppure giungono qui persone da tutta la Sicilia, ma anche dall'estero, una clientela esigente e selezionata, per assaggiare i dolci buonissimi della Pasticceria Russo. L'attività della pasticceria inizia nel 1880 su iniziativa di Lucio, nonno degli attuali titolari, i fratelli Lucio, Nevia, Annamaria e Salvatore. Siamo quindi alla terza generazione di pasticceri. I fratelli Russo puntano, da sempre, sulla qualità delle materie prime e sul rispetto dei metodi tradizionali nella preparazione dei dolci. Gli aromi speziati della cannella, dei chiodi di garofano, delle mandorle, dei pistacchi, degli agrumi della terra etnea... rivivono qui tra gli arredi in stile liberty e gli oggetti sparsi un po' per tutta la pasticceria.
Troverete tutti quei dolci che prima si facevano in casa e che ora nessuno sa fare più. 

Per esempio i mustazzoli col vin cotto. Oppure le mostarde di uva: una specie di budino secco fatto appunto col mosto d'uva, da mangiare sia calde al piatto che stagionate. Bellissima e buonissima la frutta dpasta reale sapientemente lavorata e colorata da autentici artisti. La cotognata aromatizzata con l'alloro, i biscottini al sesamo, i biscotti di mandorla classici o con aggiunta di cioccolato, nocciola, pistacchio, limone, arancia, mandarino.In primavera-estate i gelati, specialmente le granite nei gusti tradizionali: mandorla, caffè, cioccolato, limone, o alla frutta: fragola, pesca, gelsi, con o senza la panna, ma sempre accompagnata dalle fragranti brioche o dai croissant al miele, davvero irresistibili. Ci sono poi le cuddure (tradizionali ciambelle pasquali) e gli immancabili cannuoli. Attenzione, però, dalla pasticceria Russo le sfoglie dei cannuoli vengono fatte a mano e tirate ad una ad una col mattarello. Sono buonissimi e sprigionano un profumo inconfondibile che delizia l'olfatto e il palato appena si entra nella pasticceria. Ed è questo profumo, il profumo della tradizione, il profumo della passione di chi ci lavora, il profumo della genuinità... il vero segreto della pasticceria Russo che, infatti, non ha bisogno di pubblicità: basta il passaparola. Quasi tutti i dolci sono spediti in eleganti confezioni di latta, cosicché la "dolcepassione" possa essere assaporata da tutti ancora per molti giorni.
Aperto tutti i giorni dalla 7.30 alle 14 e dalle 15.30 alle 22. Domenica orario continuato.

http://www.dolcirusso.it/

 

 

 

 

 

 

 

Il Parco dell'Etna è stato il primo ad essere istituito in Sicilia nel marzo del 1987. Non èun caso. L'Etna infatti non è soltanto il vulcano attivo più alto d'Europa, ma una montagna dove sono presenti colate laviche recenti, in cui ancora non si è insediata alcuna forma di vita, e colate antichissime su cui sono presenti formazioni naturali di Pino laricio, Faggio e Betulla.
Per proteggere questo ambiente naturale unico e lo straordinario paesaggio circostante, marcato dalla presenza dell'uomo, il Parco dell'Etna, è stato diviso in quattro zone.
Nella zona "A", 19.000 ettari, quasi tutti di proprietà pubblica, non ci sono insediamenti umani. E' l'area dei grandi spazi incontaminati, regno dei grandi rapaci tra cui l'aquila reale.
La zona "B", 26.000 ettari, è formata in parte da piccoli appezzamenti agricoli privati ed è contrassegnata da splendidi esempi di antiche case contadine, frugali ricoveri per animali, palmenti, austere case padronali, segno di una antica presenza umana che continua tutt'ora. Oltre alle zone di Parco A e B, c'è un'area di pre-parco nelle zone "C" e "D": 14.000 ettari, per consentire anche eventuali insediamenti turistici sempre nel rispetto della salvaguardia del paesaggio e della natura.


La Geologia

L'Etna rappresenta una speciale "finestra astenosferica" causata dal processo di convergenza litosferica tra l'Africa e l'Eurasia e la sua evoluzione strutturale e profondamente legata alla geodinamica del bacino del Mediterraneo. Con i suoi 135 km di perimetro, si è sviluppata, modificata, distrutta e ricostruita attraverso una molteplicità di eventi geologici che si sono succeduti nel corso di molte decine di migliaia di anni. L'inizio dell'affascinante storia di questo complesso vulcanico è del Pleistocene medio-inferiore: 570000-600.000 anni fa, quando hanno avuto luogo le prime manifestazioni eruttive. In quel tempo, l'area nella quale siamo soliti vedere gli abitati di Acicastello, Acitrezza, Ficarazzi era occupata da un ampio golfo marino interessato da un'intensa attività vulcanica sottomarina.

 

 

 

 Molto tempo dopo, attraverso lunghe fessure eruttive lineari, si poteva assistere alla formazione di estesi campi di lave che oggi ritroviamo come terrazzi posti a varia quota nell'area geografica su cui sorgono gli abitati di Valcorrente, S. Maria di Licodia, Biancavilla e Adrano. Seguì un vulcanismo di tipo centrale che portò all'edificazione di imponenti edifici vulcanici noti come, Calanna, Zoccolaro, Trifoglietto, Vavalaci, Cuvigghiuni, Pirciata, Giannicola, Ellittico, Mongibello.
La Serra del Salifizio e la Serra delle Concazze, delimitano l'enorme anfiteatro naturale della Valle del Bove, dalla caratteristica forma "a ferro di cavallo" (superficie superiore ai 37 kmq). Quest'affascinante e selvaggio ambiente naturale con le sue alte pareti scoscese, le testate di antichi banchi lavici, costoni rocciosi, Serre e dicchi magmatici, canaloni, apparati eruttivi, colate laviche, rappresenta la testimonianza geologica della poligenesi dell'Etna.

Blocchi e frammenti di aspetto scoriaceo variamente disarticolati con una morfologia a creste ed avvallamenti allungati a contrassegnare i canali di flusso della colata (Lave aa); Superfici arricciate a simulare festoni o costituite da un fitto intreccio di cordoni lavici che creano bizzarri disegni (Lave pahoehoe); lastroni variamente disarticolati ed accatastati, che danno origine a rilievi tumuliformi o creste; lastroni piani più o meno regolari, creati dall'immediato raffreddamento di lave fluide sollevate all'improvviso dall'azione di grandi "bolle" di gas (lave a dammuso); spesso, su queste sciare, si formano dei sistemi di deflusso lavico racchiusi entro un involucro basaltico, che, nel periodo finale dell'attività effusiva, si svuotano dando luogo a tubi, grotte e gallerie di scorrimento.

La Fauna

Circa un secolo e mezzo fa il Galvagni, descrivendo la fauna del'Etna, raccontava della presenza di animali ormai scomparsi e divenuti per noi mitici: lupi, cinghiali, daini e caprioli. Ma l'apertura di nuove strade rotabili, il disboscamento selvaggio e l'esercizio della caccia hanno portato all'estinzione di questi grandi mammiferi e continuano a minacciare la vita delle altre specie. Nonostante ciò sul vulcano vivono ancora l'istrice, la volpe, il gatto selvatico, la Martora, il coniglio, la lepre e, fra gli animali più piccoli, la donnola, il riccio, il ghiro, il quercino e varie specie di topi e pipistrelli.
Moltissimi sono gli uccelli ed in particolare i rapaci che testimoniano dell'esistenza di ampi spazi incontaminati: tra i rapaci diurni troviamo lo sparviero, la poiana, il gheppio, il falco pellegrino e l'aquila reale; tra i notturni il barbagianni, l'assiolo, le allocco, il gufo comune. Aironi, anatre ed altri uccelli acquatici si possono osservare nel lago Gurrida, unica distesa d'acqua dell'area montana etnea. Nelle zone boscose è possibile intravedere la ghiandaia, il colombo selvatico e la coturnice che si mischiano ad una miriade di uccelli canori quali le silvie, le cince, il cuculo e tanti altri, mentre sulle distese laviche alle quote più alte il culbianco vi sorprenderà con i suoi voli rapidi ed irregolari. Tra le diverse specie di serpenti, che con il ramarro e la lucertola popolano il sottobosco, l'unica pericolosa è la vipera la cui presenza, negli ultimi anni, è aumentata a causa della distruzione dei suoi predatori. Infine, ma non per questo meno importante, vi è il fantastico, multiforme universo degli insetti e degli altri artropodi: farfalle, grilli, cavallette, cicale, api, gagni ecc. con il loro fondamentale e insostituibile ruolo negli equilibri ecologici.

 

 

La Vegetazione

L'universo vegetale dell'Etna si presenta caratterizzato da un insieme di fattori tra i quali ha un ruolo predominante la natura vulcanica della montagna. La flora del Parco, estremamente varia e ricca, condiziona il paesaggio offrendo continui e repentini mutamenti; ciòdipende dalla diversa compattezza e dal continuo rimaneggiamento del substrato ad opera delle colate laviche che si succedono nel tempo, nonchèdal variare delle temperature e delle precipitazioni in relazione all'altitudine ed all'esposizione dei versanti. Partendo dai piani altitudinali piùbassi, dove un tempo erano le foreste di leccio, ecco i vigneti, i noccioleti ed ancora i boschi di querce, pometi e castagni. Intorno ed anche oltre i 2.000 metri troviamo il Faggio che, in Sicilia, raggiunge il suo limite meridionale e la betulla che è considerata dalla maggior parte degli autori un'entità endemica.
Oltre la vegetazione boschiva il paesaggio si modifica ed è caratterizzato da formazioni pulviniformi di spino santo (astragalo) che offrono riparo ad altre piante della montagna etnea quali il senecio, la viola e il cerastio. Al di sopra del limite dell'astragalo, tra i 2.450 ed i 3.000 metri solo pochissimi elementi riescono a sopravvivere alle condizioni ambientali dell'alta montagna etnea. Al di sopra di queste quote e sino alla sommità si stende il deserto vulcanico dove nessuna forma vegetale riesce a mantenersi in vita.

 

L'agricoltura

Fin da epoche remote la ricchezza del suolo vulcanico ha permesso alle popolazioni etnee di vivere di agricoltura e allevamento, costruendo un ambiente "dell'uomo" armonicamente inserito in quello naturale. Paesaggi agricoli sorprendenti e multiformi sono incastonati fra boschi e colate laviche, formando così un mosaico ambientale di rara bellezza.
La presenza millenaria dell'uomo sul vulcano ha lasciato un'impronta profonda: monumentali opere di terrazzamento, magazzini, palmenti, cantine costellano le pendici della "Montagna". Pertanto il mantenimento e il recupero dell'agricoltura svolta in sintonia con le esigenze di tutela ambientale diventano strumento efficace per il mantenimento di una parte importante del paesaggio etneo. In questo contesto, il Parco dell'Etna guarda con particolare attenzione all'agricoltura biologica, metodo di coltivazione capace di offrire prodotti sani nel rispetto dell'ambiente e dalla salute degli agricoltori.
Oggi vigneti, oliveti, pistacchieti, noccioleti e frutteti circondano il vulcano testimoniando una vocazione agricola del territorio ampiamente diffusa e caratterizzata dalla presenza di varietà locali particolarmente interessanti. Basti pensare alle mele "Cola", "Gelato" e "Cola-Gelato" piccole, gialle e fragranti o alle pere autunnali come la "Ucciardona" o la "Spinella" utilizzata nella cucina tradizionale. La ricchezza varietale delle specie coltivate sull'Etna è un patrimonio di biodiversità da tutelare e diffondere per mantenere un'eredità importante che può diventare la nota distintiva dell'agricoltura del Parco.
La Viticoltura

Il particolare microclima del comprensorio etneo ha caratterizzato la coltura della vite e la produzione di vino sin dall'antichità. Le popolazioni etnee debbono alla vite e al vino una parte determinante della propria civiltà. Le vigne etnee, nel tempo, hanno subito numerose e profonde trasformazioni e sono divenute un elemento caratterizzante del paesaggio antropico. La viticoltura etnea, essendo di collina e di montagna, si sviluppa su terreni sistemati a "terrazze" di piccola e media larghezza. Generalmente, all'interno dei vigneti, si trovano manufatti rurali che possono comprendere "palmenti" (parte del fabbricato destinato alla lavorazione delle uve) e cantine.
Un DPR del 1968 ha concesso ai vini dell'Etna la DOC "Etna" (Bianco Superiore, Bianco, Rosso e Rosato), interessando i territori di ventuno comuni etnei. Di questi, ben diciassette rientrano nel comprensorio del Parco.

L'Ente Parco, mirando all'integrazione tra protezione ambientale e promozione delle attività economiche, tutela e promuove la vitivinicoltura etnea quale "inestimabile patrimonio ereditato" da custodire, valorizzare e far conoscere e quale settore economico di primaria importanza. Obiettivo raggiungibile attraverso la salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale etneo, l'incentivazione al miglioramento e alla stabilizzazione dei parametri qualitativi delle produzioni e la promozione dell'immagine del prodotto legato al suo territorio. Di pari passo con molteplici iniziative tecnico-amministrative, rivolte al settore e con l'adesione in qualità di socio ad Organismi quali il CERVIM (Centro di Ricerche, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura Montana), l'Associazione Nazionale "Città del Vino" e la "Strada del Vino dell'Etna", l'Ente Parco promuove svariate manifestazioni di notevole interesse regionale, nazionale e internazionale. 

http://www.parks.it/parco.etna/par.php  http://www.parcoetna.it/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Valle del Bove è un’immensa depressione di origine vulcanotettonica posta sul fianco orientale dell’Etna derivata dallo sprofondamento di antichi complessi eruttivi. E’ una delle emergenze naturalistiche più importanti del Parco. Ha una forma a ferro di cavallo con un fondo pressoché piatto che degrada verso Est. E’ delimitata a Nord, Ovest e Sud da tre ripide pareti costituite da un’alternanza di colate laviche e prodotti piroclastici eruttati a partire da 50.000 anni fa. La sua superficie è di circa 24 Kmq con una lunghezza di 6 Km circa lungo la direzione Nord – Sud. Nella parete occidentale si trova la Serra Giannicola Grande: un’area di eccezionale interesse vulcanologico per la presenza dei “dicchi”. Sono lunghi muraglioni di roccia che costituiscono uno scenario di straordinaria bellezza.

 Il paesaggio della valle è selvatico, per la presenza di numerose colate laviche storiche, tra cui la colata del 1991- 1993, con una morfologia aspra e irregolare. Il silenzio è il grande dominatore della valle. Ad interromperlo solo il rumore del vento, delle esplosioni vulcaniche, della caduta di massi e il canto degli uccelli.

 

Non si può dire di aver visto veramente l'Etna se non ci si affaccia sulla Valle del Bove. Questa fantastica caldera di collasso , la cui origine sembra essere stata causata dallo sprofondamento di uno dei crateri più vecchi dell'Etna, si può ammirare da molteplici punti di osservazione, ma uno dei panorami più belli sicuramente si gode dalla Schiena dell'Asino.

L'itinerario parte dalla strada provinciale 92. Lasciata l'auto dal bivio tra le strade provinciali che salgono da Pedara e Zafferana, a circa un chilometro dal rifugio Sapienza, si supera la sbarra della forestale e il cartello che indica l'inzio del sentiero. Il percorso inizia con una forte pendenza che degrada dopo circa 600 metri. Dopo di che si lasceranno i pini larici e si dovrà continuare a camminare attraverso un paesaggio lunare colorato da pulvini di saponaria, romice e astragalo.
Superato l'ultimo pianoro sarà infine possibile ammirar, in tutta la sua maestosità, la Valle del Bove. Ilpunto panoramico si presta bene anche per l'osservazione di eventuali eruzioni.

 

Piano del Lago, inebriante terrazzino dall'orlo della Valle

 

 

Escursioni della Valle del Bove

PIANO DELL'ACQUA - MONTE CALANNA

Caratteristiche: Difficoltà: escursione di media difficoltà, Quota di partenza: 830 m/slm, Dislivello: 180 m

Lunghezza del percorso: circa 1100 m, Tempo di percorrenza: h. 1,30 circa, Punti di osservazione: 5

Il sentiero è localizzato nel versante orientale dellEtna ed è raggiungibile dallabitato di Zafferana Etnea, seguendo le indicazioni che conducono al fronte della colata lavica 1991/93.

Percorsa interamente la stradella in basolato lavico (circa 800metri) si arriva ad un piccolo pianoro a circa 830 msl da cui ha inizio un sentiero che si sviluppa per oltre un chilometro e per circa 200 metri di dislivello.

Laspetto prevalente è costituito dagli imponenti ammassi lavici delleruzione laterale che consentono allescursionista di vivere un paesaggio primordiale.

Ai margini del sentiero si notano ancora i segni del precedente paesaggio vegetale costellato da in basso da tipici frutteti (pometi, ciliegeti, etc.) sostituiti in quota da piccoli isolotti ("dagale") a prevalenza di Ginestre. Rare le essenze arboree presenti per lo più con sparuti esemplari di Roverella, Leccio, Frassino e talora da piccole cenosi di Pioppo tremulo.

Leruzione 1991/93, durante 473 giorni di attività, ha emesso oltre 300 milioni di metri cubi di lave e ricoperto oltre sette kmq di superficie. Uno sciame sismico e una intensa esplosivo effusiva diede origine ad una delle più imponenti eruzioni laterali degli ultimi 300 anni, ricordata anche per gli interventi di protezione civile.

Lungo il sentiero sono posti dei pilieri in pietra lavica con sovrimpressi i numeri da 1 a 5 che segnalano Punti di Osservazione con particolari caratteristiche.

P.O. 1

Colata 1991-93 - particolari della solidificazione di superficie delle lave lungo le fessure eruttive (a lastroni, a catasta). Si osservano le diverse fasi della colonizzazione delle colate: si passa dalle rocce rese grigiastre dalla presenza dello Stereocaulon vesuvionum, un tenace Lichene incrostante, agli anfratti rocciosi con Felci e piccole Graminacee; ai terreni rocciosi in cui domina la Ginestra dellEtna (Genista aetnensis), lElicriso (Helicrysum italicum), la Valeriana rossa (Centranthus ruber), la Scrofularia canina (Scrophularia canina) che con la loro presenza conferiscono a questi ambienti una straordinaria varietà di colori e profumi.

P.O. 2

Si incomincia ad intravedere Monte Calanna nell'omonima ex valle tra le lave del 1991-93. A valle si osserva l'abitato di Zafferana Etnea. L'aspetto vegetazionale dei costoni che delineano l'ex Val Calanna, è caratterizzato da una lussureggiante copertura boschiva mista, con prevalenza di Faggio (Fagus silvatica).

P.O. 3

Si osservano Monte Calanna, il Salto della Giumenta, la colata del 1991-93, la Serra delle Concazze e del Salifizio - nelle cui pareti rocciose è scritta buona parte della complessa storia di questo straordinario Vulcano poligenico - Rocca Musarra (1632 m/slm dalla caratteristica forma a "dente") e Rocca Capra (resti di antichi collassi calderici che hanno interessato le unità del Trifoglietto); vista dei Crateri sommitali.

 

File:Vallebove2600.jpg

P.O. 4

Il paesaggio è dominato da un bellissimo campo di ginestre, oltre il quale si osserva Piano-Bello e in lontananza, Monte Fontane. Dalla parte opposta Monte Zoccolaro. In primo piano le morfologie superficiali dell'eruzione del 1950-51. La Serra del Salifizio e la Serra delle Concazze delimitano quell'enorme anfiteatro naturale dalla caratteristica forma a "ferro di cavallo": la Valle del Bove (perimetro 18 km - superficie 37 kmq) che rappresenta uno dei più affascinanti e selvaggi ambienti naturali del Parco dell'Etna.

Il recinto calderico è costituito a Nord e a Sud da alte pareti scoscese, con altezze comprese tra i 400 e i 1000 m. Queste pareti subverticali includono le testate di antichi banchi lavici che con pendenze varie si immergono in direzione opposta alla Valle e costoni rocciosi noti come Serre. Alle Serre si alternano i Canaloni, incisioni vallive dove si accumulano i detriti provenienti dallo smantellamento dei banchi lavici e che danno luogo, a valle, ad estesi conoidi di deiezione.

P.O. 5

Portella Calanna - Localizzazione delle dighe di contenimento durante l'eruzione 1991-93. Il 2 maggio 1992, per proteggere l'abitato di Zafferana Etnea, la Protezione civile intraprese la costruzione di un importante rilevato in terra lungo 234 m ed alto 21 m. La tettonica regionale ha fortemente dislocato quest'area, ormai completamente ricoperta dai prodotti dell'eruzione 1991-93. La Val Calanna si è formata per coalescenza di caldere di collasso di edifici vulcanici ascrivibili ai Centri Eruttivi Alcalini Antichi. Il Salto della Giumenta che divide la Valle Calanna dalla Valle del Bove rappresenta il più evidente di questi elementi morfologico-strutturali.

Da qui i più volenterosi attraverso le sciare delleruzione 1852/53, potranno arrivare alla base di Monte Calanna, costituito da livelli lavici e potenti banchi di scorie attraversati da numerosi dicchi fortemente alterati.

Consigli e attrezzatura:

Curare labbigliamento in funzione del clima e del particolare morfologia del terreno: il vestiario dovrebbe essere comodo, tanto da consentire libertà di movimento, ma robusto per evitare graffi. Le scarpe potranno essere più o meno pesanti purché fornite di una buona suola per affrontare il terreno lavico.

Non uscire dal sentiero segnalato. Potreste recare disturbo alla vegetazione ed agli animali.

Il sentiero attraversa unarea protetta. Non buttare carta ed oggetti, non estirpare o danneggiare piante, non raccogliere fiori, non accendere fuochi. Fate in modo che chi visiterà il sentiero dopo di voi non si accorga del vostro passaggio.

Consigli e attrezzatura:

Vista la presenza di varie specie volatili vi invitiamo a percorrere il sentiero in silenzio, per evitare di disturbare la fauna presente al momento e di osservare la stessa dai capanni. E' indispensabile l'uso di un binocolo e di teleobiettivi per una migliore osservazione delle varie specie.

Non uscire dal sentiero segnalato. Il sentiero attraversa unarea protetta. Non buttare carta ed oggetti, non estirpare o danneggiare piante,hich non raccogliere fiori, non accendere fuochi. Fate in modo che chi visiterà il sentiero dopo di voi non si accorga del vostro passaggio.

 

 

SE VUOI RESTARE IN ZONA 

SUL VERSANTE SUD, METTI LA FRECCIA A SINISTRA.

numeri utili
AZIENDA FORESTE DEMANIALI Via Etnea 353  - Catania  www.regione.sicilia.it/Agricolturaeforeste/Azforeste/
  Tel. 095.7282211 329.0036136 (numero di servizio)
CAI CATANIA Via Messina 593/A Catania www.caicatania.it  Tel. 095.7153515
CAI LINGUAGLOSSA Piazza Municipio - Linguaglossa (CT) info@cailinguaglossa.com tel. 3495354987 www.cailinguaglossa.com

RIFUGIO RAGABO strada Mareneve - Linguaglossa (CT) www.ragabo.it Tel. 095.647841 - 339.6150989
BRUNEK strada Mareneve - Linguaglossa (CT) www.rifugio-brunek.it
Tel. 095.643015 349.8895578
RIFUGIO ARIEL Contrada Serra La Nave Ragalna (CT) www.rifugioariel.it
Tel. 393.8478621 

RIFUGIO CITELLI Contrada Citelli - Sant’Alfio (CT) www.rifugiocitelli.net Tel. 095.930000 - 348.9546409
RIFUGIO SAPIENZA Piazzale Rifugio Sapienza Etna Sud Nicolosi (CT) www.rifugiosapienza.com Tel. 095915321

 

 

 

Linguaglossa (m 550 s.l.m., 5534 ab., 58,38 kmq) si trova alle pendici nord orientali dell’Etna, nella radura sottostante il meraviglioso Bosco Ragabo. Il nucleo storico si è sviluppato a ridosso della reggia trazzera, in passato importante via verso l’interno dell’isola. Da qui transitavano il legname e la resina provenienti dalla Pineta e diretta agli imbarchi jonici. Il toponimo Linguagrossa compare in un documento del 1145, quando Ruggero d’Altavilla stabilisce i confini per l’archimandrita di Messina, e la fondazione dei primi borghi è di certo medievale. Resti di epoca anteriore, rinvenuti nei colli vicini, dimostrano la frequentazione di questa regione fin dall’antichità.
Dopo i Vespri (1282), gli aragonesi assegnarono queste terre a Ruggero di Lauria (1245 – 1304), ammiraglio della flotta siculo- aragonese, per le sue imprese militari contro gli angioini. Linguaglossa da tempo forniva legname e pece per l’Arsenale di Messina. Per un periodo fu feudo dei Filangieri, per poi essere data da re Martino in lunga concessione alla famiglia Crisafi (1392 – 1568), i quali rivestivano già pubblici incarichi a Messina. Passò poi come baronia ai Cottone (1568), ai Patti (1579), ed infine ai Bonanno e Gioieni (i Gioieni da secoli possedevano le terre di Castiglione) con Don Orazio (1606), ottenendo il titolo di principato nel 1626 (periodo in cui furono venduti in Sicilia nuovi titoli con relativi diritti giurisdizionali). Nel 1634, in piena Guerra dei Trent’anni, Filippo IV di Spagna, in seguito ad un considerevole esborso di denaro, dichiarò Linguaglossa città diletta e libera.
Attorno al toponimo LINGUAGROSSA (riportato sul prospetto del Palazzo Municipale) sono fiorite diverse ipotesi. Qui ricordiamo quella che identifica le prime genti che vi abitarono come “chiddi da lingua rossa”; un’altra riconduce ad una lingua di lava che si spinse fin qui, sulla quale si edificò il borgo antico; senza dimenticare il promontorio e la striscia di terreno alluvionale coltivato lungo il torrente percorsi da un’antica trazzera.
Il borgo medievale più antico è quello intorno alla chiesa di S.Egidio. il paese si distingue per un centro storico ben conservato, con numerosi vicoli profumati di gelsomino e vetusti portali (anche preesistenti il terremoto del 1693), qualche edificio barocco e l’alternanza di pietra lavica dell’Etna (basamenti, finestroni, mascheroni) e di arenaria e tufo provenienti dalle vicine alture. Ma ciò che caratterizza il centro sono i bei palazzetti tardo-ottocenteschi e Liberty che prospettano sulla via principale e sulle piazze. Così il Palazzo comunale, opera di Pietro Grassi (1907), con eleganti bifore mitrate.

Linguaglossa è  anche e soprattutto la montagna: l'Etna.

Linguaglossa è infatti una stazione turistica estiva ed invernale di livello internazionale.
La pineta di Linguaglossa e Piano Provenzana sono punto d’incontro per gli appassionati dello sci alpino, sci di fondo e lo sci d’alpinismo. In estate da Piano Provenzana si possono  raggiungere le zone  sommitali del Vulcano, con i mezzi fuoristrada della Società S.T.A.R., nonché per itinerari naturali nati lungo percorsi di rara bellezza. Linguaglossa si compiace dell'abbraccio che il vulcano ha voluto riservarle cingendolo col verde di una vegetazione mozzafiato. E' la natura l'impareggiabile ricchezza del paese di Linguaglossa, con l'Etna che fuma in alto e lo scintillio dello Ionio in basso.

http://www.prolocolinguaglossa.it/comune.htm

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/2022/172.jpg

 

 

La Pineta Ragabo a Mareneve.

I due paesi sono maggiormente conosciuti per le attrattive naturalistiche, dal momento che buona parte del territorio e' inclusa nel Parco dell'Etna. Salendo da Linguaglossa per la Provinciale Mareneve si giunge a

2.1 - Piano Provenzana, a circa 1900 m. di quota: momentaneamente non raggiungibile a causa dell'eruzione dell'ottobre 2002. Costituisce la base di partenza per le escursioni alle bocche del vulcano (con i mezzi autorizzati della S.T.A.R. oppure a piedi). Qui troviamo diversi alberghi, ristoranti, bar, rivendite di souvenir, ma soprattutto 5 ski-lift ed una bella pista per lo sci da fondo. Riscendendo a Linguaglossa dalla Mareneve incontriamo

 

2.2 - Piano Pernicana: e' un pianoro incluso nella Pineta Ragabo (dall'arabo "rahab" = bosco). Si tratta di un'ampia pineta, un tempo molto sfruttata per l'estrazione della resina. Infatti sui tronchi dei pini piu' grossi si possono ancora vedere le incisioni a spina di pesce praticate per raccogliere la resina. Piano Pernicana comprende un'area attrezzata con punti di cottura ed aree ristoro. In fondo troviamo l'altarino della Madonnina della Pineta, presso il quale ogni Ferragosto si celebra la Santa Messa. Poco sopra c'e' un ristorante che dispone anche di alcune camere, come il vicino Rifugio Brunek. Qui durante l'estate si trova un maneggio che organizza gite a cavallo nei bellissimi dintorni. Dietro il rifugio inizia un sentiero non percorribile con mezzi a motore, il

2.3 - Percorso altomontano: si tratta di una pista sterrata che attraversa a mezza costa (fra 1.500 e 1.800 m. s.l.m.) un fianco del vulcano. Esso conduce al versante sud dell'Etna tracciando un anello incompleto: si tratta di una pista lunga circa 35 km, di media difficolta' e di incomparabile bellezza. Il sentiero, da affrontare con l'aiuto di una guida, attraversa una varieta' di ambienti naturali (sciare, boschi, dagale, etc...) che offrono un quadro della flora e della fauna etnea. Piu' a valle di Piano Pernicana si puo' ammirare lo

2.4 - "Zappinazzo": in dialetto il pino viene chiamato "zappino", ed infatti lo "Zappinazzo" e' un grosso esemplare di Pinus nigra o laricio, uno dei piu' vecchi (oltre 300 anni). Si puo' imboccare una delle piste sterrate che scendono da Piano Pernicana, oppure risalire lo stesso sentiero da Piano Donnavita, il pianoro situato appena al di sotto di Piano Pernicana.

http://www.agriturismoetna.it/itinerari_linguaglossa_piedimonte.htm

 

Rifugio Ragabo

Da non dimenticare, la vicinanza cittadina con il superbo bosco di Linguaglossa ed alcune interessanti grotte, come la Grotta delle Femmine, la Grotta delle Palombe e la Grotta dei Lamponi.

La Pro Loco di Linguaglossa, lungo la via principale del paese, funge da principale punto di riferimento per le escursioni sull'Etna. Materiale e pannelli esplicativi all'interno della sede aiutano a conoscere il parco ed il vulcano, a programmare le gite. Lungo la strada Mareneve, fiancheggiata da una bella pineta di pini lanci, si giunge fino a Piano Provenzana dove si può lasciare la vettura per effettuare l'escursione ai crateri sommitali.

Etna - Ascesa al versante nord - In un bellissimo percorso, il pulmino fuoristrada raggiunge i 3000 m ca di altitudine. Su questo versante è stato installato il nuovo osservatorio che ha sostituito quello distrutto dalla lava durante l'eruzione del 1971 (durata 69 giorni) che ha interessato sia il versante sud (ove oltre all'osservatorio viene "cancellata" la vecchia funivia), che il versante orientale ove la colata lavica arriva a minacciare alcuni centri abitati (Fornazzo, Milo) per fermarsi a circa 7 km dal mare. Dalle vicinanze dell'osservatorio, a 2750 m ca, si gode di una magnifica vista.

 

 Si prosegue poi fino a quota 3000. Qui si abbandona il fuoristrada per procedere a piedi e vedere da vicino quelle terribili sbuffanti bocche che a seconda del loro umore decidono di risparmiare le terre attorno o di mondane di una sciara, o di fuoco vivo. Il percorso varia a seconda dei capricci del vulcano. Lungo il ritorno, viene effettuata una sosta a 2400 m d'altitudine, per vedere i crateri protagonisti dell'eruzione del 1809.

La strada orientale - Una volta ritornati a Piano Provenzana si può proseguire lungo la strada panoramica Mareneve che costeggia la zona sommitale dal lato est. Sulle basse pendici del versante orientale dell'Etna, si trovano numerosi paesini agricoli che sfruttano la fertilità del suolo vulcanico per coltivare vite ed agrumi.

In località Fornazzo, appena prima di immettersi sulla strada che collega Linguaglossa con Zafferana Etnea, si giunge fino all'incredibile colata lavica che, nel 1979, ha "rispettato" la piccola Cappella del Sacro Cuore (sulla sinistra) sebbene addossandosi ad uno dei muri e riuscendo a penetrare un poco all'interno. Oggi è meta dei numerosi fedeli che vedono in questo un evento miracoloso e vi portano numerosi ex-voto. Da Fornazzo una breve deviazione sulla sinistra permette di raggiungere Sant'Alfio.

 

Linguaglossa - Pineta Ragabo

Il torrente Sciambro è uno dei pochi corsi d'acqua osservabili in quota sull'Etna. Dovrebbe trattarsi del torrente localmente noto come "Quaranta ore", a sottolineare il breve lasso di tempo in cui è percorso dall'acqua subito dopo le giornate di pioggia. E' possibile osservarlo solo inverno e a volte in primavera. Sembra che le eruzioni del 2002 abbiano modificato la morfologia del terreno, diminuendo la quantità d'acqua raccolta dal torrente durante lo scioglimento delle nevi. Per essere sicuri di trovarci l'acqua occorre dunque aspettare un giorno di pioggia e andare sul posto il giorno dopo. E' possibile raggiungerlo da Zafferana Etna, proseguendo verso Milo. Seguite le indicazioni per il rifugio Citelli, ma giunti all'ultimo bivio girate a destra, verso piano Provenzana. Dopo un paio di km, sulla sinistra si notano le indicazioni per il torrente. 

Torrente Sciambro

Lo Sciambro passa praticamente sotto la strada. Noi lo abbiamo trovato in secca, la foto che lo mostra pieno d'acqua ci è stata inviata da Francesco, uno dei nostri lettori. Una volta sul posto, potete andare verso uno dei due punti panoramici segnalati nelle vicinanze. Noi siamo andati verso il punto "Secondo Monte". Si tratta di una breve passeggiata che, dopo un paio di curve, porta ad una scalinata e da qui in cima ad un antico cratere, da cui si osserva un panorama stupendo: Monte frumento delle Concazze con la colata del 2002 con la foresta pietrificata
Probabilmente non si tratta di un'attrazione che meriti un viaggio ad hoc, ma se vi trovaste dalle parti del rifugio Citelli per uno dei tanti itinerari che è possibile percorrere da lì (Monti Sartorius, Grotta di Serracozzo, Monte Frumento), potere tranquillamente allungare il vostro itinerario quel tanto che basta per osservare il torrente o, quanto meno, lo splendido panorama mostrato nella foto sottostante.
http://www.etnatracking.com/it/torrente-sciambro/descrizione

 

Monte Frumento delle Concazze

 

dall'autostrada Catania-Messina uscire a Fiumefreddo e proseguire in direzione Linguaglossa. Dal centro del paese proseguire sulla strada mareneve seguiendo le indicazioni per Etna Nord - Piano Provenzana. (Da Catania 40 Km - da Messina 60 Km). In aereo: l'aereoporto Fontanarossa di Catania è lo scalo più vicino al vulcano. Possibilità di noleggio auto all'interno dell'aereoporto.

Noleggio auto: in aereoporto sono numerose le agenzie di noleggio auto.

Autobus: dalla stazione di Catania è possibile prendere il bus per Nicolosi o Linguaglossa.
 

 

 

Piedimonte dista 35 km da Catania e 49 da Messina.Il territorio del Comune di Piedimonte Etneo si estende sul versante Nord-Est dell'Etna per circa 2646 ettari, di cui 794 ricadono nel territorio del Parco dell'Etna, tra le quote 130 e 2874 m. Il suo confine si sviluppa lungo il vallone Zambataro fino a Ponte Boria, passa da contrada Morabito, Vallone S.Venera, percorrendolo fino a Presa, da qui seguendo il limite settentrionale delle lave di Scorciavacca giunge fino a serra Buffa, Monte Frumento delle Concazze e Pizzi Deneri, a questo punto scendendo verso Monte Zappinazzo, Case Bevacqua, Rocca Campana e Terremorte si ricollega con il Vallone Zambataro. Il paesaggio è caratterizzato dalla coesistenza di due territori nettamente differenti: uno tipicamente vulcanico, con colate laviche datate o recenti, l’altro sedimentario solcato da incisioni torrentizie.

Flora Pur essendo esteso parecchio in altitudine,quasi raggiungendo con Pizzi Deneri,a quota 2800, la parte sommitale del vulcano, lo sviluppo delle aree naturali è limitato rispetto alle zone antropizzate. Infatti tutta l’area collinare, dai 300 ai 1000 m. circa si presenta coltivata. Nella fascia più bassa,a partire con il confine con Fiumefreddo, ritroviamo una sempreverde il Terebinto o “Scornabeccu”, che insieme al rovo, alla ferula, alla felce aquilina, al ricino caratterizza questi luoghi. Ad 800 – 1000 m di altitudine, troviamo sia boschi di Castagno e Roverella che terreni destinati al pascolo e alberati là dove prima c’erano seminativi e vigneti abbandonati. Proseguendo verso quota 1700 ecco comparire esemplari di Pino Laricio e di Betulla dell’Etna. Sul fronte lavico troviamo la vegetazione tipicamente pioniera: Saponaria, Astragalo, Ginestra.

Le aree coltivate nel territorio di Piedimonte Etneo, prevalenti, come abbiamo visto, su quelle a vegetazione naturale, si estendono dal suo estremo confine orientale fino ai 1150 m di monte Stornello, e seguono una progressione ben precisa. Nella fascia più bassa, al confine con Fiumefreddo, si insediano le colture di agrumi (che non superano i 500 s.l.m.): arance, mandarini, clementine e limoni, coltivati su terreni totalmente terrazzati. A queste quote è anche discretamente sviluppata la coltivazione dell'ulivo. Salendo in altitudine, a partire dai 450 metri, troviamo i vigneti: Piedimonte fa parte della fascia di produzione dei vini D.O.C. dell'Etna, e, infatti, la qualità denominata Nerello Mascalese dà un ottimo vino Etna Rosso D.O.C. Questo tipo di vite viene coltivata soprattutto ad alberello, che è il metodo più tradizionale, in misura minore è possibile riscontrare vigneti coltivati a “tendone” e soprattutto a “spalliera”. Altri vitigni coltivati sono il Carricante e il Nerello Cappuccio, quest’ultimo ha caratteristiche complementari a quelle del Nerello Mascalese e non a caso, per tradizione,i due vitigni vengono utilizzati in taglio per produrre i vini rossi tipici dell’Etna. In particolare il Nerello Cappuccio permette di ottenere vini con una colorazione più intensa e con una struttura più solida e longeva, che bene si sposano con l’eleganza e la linearità dei vini prodotti con il Nerello Mascalese. Il Carricante, che produce vini bianchi (fra cui L’Etna Bianco D.O.C.) è il secondo vitigno chiave della viticoltura etnea, anche se la sua coltivazione si è quasi sempre limitata al versante orientale del vulcano e a zone più elevate ove il Nerello Mascalese fatica in genere a raggiungere una perfetta maturazione. In contemporanea ai vigneti troviamo i frutteti che offrono diverse qualità di mele (Delicius, Golden Delicius, Cola e Gelato Cola), pere (fra cui la varietà pera coscia), pesche e ciliegie. Dai 1000 metri in su incontriamo noccioleti e castagneti.

La fauna La diffusione dell’agricoltura nel territorio piedimontese determina la presenza di specie animali poco specializzate che possono frequentare sia le coltivazioni e i centri abitati, sia le aree cespugliate e i boschi delle quote medio alte. Nei pressi dei centri abitati, dove è diffusa un’agricoltura tradizionale, con piccoli appezzamenti coltivati a frutteti, vigneti e orti, troviamo specie molto comuni quali: il rospo, il geco, la lucertola, il pettirosso, il passero, il fringuello, il cardellino,il merlo, il topo (domestico e selvatico), la donnola, il riccio e varie specie di chirotteri. A queste, nelle zone coltivate a maggior estensione, che comprendono anche i noccioleti e vigneti delle quote più alte, si aggiungono il coniglio selvatico, , la gazza, la cornacchia grigia, l’assiolo e il barbagianni. Gli ambienti boschivi ospitano, oltre al ghiro e al quercino soprattutto una ricca fauna aviaria: colombaccio, cuculo, picchio rosso, cinciallegra,, ghiandaia, fanello, zigolo nero. A partire dai 1200 m di altitudine, dove i boschi si alternano zone aperte, troviamo la lepre, il calandro e la monachella. Un cenno a parte merita la volpe, che essendo particolarmente adattabile, si trova in tutti gli ambienti citati, da quelli più antropizzati fin nelle zone altomontane al limite della vegetazione.

Storia Piedimonte Etneo nel suo nascere, agli albori del XVII secolo, fu battezzata con il nome di "Belvedere" grazie agli incantevoli panorami che si ammirano dalla colina ove sorge, sita ai piedi del vulcano sul versante orientale dell'Etna. All'epoca il territorio di Piedimonte Etneo faceva parte dei possedimenti dei Gravina Cruillas, baroni di Francofonte e principi di Palagonia, e fu appunto Ignazio Gravina Cruillas (1611-1685) che nel 1650 "principiò" sul feudo Bardella della baronia di Calatabiano "una nuova habitatione" chiamandola "Piemonte". Successivamente il nipote Ignazio Sebastiano Gravina Amato (1657-1694), nonostante l'opposizione della vicina Linguaglossa, ottenne dal Tribunal del Real Patrimonio la licenza "populandi". L'atto di vendita della licentia populandi fu stipulato il 30 agosto 1687, seguito il 22 settembre dal decreto viceregio che sanciva la nascita del nuovo paese.

Nonostante il nome richiesto alla Regia Curia fosse "Piemonte", continuò ancora a chiamarsi Belvedere, nome caro ai suoi abitanti. In seguito prevalse il nome Piedimonte, cui fu aggiunto Etneo nel 1862, per distinguerlo da altri paesi con identico nome.

Il fondatore non era andato oltre l'edificazione di una piccola chiesa, intitolata a Sant'Ignazio di Loyola, di una dozzina di "casuncole terrane", di qualche forno, di un piccolo alloggio per suo servizio. Il nipote, ottenuta licenza, lasciata Palermo,si trasferì nella baronia di Calatabiano, ove si fece costruire due comode dimore: una all'Aquicella (detta ora Castello di San Marco) e l'altra a Piemonte. Stabilitosi in questi luoghi nel 1689 vi realizzò altre costruzioni.

Fu Ferdinando Francesco (1675 - 1736), quarto signore di Piedimonte, il fautore della notevole espansione settecentesca del paese e l'impronta urbanistica che tuttora lo caratterizza grazie all'apertura di strade dalla larghezza inconsueta. Vennero realizzate importanti costruzioni, fra cui ricordiamo l'acquedotto, la Porta San Fratello, il Carcere, la chiesa di San Michele Arcangelo e il Convento dei Cappuccini. In questo periodo si registra un rilevante aumento della popolazione. Molti furono gli immigrati venuti dai paesi vicini, alcune famiglie vennero addirittura dalla Calabria, altre da Palermo a seguito del Principe.

Piedimonte continuò a crescere nel corso del Settecento, con l'apertura di nuove strade, la costruzione di palazzi lungo il corso principale e della Chiesa Madre con l'ampia piazza adiacente. Nel 1812 venne elevato a Comune e il primo sindaco fu il signor Domenico Voci, che era stato più volte amministratore civico.
Economia e turismo L'economia si basa prevalentemente sull'artigianato e l'agricoltura. La produzione agricola tradizionale si basa essenzialmente sull'agrumicoltura, la viticoltura (a buon titolo, infatti Piedimonte è inserita nel circuito delle città del vino) e l'olivicoltura con produzione di ottimo olio. Negli ultimi decenni, poi, si è molto sviluppata la coltura in serre soprattutto di piante ornamentali, e ultimamente anche di ortaggi. Purtroppo, l'elevato numero dei cascinali ridotti a rudere e dei terreni lasciati all'abbandono e alle sterpaglie è indice del continuo abbandono delle campagne, un tempo coltivate e verdeggianti, da parte della popolazione.

Sviluppato è il turismo: per la sua posizione geografica Piedimonte è luogo di transito per chi vuole raggiungere le parti alte della zona est del vulcano, mantenendo contemporaneamente un facile e veloce accesso alla costa ionica.

Le attrattive turistiche sono anche legate alle tradizioni popolari del paese. La festa del patrono, Sant'Ignazio da Loyola, che si svolge il 31 luglio, offre anche l'opportunità di partecipare a varie sagre locali, nonché al Trofeo di Sant'Ignazio, importante gara podistica che richiama atleti di fama internazionale. Tra le altre manifestazioni da ricordare l'Estate Piedimontese, durante la quale si svolgono mostre, concerti, rappresentazioni teatrali e tornei sportivi; e la Festa della Vendemmia che ogni anno, alla fine di settembre, rievoca le antiche tradizioni, gli antichi usi relativi, appunto, a quella che un tempo era la ricchezza delle contrade del paese.

l'ultima foto è di http://www.raffaeledavinci.it/paginehtml/piedimonte_etneo.htm

 

 

 

 

Il Castello di Lauria Non abbiamo notizie certe sulla sua origine, ma le due finestre bifore della parte ovest ci lasciano intuire che il nucleo principale sia stato edificato molto probabilmente durante il periodo normanno-svevo.
Tale sito nel corso della storia dell’abitato ha avuto di sicuro una funzione molto rilevante tanto da dare il nome al paese. E’ certo che Castiglione nel XII secolo viene chiamato Quastallum da Edrisi, Castillo in un diploma di Ruggero II, Castillio in un diploma di Papa Eugenio III.
L’attuale nome, invece, significa Castello grande. Al latino medievale castellum, infatti è stato aggiunto il suffisso accrescitivo –ione, facendolo diventare Castellione, che gli aragonesi prima e gli spagnoli poi pronunziavano Casteglione. Il termine ben presto comunque interpretato come Castello del Leone per offrire al paese un marchio di regalità, dando luogo anche allo stemma: un castello e due leoni accovacciati.

 


 Il castello nel Medioevo, collegato alla roccaforte del Castelluccio e ad un avamposto identificabile con la chiesa di San Pietro era messo in comunicazione con questi da passaggi sotterranei, che giungevano, si dice, fino al Cannizzo. Essi costituivano un vero e proprio complesso architettonico e difensivo, ed un vecchio stemma cinquecentesco della città, con tre torri, mette in evidenza la loro importanza. I vari quartieri del castello assumevano funzioni diverse. Vi era la parte più nobile riservata al castellano; vi erano le scuderie, i fienili, le stalle, le abitazioni per i servi e per gli addetti alla manutenzione; vi erano le carceri, all’interno delle quali, nelle scomode celle dette dammusi, lunghe non più di due metri ed alte appena un metro, venivano rinchiusi spesso i più facinorosi avversari politici e più incalliti delinquenti; vi erano le cisterne per conservare l’acqua piovana o per nascondervi, durante gli assedi, vettovaglie e suppellettili preziosi; vi erano le rotonde bombe di pietra, pronte per essere scagliate contro i nemici; vi era nella parte più alata un ampio locale, detta Solecchia, che comunemente si ritiene fosse la zecca dove si coniavano le monete, ma poteva essere il luogo dove il feudatario si riparava dal sole, dopo aver completato quasi per intero il suo vastissimo feudo.

 

 

LA CUBA. 

Raro esempio di architettura bizantina in Sicilia, la chiesetta si trova nelle campagne di Castiglione di Sicilia. Progetti e iniziative culturali riaccendono l’attenzione sul sito       di Maria Enza Giannetto - In viaggio - supplemento al quotidiano La Sicilia

Quando ero bambina, per me e i miei cuginetti era un rifugio segreto. Trascorrevamo lì ore intere, a inventare giochi, leggende, storie misteriose e affascinanti su questo edificio di cui conoscevamo solo il nome: “A Cuba”. Allora, circa 25 anni fa, era ricovero per pastori e contadini che si riparavano dalle piogge improvvise.
Al suo interno si poteva trovare davvero di tutto: utensili abbandonati, ossa di animali, pezzi di stoffe. Per noi ragazzi era qualcosa di magico. Crescendo ho imparato che il suo nome completo di questa costruzione abbandonata, in contrada Giardinelli, nelle campagne di Castiglione di Sicilia, in provincia di Catania, era Cuba di Santa Domenica, conosciuta anche con i nomi di Chiesa bizantina in contrada Santa Domenica, Chiesa bizantina Santa Domenica o la Cuba di Castiglione. E ovviamente, mi sono anche resa conto di quanto quella magia fosse frutto dell’abbandono e del degrado in cui versava questo edificio dall’incommensurabile valore storico culturale, nonché monumento nazionale dal 1909.

 

Risultati immagini per castiglione di sicilia castello


Forse unico esemplare, ancora in buono stato, in Sicilia, del periodo bizantino, la Cuba fu costruita tra il VII-IX secolo (la datazione più probabile è ormai tra la seconda metà del VIII secolo alla prima metà del IX). L’edificio ecclesiastico ha una struttura a croce latina con pianta quadrata, cupola e tre absidi. L’abside posteriore ha una bifora rivolta verso oriente affinché, secondo tradizione, durante la veglia pasquale la luce della luna piena entrando nell’edificio desse inizio alla Pasqua. Le altre due absidi contenevano ciascuna una piccola cappella. Costruita con pietra, blocchi lavici, malta e materiali in cotto, la Cuba internamente era ricca di affreschi di fattura bizantina, oggi perduti. Negli anni, la situazione, grazie una nuova attenzione per il patrimonio storico culturale siciliano, è migliorata, tanto che intorno al 2000 sono stati avviati lavori di restauro e di “pulizia” della chiesetta che hanno dotato il tempietto di due belle porte in ferro lavorato, di finestre che tengono lontani animali, vandali e purtroppo anche i visitatori che non abbiano prenotato per tempo la visita tramite l’ufficio turistico del Comune
(è possibilie prenotare allo 0942980348 (centralino 0942980211), oppure scrivendo una e-mail a turismo@comune.castiglionedisicilia.ct.it

Nelle giornate primaverili, una gita alla Cuba, con annesso pic-nic alle piccole gole a circa 200 metri dalla Chiesa, è davvero impagabile.  Certo, mancano i servizi: qualche panca in legno, un totem con le informazioni posto fuori e non dentro l’edificio, un progetto di illuminazione che lo rendesse visibile anche di notte, maggiore controllo, non guasterebbero.
Intanto l’amministrazione comunale parla di due progetti: una pista ciclabile adiacente al sito e una zona parcheggio che servirebbe l’intera area. Piccoli focolai di interesse per questo sito fanno pensare a una nuova “alba” per la Cuba bizantina. Complice la passione di alcuni giovani che da questo posto così misterioso sono rimasti stregati, tanto da dedicarci tesi di laurea, project work e progetti culturali. E infatti, lo scorso dicembre la Cuba è stata riconosciuta Meraviglia italiana, grazie all’interesse di un giovane architetto catanese che a seguito di uno studio condotto sull’edificio per la sua tesi di laurea ha presentato la candidatura al progetto sostenuto dal Forum nazionale giovani. Come “Meraviglia Italiana” la Cuba è entrata a far parte di un itinerario d'eccellenza che di sicuro le varrà una grande pubblicità a livello nazionale. C’è un’altra iniziativa che potrebbe contribuire a far conoscere e quindi mantenere sempre accesi i fari dell’interesse sul tempietto. Si tratta di Innesto, un progetto ideato dall’associazione no profit C-T cultural transfer a cura di Norma Guglielmino, insieme con le socie Marialuisa D’Arrigo e Olga Colajanni. Si tratta di un esperimento di relazione e interazione tra bene culturale, arte contemporanea, territorio e società. «L’idea - spiegano le socie - è quella di far dialogare l’arte contemporanea con il patrimonio storico-culturale siciliano. Abbiamo già presentato un’anteprima, il 13 novembre 2011, ma alla fine di aprile ci sarà un evento proprio nella chiesetta, con tre giovani artisti che con la Cuba
si sono già messi a confronto». L’interesse delle tre socie per questo sito parte dal 2008 quando, durante un master sulla gestione e valorizzazione del patrimonio mondiale, culturale e naturale, hanno scelto la Cuba come soggetto del loro project work. «Si trattava – spiegano - di simulare di una candidatura del sito per la World heritage list ed effettivamente, ci sono talmente tante caratteristiche che ne permetterebbero la candidatura reale....».
La bellezza c’è. L’interesse nel mantenerla, pure. Chissà che con un impegno maggiore non si possa davvero pensare a questa candidatura reale?

 

foto di Antonio Treccarichi

 

Castiglione di Sicilia

 

Calici di stelle, la guida ai migliori vini Storia e leggende si intrecciano per descrivere questo suggestivo centro medievale le cui origini affondano nel passato remoto. Più che le parole e i racconti a descrivere Castiglione ci sono i suoi monumenti, il suo centro storico, quelle testimonianze che lo hanno fatto entrare a pieno titolo nei Borghi più Belli d’Italia. Ma è proprio in quel patrimonio di arte, architettura, cultura, nel cui territorio alcune emergenze architettoniche impreziosiscono ancor di più questa zona tra l’Alcantara e l’Etna, come la Cuba bizantina (chiesa di Santa Domenica), già monumento nazionale, e che ha consentito al Comune di parte dell’Aceb, l’Associazione delle Città Eredi di Bisanzio.

Castiglione già da tempo rappresenta una delle più dinamiche realtà turistiche del versante Nord Etna, con i suoi oltre 700 posti letto costituiti da: 6 aziende agrituristiche, 4 turismi rurali, 5 bad & breakfast, 3 affittacamere, 3 alberghi, 2 case vacanza, 1 ostello. A questi si aggiungono 7 ristoranti, 3 enoteche, 1 campo da golf, 3 società di escursioni e servizi turistici. Ma è la produzione di vini Doc dell’Etna che uno dei settori trainanti del turismo, così che l’Amministrazione comunale, guidata dal sindaco Salvo Barbagallo, punta molto alla valorizzazione dei prodotti tipici locali, con una maggiore valorizzazione di quelle che sono state tradizioni attraverso eventi mirati.

 

 

“Calici di Stelle”, la notte del 10 agosto, è ormai l’evento top per quanto riguarda la presentazione e la degustazione di vini siciliani, grazie all’adesione di aziende vitivinicole che provengono da tutta la Sicilia, ma anche per quanto riguarda la sagra enogastronomica, durante le 3 giornate che precedono Calici di Stelle, divenuta ormai una preziosa rassegna di sapori e gusti del territorio castiglionese, le cui eccellenze agroalimentari, ricordiamo, sono vino, olio, formaggi, nocciole e frutta secca in genere, dolciumi.

Castiglione ha un’offerta turistica variegata, potendo contare su alcune eccellenze naturalistiche, come l’Etna e le Gole Alcantara.

Ma è il Castello di Lauria, i vicoli tutt’intorno e il borgo medievale che sono la grande attrazione turistica, in una cornice architettonica e storica dove è possibile visitare pure la Basilica della Madonna Maria Santissima della Catena, la chiesa di Sant’Antonio con i suoi intarsi marmorei e quella dei Santi Pietro e Paolo e la meridiana solare. Ritorna in voga l’antica arte e tradizione dei ricami, dove il punto inglese nel passato ha costituito una fiorente attività artigianale contando anche centinaia di ricamatrici, tanto che l’Amministrazione comunale ha avviato delle iniziative per far riscoprire e valorizzare quest’arte.

MICHELE LA ROSA

DOMENICA 3 AGOSTO 2014 LA SICILIA

 

https://www.mimmorapisarda.it/2022/169.jpg

 

Il territorio castiglionense è percorso, da est ad ovest lungo lo sviluppo etneo, dalla SS120 che rappresenta l'asse principale della viabilità, collegando il comune alla A18 Messina-Catania, ed alla statale 114, ambedue sulla costa. E' inoltre attraversato da una maglia ortogonale di strade provinciali che collegano il centro alle frazioni a monte ed alla vicina Francavilla. E' previsto, ed in parte esistente, un asse di collegamento lungo il fiume che collegherà al centro urbano. Suggeriamo, infine, un arrivo a Castiglione di Sicilia alquanto romantico: con la ferrovia circumetnea, che partendo da Catania prosegue per Randazzo e la Valle dell'Alcantara, attraversando paesaggi di incontestabile bellezza. Con la stessa FCE si può raggiungere Castiglione da Riposto, porto turistico dell'Etna. La stessa società di trasporti durante l'estate organizza delle escursioni guidate per i turisti, partenza con la littorina da Catania Borgo e il tragitto in parte su ferrovia e in parte con gli autobus.

 

 

nei pressi di Castiglione

 

 

 

 

 

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LA CANZUNA DI LI CARRITTERI                                Francesco Paolo Frontini