Se la fine della bella stagione vi ha scombussolati e i primi freddi vi mettono alla prova non temete: questo è un mese pieno di prodotti gustosi e nutrienti, con cui divertirsi sia a tavola che in cucina. Ecco la spesa di ottobre.

 

 

Ottobre, tempo di castagne, zucca e mele. Ma anche della raccolta delle olive e della fine della vendemmia. Sui banchi dei mercati i prodotti di fine estate lasciano il posto a quelli autunnali, ricchi di proprietà organolettiche e nutrimenti, che ci accompagneranno per qualche mese preparandoci ad affrontare i primi freddi.

Abbandonati, o quasi, i sapori di fine estate, i banchi dei mercati iniziano a proporre le prime cavolacee, come verza e cavolo cappuccio. Sono ortaggi che ci accompagneranno per tutto l'inverno, e si prestano a infinite interpretazioni gastronomiche. Potete consumarli crudi o cotti, per creare delle insalate variopinte: arricchitele di radicchio rosso, rucola, valeriana e catalogna, e scegliete le barbabietole rosse per dare un tocco di colore ai piatti. In questo periodo si possono trovare anche le cipolle, i porri, le bietole a costa, il sedano e il sedano rapa, il rafano. Mescolate secondo il vostro gusto in una misticanza cotta: saprà confortarvi nelle prime serate d'autunno.

La regina della tavola, in questo periodo, è indubbiamente la zucca: da raccogliere a ottobre, durerà per mesi se conservata intera e in luoghi freschi e asciutti. Nella cucina italiana è celebrata in mille piatti: dai risotti alle paste ripiene, come secondo piatto cotta in padella, al forno o in agrodolce, nelle zuppe e nelle minestre.

La frutta

Ad ottobre si registra un irresistibile cambio di guardia: via la frutta estiva, più succosa e dolce, in arrivo le castagne, celebrate in molte sagre e festival in tutto il paese. Anche qui la scelta è vasta: sono tantissime le varietà che si possono trovare nei boschi o sui banchi dei mercati, dalla carpinese alla ciria, dalla lojola al marrone, passando per la palestinese, la bellina e l’invernizza. Una fonte importante di sali minerali e acido folico, non a caso consigliate in gravidanza, ma anche di fosforo, utile dopo per ricaricarci e affrontare il lavoro o lo studio con maggiore concentrazione. Gli usi delle castagne in cucina sono molti, a partire dalle caldarroste, solitamente preparate sulle braci o sui caminetti a legna, per arrivare alla cottura in acqua bollente. Dalla loro essiccazione si ricava la farina di castagne, che viene usata per la preparazione del tradizionale castagnaccio, da arricchire con uvetta e pinoli, ma anche per preparare biscotti e paste secche, mentre per quanto riguarda i dolci freschi sono protagonisti i marron glacé e il Mont Blanc, o Montebianco che dir si voglia. Ma le castagne si prestano anche a piatti salati, per esempio come ripieno di paste fresche, farcitura di arrosti, o nelle zuppe, magari insieme alla zucca o ad altre verdure di stagione.

L'autunno è la stagione delle mele, e non solo: ancora sui banchi del mercato si trova tanta uva, ideale per ricette dolci e salate, dalle classiche crostate di frutta fresca alle insalate in abbinata con parmigiano o altri formaggi. Si iniziano a scovare anche i cachi, o loti che dir si voglia. Diventano un perfetto fine cena senza dover fare nulla, solo ricavarne la polpa e aggiungere un biscotto di pasta frolla. Ma si può anche lavorare di fantasia e creare un tiramisù ai cachi con una crema alla frutta. Concludendo ci sono anche melagrane (usatene i chicchi per rinfrescare i piatti di carne), la carruba e le sorbe, e ancora susine e fichi maturati a fine settembre.

 

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lattuga, radicchio, bietola, asparago, indivia, borragine, sedano, spinacio, rucola, catalogna, cavolo, basilico, bietola, spinaci, cardo, cicoria;

 

 

BIETOLA

La bietola è una pianta erbacea che appartiene alla famiglia delle Chenopodiaceae, esattamente come la barbabietola, ovvero la Beta vulgaris. Originaria dell’Europa meridionale e del Nord-Africa, poi diffusa in America ed in Asia, la bietola cresce spontanea in molte regioni del Mediterraneo, anche se nelle nostre zone viene coltivata soprattutto come pianta da orto.

Di questo ortaggio esistono numerose varietà poiché viene coltivato praticamente in tutte le zone del mondo con clima temperato, preferibilmente in un terreno profondo e fresco, che deve essere tenuto sempre umido e molto drenato, senza ristagni d’acqua. La semina della bietola avviene due volte all’anno: la prima nel mese di febbraio, in modo che la pianta possa maturare durante l’estate, la seconda nel mese di settembre per poter eseguire la raccolta durante la primavera. Per svilupparsi nella maniera migliore è necessario piantare le piantine di bietola a distanza di circa 50 centimetri l’una dall’altra.

 In generale si possono distinguere due tipi principali di bietola: la bietola da coste e la bietola da foglie. La bietola da coste ha foglie di colore verde scuro e presenta un gambo molto grande e carnoso, mentre la bietola da foglie ha le coste più piccole ma presenta foglie più sviluppate e di un colore verde brillante. Queste due tipologie di bietola sono diffuse nel nostro Paese, ma vengono coltivate soprattutto nelle regioni della Puglia, Liguria, Lazio e Toscana.

Le bietole hanno un ciclo vitale annuale o biennale: la raccolta della parte edibile della pianta avviene con il taglio delle foglie, quando raggiungono la lunghezza di circa 20 centimetri. Le radici rimangono intoccate nel terreno in modo da poter sviluppare un nuovo apparato fogliare. Questo tipo di raccolta non è però valida per tutte le varietà: ad esempio, le bietole a costa larga, vengono raccolte asportando tutta la pianta.

La bietola ha notevoli proprietà nutrizionali, è costituita per la maggior parte da acqua e non presenta alcun tipo di colesterolo: questa proprietà la rende particolarmente digeribile e indicata per contrastare situazioni di obesità.

Nonostante la sua leggerezza, la bietola fornisce però un buon apporto energetico, grazie alla composizione di molti sali minerali, fra cui sono rilevanti potassio, magnesio, ferro e calcio. Notevole anche la presenza di vitamine K, A e C, riscontrabile nelle foglie e da cui si possono trarre benefici evitando di cuocerle ad alte temperature e prediligendo la cottura a vapore o con poca acqua, al fine di non disperderne le sostanze nutritive.

La bietola ha proprietà rinfrescanti e diuretiche: è infatti indicata nei casi di cistite e di malattie renali poiché favorisce l’eliminazione delle sostanze tossiche e dei grassi in eccesso che si accumulano nell’organismo. Inoltre, la bietola stimola inoltre la produzione dei succhi gastrici e della bile e favorisce la digestione. Grazie alle fibre contenute, la bietola ha proprietà regolatrice dell’attività intestinale, aiuta la motilità e combatte con efficacia la stitichezza.

Notevoli anche le proprietà antiossidanti delle bietole: questi ortaggi contengono betacarotene, vitamina E, vitamina C, zinco, luteina, zeaxatina, quercetine e molte altre sostanze che aiutano a prevenire l’invecchiamento. Molto apprezzate anche le proprietà antitumorali grazie alla presenza della clorofilla che agisce con una funzione protettiva, e antianemiche, grazie alla presenza di acido folico e ferro.

I benefici che la bietola apporta all’organismo sono tantissimi. Infatti, la bietola è infatti ricca di fibre, e quindi favorisce la regolarità intestinale, ed è anche ricca di luteina e beta-carotene, e per questo efficace anche come antiossidante.

L’abbondanza della vitamina K presente nelle bietole è considerata un aiuto efficace per mantenere il corretto funzionamento sia del cervello che del sistema nervoso, poiché è fondamentale nello sviluppo della guaina mielinica, lo strato che protegge i nervi.

Questi ortaggi tengono anche sotto controllo la pressione sanguigna, perché ricche di potassio: sarebbe quindi indispensabile assumerne la giusta quantità tutti i giorni. Sono anche una buona fonte di ferro, un elemento importante per mantenere in forma il sistema circolatorio ed evitare il rischio di contrarre l’anemia. Arricchire la dieta con le bietole e altre verdure contenti ferro aiuta notevolmente a scongiurarne il rischio.

Le bietole sono ricche di biotina, una vitamina essenziale per contribuire alla crescita e alla salute dei capelli. Grazie alla biotina e ad altre sostanze utili nelle bietole è favorita la produzione di sebo da parte dei follicoli e i capelli si mantengono in salute. Infine, la presenza di fibre vegetali è anche utile per regolare i livelli di glucosio nel sangue.

 

 

L’utilizzo della bietola in cucina è aumentato notevolmente e si tratta di un prodotto commestibile in quasi tutte le sue componenti. Prima di tutto, è bene distinguere due tipi principali di bietola: la prima è la bietola da taglio, detta comunemente erbetta, che presenta foglie larghe con grandi nervature, la seconda è la bietola da coste, che presenta invece gambi molto lunghi ed è di colore bianco, ma è disponibile in commercio nei colori violetto, rosso o giallo. La bietola è utilizzata in cucina sotto forma di contorno o come ingrediente per la preparazione di piatti gustosi e nutrienti: è importante sottolineare che, nella preparazione, è indispensabile evitare che vadano disperse le sue sostanze nutritive, preziose per la salute dell’organismo. Per ovviare a questo inconveniente, occorre utilizzare metodi di cottura appropriati, come ad esempio la cottura a vapore oppure la lessatura, facendo attenzione ad utilizzare una quantità di acqua non eccessiva.

 

 

 

Oltre che in cucina, le bietole possono essere impiegate anche per realizzare una serie di rimedi naturali fai da te molto efficaci. Tra questi rimedi il più noto è il decotto di bietole, indicato per le sue proprietà diuretiche, ma ideale anche come coadiuvante per le infiammazioni del sistema urinario. Inoltre, le bietole sono anche indicate per alleviare il problema della stitichezza e quello delle emorroidi. E’ possibile preparare un decotto con le bietole facendo cuocere 50 g di foglie in 1 litro d’acqua per circa 20 minuti, poi filtrare. Bere 2 tazze di decotto al giorno fino alla scomparsa dei disturbi.

Un altro rimedio efficace prevede la preparazione delle bietole lessate, tritate e lasciate raffreddare: dopo qualche minuto fare un composto da applicare su foruncoli, ascessi o anche brutte e fastidiose scottature. Il loro effetto è praticamente immediato, e lenisce in maniera significativa il bruciore o l’infiammazione.

La bietola non ha particolari controindicazioni o effetti collaterali, ma è preferibile non utilizzarla da donne in stato interessante per la sua azione utero-stimolante che potrebbe portare conseguenze spiacevoli. Inoltre, è anche sconsigliata per i soggetti che hanno problemi di calcoli e coleocistite. Come può accadere con altri cibi, alcune persone possono essere allergiche alla bietola e il suo consumo può provocare eruzioni cutanee e anche gonfiore.

https://www.portalebenessere.com/bietola-proprieta-benefici-valori-nutrizionali-calorie/1802/

 

 

lattuga, radicchio, bietola, asparago, indivia, borragine, sedano, spinacio, rucola, catalogna, cavolo, basilico, bietola, spinaci, cardo, cicoria;

 

 

 

SEDANO

Il sedano è una specie erbacea biennale appartenente alla famiglia delle Apiaceae, originaria della zona mediterranea e conosciuto come pianta medicinale fin dai tempi di Omero.

Il grado di utilizzo nella cucina siciliana è discretamente ampio: mangiato cotto ma soprattutto a crudo, rappresenta un utile "sneak" pre-pasti, anche se molto spesso il "VERO" impiego in Sicilia è nelle insalate!

Un gambo di sedano di medie dimensioni conta solo circa 6 calorie!

Oltre ad essere un utile ed insaporitore alimento, rappresenta una fonte interessante di fibre per l'organismo. È falsa la credenza che il sedano abbia così poche calorie, che ce ne vogliono più a mangiarlo di quante ne ricavi l'organismo a digerirlo. (fonte Wikipedia.it)

Per la presenza di alcune proteine allergizzanti (Api g 1 Api g 4 Api g 5), può essere causa di allergia alimentare anche grave.

 Forse non tutti sanno che...Selinunte (in greco Selinos, in latino Selinus) era un'antica città greca situata nella costa sud occidentale della Sicilia: il nome della città deriva dal sedano selvatico che i coloni vi trovarono in grande abbondanza. Sembra che Selinunte, in quel periodo, fosse uno dei maggiori centri di produzione e commercializzazione del sedano. Una pianta di sedano era raffigurata perfino nelle monete coniate in città. Ippocrate (460 a.C. - 377 a.C.), padre della medicina, scriveva: «Per i nervi sconvolti, il sedano sia il vostro alimento e rimedio». I romani lo utilizzavano abbondantemente in cucina, sia per il suo inconfondibile aroma, sia perché pensavano potesse contrastare gli effetti dell'alcol. Durante i banchetti romani non era raro vedere dei commensali con le teste adornate da corone di sedano. Nel Medio Evo il sedano ebbe un ruolo di rilievo nella vita delle popolazioni europee, soprattutto per le sue proprietà curative. Ildegarda di Bingen (1098-1179), conosciuta anche come Santa Ildegarda, mistica e religiosa benedettina fondatrice del monastero di Bingen, usava il sedano come rimedio contro la depressione.

http://mangiobenemangiosiciliano.blogspot.it/2013/03/sedano-per-i-siculi-amici-semplicemente.html

 

 

 

 

 

 

 

 

ortaggi da tubero: patata, topinambur

ZENZERO

Tonico, stimolante, digestivo, antinfiammatorio e tanto altro.. questo è lo zenzero. Una spezia dalle grandissime proprietà curative. Ricco di proprietà, lo Zenzero (Zingiber officinale Roscoe), conosciuto anche con il nome inglese Ginger, è una pianta erbacea perenne, alta circa 90cm e appartenente alla famiglia delle Zingiberacee. La pianta del Ginger presenta un fusto sotterraneo, formato da un rizoma ramificato da cui nascono i fusti vegetativi. La parte medicinale dello zenzero è proprio il rizoma (che la maggior parte delle persone lo chiama erroneamente radice), ricco di olio essenziale, gingerina, zingerone, resine e mucillagini. Originario dell’India e della Malesia, lo zenzero si sviluppa meglio in posti tropicali (con alte temperature e umidità elevata) ma coltivare lo zenzero non è così difficile anche da noi, sia in terra piena che in vaso (ma deve’essere largo perchè la pianta si sviluppa in larghezza). Per coltivare lo zenzero in casa è possibile prendere il rizoma e piantarlo sotto la terra a pochi centimetri. Innaffiare spesso ma con poca acqua (va bene anche nebulizzarlo con acqua per ricreare l’umidità tipica di paesi di origine). In inverno bisogna stare attenti alle basse temperature che possono danneggiare la pianta. Leggi anche » » » Zenzero e limone: i benefici e 5 ricette speciali Le proprietà dello Zenzero Lo zenzero contiene acqua, carboidrati, proteine, amminoacidi, diversi sali minerali tra cui manganese, calcio, fosforo, sodio, potassio, magnesio, ferro e zinco, vitamine del gruppo B, vitamina E e olio essenziale. Questa spezia gode di tantissime proprietà curative. Vediamo ora in dettaglio le sue caratteristiche. Antitumorale Di recente un gruppo di ricercatori del Hormel Institute (Università del Minnesota) ha messo in evidenza proprietà antitumorali di questa spezia nei casi di carcinomi del colon-retto: assumere zenzero ogni giorno infatti, avrebbe una funzione protettiva contro i tumori del colon retto. Ann Bode, il ricercatore a capo dello studio, ha dichiarato: “alle piante della famiglia dello zenzero sono attribuiti poteri preventivi e terapeutici, oltre a un’attività anti-cancro“.

 

Zenzero contro la nausea Grazie alle sue proprietà, lo zenzero è usato tradizionalmente come digestivo e amaro-tonico. Studi scientifici hanno dimostrato una reale efficacia dello zenzero contro la nausea, in particolare è molto apprezzato in caso di nausea da gravidanza, mal d’auto e mal di mare. In particolare un infuso prearato con 5 grammi di radice di zenzero in 1/2 litro d’acqua o la radice da masticare risulta assai efficace contro la nausea. Zenzero per il benessere dello stomaco Lo zenzero fa bene a tutto l’apparato digerente grazie alle sue proprietà gastroprotettive ed è molto utile (se utilizzato a basse dosi) anche contro la gastrite e ulcere intestinali. I principi attivi dello zenzero infatti sono molto efficaci contro l’Helicobacter pylori, il batterio responsabile proprio delle ulcere allo stomaco. Inoltre lo zenzero stimola la digestione, combatte la diarrea e aiuta l’eliminazione dei gas intestinali. In caso di stati influenzali Stimolante del sistema immunitario lo zenzero è da millenni utilizzato dalle popolazioni asiatiche per combattere raffreddore e febbre. È anche un valido aiuto contro tosse e catarro. Grazie alle sue proprietà antisettiche e antinfiammatorie inoltre, lo zenzero è di grande aiuto anche in caso di infammazioni alla gola (faringite, laringite, ecc..). Antinfiammatorio e analgesico Recenti studi hanno dimostrato che lo zenzero, grazie alle sue spiccate proprietà antinfiammatorie, allevia il mal di testa, riduce efficacemente i dolori articolari e muscolari e allevia le infiammazioni di stomaco ed esofago.

Zenzero: uno dei sette antinfiammatori naturali Zenzero: alleato del cuore Il rizoma di zenzero è un buon anticoagulante e come tale contribuisce a ridurre la formazione di coauguli nelle arterie, abbassa i livelli di colesterolo nel sangue e, secondo alcuni studi scientifici, lo zenzero diminuisce la pressione sanguigna. Quest’ultimo aspetto tuttavia è ancora oggetto di discussione, pertanto il nostro consiglio è quello di rivolgersi al proprio medico per valutare con lui la possibilità di usare questa spezia qualora si soffra di disturbi alla pressione. SCARICA ↓ Qualche consiglio su come utilizzare lo zenzero Utilizzare lo Zenzero in cucina Di questa pianta si utilizza in cucina il rizoma (chiamato anche radice), spesso grattugiato o ridotto in polvere. Questa spezia dal sapore delizioso e leggermente piccante, si utilizza nei piatti a base di carne, pesce e verdure. Inoltre è molto utilizzato per preparare torte e biscotti (specie quelli natalizi). Con lo zenzero (fresco o secco) si può preparare un ottimo decotto dalle proprietà digestive. Talvolta vengono usati anche i germogli, le foglie e le infiorescenze che si possono consumare crudi o cotti. Il Ginger si usa fresco o essiccato, sia a pezzi che ridotto in polvere da usare su numerose preparazioni culinarie. Per saperne di più sugli usi di questa spezia in cucina vi invitiamo a leggere la nostra guida completa: Come utilizzare lo zenzero in cucina. Utilizzare lo zenzero a scopo terapeutico: quanto usarne? Per beneficiare delle proprietà dello zenzero si può utilizzare una tisana, oppure può essere utilizzato sottoforma di polvere (1 gr circa) da mescolare con un bicchiere di acqua calda, o ancora sotto forma di capsule, estratto liquido o secco da assumere secondo le modalità riportate sulla confezione. Come fare la tisana allo zenzero Per fare la tisana allo zenzero si procede così: tagliate a fette sottili (o piccoli cubetti) circa 10 gr di radice fresca privata della pellicina esterna, lasciatela bollire in acqua per 7/8 minuti, spegnete il fuoco e filtrate. In alternativa potete preparare una tisana con zenzero secco, il procedimento è il medesimo però utilizzatene circa 1 grammo. Una volta preparata la vostra tisana allo zenzero potete gustarla così com’è o aggiungere a piacere miele e/o succo di limone. Un pezzetto di radice fresca o secca si può masticare all’occorrenza in caso di dolori intestinali, nausea o crampi allo stomaco. Generalmente si consiglia di non assumere più di 15/20 grammi di rizoma fresco o 3/4 gr di radice secca o polvere per evitare l’insorgere di fastidiosi disturbi intestinali. Infine in commercio vi è anche l’olio essenziale di zenzero, da diffondere nell’aria o da utilizzare per via cutanea.

Vediamo ora le controindicazioni dello zenzero e quando è meglio non assumerlo. Sebbene sia utile in caso di nausee, consultare il medico prima di utilizzare lo zenzero in gravidanza. Evitare l’assunzione in caso di allergia a uno o più componenti presenti. L’allergia allo zenzero si nota con la comparsa di rossori sulla pelle ed eruzioni cutanee. Inoltre è bene non abusare di zenzero: l’uso massiccio di zenzero infatti può provocare gastrite, ulcere e gonfiori intestinali invece che curarli. Nel caso si soffra di questi disturbi gastrointestinali è bene consultare il medico prima di assumere questa spezia, che valuterà la possibilità o meno di assumerla (iniziando comunque con piccole dosi). Evitare l’uso dello zenzero in contemporanea a farmaci antinfiammatori e ipotensivi. Dato il suo effetto fluidificante del sangue, si consiglia sempre di consultare il medico prima di fare uso di zenzero nel caso in cui si assumono farmaci antiaggreganti e anticoagulanti (Coumadin, Cardioaspirina, ecc…). Curiosità Nell’antichità gli indiani usavano masticare zenzero quale purificatore dell’alito prima delle cerimonie religiose: con la bocca purificata infatti potevano cantare e parlare agli dei.

 Fonte: http://www.viversano.net/alimentazione/mangiare-sano/zenzero-gli-utilizzi-e-proprieta/

 

carciofo, cavolfiore, broccolo;

 

CAVOLO RAPA DI ACIREALE "TRUNZU DI ACI"

 

Il cavolo trunzu è un cavolo rapa (Brassica oleracea var. gongylodes ) coltivato da sempre nel catanese, in particolare negli orti di Acireale e delle località vicine. E’ di piccole dimensioni ma è riconoscibile in particolare perché la parte edule, presenta striature violacee, comune a molte a molti ortaggi coltivati nei terreni lavici dell’Etna.Come tutte le crucifere o brassicacee (cavoli, ravanelli, broccoletti, ecc.) contiene molti minerali e vitamine; la ricerca medica attribuisce a questi ortaggi anche una forte azione detossificante importante per prevenire l’insorgere di forme tumorali. Proprietà esaltate dai terreni di particolare qualità e dell’ambiente in cui viene coltivato.

Già dalla prima metà del Novecento il cavolo trunzu (il nome riprende un epiteto con il quale i catanesi prendono in giro gli abitanti di Aci) era protagonista sui mercati ortofrutticoli della vicina città capoluogo. Negli anni Quaranta la coltivazione del cavolo è diminuita, soppiantata da produzioni più redditizie.Nel secondo dopoguerra le aree coltivate vicino alla città di Catania in generale sono diminuite, la città si è allargata a dismisura e si sono moltiplicati i centri commerciali, molti agricoltori sono emigrati al nord oppure in America, altri hanno invece trasferito l’attività nel ragusano.

 

 

 

 

 

 

 

 Oggi nell’area storica di produzione gli orti coltivati a cavolo trunzu non raggiungono l’ettaro di superficie, e molte coltivazioni si sono estese anche in altre aree dell’Etna: a Milo, Adrano, e in altri orti della cintura. Il mercato catanese richiede questa specialità ma le tecniche di coltivazione sono cambiate rispetto a settant’anni fa, i cavoli spesso sono eccessivamente spinti con concimi chimici e,per questo si ottengono anche tre raccolti l’anno, quando in passato se ne otteneva uno, al massimo due. La produzione migliore si raccoglie da ottobre a novembre.

il cavolo trunzu si produce in due cicli, da maggio a giugno e da ottobre e novembre.

http://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/cavolo-trunzo-di-aci/

 

 

 

 
 
 
 

 

CAVOLFIORE VIOLETTO

Cavolfiore violetto di sicilia è una varietà tipica. L'infiorescenze sono di ottima qualità, molto uniforme, dal peso elevato di kg 1,5 e dal colore violetto intenso. Si raccoglie a 100-110 giorni dal trapianto. Le varietà di cavolfiore violetto che mettiamo a disposizione consentono l'adattamento ai diversi ambienti e ai diversi periodi dell'anno. Il cavolfiore violetto è una varietà nostrana che si contraddistingue dagli altri cavolfiori per il suo sapore inconfondibile e unico. In cucina le ricette più utilizzate sono: cavolfiori gratinati, cavolfiori in pastella, fritti, a forno o semplicemente lessati e conditi con olio e sale.

Informazioni nutrizionali: Ricco di sali minerali Calcio e Potassio, fibre, antiossidanti e Vitamina B2 in grado di stimolare la produzione di globuli rossi nel sangue, quindi ottimo rimedio per chi ha problemi di anemia. Inoltre i cavolfiori sono a basso contenuto calorico e privi di glutine, infatti sono molto utilizzati nelle diete ipocaloriche.

Curiosità: I broccoli sono molto utilizzati in cucina fin dai tempi antichi, per le loro proprietà organolettiche e salutari, ma una nota dolente per questi ortaggi è purtroppo l'odore, alquanto sgradevole, sprigionato durante la cottura: ciò e dovuto alla presenza dello zolfo contenuto in discreta quantità nei loro tessuti. A tale problema possiamo rimediare, mantenendo le nostre case integre e profumate, spremendo un limone nell’acqua di cottura. La cottura a vapore è quella che riesce ad esaltare il sapore dei broccoli ed a mantenere inalterate tutte le loro proprietà benefiche e nutritive.

https://www.ilgiardinodellemeraviglie.it/it/cavolfiore-violetto-di-sicilia.html

 

 

ortaggi da frutto: cetriolo, carosello, zucchina, zucca, peperone, melanzana, fagiolino, pomodoro;

 

 

 

 

 

ZUCCA

Con il termine zucca vengono identificati i frutti di diverse piante appartenenti alla famiglia delle Cucurbitaceae, in particolare alcune specie del genere Cucurbita (Cucurbita maxima, Cucurbita pepo e Cucurbita moschata) ma anche specie appartenenti ad altri generi come ad esempio la Lagenaria vulgaris o zucca ornamentale. Il periodo di raccolta in Italia va da settembre a tutto novembre.

La zucca è comunemente usata nella cucina di diverse culture: oltre alla polpa di zucca, se ne mangiano anche i semi, opportunamente salati. La zucca è un ortaggio che si presta a mille ricette: si consuma cucinata al forno, al vapore, nel risotto o nelle minestre, fritta nella pastella. Particolarmente famosi sono i tortelli alla mantovana, ripieni appunto dell'omonima varietà di zucca. Dai semi si ottiene un olio rossiccio usato in cosmesi e cucina tradizionale. Anche della zucca si possono usare i fiori, solamente quelli maschili, quelli cioè con il gambo, che si chiama peduncolo, sottile, che dopo l'impollinazione sono destinati ad appassire, da friggere, dopo averli impanati, come quelli delle zucchine.

Nei paesi anglosassoni la zucca è utilizzata per la costruzione della Jack-o'-lantern, caratteristica lanterna rudimentale utilizzata durante la festa di Halloween per scacciare Spiriti maligni che secondo la leggenda vagano sperduti sulla terra e si dice che se una persona o un animale posseduto da uno di questi spiriti si avvicini alla casa in cui è presente una zucca quest'ultima si illumini di un azzurro intenso e lo spirito che tenta di entrarvi viene intrappolato nella fiamma della zucca

La zucca è stata importata in Europa dai coloni spagnoli dall'America

(Wikipedia)

 

 

 

 

 

  

IL POMODORO DI BELMONTE

è un prodotto caratteristico dell'omonima località (Belmonte calabro) in Provincia di Cosenza. Stando alle tradizioni calabresi, il pomodoro Belmonte è stato introdotto nei primi anni del Novecento, quando un emigrante calabrese fece ritorno da un lungo viaggio in America, ritornando in patria con i semi di questa impressionante varietà.

Dal 2003, il pomodoro Belmonte è l'unico pomodoro italiano a fregiarsi del marchio "Denominazione Comunale d'Origine" (De.C.O.) . Questa etichetta, proprio per identificarlo in modo inconfondibile, è appiccicata su ogni frutto.

È stato inserito dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali nell'elenco degli alimenti tipici della tradizione enogastronomica calabrese: la zona di Cosenza non è solo la patria d'origine del Pomodoro Belmonte Calabro ma anche la terra che assolve circa il 70% dell'intera produzione. La coltivazione di questo pomodoro racchiude una forte tradizione, basterà pensare che nel borgo di Belmonte Calabro sono molti i contadini che eseguono manualmente la selezione dei nuovi semi per la produzione delle piantine.[

Le costolature non molto marcate dal peduncolo scendono fino alla parte terminale. In altri casi si presentano marcate come nel Marmande dell'Aquitania. La forma tipica del frutto è oblunga con accenno a goccia, con ingrossatura nel mezzo, spesso con umbone evidente; In questo caso ricorda nella forma la cultivar cuore di bue. Caratteristiche di pregio sono la serbevolezza, la colorazione e la consistenza della polpa che non è mai acidula. Sembra che la varietà sia un ibrido tra le cultivar Marmande e Cuore di bue, dal momento si osservano caratteristiche intermedie tra le due cultivar.

In commercio si trova una cultivar a frutto rosso, ma non presenta le caratteristiche tipiche del "belmonte". Infatti, questo e da ritenersi una ibridazione con i caratteri dominanti del Marmande. Il pomodoro detto belmonte rosso si presenta con pezzature inferiore rispetto alla cultivar tipica, con acquosità abbondante e mancanza di turgore. Quest'ultima varietà è stata scelta per la riproduzione commerciale, soprattutto per la ridotta pezzatura dei frutti ( fino a 350 gr.). La qualità di questa cultivar, comunque, è molto distante dal rappresentare la cultivar tipica di "Belmonte".

L'habitat ideale del "Belmonte" è la collina con terreni profondi di medio impasto. Considerando la crescita della pianta, la coltivazione avviene con filari caratterizzati da una separazione di circa 50/60 cm tra le file e da oltre 120 cm di spazio tra le interfile. La crescita della pianta viene assistita da tutori essere capaci di sostenere il peso dei frutti che può essere considerevole, specie per quelli basali, che raggiungono il perso di 1 kg con pezzature che spesso superano i 2 kg. È necessario espungere tutti i getti laterali, ed eventuali polloni alla base, al fine di non indebolire la pianta ottenendo frutti a basso tenore organolettico.

Il pomodoro Belmonte viene tagliato a grandi fette, alla stregua di una bistecca fiorentina vegetale, per essere posto in piatti piani. Viene servito dopo averlo condito con olio extra vergine di oliva, sale grosso, basilico (o origano) e peperoncino.

(Wikipedia)

 

 

   

Il Belmonte è una particolare tipologia di pomodoro con pianta a crescita indeterminata e vigorosa. I frutti si presentano tondi globosi leggermente costoluti, di grande dimensioni, possono arrivare ad un peso di 1,3 kg. La polpa del pomodoro Belmonte, con pochissimi semi, è ottima per insalate, sughi e salse.

 

Ciclo precocissimo con maturazione contemporanea.

Bacca tondo-quadrata con pezzatura uniforme, 40-45 gr

Colore rosso brillante e ottime caratteristiche organolettiche sia sul fresco che sul trasformato

Resistente al TSWV Adatto sia all’industria che al mercato fresco nel Sud Italia

 

 note tratte da  www.saporidipachino.it

 

 

 

 

I BUTTIGGHI

Un rituale che si tramanda di generazione in generazione, un meraviglioso momento da condividere in famiglia, che ha tutto il colore e il profumo della migliore cucina siciliana. I 'buttigghi' – cioè le bottiglie – sono le conserve di pomodoro preparate in Sicilia in diverse località, secondo un metodo che non teme il passare del tempo. Ogni anno, nella stagione estiva, ci si riunisce per preparare la salsa di pomodoro, che verrà poi gustata nel corso dei mesi successivi. Il video che vi proponiamo è stato realizzato lo scorso 9 luglio a Minciucci, una contrada vicino Modica, dalla regista Alessia Scarso, che ha diretto il film "Italo".

http://www.siciliafan.it/video/i-buttigghi-ecco-come-si-fanno-le-fantastiche-conserve-di-pomodoro-alla-siciliana-video/

 

 

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Quando preparare l’estratto di pomodoro diventa una festa: ed è subito “Ciauru ri astrattu”

 7 Settembre 2016 - di Clara Minissale

 

Un entusiasmo contagioso e la voglia di raccontare, di far sapere a tutti che il giorno in cui si prepara l’estratto di pomodoro, di fatto, è una grande festa che coinvolge la famiglia e l’intera comunità.

 "Ciauru ri astrattu", la manifestazione organizzata ieri ad Aspra, frazione del comune di Bagheria in provincia di Palermo, dall’associazione culturale “Anna Varisco”, ha portato a Piano Stenditore, il lungomare della borgata marinara, una quindicina di donne esperte nella preparazione dell’astrattu, il concentrato di pomodoro, fatto alla maniera antica. Nel corso della mattinata, in barba alle nubi che hanno provato a rovinare la festa, il pomodoro è stato passato, salato e steso sulle vecchie tavole di legno, le maidde, seguendo la tradizione della preparazione dell’estratto tramandata oralmente da madre in figlia. Ciascuna delle donne presenti lo ha visto fare per anni dalle mamme e dalle nonne e oggi, a loro volta, insegnano tecniche e metodi di lavorazione alle più giovani.

 Una buona manualità, un po’ di pazienza perché il sole faccia il suo lavoro di essiccazione del succo, cento grammi di sale per ogni chilo di pomodoro e dopo circa due giorni – preparazione delle maidde comprese – l’estratto è pronto per essere conservato in dispensa, a disposizione per tutto l’inverno.

“Nella nostra cucina è fondamentale – dice Pina Balistreri, una delle quindici esperte – Noi con l’estratto facciamo la pasta con le sarde, la pasta col ragù alla palermitana e poi qui ad Aspra prepariamo la pasta cu salamuricchiu con acciughe, estratto e mollica atturrata e un sugo con le parti meno nobili del maiale”.

Salatura, essiccazione e arriminata fatta rigorosamente con le mani, sono fondamentali per ottenere un estratto a regola d’arte.

E quando il sole e le mani esperte hanno completato il loro lavoro, l’estratto è stato raccolto e messo a disposizione di una decina di chef locali che si sono sbizzarriti nella preparazione di piatti a cavallo tra tradizione e innovazione.

 “L’estratto non può mai mancare nella mia cucina – ha detto lo chef una stella Michelin Tony Lo Coco de I Pupi di Bagheria – e quindi mi sono divertito a fare un grande classico, la pasta c’anciova e una sua rivisitazione, spaghetto fritto con una pennellata di anciova e mollica caramellata”.

Ma nella corte interna di Villa Sant’Isidoro ad Aspra, che ha ospitato le seconda parte della manifestazione, si sono degustati anche altri piatti in cui l’estratto è stato protagonista. Dalle margherite con l’anciova di Domenico Balistreri di Sapore di Mare ai paccheri con estratto, gamberetti, curry e finocchietto di Ignazio Modica di Kalambaca; dalla tonnina con estratto e panatura di mandorle e menta di Claudio Oliveri di Donna Concetta, alla pizza di Gino D’Aniello di Colapisci fatta con il condimento della pasta con le sarde.

E ancora focaccine di grani siciliani con fichi, primo sale, acciughe e un ciuffo di estratto dell’Antica Focacceria, pane cunzatu con estratto, cipolle, olive, acciughe e ragusano di Renato Monticciolo di Bitta, purpiceddi murati di Fortunato Restivo de Il Corallo e polpette di melenzane e bocconcini di ricotta e pecorino di Giovanni Librizzi di Osteria Donna Luisa. E come dolce le sfincette con zucchero e cannella di Don Gino.

 Per accompagnare i piatti, tutti cucinati al momento, cinque banchi d’assaggio di vini siciliani divisi per vitigno Nerello Mascalese, Nero d’Avola, Grillo, Inzolia e Zibibbo.     

http://www.cronachedigusto.it/archiviodal-05042011/315-la-manifestazione/20043-2016-09-07-16-05-14.html

 

 

 

 

fava, pisello, fagiolo, lenticchia, cece, cicerchia, lupino

 

 

FAGIOLO BADDA DI POLIZZI

 

Da due secoli negli orti di Polizzi Generosa, nel Parco Naturale delle Madonie, si coltiva un fagiolo bicolore: medio piccolo e tondeggiante, chiamato badda, cioè palla, in dialetto. È un fagiolo screziato, pressoché sconosciuto fuori dalle Madonie, dalla colorazione unica: è infatti bicolore e, di volta in volta, può essere avorio con macchie rosate e aranciate, oppure avorio con macchie viola scuro, quasi nere. Si tratta indubbiamente di due ecotipi locali che si sono acclimatati benissimo, nel tempo, in questa zona. I polizzani lo chiamano anche fasolo badda bianca oppure badda niura o munachedda, a seconda che sia prevalente la colorazione rosato-aranciata oppure quella scura. I fagioli badda sono coltivati nei piccoli orti familiari e i contadini del luogo, per secoli, hanno riprodotto il seme autonomamente. Nelle zone più alte di Polizzi, in gran parte all’interno del Parco Naturale delle Madonie, che qui chiamano muntagna, la semina inizia la prima settimana di giugno: tradizionalmente si seminano i fagioli il giorno di Sant’Antonio da Padova. Alla marina invece, cioè a quote più basse, la semina si fa più tardi, oltre la metà di luglio, quando inizia a scemare il calore estivo. Le piante si arrampicano intorno a quattro canne sistemate a forma di piccola capannina: u’pagliaru.

La raccolta dei baccelli verdi inizia dopo circa 60 giorni, secondo le quote si può arrivare sino a novembre. La raccolta dei fagioli da essiccare, invece, si fa da ottobre e novembre, prima che i baccelli si aprano e lascino cadere il seme. È un fagiolo sapido, con note erbacee e perfino salmastre, leggermente astringente, con sentori di castagna e mandorla nel finale. Con la cottura acquisisce una giusta cremosità, senza sfaldarsi. Il fagiolo badda viene raccolto da agosto a settembre, il prodotto essiccato può essere reperito tutto l’anno.

http://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/fagiolo-badda-di-polizzi/

Da oltre due secoli negli orti di Polizzi Generosa, nel Parco Naturale delle Madonie, si coltiva un fagiolo medio piccolo e di forma tondeggiante, chiamato in dialetto “badda”, cioè palla.

E’ un fagiolo dalla colorazione unica, bicolore, con una suddivisione netta tra le due colorazioni distinte che, di volta in volta, può essere avorio con macchie rosate, aranciate, oppure avorio con macchie viola scuro, quasi nere. Si tratta indubbiamente di due ecotipi locali che si sono acclimatati nel tempo nelle aree collinari del territorio polizzano.

A Polizzi lo chiamano anche fagiolo “badda bianca” oppure “badda niura” o “munachedda”, nel caso sia prevalente la colorazione rosata – aranciata oppure quella scura. I fagioli “badda” sono coltivati in piccoli orti familiari e i contadini della zona per secoli sono stati i custodi del seme originario.

Nelle zone più alte del territorio di Polizzi Generosa, la “muntagna”, la semina inizia la prima settimana di giugno: tradizionalmente si seminano i fagioli il giorno di S. Antonio da Padova. Alla “marina”, cioè a quote più basse, la semina inizia più tardi, oltre la metà di luglio, quando inizia a scemare il calore estivo.

 I fagioli si arrampicheranno intorno a quattro canne sistemate a forma di piccola capannina: “u pagghiaru”. La raccolta dei baccelli verdi, i “fasoli virdi”, inizia dopo circa 60 giorni e secondo le quote si può arrivare sino a novembre. La raccolta dei fagioli da essiccare invece si fa da ottobre a novembre, prima che i baccelli si aprano e lascino cadere il seme.

 E’ un fagiolo sapido, con note erbacee e perfino salmastre, leggermente astringente, con sentori di castagna e mandorla nel finale. Con la cottura acquisisce una giusta cremosità, senza sfaldarsi. Ha inoltre la caratteristica di essere estremamente digeribile e di non causare gonfiori durante la digestione.

 Il Consorzio di Valorizzazione e Tutela, recentemente costituito a seguito dell’istituzione del Presidio Slow Food, vuole ampliare la conoscenza e sviluppare la coltivazione del Fagiolo Badda in collaborazione con gli enti locali e le istituzioni tecniche e scientifiche.

 

Fonte: http://www.fagiolobadda.it/

 

 

KAKI DI MISILMERI

 

Il kaki di Misilmeri, in siciliano kakì ri Misilmeri, è un albero da frutto del genere Ebenacee, una famiglia di angiosperme dicotiledoni, originario dell'Asia orientale ed è una coltivazione tipica siciliana prodotta nel territorio di Misilmeri vicino Palermo. I frutti del kaki di Misilmeri rientrano nell'elenco dei prodotti agroalimetari tradizionali (PAT) stilato dal ministero delle politiche agricole e forestali (Mipaaf).

La pianta del kaki giunse in Europa nel XVI secolo utilizzata come pianta ornamentale.In Italia arrivò attraverso la città di Firenze dove il primo albero fu piantato nel giardino di Boboli. Nel 1692 fu realizzato a Misilmeri un orto botanico ad opera di Don Francesco Bonanno del Bosco Sandoval (principe della Cattolica e duca di Misilmeri). Don Bonanno si avvalse per la realizzazione del giardino del francescano padre Francesco Cupani da Mirto, il quale introdusse la pianta del kaki con intenzioni ornamentali e scientifiche. Solo negli anni fra il 1925 e il 1930 il kaki di Misilmeri ha iniziato ad essere coltivato e a diffondersi come varietà Farmacista Honorati innestata su Dyospiros virginiana.

 Il kaki di Misilmeri ha un frutto rosso-arancio e foglie ocra cariche di pigmenti antociani. La sua cultivar, la Farmacista Honorati, occupa un'area produttiva di più di 250 ettari. Il frutto ha un sapore molto dolce dato dall’alto contenuto in zuccheri (16%) e quando è maturo ha una polpa deliquescente e profumata con toni vanigliati. Dal punto di vista nutrizionale ha un'elevata concentrazione di vitamina A accompagnata dalle vitamine B1, B2, C e pigmenti flavonici.

La raccolta avviene in ottobre quando ancora la polpa è ancora verdastra, con i frutti che sono raccolti quindi quasi immaturi. Il raccolto viene immesso in un cassone, detto casciuni, viene quindi coperto per dare avvio al processo, detto ammanzimento, con cui il kaki perde la sua allappatura. Il frutto acerbo matura e la sua buccia passa da giallognolo al colore arancio-mattone. Con la sua piena maturazione aumentano gli zuccheri donando un sapore molto dolce al frutto.

Per la promozione e la tutela dei kaki di Misilmeri gli agricoltori della zona si sono associati nell'Associazione Tu.Ka.Mi. Al kaki di Misilmeri è inoltre dedicata una sagra che si tiene in novembre a Misilmeri con degustazione dei kaki, delle sue confetture e dei prodotti di pasticceria con esso prodotti.Durante la sagra si svolge anche una gara di mountainbike. L'iniziativa è associata alla rassegna culturale e enogastronomia della valle dell’Eleuterio.

 

Wikipedia

 

 

 

 

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LE VARIETA' PIU' DIFFUSE IN QUESTO MESE

 

BERGAMOTTO - Cultivar invernale presente sporadicamente nel versante orientale dell’Etna nei territori di Sant’Alfio e Zafferana Etnea. L’albero molto vigoroso ha portamento aperto; le foglie sono lanceolate con margine seghettato e picciolo corto; i fiori hanno petali separati, di forma circolare e margine inciso, fioriscono nella II decade di aprile; i frutti sono piccoli, maliformi, riuniti in gruppi di 3 o 4, il peduncolo di media lunghezza e spessore è inserito obliquamente rispetto all’asse; la buccia è di colore gialloverde con ampia diffusione del sovraccolore rosso e rugginosità intermedia; la polpa è bianca, succosa di buon sapore; si raccoglie nella II decade di ottobre

SPINEDDU - Cultivar molto diffusa soprattutto nelle zone alte del territorio, terza per importanza dopo coscia e Putiru d’estate, gli impianti sono specializzati o promiscui con altre cultivar di pero o di melo. Tipica è la commercializzazione di questi frutti in “pennule” (15-20 frutti legati a gruppi di 2 o 3 con lo spago da conservare appesi in dispensa). L’albero vigoroso ha portamento fastigiato ed è molto produttivo tanto da costringere i produttori a sostenere i rami più carichi con apposite forcelle, elevata è la sensibilità alla psilla. Le foglie sono piccole, lanceolate, con lembo ondulato e picciolo corto; i fiori hanno petali di forma ovale-larga, separati; fiorisce nella III decade di aprile. Il frutto di forma turbinata, presenta peduncolo lungo, sottile, legnoso, resistente; la buccia è di colore verde-giallo, con sfaccettatura rossa e rugginosità intermedia; la polpa è dolce, compatta, tannica e con sclereidi. Si raccoglie nella III decade di ottobre e si conserva in locali freschi o in celle frigorifere fino alla primavera. Si consuma quasi esclusivamente cotto: bollito in acqua o nel mosto. Si presta alla preparazione di marmellate o canditi che assumono una caratteristica colorazione rossa brillante. Si utilizza nella preparazione di alcuni piatti tipici come il coniglio in agrodolce e lo stocco alla messinese.

UCCIARDUNI - Fino alla prima metà del ‘900 era la cultivar di pero più diffusa, soprattutto nel territorio di Bronte, attualmente ha perso interesse commerciale e si mantengono rare piante consociate ad altre varietà e la produzione è destinata al mercato locale. L’albero è vigoroso e ha portamento aperto; le foglie sono grandi di forma subrotonda, con margine dentato e picciolo corto; i fiori hanno petali circolari separati e sbocciano nella I decade di aprile. I frutti di media grandezza, hanno forma turbinato breve, il peduncolo è lungo, di medio spessore inserito obliquamente rispetto all’asse del frutto; la superficie del frutto è irregolare e bitorzoluta, la buccia è verde alla raccolta e diventa gialla alla maturazione di consumo, rugginosità elevata; la polpa color crema, dolce, succosa, fondente e delicatamente aromatica, presenta numerose sclereidi; si raccoglie a fine ottobre e si consuma in inverno fino a febbraio-marzo sia come frutto fresco che cotto. 

Fonte: Antichi frutti dell'Etna, di C. Bonfanti, A. Continella, A. Gentile, S. La Malfa

PASSA CRASSANA

Si raccoglie preferibilmente nella seconda metà del mese di ottobre; raccolte precoci determinano facilmente l’imbrunimento interno della polpa. L’albero è di buon vigore, di messa a frutto precoce e con produttività elevata e costante. Il frutto è grosso (pesa circa 250 grammi), tondeggiante, con buccia verde che diviene giallognola a maturità, con lenticelle evidenti e lieve rugginosità vicina all’inserzione del peduncolo. La polpa, spesso leggermente granulosa, 

PACKHAM’S TRIUMPH

varietà di pere di origine australiana, i frutti sono di grossa pezzatura, dalla forma tondeggiante molto simile alla varietà di pera William, ma molto bitorzoluti. Pera dalla polpa fine, profumata e succosa, ha sapore zuccherino e leggermente acidulo. Questa varietà di pera viene raccolta a partire dalla prima metà di settembre, ha grande resistenza alla manipolazione ed è molto serbevole. 

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La coltura del pero viene effettuata in terreni idonei, che presentano le seguenti caratteristiche: suoli della piana alluvionale, profondi o molto profondi, a tessitura media o moderatamente fine, situati in posizione morfologica e altimetrica favorevole allo sgrondo delle acque.

Le condizioni di impianto, le pratiche colturali e i sistemi di potatura dei pereti sono quelli tradizionali della zona di origine. I sesti di impianto e le forme di allevamento, riconducibili alle coltivazioni a palmetta o a fusetto, non dovranno superare le 5000 piante per ettaro.

 La commercializzazione deve avvenire tra luglio e novembre

La pera da un punto di vista nutrizionale è un armonico complesso di sostanze nutrienti. E’ ricco di zuccheri naturali e semplici, specialmente di fruttosio, ma ideale per la dieta poiché l’apporto calorico è di circa 100 cal. Per questo motivo è consigliato anche ai diabetici o a chi vuole limitare l’apporto di calorie senza rinunciare al sapore dolce del frutto. E' ricca di fibra (un frutto di dimensione media contiene 2,3 grammi di fibra grezza e 4 grammi di fibra dietetica), un elemento indispensabile nella dieta umana che contribuisce a limitare il livello di zucchero nel sangue, aiuta il funzionamento dell’ apparato digerente, riduce il rischio di cancro, abbassa il livello di colesterolo nel sangue. Altro elemento che troviamo nella pera è il potassio: circa 210 mg in una pera di medie dimensioni, elemento molto importante per la salute umana, soprattutto per coloro che praticano sport, per facilitare la contrazione muscolare. Contiene infine la vitamina C, la vitamina antiossidante che regola il metabolismo cellulare e la ricostruzione dei tessuti, previene i danni da radicali liberi, mantiene la pelle giovane e levigata ed aumenta le difese immunitarie contro le più comuni infezioni.

 

 

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LE VARIETA' PIU' DIFFUSE IN QUESTO MESE

 

Gelato Cola - Tra le cultivar autoctone dell’Etna la Gelato cola è quella più diffusa e apprezzata, esistono ancora dei meleti specializzati o promiscui nei comuni di Zafferana Etnea, Biancavilla, Ragalna, Adrano, Santa Maria di Licodia, Pedara, Nicolosi, Trecastagni. Sembra che derivi da un incrocio spontaneo tra Cola e Gelato e che sia stata individuata in contrada Giarrita-Petralia, comune di Sant’Alfio; da qui si è diffusa per le sue interessanti caratteristiche: sapore, precocità, produttività, maggiore pezzatura rispetto a Cola e intenso profumo. L’albero è molto vigoroso e presenta portamento aperto; le foglie sono ellittiche, di medie dimensione, con margine biserrato e picciolo di media lunghezza; i fiori hanno petali di forma ovata, bianchi, con lievi sfumature rosa; la fioritura avviene nella III decade di aprile. Il frutto è piccolo, conico, con peduncolo corto e di medio spessore, la buccia è di colore giallo verde punteggiata, raramente con sovraccolore rosa alla raccolta e diventa giallo crema alla maturazione di consumo; la polpa è bianca, farinosa, succosa, dolce e intensamente profumata. I frutti si raccolgono nella III decade di ottobre e entro novembre sono pronti per il consumo, con la frigoconservazione si può allungare il calendario di commercializzazione fino alla primavera. Si utilizza prevalentemente per il consumo fresco.

Ruggia - Cultivar poco diffusa, deve il suo nome all’intensa rugginosità della buccia. L’albero ha portamento aperto e medio vigore ed è molto produttivo; le foglie sono ellittiche di media dimensione, con margine biserrato e picciolo medio; i fiori sono di media dimensione, hanno petali bianchi con lievi sfumature rosa, di forma ovata, fioriscono nella III decade di aprile. I frutti sono piccoli, di forma arrotondata, con peduncolo corto e di medio spessore; la buccia è rugosa, di colore giallo verde con sovraccolore rosso intenso, la rugginosità è spesso talmente elevata da interessare l’intera superficie del frutto; la polpa è gialla, compatta, poco succosa, dolce e aromatica, con leggero retrogusto di mandorla amara; si raccoglie nella I decade di ottobre e si conserva fino alla fine dell’inverno, si utilizza come frutto fresco.

Cola - Era la cultivar più diffusa sull’Etna fino alla prima metà del ‘900, attualmente la produzione è notevolmente diminuita ed è stata sostituita da Gelato cola e da altre varietà alloctone. Il nome sembra derivi dal fatto che la zona di origine sia quella limitrofa al convento di San Nicola nel territorio di Nicolosi. L’albero è vigoroso ed ha portamento aperto, le foglie sono grandi, di forma ellittica a volte irregolare, con margine biserrato e picciolo lungo; i fiori di media dimensione, hanno petali di forma ovata, sovrapposti, bianchi con sfumature rosa. La fioritura avviene nella III decade di aprile; i frutti sono piccoli, di forma conico allungata, asimmetrica per la presenza di un lobo rilevato, il peduncolo è corto e spesso, la buccia, che è di colore giallo verde alla raccolta, diventa giallo paglierino con punteggiatura rugginosa alla maturazione di consumo.

La polpa che inizialmente è bianca, dolce, acidula, succosa e delicatamente profumata diventa poco succosa e farinosa col progredire della maturazione. Si raccoglie dalla fine di ottobre agli inizi di novembre, si conserva bene nei magazzini di montagna o in cella frigorifera fino a marzoaprile. Le mele cola si consumano prevalentemente come frutto fresco ma possono essere cotte in acqua o al forno.

 

Turco - Unica cultivar dell’Etna a buccia interamente rossa, interessante oltre che per la colorazione anche per il sapore e la pezzatura; la diffusione è attualmente limitata a poche piante sparse. L’albero ha elevata vigoria e portamento assurgente, le foglie di media dimensione sono ellittiche con margine biserrato e picciolo corto; i fiori di media dimensione hanno petali arrotondati e sovrapposti, fioriscono nella III decade di aprile. I frutti sono piccoli, di forma conica, il peduncolo è di media lunghezza; la buccia è liscia, oleosa, di colore giallo verde visibile soltanto in prossimità della cavità peduncolare, con sovraccolore porpora su tutta la superficie, più intenso nella parte esposta al sole. La polpa è bianchissima con sfumature porpora in prossimità della buccia, croccante, acidula, e profumata; si raccoglie nella I decade di ottobre quando la polpa ha perso la colorazione verde e si conserva per qualche mese; con l’avanzare della maturazione i frutti tendono a diventare farinosi. Si utilizza per il consumo fresco.

Bunnanza - Cultivar rara, caratteristica per l’abbondante produzione di frutti portati a gruppi di due o tre su lunghi rami che per il peso si dispongono verticalmente. L’albero di media vigoria ha portamento ricadente, le foglie di forma ellittico allungata hanno margine biserrato e picciolo di media lunghezza, i fiori sono piccoli con petali ellittici, bianchi con leggere sfumature rosa; la fioritura avviene nella II decade di aprile. Il frutto è di forma tronco conica con peduncolo lungo e di medio spessore, la buccia è di colore verde che a piena maturazione vira al giallo con sovraccolore rosso chiaro, la polpa è bianca e acidula, si raccoglie nella II decade di ottobre e si consuma entro dicembre

Rumaneddu - Cultivar rara, si trova ancora qualche pianta nei frutteti dell’areale di Zafferana etnea; il nome deriva dalla dimensione e dalla forma simile al rocchetto di spago (rumaneddu in dialetto). L’albero ha portamento assurgente e medio vigore, le foglie sono ellittiche di media dimensione, hanno margine biserrato e picciolo lungo; i fiori hanno petali di forma ovata, disposti in parte liberi e in parte sovrapposti, bianchi con sfumature e nervature rosa. I frutti sono molto piccoli, di forma arrotondata, asimmetrici, con peduncolo corto e di medio spessore; la buccia è gialla, liscia, con lenticelle bianche e sovraccolore rosso diffuso; la polpa è bianca, dolce, compatta, poco saporita; si raccoglie nella I decade di ottobre, si consuma come frutto fresco.

Amidonna - Sinonimi Medonna o Pomo della Madonna. Varietà presente con pochi esemplari nei meleti del versante orientale dell’Etna, l’albero di media vigoria ha portamento aperto, le foglie hanno forma ellittico allungata, margine crenato e picciolo lungo. I fiori hanno petali bianchi, ellittici, in parte liberi e in parte sovrapposti. La fioritura avviene nella terza decade di aprile. I frutti sono piccoli, di forma conica con peduncolo di media lunghezza, la buccia è di colore giallo-verde con sovraccolore rosso, la polpa è bianca, acidula, leggermente tannica, fine e poco profumata. Si raccoglie nella I decade di ottobre, si consuma come frutto fresco entro dicembre

Fonte: Antichi frutti dell'Etna, di C. Bonfanti, A. Continella, A. Gentile, S. La Malfa

 

Le proprietà della buccia della mela. E’ lì che risiede il 50 per cento dei benefici.

 

Una mela al giorno leva il medico di torno…purché non si tolga la buccia! E’ così, la parte che quasi tutti scartano in questo frutto in realtà non andrebbe affatto tolta. Perché? Semplicemente per il fatto che proprio lì vi è il 50 per cento delle sue proprietà.Vitamine e principi nutritivi, infatti, risiedono nella buccia della mela, peraltro ricca di polifenoli e di fibre.

Queste ultime sono molto utili in quanto aiutano il transito intestinale e i fastidiosi gonfiori di stomaco mentre i primi, essendo potenti antiossidanti, contrastano l’invecchiamento cellulare e problemi cardiovascolari.Inoltre i polifenoli, combattendo l’insorgere dei radicali liberi che danneggiano le cellule, contrastano indirettamente anche eventuali tumori.

 La buccia della mela, inoltre, aumenta le proprietà disintossicanti del frutto e l’eliminazione dei liquidi in eccesso: ecco perché viene prescritta in caso di diete, di ritenzione idrica e di malattie renali.Dare alle mele (complete di bucce) un posto di primo piano nell’alimentazione di tutti i giorni significa quindi proteggere la propria salute oltre che la propria forma fisica considerando che è ricca di vitamine (12 milligrammi di vitamina C ogni 100 grammi cioè il 25 per cento del fabbisogno giornaliero) e sali minerali come potassio, magnesio, calcio, bromo e silice e allumina.

http://www.marieclaire.it/Benessere/dieta-alimentazione/buccia-mela-proprieta

 

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Puma Cola, regine dell’Etna

di Paola Pasetti (In Viaggio - supplemento a La Sicilia)
 
C’è stato un tempo in cui l’Etna poteva a buon titolo dirsi il regno delle mele. Di quelle autoctone, s’intende, almeno una quindicina di varietà (nella maggior parte dei casi andate quasi perdute) i cui nomi sono tutto un programma: come la Rotolo, chiamata così per le sue dimensioni (un rotolo, antica unità di misura, equivaleva infatti a circa 800 grammi); la Turco, dalla buccia scura, color granata; la mela Lappio, da “lappusa”, ossia dal sapore astringente. Cultivar passate alla storia e oggi quasi del tutto scomparse. I meleti etnei sono stati per decenni un unicum nel panorama frutticolo siciliano, tanto più che in quella fascia altimetrica dell’Etna compresa tra 700 e 1500 metri sul livello del mare il melo ha trovato condizioni pedoclimatiche particolari, capaci di conferire ai frutti proprietà organolettiche uniche. Così, finché non sono arrivate le mele “del Continente”, quelle nostrane - seppur coltivate su terreni impervii e difficili - avevano potuto ritagliarsi anche sul mercato dell’isola una fetta importante.

La più coltivata, definita a buon titolo “regina dell’Etna”, era la mela Cola. “Puma Cola”, come vengono intese da queste parti: un nome che è derivato - pare - dal fatto che questa particolare varietà si diffuse in principio a Nicolosi, in una zona limitrofa al convento di San Nicola. Forma cilindrica arrotondata, buccia gialla segnata da piccole lentiggini color ruggine, polpa croccante e leggermente acidula. La mela Cola è stata coltivata ed è ancora presente su vari versanti: meleti si trovano anzitutto a Biancavilla e Ragalna, ma anche nel distretto Trecastagni-Pedara- Nicolosi, sul lato Sud; Zafferana e areale Milo-San’Alfio-Mascali, a Est.

Da qualche decennio, però, la Cola ha dovuto cedere lo scettro della più coltivata a sua “figlia”: la Gelato-Cola. O Cola-Gelato, se si preferisce. Un ibrido nato dall’innesto su un’altra varietà autoctona dell’Etna, la “Gelatu”, oggi
quasi del tutto scomparsa. Chi ha avuto la fortuna di addentarla, ne ricorderà sicuramente la tipica vitrescenza della polpa, da cui per alcuni deriverebbe il nome.

Le caratteristiche della “nuova nata” la rendono diversa dalla Cola per il sapore della polpa, meno acidula, per il profumo più intenso e per la grana più raffinata. A occhio nudo, la si riconosce comunque per la forma tronco-cilindrica e per il colore che va dal giallo-verdolino subito dopo la raccolta al paglierino chiaro, quando la maturazione arriva a compimento.
Chi voglia conoscere più da vicino e apprezzare il sapore di questi prodotti del Vulcano non ha che da mettersi in cammino senza perder tempo: ottobre è infatti il mese della raccolta, che si protrae, man mano che si sale di altitudine, fino all’ultima decade del mese.
Fino a poco tempo fa erano le mele più diffuse sul Vulcano. Oggi rischiano di scomparire come è già accaduto ad altre varietà autoctone. Lungo il sentiero della Scalazza alla scoperta dei vecchi meleti
Non c’è migliore occasione, quindi, per fare un salto nei paesini etnei. A partire dal versante Sud, da quella Nicolosi che fu culla della Puma Cola, proseguendo in direzione est verso Pedara, Trecastagni, fino ad arrivare a Zafferana Etnea, uno dei centri di maggior produzione di queste mele.

Una passeggiata in macchina lungo questo percorso, attraverso le piacevoli strade provinciali immerse nel verde, riappacifica con il mondo. I centri abitati, poi, accolgono il visitatore con le loro botteghe aperte anche la domenica mattina, quando la montagna vive per i gitanti alla ricerca di aria buona. Un’occasione ghiotta per provare anche gli altri sapori tipici dell’Etna: funghi, miele, fichidindia, castagne, olio, vino. Tutti, insieme alle mele, si possono trovare nelle botteghe, nei mercatini locali o, più facilmente, lungo le strade man mano che si sale: panieri intrecciati ricolmi di frutta (o, meno poeticamente, secchi gialli di plastica) dal ciglio della strada invitano chi transita a fermarsi per un’acquisto, come si usa dire oggi, a chilometri zero.

 


Chi voglia, poi, visitare un meleto e non tema una piacevole passeggiata di circa un’ora, da Zafferana potrà spingersi fino alla Scalazza, un’antica mulattiera - oggi praticabile grazie all’intervento di alcune associazioni di volontariato - che nell’Ottocento costituiva l’unica via di accesso ai frutteti coltivati dagli zafferanesi alle falde di Monte Pomiciaro.

Per raggiungerla, bisogna lasciare la strada asfaltata che da Zafferana sale verso Piano dell’Acqua all’altezza del fontanile di Scalazza. Subito sulla sinistra si apre una stretta stradina sterrata che scende per qualche centinaio di metri all’interno della grande conca in cui confluiscono valle San Giacomo e il vallone Cavasecca. La Scalazza inizia proprio lì, alla base del costone che divide le due vallate. Una visione mozzafiato: il sentiero, in gran parte lastricato, è completamente immerso nel bosco di castagni; cento tornanti consentono di coprire un dislivello di quasi 500 metri, dai 700 di Piano dell’Acqua ai 1200 della zona di Cassone,
dove si trovano, appunto, diversi meleti. È in un luogo così che si può apprezzare fino in fondo l’unicità di queste “vecchie” mele, frutto, come tutto ciò che si coltiva sui terreni scoscesi del vulcano, della infinita sfida tra l’uomo e la natura. )))

 

 

 

Fuji. La mela Fuji nasce nel 1939 nel distretto di Morioka in Giappone e da lì si è diffusa in tutto il globo visto che è la mela più coltivata al mondo. Si presenta con la sua bella buccia rossastra dalle striature gialle e verdi. Croccante, dolce e molto succosa, la Fuji va assaporata al naturale o nelle macedonie. Ott-Nov

Golden Delicious. Questa mela gialla è molto amata per la dolcezza del suo sapore e la croccantezza della polpa. Le Golden Delicious migliori? Quelle che presentano una piccola faccia rossastra, segnale che la mela è stata esposta al sole da quel lato. La Golden Delicious è nota per la sua versatilità in cucina per preparare la marmellata fatta in casa e la classica torta di mele. Ottobre Morgenduft. Questa mela made in USA ha un sapore dolce, dall’aroma fresco e delicato. Per questa sua caratteristica è la mela più utilizzata dall’industria alimentare per produrre succhi di frutta, puree e altri prodotti dolciari. Ottobre Granny Smith. Ovvero la mela verde per antonomasia. Grazie al suo sapore asprigno e rinfrescante, questa mela di origine australiana è ideale nelle insalate e nei sorbetti. Ha la particolare caratteristica di non perdere la forma anche se viene privata della polpa, quindi se scavata si può utilizzare in modo creativo come mela intera da riempire. Ottobre

 

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IL SORBO

 

Sorbo dell'Etna, il frutto "double face" che in casa cambia colore e sapore

Quasi sconosciuto ai più, il sorbo dell'Etna è un frutto tanto bello da vedere quanto buono da mangiare, dopo un lungo periodo di maturazione successivo alla raccolta. A prima vista i piccoli pallini rossi che spuntano dalle estremità dei rami potrebbero sembrare quasi delle ciliegie selvatiche, ma il gusto acidulo di questa particolare varietà niente ha a che fare con la fruttosità rotonda dei prodotti commerciali di largo consumo. Dalle nostre parti, nel catanese, lo si può trovare durante il periodo autunnale in tutto il versante nord orientale dell'Etna, da Zafferana a Linguaglossa.

 Si tratta di un albero dalle foglie piccole e arrotondate che può raggiungere i 13 metri di altezza e fa la sua bella figura anche nei giardini più curati. "Lo si appende generalmente dentro casa per farlo maturare - spiegano dall'Agriturismo Case Perrotta di S.Alfio - e quando i frutti cambiano colore lo si può mangiare così com'è o impiegare nella preparazione di marmellate fatte in casa. Nel nostro territorio c'è chi adopera le foglie per lenire i dolori dei geloni e disinfettare le botti". Unica controindicazione: se lo assaggiate ancora acerbo il sapore è terribile e vi ci vorranno litri di succo di frutta per togliervi dalla bocca l'amaro!

http://www.cataniatoday.it/green/life/sorbo-dell-etna-il-frutto-double-face-che-in-casa-cambia-colore-e-sapore.html

  

SORBI DELL'ETNA

  

 

Sorbo selvatico o degli uccellatori (Sorbo aucuparia)

 di Loriana Mari

 

Caratteristiche: è un albero di media grandezza (10-15 metri al massimo), le foglie sono variabili, perché esiste in diverse specie (montano, domestico, degli uccellatori), ma i fiori sono invariabilmente bianchi e profumatissimi, le bacche rosso corallo a forma di minuscole mele maturano a settembre, ma restano intatte fino ad inverno inoltrato e per questo il sorbo simboleggia la rinascita della luce dopo le tenebre del solstizio… un’aurora invernale!

Habitat: cresce nei boschi di latifoglie caldi, asciutti ed assolati dalla pianura alla fascia montana;

Proprietà: gli erboristi d’un tempo lo usavano contro le coliche, per l’elevato contenuto di acido malico, inoltre combatteva efficacemente lo scorbuto. Anche la corteccia, raccolta in primavera e seccata al sole, era usata come febbrifugo, antireumatico ed astringente. Oggi si usano soltanto i frutti.

Storia, mito, leggenda e magia: il suffisso “aucuparia” deriva dal termine latino “aucupio” ovvero uccellagione in quanto i cacciatori usano i frutti del Sorbo per attirare gli uccelli che ne sono ghiotti. Infatti, in autunno, il sorbo diventa meta di passeri, tordi e merli che vengono a “riempire” i loro stomaci.

Nell’alfabeto Ogham il sorbo è simbolo di rinascita e protezione contro la negatività. Aiuta contro gli attacchi magici e la negatività, l’invidia e la gelosia e protegge anche dalla paura. E’ utile per ricavare discernimento ed ispirazione per le nostre azioni. L’animale totemico a lui collegato è il MERLO. Conosciuto già in epoca romana e descritto da Plinio il sorbo è una pianta caratteristica dell’ambiente mediterraneo. E’considerato efficace contro gli spiriti del male, dice un antico proverbio: “sorbo selvatico e filo rosso fan correr le streghe a più non posso”.

Nella costruzione delle zangole si usava legno di sorbo per essere sicuri che fate e streghe non sorvegliassero il burro. I cavalli stregati si possono sempre domare con una frusta di sorbo. Il più efficace è considerato il sorbo volante, una pianta le cui radici non crescano nel terreno ma per esempio nelle spaccature di una roccia o sui rami di un altro albero.

Esso occupava un posto speciale negli oracoli dei druidi, impiegavano fuochi del suo legno per evocare spiriti che poi obbligavano a rispondere alle domande sparpagliando bacche di sorbo su pelli di toro appena scuoiati. Era conosciuta anche una forma di divinazione che interpretava il significato di rametti rovesciati su una pelle di toro ben tesa, da cui il detto irlandese “camminare sui rami della conoscenza” per significare che si è tentato il possibile per ottenere un’informazione.

Nel calendario dei Celti il Sorbo dava il nome al mese che andava dal 21 Gennaio al 17 Febbraio e che in gallese era chiamato “Cerdinene” oppure “Luis” in irlandese. I Celti lo consideravano l’albero dell’Aurora dell’anno, in cui cadeva la  “festa del latte” (Imbolc), poiché la celebrazione coincide con il primo fiorire del latte nelle mammelle delle pecore, circa un mese prima della stagione della nascita degli agnelli. Questo sottile segnale di ritorno della fertilità era il primo di una serie di eventi che annunciavano il rifiorire della vita sulla terra e, per la tribù, segnava l’urgenza di cominciare un nuovo ciclo di attività. Questa è la festa più intima e raccolta dell’intero anno sacro: all’interno delle palizzate che circondano il villaggio, chiusi nelle capanne coperte di neve, raccolti intorno al fuoco caldo e crepitante, i Celti ascoltavano le storie del proprio clan, rendevano omaggio alla Dea e si preparavano al risveglio del mondo. Tornando al nostro sorbo va detto che Celti Germani lo univano alla mela come nutrimento per gli dei e secondo i Finni era l’albero della vita ed ospitava la ninfa Pihlajatar. In rapporto con le potenze invisibili, il sorbo poteva anche proteggere efficacemente da quelle malvagie e quindi era usato come amuleto contro i fulmini ed i sortilegi. Nel romanzo irlandese “La razzia della mandria di Fraoch” le bacche di un sorbo magico, custodite da un drago, hanno la virtù nutritiva di nove pasti, risanano le ferite ed aggiungono un anno alla vita d’un uomo. Nell’antica Irlanda prima di combattere i druidi accendevano fuochi con legno di sorbo, appunto ed invitavano così gli antichi spiriti del gruppo a prendere parte alla battaglia. Col suo legno si scolpiva una piccola mano, detta di strega, che serviva a scoprire i metalli nascosti sotto terra, ma anche manici di fruste, atte a dominare persino i cavalli stregati, e bastoni da pastori, che proteggevano il bestiame anche dalle epidemie. I suoi frutti dolci e leggermente astringenti sono ricchi di acidi organici (tra cui l’acido sorbico è solo il più famoso), tannini, pectine e mucillagini; si possono far seccare e durano per tutto l’inverno. Un tempo si mangiavano, si mescolavano alla pasta del pane, se ne ricavava una salsa da accompagnare alla selvaggina e servivano anche a preparare una bevanda a bassa fermentazione, simile al sidro, che in Europa centrale si produce ancora adesso. I Romani la chiamavano “cerevisia”

Un antico proverbio così recita: “ con il tempo e con la paglia, maturano le sorbe e la canaglia”.

Fino alla fine dell’Ottocento i frutti del Sorbo, dopo un appassimento al sole, venivano aggiunti all’impasto del pane per ottenere una specie di dolce.

Era un albero sacro perché gli dei si nutrivano dei suoi frutti.

Un pezzetto di legno di Sorbo, tenuto in tasca, è un ottimo talismano che ci protegge dai fulmini e dai sortilegi.

I marinai attaccavano dei blocchi del suo legno sulla chiglia della nave perché li difendesse dalla furia delle tempeste marine.

Piccole perle: “fare un infuso con un po’ di foglie di Sorbo in un litro di acqua bollente; dopo 10 minuti filtrare e bere. E’ un ottimo espettorante in caso di tosse”

 “togliere i semi da alcuni frutti di Sorbo ben maturi, macinateli con un passaverdura oppure schiacciateli bene con i rebbi di una forchetta; la “pappetta” ottenuta è un’ottima maschera per le pelli stanche”

 “fate bollire per circa un’ora alcuni frutti tagliati a quarti e non privati dei semi; filtrate il liquido ottenuto che vi servirà per sciacqui e gargarismi in caso di gola arrossata ed infiammata”.

 https://goodmorningumbria.wordpress.com/2010/01/14/sorbo-selvatico-o-degli-uccellatori-sorbo-aucuparia/

 

 

 

 

 

 

 

Il Ficodindia appartiene al genere Opuntia della famiglia delle Cactacee. Originario dell'altopiano Messicano venne introdotta in Europa dagli spagnoli verso la metà del 1500 a seguito della conquista del Nuovo Mondo. Inizialmente venne coltivato negli orti e nei girdini dei nobili. Nelle regioni del Nord non andò, però, oltre questi spazi privilegiati, riuscendo a superare l'inverno solo in luoghi riparati o all'interno delle serre. Nelle più miti regioni mediterranee, il ficodindia trovò invece condizioni ambientali ottimali: si diffuse velocemente e si naturalizzò al punto da divenire uno degli elementi più comuni e ceratterizzanti del paesaggio. Il ficodindia è una pianta arborescente che può giungere a 3-5 m. di altezza, anche se in coltura si tende a limitare lo sviluppo a non più di 2-2,5 m.. E' caratteristica peculiare l'articolazione della parte aerea in cladodi (comunemente dette "pale"), segmenti lunghi 30-40 cm, larghi 15-25 cm e spessi 1,5-3, uniti alla base fino a formare lunghe branche. Le foglie sono effimere e caduche. I cladodi basali tendono a lignificare al quarto-quinto anno di età fino a formare un tronco ben definito. La parte interna dei cladodi, a cui è demandata la funzione fotosintetizzante, particolare nelle cactacee, è costituita da un tessuto parenchimatico opaco che assolve la funzione di immagazzinamento dell'acqua e che determina l'adattabilità del ficodindia a condizioni di estrema siccità. Sulla superfice dei cladodi si trovano le areole (130/160 per cladodio) caratteristiche gemme ascellare modificate tipiche delle Cactacee. Le spine vere e proprie, lunghe da 1 a 2 cm e saldamente inserite sono piuttosto rare nelle forme di ficodindia coltivate in Italia. I glochidi, invece, sono sempre presenti nelle areole; tali "spinette", lunghe pochi millimetri non risultano sclerificate alla base e qundi sono facilmente amovibili. 

 

L'apparato radicale, infine, è superficiale, concentrandosi nei primi 30 cm. di profondità. I fiori del ficodindia sono ermafroditi, hanno il calice e la corolla formati da sepali poco evidenti e petali appariscenti di colore giallo-aranciato, numerosi stami che circondano il gineceo, costituito da un pistillo sormontato da uno stigma multiplo. L'ovario è infero, uniloculare, con diversi ovuli disposti in placentazione parietale. I fiori si concentrano sulle areole lungo il margine superiore della corona del cladodio.

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Prodotti tipici

“La freschezza irresistibile di una natura vulcanica”. Non esiste pianta più appropriata del ficodindia per identificare la Sicilia con la sua storia e le sue tradizioni, la sua cultura e le sue colture di questi frutti concentrate in quattro aree principali, l’Etna, San Cono, Santa Margherita di Belice e Roccapalumba.

Le ricerche scientifiche fanno riferimento alle tante iniziative tese a sottolineare le proprietà “magiche” di questa pianta in tutte le sue componenti, le pale (cladodi), i fiori e i frutti nei suoi colori giallo (sulfarina), bianco (muscaredda), rosso (sanguigna), con una copiosa attività industriale che si fonda proprio su questa coltivazione.

Euroagrumi ha dedicato due siti internet a questa prodigiosa pianta www. ficodindinnova. it e www. fruttaetna. it, approfondendo nel primo gli aspetti sulle innovazioni nella coltivazione e nel secondo la diffusione delle conoscenze, foto curiosità e ricette a base di ficodindia. Però ci sono alcuni aspetti che meritano una riflessione perché attengono alla ecosostenibilità della pianta e alla tutela ambientale.

Il primo riguarda il ridotto uso di pratiche agronomiche come l’irrigazione o la concimazione che fanno del ficodindia una coltura “simbolo” di sostenibilità ambientale, e quindi come una coltura intercalare per territori che hanno visto uno sfruttamento intensivo, agricolo e non, e che per la sua costituzione può costituire una pianta “frangifuoco” in aree in cui l’esercizio dell’agricoltura è stato messo a dura prova dalle crisi ripetute del mercato, o in aree marginali dove si ha una forte presenza di terreni incolti ad alto rischio ambientale (incendi ed erosioni).

Sempre sul piano ambientale diventa sempre più frequente l’insediamento delle api per la produzione del miele in coltivazioni di ficodindia.

Il popolo siciliano ha un legame forte con il ficodindia, pianta che in passato forniva preziosi alimenti nei momenti di difficoltà. Forse per questo motivo veniva visto come un frutto marginale ed era sinonimo di “povertà”. Oggi però il frutto si è affrancato da questo pregiudizio e ha assunto una posizione di nicchia per quei consumatori molto attenti agli aspetti salutistici non solo dei frutti ma anche del ciclo produttivo.

Ultimo, ma non meno importante, utilizzo che si faceva con i frutti più piccoli, la trasformazione in dolci e vino cotto, così la “mostarda” diventava il “dolce dei poveri” o i mustaccioli che a Natale imbandivano le tavole di tutti i siciliani ed entrambi sono diventati oggi prelibatezze

Negli ultimi anni, dalla pala del ficodindia si lavorano oggetti di pelletteria, scarpe, piastrelle, e chissà quante altre sorprese ancora vedranno protagonista questo frutto nell’utilizzo farmacologico, cosmetico e financo nella gioielleria più ricercata.

Ficodindia e ciliegia dell’Etna Dop: due gioielli della terra etnea che si estende dal mare Ionio fino a 1600 metri di quota lungo i versanti est e sud-est del Vulcano

LA SICILIA DOMENICA 3 AGOSTO 2014

  

 

LA FIORITURA

La fioritura avviene in modo scalare nel periodo compreso tra l'ultima decade di maggio e la prima quindicina di giugno.

I frutti derivati dalla fioritura ordinaria (noti come "russeddi" o"agostani" o "latini") maturano scalarmente a partire dall'ultima decade di agosto fino alla fine di settembre.

 

 

LA SCOZZOLATURA

La coltura intensiva del ficodindia è finalizzata quasi esclusivamente alla produzione di frutti tardivi, noti anche come "bastardoni" o "scozzolati", derivati da una seconda fioritura ottenuta grazie all'asportazione dei fiori emessi in primavera. Tale tecnica detta "scozzolatura" è utilizzata per indurre rifiorenza e la conseguente produzione di frutti qualitativamente più pregiati a maturazione autunnale.

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La produzione degli agostani non necessita di irrigazione, che invece è richiesta per la produzione dei bastardoni. A maturazione del frutto, l'epicarpo assume il colore caratteristico della cultivar (gialla, rossa o bianca) e diviene facilmente separabile dalla porzione commestibile, che rappresenta circa il 55-60% del frutto. I semi rappresentano il 2-5% del peso del frutto. In Italia, il ficodindia in coltura specializzata interessa quasi esclusivamente la Sicilia, dove è localizzato il 90% della superficie coltivata nazionale. Nelle altre regioni del Meridione, tranne qualche eccezione in Puglia, in Calabria ed in Sardegna, il ficodindia è presente in orti familiari o in giardini con funzione di bordatura, ma non in impianti intensivi.

In Sicilia, oltre il 70% delle colture si concentrano in tre aree: "Colline di San Cono", "SudOvest etneo" e "Valle del Belice".

L'area di San Cono è la più importante  nella Sicilia Orientale, all'incrocio tra le Province di Catania, Caltanissetta ed Enna.

Le principali cultivar prodotte sono:

la "Gialla" (o Surfarina, o Nostrale) che rappresenta l'80-90% degli esemplari che compongono i ficodindieti specializzati.
la "Rossa" (o Sanguigna) che rappresenta circa il 10% degli impianti specializzati;
la "Bianca" (o Muscaredda, o Sciannarina) che rappresenta circa il 2% degli impianti specializzati.

 La Surfarina è la più diffusa per la maggiore capacità produttiva e la buona adattabilità a metodi di coltivazione intensiva, ma in genere vi è comunque la tendenza ad integrare la coltivazione delle tre cultivar, in modo da fornire al mercato un prodotto caratterizzato da varietà cromatica.

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Il frutto viene generalmente consumato allo stato fresco, opportunamente sbucciato. Tuttavia, a livello locale, risultano molteplici le elaborazioni gastronomiche ottenute, quali ad esempio la marmellata, "l'estratto", consistente in un liquido sciropposo, i "mustaccioli", ottenuti dal succo ristretto per ebollizione cui si aggiunge farina di semola ed aromi, la "mostarda", preparata in modo analogo ma addizionata di succo d'uva. Il frutto può essere conservato anche attraverso canditura.

 

 

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Adagiato ai  piedi del Monte San Marco, il comune di San Cono vanta una vita piuttosto travagliata: in origine era un antico feudo, poi fu proprietà delle più note famiglie siciliane, alla fine del Settecento passò al Marchese di Floresta che lo riportò a nuova vita con il nuovo abitato, le piantagioni e le colture intensive. Tra queste spicca il fico d’India, di cui San Cono è tra i maggiori produttori ed esportatori. La sua, infatti, è una varietà che ha acquisito il marchio DOP, che si distingue per i frutti di grandi dimensioni, la vivace colorazione della polpa e della buccia e la particolare dolcezza e fragranza.

 

Si raccolgono da fine agosto a fine settembre oppure dalla seconda decade di settembre fino a dicembre.

La qualità unica del fico d’India di San Cono viene celebrata ogni anno con la Sagra a lui dedicata, in programma quest’anno il 3 e il 4 ottobre. La Sagra del Fico d’India è uno dei momenti più importanti e attesi di tutto il paese, in cui si espone e si promuove il prodotto principe locale, orgoglio di tutti gli abitanti, con una ghiotta occasione per i buongustai più esigenti che qui possono venire ad assaporare uno dei frutti più saporiti del Mediterraneo assieme agli altri prodotti tipici.

Il tutto accompagnati da serate danzanti grazie alla musica di gruppi folcloristici locali. Ma oltre alle ghiottonerie vale la pena scoprire anche le attrazioni che il paese offre.

Ad incominciare dalla chiesa omonima, quella di San Cono, la prima chiesa madre del paese e la più antica, databile alla metà del Settecento: si presenta in stile barocco con pianta ad un’unica navata e l’altare in fondo, dove si può ammirare un quadro che rappresenta la Deposizione di Gesù, mentre sul soffitto sono rappresentati alcuni episodi della vita di San Cono. Annesso alla chiesa si trova Palazzo Trigona, fatto erigere al centro del feudo, dove si trovavano le abitazioni dei fattori e del procuratore. La chiesa principale è la Chiesa Matrice di Piazza Umberto I, progettata con elementi dorici, corinzi, bizantini e greco romani, che possiede un’unica ed ampia navata, mentre la Chiesa del Crocifisso, situata nella parte nord del paese, ospita all’interno un altare dominato da un grande Crocifisso di cartapesta. Oltre al Monumento ai Caduti c’è un altro piccolo monumento di particolare importanza: si tratta della Croce, nel quartiere della Forca, a poca distanza dal Palazzo Trigona: sorge dove un tempo era situata la forca che simboleggiava il potere feudale.

http://www.lastampa.it/2015/09/24/societa/viaggi/weekend/food-e-wine/sicilia-san-cono-la-capitale-del-ficodindia-ZODVg76Xra84YmVH7ukRbJ/pagina.html

Risultati immagini per san cono 2018 ficodindia

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OLIVA NOCELLARA DEL BELICE

 

L’Oliva Nocellara del Belice, nota anche come Oliva di Castelvetrano, è un’oliva di forma tondeggiante e colore verde intenso, la polpa morbida e densa le conferisce un sapore fruttato e molto delicato.

Viene coltivata nel territorio circostante la città di Castelvetrano, nel trapanese, costeggiato dal Lago Trinità e dai templi di Selinunte che proteggono le coltivazioni da più di 2600 anni. La brezza marina del Mediterraneo promuove la crescita di una pianta con crescita vigorosa ed un oliva robusta.

La sua coltivazione si estende in tutta la Valle del Belice tra Partanna, Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Salaparuta, Poggioreale e Gibellina.

Da tradizione, l’Oliva Nocellara viene raccolta manualmente, poiché, specialmente per le olive da mensa queste non devono essere maltrattate per garantirne la massima qualità.

È l’unico prodotto in Europa ad avere due DOP per la stessa varietà: “Valle del Belìce” per l’olio (GUCE L. 273 del 21.08.04) e “Nocellara del Belìce” per l’oliva da mensa (GUCE L. 15 del 21.01.98).

Quest’oliva siciliana da tavola è particolarmente ricca di fibra dietetica ad alta digeribilità, che contribuisce in modo rilevante a regolarizzare il funzionamento dell’apparato digerente e a prevenire l’insorgere di malattie. Questo aiuta inoltre a contrastare l’invecchiamento cellulare, perché contiene sovrabbondanza di polifenoli: sostanze con elevate proprietà antiossidanti.

L’Oliva Nocellara del Belice garantisce un buon apporto di minerali, in percentuali addirittura superiori a quelle di molte verdure. In particolare, il quantitativo di calcio e magnesio nell’oliva da tavola è paragonabile a quello del latte materno.

 

Le Olive Nocellara del Belice, destinate al consumo a tavola come antipasto e contorno, vengono raccolte a mano nei mesi di settembre e ottobre e lavorate e conservate lo stesso giorno della raccolta per mantenere il massimo della qualità.

Le olive vengono dapprima “cernite” (cioè vengono separate da impurità come terra, rametti e foglie) per poi essere lavate e calibrate (selezione delle olive in base al calibro). Quindi vengono incise, schiacciate o denocciolate per poi essere conservate.

Generalmente si utilizzano tre diversi tipi di conservazione:

Sistema al naturale come da tradizione:il prodotto viene stipato in fusti da 130 Kg circa che vengono riempite con una soluzione di acqua e sale (salamoia). Per un minimo di tre mesi si mantengono in salamoia per deamarizzare ed in seguito confezionate e immesse sul mercato.

Sistema sivigliano: cernita, calibratura, trattamento con soda, lavaggi, salamoia, fermentazione, calibratura, confezionamento, pastorizzazione.

Sistema Castelvetrano o alla soda: cernita, calibratura, soluzione sodico-alcalina, addolcimento, fermentazione.

Cenni storici

L’olivicoltura della Valle del Belice ha una lunghissima tradizione, specie per le olive da mensa: infatti questa coltura è riuscita ad affermarsi quasi spontaneamente sia per le idonee caratteristiche ambientali che per i requisiti merceologici pregevoli dell’unica cultivar rappresentata in maniera così preponderante.

Ereditata dai Greci, dal 1600 l’olivicoltura è stata per la Valle del Belice, se non la sola ed esclusiva risorsa economica, indubbiamente la più importante nell’ordinamento culturale della zona.

Nel corso degli ultimi due secoli si è scoperta la duplice attitudine della cultivar Nocellara del Belice e di conseguenza le produzioni olivicole si sono diversificate in olive da mensa ed olio extravergine.

In questo link la presentazione delle Olive Nocellara del Belice fatta dal MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali).

 

Una regione che fa sicuramente la parte del leone nell'ambito della produzione e della vendita di olio extravergine d'oliva è la Sicilia che oltretutto può contare su una straordinaria varietà di cultivar autoctone. Le principali cultivar presenti negli uliveti siciliani sono le seguenti:

 

- Aitana; Si tratta di una cultivar presente un po' a macchia di leopardo in Italia e in Sicilia, in quanto essendo una varietà negletta non ha conosciuto una diffusione molto accentuata. In Sicilia, l'oliva Aitana si usa prevalentemente per la produzione e la vendita di olio extravergine ma può anche essere consumata a tavola.

 

- Biancolilla; Cultivar autoctona che produce un oliva usata esclusivamente per la vendita di olio extravergine di Sicilia con bassa acidità e dal gusto molto raffinato. Essa è presente sia nell'area occidentale dell'isola che nelle zone centro-orientali.

 

- Bottone di Gallo; Questa cultivar è considerata monouso, cioè la produzione viene interamente destinata alla produzione di olio extravergine di Sicilia e viene considerata come una varietà negletta e poco diffusa nonostante l'olio sia molto pregiato.

 

- Brandofino; Varietà autoctona minore e monouso, si può trovare in vendita sia sotto forma di olio extravergine della Sicilia sia di miscele pregiate di olio d'oliva siciliano. Diffusa prevalentemente nella Sicilia Orientale, l'olio di cultivar Brandofino si caratterizza per un sapore che può risultare vagamente speziato.

 

- Buscionetto; Classificata tra le cultivar neglette ed a rischio di estinzione, l'oliva di Buscionetto si usa esclusivamente per l'estrazione di olio extravergine e per la creazione di blend di oli pregiati. Autoctona della provincia di Agrigento, si può trovare anche negli oliveti di Trapani e Palermo.

 

- Calamignara; La Calamignara è una cultivar autoctona e a duplice attitudine, essa infatti è una varietà le cui olive hanno una pezzatura abbondante e possono essere anche usate per il consumo da mensa. Ciò non toglie che la Calamignara sia anche un'ottima oliva da olio extravergine di Sicilia.

 

- Calatina; Cultivar autoctona ma di importanza minore nel panorama olivicolo siciliano, l'oliva Calatina è monouso e viene destinata esclusivamente all'ottenimento di olio extravergine siciliano per la vendita. Non è molto diffusa e si può trovare principalmente nelle aree di Catania e del comprensorio di Caltagirone.

 

- Carolea; Con l'oliva della cultivar Carolea si possono ottenere sia olive da mensa che un ottimo olio extravergine di Sicilia. Si tratta comunque di una varietà presente praticamente in tutta l'Italia meridionale oltre che in Sicilia.

 

- Castriciana Rapparina; Si tratta di una cultivar molto rara e oggi è infatti a rischio di scomparsa, nonostante sia autoctona della Sicilia ed originaria del comune di Castroreale, in provincia di Messina. Essa è presente anche nel Palermitano e si può trovare sul mercato della vendita di olio extravergine di Sicilia.

 

- Cavalieri; La cultivar Cavalier non è molto diffusa tanto che si tende a considerarla una varietà negletta, essa tuttavia produce un ottimo olio extravergine siciliano ed è presente principalmente nelle zone della provincia di Catania e per la precisione negli oliveti presso Caltagirone.

 

- Cerasuola; Si tratta sicuramente di una delle cultivar più diffuse in Sicilia e infatti si può trovare in molte zone senza particolari difficoltà. Le olive di Cerasuola non si consumano a tavola ma vengono frante per produrre e vendere olio extravergine siciliano.

 

- Citrale; Si tratta di una tipologia di ulivo autoctona della Sicilia ma che col tempo è stata trascurata fino a diventare negletta. Essa infatti ha manifestato alcune intrinseche debolezze alle malattie che ne hanno sfavorito la proliferazione. La Citrale si usa esclusivamente per la produzione di olio extravergine.

 

- Crastu; Ritenuta una cultivar minore, l'oliva Crastu nasce principalmente sui rilievi delle Madonie e sul versante tirrenico messinese, zona di cui questa varietà è originaria. La cultivar Crastu è una tipologia da cui si ricava olio sia extravergine che da usare per realizzare ottime miscele.

 

- Erbano; Essa è una varietà presente negli uliveti della zona di Palermo ed Agrigento. Le olive vengono frante per l'estrazione di olio extravergine di Sicilia di ottima qualità e dal profilo gustativo ed olfattivo molto equilibrato e gradevole.

 

- Giarraffa; Si tratta di una cultivar a duplice attitudine (con queste olive infatti si produce sia olio extravergine di Sicilia che olive da mensa) dalle origini molto antiche che secondo alcune ricostruzioni non sempre accettate potrebbero risalire anche all'epoca dei Sicani. È presente principalmente nelle zone di Trapani, Agrigento e Palermo.

 

- Lumiaru; Questa varietà non è molto diffusa e si può trovare principalmente nelle aree di Agrigento e Catania, e da essa si produce un olio extravergine a bassa acidità anche se la pianta tende ad avere tempi di maturazione tardivi.

 

- Mandanici; Riconoscibile per la pezzatura piccola delle drupe, l'olivo della cultivar autoctona siciliana Mandanici si può trovare nelle zone di Catania e Messina ma anche in Calabria. Si tratta di una varietà monouso (si usa solo per la vendita di olio extravergine di Sicilia, infatti) e che cresce prevalentemente su terreni sabbiosi o con sottosuolo di natura calcarea e con scarsità d'acqua.

 

- Minuta; Cultivar tipicamente messinese, infatti è quasi totalmente assente nel resto della Sicilia mentre è abbondante negli uliveti dei Nebrodi. Resiste bene alle basse temperature e infatti si può trovare anche su rilievi medio collinari fino a 800 metri di altezza, produce un olio extravergine che si presenta abbastanza rustico.

 

- Moresca; Si tratta di una varietà di olivo presente principalmente nella zona centrale e nelle province orientali della Sicilia, zona di cui l'oliva Moresca è originaria. La pezzatura medio-grande fa di quest'oliva un ottimo alimento per il consumo da mensa sia al verde che al nero, ma se i frutti vengono franti viene prodotto anche un eccellente olio extravergine siciliano.

 

- Murtiddara; La murtiddara è una cultivar abbastanza rara e negletta che comunque si può trovare in varie zone dell'isola di Sicilia. Essendo autosterile viene impollinata dalla cultivar Carolea, ed il suo utilizzo è limitato esclusivamente alla spremitura per la produzione e la vendita di olio extravergine monovarietale.

 

- Nasitana; Questa cultivar prende il nome dal centro in cui secondo la tradizione essa ha avuto origine, ovvero il comune di Naso, in provincia di Messina. Questa è anche la zona in cui questa varietà ha la maggior diffusione, e grazie alla buona resistenza al freddo la si può trovare facilmente anche sui rilievi collinari dei monti Nebrodi.

 

- Nerba; Si tratta di una varietà a duplice attitudine, in quanto la pezzatura dei frutti ricchi di polpa ne consente il consumo anche a tavola oltre che sotto forma di olio extravergine di Sicilia. Sensibile agli attacci di coleotteri e mosca, da questa cultivar si ricava olio d'oliva a bassa acidità.

 

- Nocellara del Belice; Cultivar autoctona apprezzatissima sia per la polpa dei suoi frutti che possono essere consumati a tavola sia per l'eccellente olio extravergine con acidità molto bassa. Molto diffusa nel Trapanese, cresce senza particolari difficoltà anche nella zona di Palermo e nell'Agrigentino.

 

- Nocellara Etnea; Anche questa varietà si segnala per la propria duplice attitudine, Molto resistente agli agenti atmosferici ed alle ondate di freddo, questa Nocellara è invece tipica delle zone interne ed orientali della Sicilia.

 

- Nocellara Messinese; Caratterizzata da una pezzatura molto grossa e da un colore che tende al violetto durante la fase di maturazione, quest'oliva si usa sia per il consumo da mensa che per la produzione e vendita di olio extravergine. La diffusione è concentrata nella zona di Catania, Siracusa e Messina, da cui il nome.

 

- Ogliarola Messinese; Anche in questo caso parliamo di una cultivar tipica della zona messinese che però è possibile trovare anche negli uliveti della provincia di Palermo. Questa cultivar si usa per la produzione di olive da mensa verdi e nere e per la vendita di olio d'oliva extravergine.

 

- Ottobratica; L'oliva di questa cultivar viene usata esclusivamente per la produzione di olio extravergine. Essa è diffusa nell'area messinese soprattutto lungo il versante costiero che guarda sul Mar Ionio ed è dotata di una certa resistenza alle intemperie ed al freddo.

 

- Passulunara; Si tratta di un oliva a duplice attitudine, di pezzatura superiore alla media da cui si produce un olio extravergine della Sicilia a bassa acidità e con alto contenuto di antiossidanti e vitamina E. La Passulunara è una cultivar tipicamente presente negli uliveti presso Palermo ed Agrigento.

 

- Piricuddara; È una varietà di olivo tipica della zona di Agrigento, dove viene utilizzata per produrre olio extravergine d'oliva a bassa acidità, mentre la pezzatura piccola dei frutti ne impedisce il consumo da mensa. Si può comunque trovare anche nei distretti olivicolo di Palermo e Caltanissetta e viene frequentemente utilizzata come impollinatrice per la Nocellara del Belice.

 

- Pizzutella; Questa cultivar autoctona della Sicilia si può trovare nelle aree di Catania, Siracusa e Ragusa ma anche in Calabria. Essa si usa solo per la produzione di olio extravergine d'oliva caratterizzato da un gusto equilibrato molto apprezzato dal pubblico.

 

- San Benedetto; Varietà negletta ed autoctona della Sicilia che è presente nelle zone da Trapani a Messina soprattutto nelle aree costiere tirreniche. Data la pezzatura medio-grande, oltre che per produrre e vendere olio extravergine d'oliva la cultivar San Benedetto è utilizzata anche per il consumo da mensa.

 

- Santagatese; Conosciuta anche con vari sinonimi, l'oliva Santagatese è una cultivar autoctona presente sia nella Sicilia Occidentale che orientale. Caratterizzata da una produzione di frutti di grossa pezzatura, con questa varietà si produce un ottimo extravergine siciliano ma anche delle squisite olive da mensa.

 

- Tonda Iblea; Come si evince anche dal nome, questa cultivar è tipica dell'area dei Monti Iblei, e può crescere anche su rilievi alto collinari fino a circa 600 metri di altezza. Si tratta di una cultivar a duplice attitudine, con frutti molto polposi che è possibile consumare sia al verde che al nero.

 

- Vaddarica; Presente in prevalenza sulle coste tirreniche tra Palermo e Messina, la varietà Vaddarica è una cultivar autoctona ma negletta e poco presente, quindi, nel resto del territorio siciliano. Dai frutti di questa tipologia di olivo si ottiene un olio extravergine dai sapori tipicamente siciliani e dalla bassa acidità.

 

- Verdello; Si tratta di una cultivar molto rara la cui presenza è concentrata prevalentemente intorno all'area di Messina. I frutti sono di pezzatura media e vengono destinati interamente alla spremitura per la produzione e la vendita di olio extravergine siciliano a bassa acidità.

 

http://www.oliodellasicilia.com/cultivar

 

 

 

 

 

 

 

OLIVA MINUTA

Il massiccio dei Nebrodi è il grande cuore verde della Sicilia: oltre 50 mila ettari di boschi localizzati nella parte nord orientale della Sicilia, che dividono la costa ionica da quella tirrenica. Nelle vallate percorse da fiumare si coltivano agrumi e, fino a circa 800 metri di altitudine, ulivi altOliva minutaernati a noccioli e castagni. In particolare, la fiumara di Sinagra e del Naso, i Comuni della valle del Fitalia e alcune aree vicine di Castell’Umberto e Sinagra rappresentano l’habitat dove cresce un raro e antichissimo olivo siciliano: la minuta. Circa il 90% degli uliveti, soprattutto nelle fasce di collina più alte, è impiantato a minuta: una cultivar rustica, più resistente alle avversità climatiche della santagatese, della ogliarola messinese o della verdello, coltivate a quote più basse. La minuta ha ottime qualità nutrizionali: ha un’alta componente in ortofenoli – in grado di ridurre il rischio di sviluppo di cellule tumorali – e una notevole concentrazione di vitamina E, antiossidante. Testimoniano l’importanza storica dell’oliva minuta nel territorio i molti uliveti ultracentenari e ancora produttivi. I frutti sono medio-piccoli e a maturazione medio-precoce. La raccolta si effettua manualmente da ottobre a novembre, secondo il grado di maturazione e in funzione dell’altitudine. Si procede alla bacchiatura, cioè allo scuotimento delle fronde con una pertica, ponendo delle reti sotto gli ulivi per evitare la dispersione delle olive nella caduta e il contatto con il terreno. La spremitura è a freddo e l’olio che si ottiene è fruttato, molto delicato e ha una bassissima acidità. La minuta è una delle tre cultivar principali della Dop Valdemone, assieme alla santagatese e alla ogliarola messinese.Risultati immagini per oliva minuta

Produrre olio extravergine con la sola cultivar minuta è costoso: le rese sono basse e i costi di raccolta elevati, perché il terreno è accidentato. Inoltre l’olio di minuta dà il meglio di sé nei primi otto-dieci mesi di vita ed è necessario trovare soluzioni tecnologiche utili per superare questo problema e conservarne le peculiarità anche per un tempo più lungo. Il Presidio riunisce alcuni coltivatori di minuta che propongono un olio monovarietale ottenuto secondo un disciplinare di produzione rigoroso.

L’olio di minuta è delicatissimo, con un giusto equilibrio tra l’amaro e il piccante, ricco di lievi sentori fruttati, con note floreali, caratteristiche insolite tra gli oli siciliani che, normalmente, sono caratterizzati da note più decise e piccanti. È quindi particolarmente indicato per i piatti a base di pesce. Le minute sono anche buone olive da tavola e la tradizione locale le propone conservate in vari modi: a tinello, cioè in salamoia con una miscela di acqua e sale marino, con aggiunta di erbe aromatiche della flora dei Nebrodi (finocchietto selvatico, aglio, alloro e rosmarino) oppure a suppresso, cioè pressate a strati, in contenitori di legno o ceramica, con il sale e le erbe aromatiche.

 Area di produzione Sinagra e alcuni comuni limitrofi dei Nebrodi (provincia di Messina).

 Presidio sostenuto da Comune di Sinagra, Regione Siciliana Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste

https://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/oliva-minuta/

 

 

 

 

OLIVA OGLIAROLA MESSINESE

Negli uliveti delle province di Palermo e Messina (e in misura minore, anche in quelli delle zone di Agrigento ed Enna, nel resto della Sicilia e persino in Calabria) è frequente trovare alberi di olivo della cultivar autoctona siciliana dell'Ogliarola Messinese. Nota anche con i sinonimi di Messinese, Terminese, Raffu e Castrense, questa varietà è a duplice attitudine ed i polposi frutti di Ogliarola Messinese sono abitualmente consumati anche a tavola ma producono anche un eccellente olio extravergine della Sicilia. Si tratta di una cultivar autofertile, con una produttività elevata eindex con una resa dell'olio molto soddisfacente che spesso e volentieri supera abbondantemente la quota del 20%, tuttavia in certi casi si riporta una certa alternanza da annata ad annata.Risultati immagini per ogliarola messinese

A livello agronomico, questa cultivar richiede molta attenzione in primo luogo a causa degli agenti climatici. Essa, infatti è sensibile all'umidità dell'aria mentre tollera molto bene le temperature basse e la scarsità d'acqua. Per quanto concerne le malattie, invece, l'Ogliarola Messinese soffre molto gli attacchi di mosca e di alcuni coleotteri come l'Ilesino, è sensibile alla Brusca, al Mal del Piombo ed all'occhio di pavone, ad alcuni funghi come la Rosellinia (che attacca l'albero attraverso le radici e può arrivare anche ad uccidere la pianta) ed agli attacchi di un lepidottero, il Rodilegno Giallo, una specie di falena che si ciba del legno di alcuni alberi da frutto.

La pianta di Ogliarola Messinese è caratterizzata da portamento espanso, media vigoria ed una chioma abbastanza folta e contraddistinta da una visibile compattezza. Le foglie, di dimensioni medie sia in larghezza che in lunghezza, hanno la caratteristica forma ellittico-lanceolataogliarola messinese con curvatura longitudinale iponastica. I frutti, che hanno un'epoca di invaiaRisultati immagini per ogliarola messinesetura tardiva, hanno una colorazione che va dal verde al rosso vinoso o nero-violaceo e sono di pezzatura grossa con un peso che può raggiungere o superare anche gli otto grammi e con un rapporto tra nocciolo e polpa molto elevato.

La loro maturazione avviene a partire dagli ultimi giorni di Settembre e può prolungarsi fino alle prime settimane di Ottobre e la raccolta viene effettuata secondo metodi tradizionali o con l'ausilio di semplici attrezzature meccanizzate. L'epicarpo della drupa di Ogliarola Messinese è pruinoso e presenta parecchie lenticelle piuttosto grandi, l'apice è appuntito mentre la base è arrotondata.

L'olio extravergine monovarietale di Ogliarola Messinese è di colorazione giallo-oro, mentre dal punto di vista olfattivo è caratterizzato da un fruttato di oliva non molto intenso con sentori foglia ogliaroladi foglia d'erba appena tagliata, mandorla, pomodoro e carciofo, anche se tali aspetti possono variare in base al grado di maturazione delle olive. Il gusto di questi olii presenta un certo equilibrio tra piccante, dolce e amaro, e ciò li rende ottimali per la preparazione di cibi dal gusto deciso, siano essi a base di verdure, carne o pesce.

L'Ogliarola Messinese è anche un'ottima oliva da tavola che viene preparata col sistema naturale e con l'aggiunta di erbe aromatiche, oppure al nero. Il consumo di questa tipologia di olio extravergine siciliano è molto indicato per i soggetti che soffrono di colesterolemia, grazie alla presenza di grassi monoinsaturi e quindi è molto indicato per la vendita al pubblico.

http://www.oliodellasicilia.com/cultivar/ogliarola-messinese

 

 

Autunno, raccolta delle olive: ricetta delle alìvi scacciàti e cunzàti

 

Siamo nel periodo di raccolta delle olive, quindi perché non cimentarsi in un prodotto siciliano tipico come le ‘alìvi scacciàti e cunzàti’? Una sorta di conserva, che viene tenuta per tutto l’anno e regalata a parenti e amici.

È tradizione al Sud, preparare ancora le conserve. Ma oltre alla passata di pomodoro rimasta presidio soprattutto dalle nonne, ci sono anche altri prodotti della tradizione contadina che ancora vengono conservati in un barattolo di vetro ben sigillato, in molte case. Le olive verdi, ad esempio, in Sicilia vengono schiacciate, condite con diversi ingredienti, e poi messe in salamoia; stesso discorso per le alici, che vengono conservate, soprattutto in Calabria, quasi esclusivamente sotto sale. E poi ancora melanzane sott’olio, peperoni sott’aceto e pomodori e peperoncini secchi, fino alle marmellate o alla mostarda, che però viene preparata soprattutto al Nord.

Le olive sono un prodotto estremamente nutriente, sia così che gustate sotto forma di olio, un liquido giallo oro ricco di polifenoli, ovvero sostanze antiossidanti in grado di contrastare gli effetti disastrosi dei radicali liberi, e quindi capaci di metterci al riparo da molte malattie; inoltre, se utilizzato per condire, l’olio d’oliva aiuta la digestione dei piatti, in particolare delle fibre, di cui ne facilita anche la metabolizzazione.

 

Per preparare le ‘alìvi scacciàti e cunzàti’ non è necessario essere grandi chef, ma ricavarsi giusto un po’ di tempo e la giusta materia prima:

Ingredienti: Olive verdi fresche, 2 peperoni rossi, 1 peperone giallo, 2 gambi di sedano, 2 carote, 1 peperoncino piccante, aglio,    sale, aceto di vino bianco, olio extravergine d’oliva

Preparazione: Lava per bene le olive e poi deponile su un tagliere, meglio se in legno. Armati di batticarne e inizia a schiacciare le olive, una ad una. Non sarà necessario denocciolarle, basterà il colpo ad aprirle.

Una volta aperte, riponile in un recipiente colmo di acqua fredda. Una volta finito di schiacciare anche l’ultima oliva, butta l’acqua e riempi il recipiente con nuova acqua fredda: le tue olive dovranno rimanere così per almeno 8 giorni/una settimana, avendo cura di cambiare l’acqua almeno 2 volte al giorno. 

Ora, supponendo che siano trascorsi gli otto giorni, sarà necessario scolare le olive, per poi rimetterle a bagno con acqua e stavolta anche sale; 100 grammi per 1 litro basteranno: le olive dovranno rimanere in ammollo così per almeno 2 giorni.

 Al termine dei due giorni, potrai scolare le olive. Ora sciacquale delicatamente ma con cura, e poi asciugale con della carta assorbente: servirà ad eliminare il sale in eccesso perché quello che ci serviva a dare sapore, sarà penetrato nelle olive nei due giorni di ammollo. Tienile da parte.

 Lava, pela e taglia le carote a pezzetti; stesso discorso per i peperoni e i gambi di sedano.

Metti le olive in un contenitore assieme alle verdure tagliate a pezzetti, aggiungi l’aceto (1 bicchiere ogni 2 chili di olive) e mescola.

Lascia il tutto a macerare per almeno 24 ore, avendo cura di scuotere il contenitore di tanto in tanto.

 Passate le 24 ore, scola l’aceto e aggiungi due spicchi d’aglio triturati finemente e del peperoncino piccante; se non gradisci nessuno dei due, lìmitati ad aggiungere solo abbondante olio d’oliva extra.

Ora le tue olive sono pronte per essere conservate, e per essere regalate a parenti ed amici: mettile in (piccoli o grandi) barattoli di vetro con chiusura ermetica e poi decorali; assicurati però che le olive siano sempre ben coperte c’olio, prima di darle via, e anche una volta aperte, per non farle andare a male.

 Le ‘alìvi scacciàti e cunzàti’ sono perfette come antipasto, insieme ad affettati e formaggi, ma si sposano bene anche sul pane, magari casereccio, come fossero un’originale forma di bruschetta; e perché no, le olive così arricchite stanno bene anche con la pasta, magari già condita con del pesce, o per arricchire un semplice piatto di verdure.

Enrica Bartalotta

http://www.siciliafan.it/novembre-raccolta-delle-olive-ricetta-delle-alivi-scacciati-cunzati/

 

 

La coltivazione delle olive

 La pianta sempreverde dalle caratteristiche foglie ellittiche dell'olivo appartiene al genere delle Oleacee. La specie è Europaea e tale denominazione sta ad indicare che l'areale originario della pianta sono le coste del bacino mediterraneo, con un grosso riferimento all'antica Grecia e a Roma.

La sottospecie dell'olivo molto diffusa nel paesaggio mediterraneo è la sativa.

La pianta è meritatamente il simbolo dell'ambiente mediterraneo visto che si adatta perfettamente al clima temperato ed ai suoli calcarei propri delle zone rocciose, cioè dove si trovano terre fertili e permeabili. La pianta, però, sa adattarsi anche ad altre condizioni ambientali, a patto che non sia sottoposta al ristagno dell'acqua.

Gli oliveti hanno una struttura un pò anarchica che rispecchia principalmente la natura dei terreni scelti per la piantagione, in prevalenza aree collinari e montane, e la presenza dell'olivastro.  In effetti, vista la lentezza propria l'olivo che produce il proprio frutto almeno 15 anni dopo la piantagione e che la pianta raggiunge la maturazione dopo circa 25 anni, c'è l'abitudine di privilegiare lo sfruttamento delle piante selvatiche, magari innestandovi le olive di migliore qualità, ed anche l'usanza di consociare l'oliveto con altre colture, come quella degli ortaggi e dei legumi, scelta attuata per compensare almeno in parte le spese dell'impianto delle olive.

La consociazione si ha, inoltre, per compensare il fatto che l'olivo produce il suo frutto ogni due anni visto che l'anno di "magra" serve alla pianta per prepararsi alla produzione dell'anno successivo.

pianta di Ulivo presso Muglia (foto Nino Gemmellaro)

 

L'oliveto ha bisogno di cure particolari. Tra quelle annuali si ha l'aratura a febbraio, maggio e dicembre, procedimento che non deve andare troppo in profondità nel terreno in modo da non danneggiare la pianta. Per evitare i danni della caratteristica siccità estiva che porta il conseguente inaridimento del suolo si attua una zappatura ancora più leggera in modo da eliminare le crepe del terreno.

Particolarità della pianta è il suo processo fecondativo: molte piante non possono utilizzare il proprio polline per soddisfare tale fase, per cui occorre garantire, negli stessi impianti, la presenza di vari tipi di pianta ma con fiori che danno un polline compatibile con quelle presenti nello stesso impianto.

La maturazione delle olive non è contemporanea ed omogenea, per cui la raccolta del frutto non può affidarsi a dei canoni precisi e scientifici, ma alla singola scelta degli operatori del settore sul tipo di olio che si vuole ottenere.

Successiva fase riguardante le olive è la loro raccolta, momento di socializzazione caratteristico della tradizione contadina e procedimento che può effetuarsi in modo manuale o meccanico.  La procedura migliore per salvaguardare la qualità dell'olio è la "brucatura". Tale processo prevede l'intervento diretto di un raccoglitore che effettua una prima cernita delle olive.

Le difficoltà di tale processo sono legate al tipo di terreno - la possibilità che esso sia scosceso rende più difficile l'operazione - ed alla necessità o meno di utilizzare una scala.

Sistemi di raccolta più rapidi rispetto al precedente sono quelli meccanici che prevedono l'utilizzo di vari utensili per agevolare la raccolta delle oli ve staccandole direttamente dalla pianta. La fase successiva riguarda l'estrazione vera e propria dell'olio, fase che si svolge direttamente nel frantoio.

Le olive son liberate da eventuali impurità, lavate accuratamente e disposte nei frangitori a molazze, cioè delle macchine che prevedono la presenza di due ruote che sfruttano la rotazione di un asse verticale per muoversi.

Tali macchinari possono contare su di una millenaria tradizione che ha saputo anche evolversi in base alle nuove esigenze d'igiene e di produzione. In effetti, un tempo le ruote dei frangitori erano fatte di legno e mosse dalla forza animale, oggi sono fatte d'acciaio inossidabile e si muovono grazie all'ausilio di un motore elettrico.

Attualmente si fanno avanti i frangitori a dischi che accellerano la macinazione ed aiutano a regolare la granulometria della pasta.

Tra le altre fasi di produzione occorre citare la snocciolatura delle olive e la gramolatura. La prima si attua perchè occorre separare la polpa dal seme in modo da ottenere separatamente i due oli, visto che quello estratto dal seme potrebbe danneggiare l'altro, mentre la seconda si attua riscaldando la materia oleosa in modo da tenerla fluida e rimescolandola attraverso delle macchine impastatrici in modo da separare le emulsioni acqua-olio ottenute dalle precedenti operazioni.

Per completare il processo d'estrazione dell'olio occorre pressare la pasta di olive. Il metodo più tradizionale è l'estrazione a presse, sistema denominato anche metodo discontinuo.

La pasta di olive è disposta su dei dischetti chiamati "fiscoli" che sono  posti nell'asse verticale della pressa per subire così la pressione di kg  50/cmq ed ottenere l'olio-mosto. Si crede che l'olio estratto con una pressione minore ha una qualità migliore.

Ci sono anche altri sistemi di estrazione, come quello della percolazione e  della centrifugazione, sistemi denominati anche metodi continui. La coltivazione siciliana dell'ulivo ha delle radici antichissime, millenarie. Pare che siano stati i Fenici ed i Micenei ad imporre nell'isola tale pianta originaria delle regioni a nord-est del Mar Caspio.

La sua storia ha avuto fasi alterne: i Romani incoraggiarono tale produzione, mentre in modo contrario si comportarono gli Arabi; una nuova fase positiva si ebbe sotto la dominazione normanna dell'isola mentre un nuovo periodo di oscurantismo si ebbe sotto quella spagnola per poi vivere una vera e propria fase di rivincita sotto i Borboni.

http://www.olio-sicilia.it/art_coltivazione.htm

 

 

 

 

 

 

 

BRONTE, capitale italiana del pistacchio! La Sicilia è l'unica regione italiana dove si produce il pistacchio ("pistacia vera") e la cittadina etnea, con oltre tremila ettari in coltura specializzata, ne esprime l'area di coltivazione principale (più dell'80% della superficie regionale) con una produzione dalle caratteristiche peculiari.
Bronte, Eden di pistacchio, con un frutto dal gusto e dall'aroma universalmente riconosciuti come unici e particolari.
L'"oro verde", così è denominato il "pistacchio verde di Bronte", rappresenta la principale risorsa economica del vasto territorio della cittadina etnea.
Concorreranno la terra e le sciare dell'Etna, la temperatura o il portainnesto, le tradizioni di coltura tramandate da padre in figlio, fatto è che la pistacchicoltura brontese, a differenza dei prodotti di provenienza americana o asiatica, in massima parte con semi di colore giallo, produce frutti di alto pregio, molto apprezzati e richiesti nei mercati europei e giapponesi per le dimensioni e l'intensa colorazione verde.
Il pistacchio brontese è dolce, delicato, aromatico. Soprattutto è unico.

Fra le varie qualità coltivate nel Mediterraneo e nelle Americhe possiede colori e qualità organolettiche che ne fanno un unicum in tutto il mondo con un suo sapore soave che i frutti prodotti altrove non hanno. Viene apprezzato nei mercati italiani ed esteri per l'originalità del gusto e l'adattabilità in cucina e in pasticceria. E' usato nell'industria dolciaria sopratutto per preparare torte, paste, torroni, mousse, confetti, gelati, e granite, ma è squisito anche nei primi e secondi piatti o arancini; è utilizzato anche nella preparazione degli insaccati (ottimo nelle mortadelle e nelle soppressate) e nel settore cosmetico.
A Bronte se ne raccolgono oltre 30 mila quintali e, quello con guscio (la "tignosella") si vende a circa 4,00/6,00 euro al chilo e a 9,00/15,00 quello senza guscio ("sgusciato"). Una ricchezza di quasi 15 milioni di euro che rappresenta poco più dell'1% della produzione mondiale di pistacchi.
L'ottanta per cento del prodotto brontese è esportato all'estero, sopratutto in Europa, il restante 20% trova impiego nell'industria nazionale (il 55% industria delle carni insaccate, il 30% nell'industria dolciaria ed il 15% nell'industria gelatiera, con un rapporto gelateria industriale/artigianale che potrebbe essere del 60/40%). 

Il frutto viene commercializzato sotto diverse forme: Tignosella (pistacchio non sgusciato, i brontesi lo chiamano "babbalucella"), pelato (sgusciato e privato dell'endocarpo), granella, farina, bastoncini, affettato o pasta di pistacchio. Certamente quasi nessun agricoltore brontese vive più di solo pistacchio: la coltivazione occupa solo una parte dell'impegno lavorativo e fornisce una fetta di reddito; è in pratica una seconda attività, ma essenziale per la sopravvivenza della famiglia e della comunità e forse è più la passione che l'economia a spingere i brontesi ad impiantare ancora alberi di pistacchio (che daranno i primi frutti solo dopo circa dieci anni).
Nella zona si contano quasi mille produttori, la maggior parte con piccoli appezzamenti di terreno sciaroso di meno di un ettaro e qualche grosso produttore con un multiplo di ettari. Il frutto raccolto viene in genere smallato ed asciugato ad opera del produttore stesso, che poi vende il suo pistacchio in guscio alle aziende esportatrici o lo conferisce alle cooperative. L'Oro Verde di Bronte nelle diverse fasi di maturazione (in fioritura ad aprile, nel mese di maggio ed a fine agosto). A destra in basso una vecchia macchina per rimuovere ("sgrollare") il mallo, l'involucro coriaceo che ricopre il frutto. Sulla sinistra della "machina ppi sgrullari i frastuchi", due antichi recipienti della tradizione locale: "u stutafocu" (si riempiva di brace ardente per ottenere la carbonella) e "u menzarangiu" (grosso recipiente di rame usato per bollire alimenti o, anche, fare la mostarda di fichidindia)

Il Mediterraneo è stato da sempre uno dei principali centri di scambio e di valorizzazione delle produzioni agro-alimentari mondiali. È stato, tradizionalmente, il mare del gusto, degli aromi, dei sapori, delle spezie. Una peculiare caratteristica che ha disegnato e formato la cultura, l'economia ed anche il paesaggio, trasformandolo profondamente ed in modo quasi irreversibile.
Le spezie in genere ma anche il basilico, il rosmarino, il pepe, l'olivo, gli agrumi, i carciofi, il vino e la vigna e mille altri prodotti e coltivazioni di maggiore o minore diffusione hanno invaso e trasformato questo spazio geografico e culturale, portando allo scambio di merci ma anche al confronto culturale e al mantenimento di un costante valore comune di sapori e tradizioni.
I prodotti di origine mediorientale rappresentano un particolare aspetto di questo patrimonio ed hanno avuto una notevole influenza nella cultura gastronomica europea e mediterranea. Il cus cus, il peperone, perfino il vino, la castagna e cento altri prodotti derivano dal progressivo e millenario scambio e il Mediterraneo ne ha rappresentato lo spazio di comunicazione.

 


Il Pistacchio, un frutto dalla storia antichissima, noto ai Babilonesi, Assiri, Giordani, Greci, citato addirittura nel libro della Genesi e riportato nell'obelisco, fatto innalzare dal re dell'Assiria, attorno al VI secolo a.C., è uno di questi prodotti agro-alimentari, che ha contribuito a delineare il patrimonio culturale-gastronomico dei popoli mediterranei. Di questo prezioso frutto, portato in Sicilia dagli Arabi, Bronte rappresenta la capitale italiana.
L'Iran è il principale produttore mondiale di pistacchio (56%) con una superficie di 230.000 ettari di terreno coltivato, seguito dalla Turchia, con 39.000 ettari, gli Stati Uniti, 31.000 (dove è presente la cultivar "Bronte") e la Siria, con 20.000. Nell'Unione Europea solo Italia, Grecia e Spagna ne sono produttori (i primi due con circa 9.000 ettari di terreno coltivato e la Spagna con 1.500, di cui 2.000 in Andalucia).
In Sicilia il Pistacchio cresce in prevalenza a Bronte con l'80% della superficie regionale coltivata (e nei comuni di Adrano e Ragalna) e nelle province di Agrigento (i cui centri di produzione sono Favara e Raffadali) e di Caltanissetta (S. Cataldo). La produzione biennale media siciliana è di circa 32.000 quintali di prodotto sgusciato, l'80% dei quali viene esportato all'estero.
A Bronte alcune cooperative ed una decina di aziende esportatrici, in concorrenza fra loro, alcune ottimamente attrezzate e con avanzata tecnologia, si occupano della lavorazione e della commercializzazione del pistacchio.
Si è costituita anche un'associazione di pasticceri che utilizzano il frutto esaltandolo nei loro tradizionali prodotti (paste, torte, gelati, torroni, fillette, panettoni e colombe, torroncini, creme, pesto, ...).
Il "pistacchio verde di Bronte", perennemente minacciato da importazioni di qualità assolutamente inferiore, ha oggi conquistato il dovuto riconoscimento di prodotto DOP: il Disciplinare di produzione è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale fin dall'Ottobre 2001.
Ma si è perso tempo. Solo dopo quattro anni, il 3 novembre 2004, è stato finalmente costituito il Consorzio di tutela che dovrebbe iniziare a breve il proprio lavoro.
La Denominazione d'Origine Protetta riguarda una zona di produzione, compresa fra i 300 e i 900 metri s.l.m., che ricade nei territori di Bronte, Adrano e Biancavilla. La peculiarità del pistacchio brontese è il colore uniformemente verde vivo della sua pasta, nonchè la sua pronunciata aromaticità, per cui è senz'altro privilegiato nella manifattura dei torroni, dei prodotti dolciari e dei gelati ma soprattutto delle carni insaccate di pregio e nella gastronomia di alta classe. Tali caratteristiche, uniche fra i prodotti similari di altre zone, sono egregiamente valorizzate proprio nel luogo di produzione.
Ogni anno in alcune viuzze e piazze del centro storico di Bronte si svolge da parecchi anni una sagra (la Sagra del Pistacchio).
Dal pesto alla crema, dalla torta al gelato, dall'arancino alla salsiccia la Sagra è il trionfo del pistacchio in tutte le sue varianti; si celebra nel mese di settembre e nella scorsa edizione ha richiamato ben 100 mila visitatori. E' l'occasione che la città offre ai numerosi visitatori per fare conoscere le raffinate prerogative e le proprietà dell'"oro di Bronte". Il clou della Sagra sono le degustazioni del frutto e dei prodotti che vanno dalla salsiccia alla pasta al pistacchio, dalle torte ai torroni, al gelato, alle crepes, alla filletta, oltre a numerose altre prelibate dolcezze (col pistacchio di Bronte viene prodotto anche un liquore, il pesto, una crema da spalmare sul pane, un ottimo arancino, il formaggio, il salame, le classiche antiche fillette, il caffè, ...e numerose altre prelibatezze dal gusto unico).
(da www.bronteinsieme.it)

 

 

Il Pistacchio di Bronte, tesoro di sicilia

La Sicilia, 24 Settembre 2014

La Sicilia è l'unica regione italiana dove si produce il pistacchio e Bronte, con oltre tremila ettari di coltura, ne rappresenta l'area di coltivazione principale (più dell'80% della superficie regionale, pari anche all'uno per cento di quella mondiale) con una produzione dalle caratteristiche uniche che ne fanno un prodotto di nicchia di grande valore.

Il pistacchio era già conosciuto dai greci e dai romani, ma è entrato a far parte delle coltivazioni agricole in Sicilia solo grazie agli arabi che hanno scoperto che sul territorio di Bronte la pianta su cui effettuare l'innesto cresceva spontaneamente. L'ambiente di coltivazione va dai 300 ai 900 metri sul livello del mare con la pianta che si adatta ad ambienti difficili come i terreni lavici brontesi, dove non cresce nient'altro se non la ginestra. Si raccoglie ad anni alterni, anche se qualche produttore sta sperimentando la produzione annuale. A Bronte se ne raccoglie per ben oltre 30 mila quintali, per un "controvalore" di quasi 15 milioni di euro. Il pistacchio di Bronte, infatti, è particolarmente pregiato e ricercato per il suo sapore aromatico e gradevole in pasticceria, in gelateria e per aromatizzare ed insaporire molte vivande. Famosi sono i dolci: paste, torte e gelati sono resi ancor più gustosi con il prezioso frutto dell'Etna che è servito negli anni anche ad inventare prelibatezze nuove.

 

 

LA NOCE DI MOTTA CAMASTRA

 

Un prodotto tipico di Motta Camastra è la Noce che ne conserva le origini e ne festeggia la sagra annualmente, ma anche a Gaggi è tipica e molto apprezzata: il suo seme o gheriglio è diviso in quattro ed è racchiuso da un involucro legnoso meglio conosciuto come mesocarpo. Una delle caratteristiche principali della Noce di Motta è quella di avere una pezzatura molto elevata che può superare anche il calibro di 40 mm di diametro e arrivare a un peso di 100 grammi.

Per le sue proprietà organolettiche è da consumarsi preferibilmente fresca. Interessanti sono anche la lavorazione, la conservazione e la stagionatura della noce di Motta: la drupa viene infatti privata dell’endocarpo e viene poi lavata in acqua e messa ad asciugare al coperto o all’aria aperta, a meno che il frutto non si consumi fresco.

 Solitamente le Noci di Motta vengono conservate in silos o sacchetti per magazzini. In generale, le metodologie utilizzate per la produzione e la conservazione delle noci di Motta sono rimaste identiche a quelle di almeno un secolo addietro e tradizionalmente rimangono legate ad esse.

Lo testimoniano non solo la presenza di questo particolare frutto in diversi libri di storia antica locale, ma anche e soprattutto dalla presenza di piante di noce secolare. L’etimologia della parola “noce” deriva dal termine latino Junglas Regia ovvero “Ghianda di Giove”, proprio a sottolineare la bontà e la ricchezza di questo frutto in termini nutrizionali. Diversi studi più o meno recenti hanno confermato le qualità della noce anche dal punto di vista medico, sia della drupa che delle foglie: sembra che la presenza di grassi insaturi del tipo acido linoleico e acido linolenico, comunemente conosciuti come Omega 3 e Omega 6, siano componenti essenziali delle membrane cellulari e fanno in modo che il consumo delle noci renda basso il livello di colesterolo nel sangue, prevenendo rischi di malattie cardio-vascolari e infarti.

Altre proprietà e vantaggi della noce sono da accostare alla cosmesi e alla cura della pelle: la noce ha proprietà astringenti, depurative, ipoglicemizzanti e antisettiche.

http://www.typicalsicily.it/sicilia/Elenco/prodotto-tipico-di-motta-camastra-noce/

 

 

Il territorio etneo è ricco di piante erbacee spontanee molte delle quali, assieme ai funghi ed ai frutti di bosco, fino ad un passato non troppo lontano rappresentavano una fondamentale risorsa alimentare per le popolazioni locali (contadini, boscaioli, pastori, ecc.). Infatti, era prassi quasi quotidiana andare per le sciare, le timpe, i coltivi ed i boschi in cerca di verdure selvatiche.

Tale abitudine alimentare, principalmente, traeva origini da uno stato di necessità, data la cronica indigenza in cui versava la popolazione rurale e talora quella cittadina. Pure i cacciatori avevano l'abitudine di raccogliere piante selvatiche che trovavano nel loro girovagare.

Si cercavano verdure selvatiche anche per variare la dieta giornaliera, principalmente a base di pasta, carne e legumi, e per la mancanza delle diverse varietà di ortaggi carnosi, multicolori ed esotici che oggi si trovano, invece, in bella mostra nei negozi di frutta e verdura. Da questa abitudine alimentare, attraverso i secoli, è giunto fino a noi un imponente patrimonio culturale, tramandato di generazione in generazione.

 http://www.dipbot.unict.it/alimurgiche/introduzione.htm

 

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BIETOLA SELVATICA 

(Secala serbaggia)

 

La bietola selvatica o spontanea ha il suo nome di riconoscimento botanico Beta vulgaris. Sembra che bett sia un termine celtico per indicare il colore rosso e che questa sua caratteristica si rifletta nelle venature rossicce delle radici e sulle nervature centrali di molte varietà di bietola. Questa pianta è molto comune in Italia e la troviamo sotto i vigneti, nei luoghi sabbiosi, lungo zone coltivate e incolte ad un'altitudine che va dal piano sino a 600 m s.l.m. La raccolta delle foglie di bietola spontanea inizia da gennaio sino a giugno e riprende poi da ottobre a fine anno.

Molto simile come forma alla sorella coltivata con però più caratteristiche di resistenza e rusticità che si rispecchiano in maggior quantità di principi attivi salutari come vitamine e sali minerali. Infatti è importante come fonte di ferro con proprietà antianemiche ed è una delle verdure più ricche in vitamina A. Un consiglio per conservare tutte le sue preziose sostanze è quello di utilizzare anche l’acqua di cottura delle bietole visto che molti nutrienti sono solubili e per recuperarli va consumata l’acqua. Di facile utilizzo in cucina per torte salate e pasta verde, oltre che nelle zuppe, minestre e sformati, grazie al suo sapore delicato e gradevole.

http://www.cure-naturali.it/dieta-alimenti/piante-spontanee-commestibili-gennaio/38/4/f

 

 

 

MELOGRANO (Ranatu)

Lotta al cancro, alle malattie cardiache e danni al cervello: questi sono solo alcuni dei benefici che possono essere ricollegati al melograno. Inoltre questo frutto contribuisce a nutrire e ringiovanire la pelle, aumentando la rigenerazione delle cellule, combattendo così i segni dell'invecchiamento . Sembra troppo bello per essere vero?

 Grazie al suo alto contenuto di polifenoli antiossidanti, il melograno, frutto nativo dell’Iran, è stato a lungo considerato uno dei frutti più straordinari della natura grazie alle sua lotta contro i radicali liberi e all’invecchiamento.

1. Sono ricchi di potenti antiossidanti

La prossima volta che avrai sete, prova a bere del succo di melograno, grazie alle sostanze fitochimiche contenute, quali tannini e antociani, entrambi noti per la lotta contro il cancro, ridurre il rischio di aterosclerosi e rendere perfetta la tua pelle.

2. Aiutano la rigenerazione cellulare

Non solo il è melograno anti-infiammatorio naturale e ha un alto alto contenuto di acidi grassi essenziali, aiuta anche a promuovere la generazione cellulare e la riparazione della pelle. Tutto ciò lo rende uno dei pochissimi ingredienti naturali che possono realmente fare la differenza per il nostro aspetto (in tanti modi).

 

 

 E' stato dimostrato che i melograno può stimolare le cellule cheratinociti della pelle che contribuiscono la rigenerazione cellulare, rendendolo così un fantastico ingrediente anti-invecchiamento .

 3. Aiuta a prevenire le malattie cardiache

Le proprietà del melograno sono anche note per ridurre le probabilità di un attacco di cuore e dell'ictus, mantenendo i vasi sanguigni in condizioni perfette. L'acido ellaico, il principale ingrediente antiossidante presente nel succo di melograno, non si trova in nessun altro luogo in natura ed è pensato per abbassare il colesterolo cattivo, una delle principali cause dell'insufficienza cardiaca.

4. Può aiutare a ridurre il rischio di cancro al seno

Un alimento che può aiutare il cancro in stallo? Sembra che i melograni possono fare la cosa giusta...

 Gli ellagitannini sono polifenoli bioattivi che si trovano nei melograni. Questi polifenoli possono aiutare a prevenire la formazione delle cellule del cancro al seno attraverso l'inibizione dell'aromatasi. Il melograno è anche un adattogeno naturale, aumentando i livelli di estrogeni quando il corpo ne necessita, ma bloccando gli estrogeni più forti quando i livelli sono troppo alti Questa intelligenza innata di adattare la sua funzione per le esigenze del corpo è dei vantaggi incredibile di questo frutto straordinario.

 5. Può risolvere i tuoi sbalzi d'umore

Sei emotiva, irritata e arrabbiata? Se soffri di sbalzi d'umore da sindrome premestruale o soffri di diserbi legati alla menopausa, il melograno ti aiuterà.

 I Melograni contengono vitamine E e C, selenio e beta-carotene, utile per alleviare o ridurre le vampate di calore (soprattutto durante la menopausa ) e gli sbalzi d'umore.

 6. Aiuta a mantenere le ossa forti

Consumare il melograno regolarmente può contribuire ad aumentare il livello di calcio, una notizia eccellente per le ossa!

 E' importante ottenere la giusta quantità di calcio al giorno, al fine di prevenire le malattie legate alla perdita di densità ossea come l'osteoporosi. Bere o mangiare melograni è particolarmente utile se la perdita ossea è dovuta ai cambiamenti dati dalla menopausa.

 Questo perché i semi di melograno contengono estrogeni, l'ormone che durante la menopausa le donne perdono gradualmente a causa del depauperamento delle uova nelle loro ovaie .

 

7. Ti manterrà giovane!

Quando si tratta della cura della pelle, i melograni non mancano mai di stupire. Mentre aiutano a proteggere e a nutrire la pelle, i melograni aiutano anche a combattere i segni dell'invecchiamento con un pelle più giovane.

 ​Il derma (strato esterno della pelle) , è costituito da fibre di collagene ed elastiche. Le rughe che si verificano nel derma sono dovute alla degradazione di collagene ed elastina. La vitamina C è parte integrante della formazione del collagene permettendo alle proteine ​​di diventare più forti, e la buona notizia? Solo un melograno possiede il 48 per cento del valore giornaliero di vitamina C.

  i benefici del melograno

8. Può aiutare ad esfoliare la pelle

I semi di melograno schiacciati sono perfetti per l'esfoliazione! Perché non fare uno scrub fai da te per viso e corpo con un po' di zucchero? E 'molto più facile di quanto si pensi...

 Per aiutare ad eliminare le cellule morte della pelle basterà unire una purea di semi di melograno con olio di cocco e zucchero .

 9. Aiutano a proteggere contro i danni UV

Grazie alla presenza di antiossidanti, tra cui gallico e ellagico , questo frutto 'magico' aiuta a proteggere la pelle contro i danni UVB, proteggendo le cellule del DNA dai danni dei radicali liberi .

 Inoltre,i melograni contribuiscono ad evitare il cancro della pelle, gli effetti dell'invecchiamento cutaneo e anche aiutare ad alleviare i sintomi delle scottature.

 10. Protegge il tuo cervello

I melograni aiutano il corpo e la pelle combattono i radicali liberi, prevenendo le malattie e nutrendo la pelle , ma possono anche fare molto anche per il vostro cervello proteggendolo contro le diverse malattie come il morbo di Alzheimer.

GINEPRO

 

Ginepro  (Juniperus communis)  Il ginepro, che per la sua diffusione amplissima, sia per areale sia per habitat, è pianta pioniera capace di colonizzare, primo fra gli alberi veri, terreni poveri ed impervi che rappresentano per moltissime altre essenze un limite invalicabile. Dotato di grande resistenza alla carenza idrica, anche prolungata, incurante del freddo più intenso, capace di adattare la sua forma al vento e alla neve può essere considerato la conifera maggiormente diffusa nel globo.

 Caratteri antichi

 Pianta a sessi separati (il maschio si allarga meno ed ha portamento eretto), appartiene alla famiglia delle Cupressaceae e ha origini antichissime. Le foglie aghiformi, riunite in verticilli di tre, presentano nella pagina superiore una banda di colore più chiaro che nell’insieme conferisce il colore grigioargenteo e verde. Le foglie cadono in maggior numero nell’autunno dopo una vita di due o tre anni. I fiori, tardo invernali e primaverili, sono rudimentali squame fertili.

 Il frutto è una pseudobacca originata dalla fusione di tre squame carnose, chiamata anche coccola o galbula. Impiega un anno e mezzo a maturare. Da principio è verde pruina, diviene scura e di sapore dolciastro per un breve periodo, assume alla fine la nota caratteristica aromatica.

 Può raggiungere anche altezze di 4-6 metri. Il legno è durissimo e resistente nel tempo alle intemperie.

 Il ginepro e le streghe

 Il ginepro, anche per la sua misteriosa caratteristica di portare contemporaneamente frutti a diverso grado di maturazione, è pianta dall’alto valore scaramantico. Basta pensare che nemmeno i pastori la eliminano dai pascoli. Il potere dei suoi rami appesi sopra la porta di casa è tale da scacciare e tenere lontane le streghe e i loro malefici.

 La raccolta delle bacche

 Raccogliere le coccole del ginepro è operazione che può sembrare innocua soltanto a chi non l’abbia mai compiuta. Le piccole foglie aghiformi del ginepro sono in realtà dei veri e propri aculei. Un metodo sperimentato è quello del vecchio ombrello, oggi sostituibile con un telo o altro recipiente. In sostanza si tratta di scuotere il ramo interessato alla raccolta e suddividere quanto ne cade.

 La conservazione delle bacche 

Conservare le bacche del ginepro è facile, ma temono l’umidità e la luce diretta. Quando sono ben secche le possiamo conservare all’interno di un piccolo vaso ermetico. Possono essere conservate per lungo tempo, ma è meglio rifornirsi ad ogni anno.

 Te e liquore

 Le preparazioni a base di ginepro hanno la proprietà di essere “toniche” nel senso di riattivanti in senso generale. Per una bevanda aromatica lasciamo in infusione per circa dieci minuti otto bacche di ginepro e tre foglie d’alloro per tazza, dolcifichiamo con miele, magari di salvia, ed accompagniamo con dolcetti a base di pasta sfoglia.

 Molte sono le ricette per un liquore a base di ginepro, basti pensare al gin. La semplice addizione delle coccole alla grappa all’interno della bottiglia ha un valore più estetico che funzionale. Procuriamoci mezzo litro di grappa secca non dolcificata. Mettiamolo in un vaso ben chiuso insieme a due bicchieri da vino pieni di coccole raccolte durante la giornata. Lasciamo il tutto al sole su un davanzale per tre settimane. Scoliamo ed uniamo alle bacche uno sciroppo fatto con 100 grammi d’acqua e 100 grammi di miele dal gusto marcato come quello di castagno, oppure con semplice zucchero, o ancora con metà zucchero di canna e metà zucchero bianco. Agitiamo il vaso in modo energico e ripetutamente per completare l’estrazione della componente aromatica. Filtriamo per eliminare eventuali impurità e uniamo alla grappa.

 Marmellata di coccole

 Suscita curiosità e meraviglia una marmellata a base di ginepro e sicuramente è fra le preparazioni più insolite che possiamo assaggiare. In realtà si tratta di una marmellata di coccole e mele. Raccogliamo quante più coccole possiamo. Lasciamo a mollo per un giorno e una notte le coccole che poi, scolate, passeremo a fuoco lento e con pentola coperta. Quando sono morbide si passano al setaccio, si unisce lo stesso peso di polpa di mela a fettine sottili, un terzo del peso in zucchero, un ombra di cannella, la parte gialla della buccia del limone. Il tempo di cottura è determinato dal grado di consistenza desiderato.

 Note omeopatiche di Ennio Masciello

 Le bacche hanno potere ipoglicemizzante. Il gemmoderivato estratto dai giovani getti ha una doppia azione: rigeneratrice sulla cellula epatica malata ed attivatrice della funzionalità. Questa azione, sommata ad una attività diuretica, giustifica l’affermazione del ginepro pianta drenante epato-renale da utilizzare in tutti gli stati di “intossicazione”. L’olio essenziale opportunamente diluito troverà uso esterno nei reumatismi e nelle ferite.

 http://www.giardini.biz/piante/piante-spontanee/ginepro/

 

 

 

 

CORBEZZOLO

 

Il Corbezzolo (Arbutus unedo L.) e' originario del bacino del Mediterraneo e costa atlantica fino all'Irlanda. Appartiene alla Famiglia delle Ericaceae. Si dimostra una delle specie mediterranee meglio adatte agli incendi. Infatti sui terreni acidi l'incendio ripetuto favorisce il corbezzolo, capace di emettere rapidamente da terra nuovi turioni dopo il passaggio del fuoco, imponendosi sulle altre specie. Alberello sempreverde alto 5-6 m (a volte fino a 10 m), con portamento spesso arbustivo.

Il tronco presenta una scorza sottile, finemente e regolarmente desquamata in lunghe e strette placche verticali di colore bruno-rossastro.

Le foglie persistenti, alterne, coriacee, con breve picciolo, hanno una lamina obovato-ellittica. I fiori sono posti in racemi ramificati di colore bianco crema o rosato, provvisti di corolla lanceolata con 5 denti brevi; il calice ha denti triangolari. Fiorisce da ottobre a dicembre e fruttifica nell'autunno seguente. Il frutto e' una bacca globosa di 1-2 cm, rosso scura a maturita', edule, con superficie ricoperta di granulazioni; polpa carnosa con molti semi.

Frutti di Corbezzolo Frutti di Corbezzolo (foto www.unileon.es)

Varietà e portinnesti

Probabilmente sarebbe possibile selezionare qualita' con frutti piu' saporiti, come e' stato fatto per il colore dei fiori; ne esiste infatti una varieta' rubbia decisamente con fiori rosei ed anche frutti piu' colorati.

Tecnica colturale

E' una pianta che si riproduce facilmente sia per seme che per talea.  La riproduzione per seme va effettuata verso la fine dell’inverno in un miscuglio di sabbia e torba. Il terriccio va mantenuto sempre umido e i contenitori vanno collocati in luoghi riparati e luminosi.

La moltiplicazione per talea va fatta in inverno. Le nuove piantine di corbezzoli vanno trapiantate in piena terra dopo circa due anni.

Produzioni

Raro l'utilizzo allo stato fresco.

La trasformazione prevede: marmellate, gelatine, sciroppi, succhi, creme, salse e canditi.

Se fermentati danno il vino di corbezzole e distillati con proprietà digestive.

Dai frutti, foglie e fiori si estraggono principi attivi con proprietà astringenti, antisettiche, antinfiammatorie, antireumatiche.

La corteccia contiene tannini utilizzati industrialmente, per la produzione di coloranti e per la concia delle pelli.

Data la rapidità di accrescimento, trova impiego nei rimboschimenti per scopi ambientali, protettivi e antierosivi. Viene utilizzato nel settore florovivaistico per scopo ornamentale. Poiche' i fiori appaiono in autunno-inizio inverno, allorche' i frutti dell'anno precedente sono maturi, il valore ornamentale della pianta e' molto incrementato da tale particolarita'.

http://www.agraria.org/coltivazioniarboree/corbezzolo.htm

 

 

GIUGGIOLO SELVATICO (Zinzula)

 

Giuggiolo - Zizyphus vulgaris L.

Generalità: Il genere Zizyphus Miller appartiene alla famiglia delle Rhamnaceae, ordine Rasacee. In questa famiglia ritroviamo anche la Frangula (Frangula alnus) e il Ramno (Rhamnus catartica).

Queste sono piante in genere legnose e spesso spinose caratterizzate da foglie che possono essere semplici, intere, alterne con la presenza di stipole le quali possono modificarsi in spine.

I fiori sono ermafroditi (raramente unisessuali), li troviamo riuniti in racemi o in brevi cime ascellari formati da 4-5 petali e da stami distinti.

Per quanto riguarda il frutto, questo è una drupa che presenta un seme di forma allungata che raramente può essere ricurvo.

Il Giuggiolo (Zizyphus vulgaris L. ) è una pianta conosciuta dall'uomo fin dai tempi; già i Romani ne utilizzavano i frutti e ancora prima i Greci (il nome greco è “Zizyphon”).

La terra di origine di questo arbusto è la Cina, dove ancora oggi viene coltivato.

In Italia la coltura del giuggiolo e poco estesa, infatti viene coltivato solo in 2-3 zone d’Italia come la Toscana, la Campania, e il Veneto tipicamente sui colli Euganei nel borgo di Arquà Petrarca dove viene

prodotto il famoso “Brodo di Giuggole”.

Questa limitata diffusione è dovuta al predilezione del giuggiolo a climi temperati con terreni asciutti, poveri ed aridi.

In queste zone d’Italia il giuggiolo riesce a trovare un ideale clima e un terreno adatto alla vita e al completo sviluppo.

Il giuggiolo è un arbusto a foglie decidue, che può raggiungere i 7 m di altezza riconoscibile per la tendenza a ramificarsi assumendo un aspetto quasi contorto.

Presenta delle radici che penetrano molto in profondità ed è grazie a questo che riesce a sopravvivere in zone caratterizzate da terreni secchi e con climi aridi.

I rami sono spinosi e presentano una forma “zigzagante”, molto flessibili, con la presenza fra un internodo e l’altro di una coppia di spine di cui con la crescita solo una di queste si sviluppa.

La corteccia più giovane si presenta di color grigio-chiaro, invece quella più vecchia ha crepe profonde che lasciano intravedere un fondo rossastro.

Il giuggiolo emette le foglie e i frutti in piccoli rami che rinnova ogni anno, di colore verde-chiaro, che derivano da gemme riunite a formare una corona.

Le foglie sono alterne, piccole, lucide e presentano un bordo seghettato.

Il picciolo è corto e porta alla base due stipole modificate in spine, dritte e arcuate.

I fiori piccolissimi sono ermafroditi, riuniti in glomeruli ascellari e presentano un calice diviso in 5 lobi verdi triangolari con una corolla formata da 5 petali biancastri, concavi.

La fioritura avviene in giugno-agosto: Il frutto è una drupa ovale/sferica con pericarpo che passa da color verde iniziale a marrone con la completa maturazione con una consistenza simile a quella dei datteri.

Il mesocarpo è bianco-giallastro di consistenza farinosa, invece l’endocarpo è legnoso contenete due semi appiattiti anche se è frequente il fenomeno della partenocarpia.

La raccolta è effettuata durante i mesi di settembre-ottobre.

Frutti e fiori di Giuggiolo (Giuggiole) Frutti e fiori di Giuggiolo (Giuggiole)

Frutti e fiori di Giuggiolo (Giuggiole) Rametto con germogli di Giuggiolo (foto Enrico Selmin)

Varietà: In Italia non esistono cultivar selezionate, ma solamente dei tipi indicati genericamente:

- a frutto lungo;

- a frutto tondo.

Entrambe sono dotati di buone caratteristiche organolettiche e di buona produttività.

Tecnica colturale: Attualmente e' scarsamente diffuso in orti, case di campagna, quasi sempre allo stato sporadico, in rari casi si e' rinselvatichito. Predilige terreni sabbiosi o sassosi o calcarei a reazione neutra o basica, rifugge i terreni umidi e non soffre troppo le basse temperature invernali.

Produzioni: Consumo fresco. Marmellate, sciroppi, confetture, gelatine, canditi, dolci, bevande alcoliche e liquorose (brodo di giuggiole). In Asia sono consumati anche secchi (datteri cinesi). Conservazione in salamoia, in alcol e aceto.

Proprietà medicinali (effetto lenitivo ed antinfiammatorio), è utilizzato per la preparazione di decotti espettorranti ed emollienti.

Cosmesi: maschere emollienti ed idratanti per pelli secche. I semi contengono composti organici con proprietà sedative.

E' utilizzato per rimboschimenti. Integratore alimentare per gli animali al pascolo in alcuni periodi dell'anno. Il legno, di colore rosso è molto duro e viene utilizzato in ebanisteria.

Si ringrazia Enrico Selmin per la preziosa collaborazione.

http://www.agraria.org/coltivazioniarboree/giuggiolo.htm

 

 

 

Boschi dell’ambiente montano

OLMO MONTANO PINO NERO PIOPPO TREMULO

 

 

Alberi da frutta

MANDARINO CEDRO PISTACCHIO OLIVO
NOCE NOCCIOLO MELOGRANO KAKI

 

 

La qualità dei formaggi Siciliani è strettamente legata al territorio, alla razza e al sistema di allevamento.

L'insieme di questi fattori, propri del territorio di produzione e non riproducibili altrove, fanno di questi formaggi dei prodotti unici, racchiudendo in se tutte le caratteristiche e le qualità della natura nel senso più ampio del termine.

In aggiunta la biodiversità dello sviluppo batterico durante la produzione, può essere considerato un fattore fondamentale per il mantenimento delle caratteristiche tipiche dello stesso. Il progetto di valorizzazione dei formaggi Siciliani della Valdemone e del Val di Mazara ha approfondito i temi riguardanti la caratterizzazione tecnologica, microbiologica e della composizione chimica dei formaggi tradizionali Siciliani quali, il Maiorchino, La Provola dei Nebrodi e delle Madonie, il Canestrato, il Caciocavallo Palermitano e Trapanese, il formaggio Ericino, la Vastedda del Belice, la Tuma Pantesca ecc.

 

 

 

 

Asino Ragusano

Zone di origine sono i territori dei Comuni di Ragusa, Modica, Scicli e S.Croce Camerina.

Razza di recente costituzione: è stata infatti ufficialmente riconosciuta nel 1953, quando, attraverso lavori di selezione, l'lstituto di Incremento Ippico di Catania (che tiene il Registro Anagrafico) riuscì a fissare alcune caratteristiche-tipo.

Gli asini presenti da sempre in Sicilia erano riconducibili all'asino di Pantelleria, diffuso in provincia di Trapani ed alla "razza siciliana" comunemente detta ed estesa in tutto il territorio insulare. Le due "razze" incrociate tra di loro e con l 'asino di Martina Franca, con qualche insanguamento dell’Asino Catalano, diedero, seguendo una serie di incroci a più vie, alcuni prodotti molto validi.

A seguito di questi incroci, soprattutto in provincia di Ragusa, si trovarono soggetti dalle buone caratteristiche di sviluppo e conformazione. Si lavorò molto su questi soggetti incrociandoli in stretta consanguineità per cercare di fissare in maniera piuttosto rapida, il complesso dei caratteri veramente pregevoli ancora oggi riscontrabili. (Istituto di Incremento Ippico di Catania). Si adatta con facilità ai climi rigidi e in passato è stata utilizzata nel Nord Europa.

Temperamento nevrile ed energico. Attitudini: soma, tiro e produzione mulattiera. I suoi muli sono stati utilizzati con successo dalle truppe alpine negli ultimi conflitti.

www.iszsicilia.it

asino ragusano (foto mimmo rapisarda)

 

 

 

 

 

 

 

 

Si chiama Rodolfo. E´ un asino, ma di posta se ne intende, tanto che è finito in un francobollo, emesso lo scorso 22 settembre da Poste Italiane. Un asino portalettere non si è mai visto, ma adesso è invece comparso l´asino in francobollo! Rodolfo proviene da un allevamento specializzato di Ragusa. Chissà cosa ne penserebbe di cotanta popolarità... se potesse parlare. Una qualità che, per il momento, ancora non possiede, al pari di un asino che vola.

Rodolfo è un famoso stallone appartenente a questa razza siciliana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ottobrata Zafferanese a Zafferana Etnea

 

 

 

 

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