Cannizzaro è la più grande frazione del comune di Aci Castello, in provincia di Catania.

L'abitato è disposto lungo il lato ovest del percorso attuale della Strada statale 114 Orientale Sicula che porta da Messina a Catania; questa lo attraversava interamente prima della costruzione della variante attuale che permise di evitare l'ostacolo dei due vecchi passaggi a livello.

Vi si trova anche uno dei complessi ospedalieri più importanti della regione: l'Azienda Ospedaliera Cannizzaro, struttura ospedaliera di Riferimento Regionale di III livello. La principale festa di Cannizzaro è quella di Maria SS. Immacolata Concezione, ad Agosto.

 

 

Fino alla fine degli anni settanta era costeggiato dalla linea ferroviaria Messina-Catania che lo chiudeva tra i due passaggi a livello eliminati in seguito alla costruzione, più a monte, del nuovo tracciato a doppio binario. In seguito ai lavori anche la stazione ferroviaria è stata integralmente ricostruita in altra sede; oggi Cannizzaro è munita di una moderna stazione ferroviaria ed è sede di un terminal ferroviario merci costruito alla fine degli anni settanta.

Dal 1915 al 1934 la località era servita dalla tranvia Catania-Acireale.

 

 

 

 

 

I SCOGGHI I PAPIRA (Gli scogli dell'oca)

Abbiamo lasciato Ognina e siamo a Cannizzaro.

Superati «'i Vasciuliddi», un tratto di mare aperto la cui bellezza e ricchezza dipendono dalla presenza di anemoni di mare, di alghe rosse e violacee e di tutte le livree multicolori dei labridi.

Questo tratto di mare, il cui fondale scende dolcemente in un blu intenso e profondo, ha preso il nome di un pennuto palmipede che tutti conosciamo: l'oca. Sapevamo del passo dell'oca, del gioco dell'oca, della pelle d'oca, ma non degli scogli dell'oca o, meglio, degli «Scogghi 'i pàpira».

La curiosa denominazione, la cui origine non è certa, serve ad indicare ai marinai che il sito è pericoloso per le reti da calare.

La vicenda, che vuole invece proprio in quel posto la nascita di una «paparedda», è forse frutto della fantasia o dello scherzo di qualche marinaio mattacchione.

 

 

 

A PUNTA 'E L'OMU (La punta dell'uomo)

 La troviamo subito dopo «'i Vasciuliddi» di fronte all'Acqua 'e Pepiri. Un piccolo scoglio in mare (un isolotto in miniatura) proprio accanto ad un alto spuntone di roccia. Tra i due, dove è possibile transitare in barca soltanto durante l'alta marea, notiamo un fondale roccioso molto irregolare:

qui di vari metri, lì di qualche metro. Nel tratto di fondale più basso, detto «zotta», i raggi solari, penetrando, con-sentono la crescita di quello che noi chiamiamo «lippu»: il cibo preferito dai «muletti», che sulla «zotta» un tempo si facevano numerosi, specie nel pomeriggio.

 

 

 

Però le barche, anche quando il tratto di mare era agibile, non vi transitavano per evitare che i furbi «muletti» se la svignassero. I marinai facevano allora scendere uno di loro (un uomo) sullo spuntone di roccia adiacente per sorprendere il pesce e fiocinarlo d'astuzia.

Chi, di solito, si appostava era un esperto «fiscinaru». Questa complessa ed ingegnosa operazione d'astuzia diede il nome alla punta che, tuttora, viene chiamata «Punta 'e l'omu».

a punta 'e l'omu

 

A CACCARA (La calcara)

Poco prima dell'hotel «Baia Verde»  una piccola cala, detta «Caccara», nota agli «addetti ai lavori» per la sua posizione strategica: qui fu possibile la cattura di grandi quantità di acciughe senza l'ausilio delle reti.

Ciò capitò, più d'una volta, a barche con «lampara» che, in cerca di «ancileddi» , ebbero la sorpresa di essere abbordate da grossi branchi di acciughe.

I marinai allora, non avendo reti a bordo e non trovando chi potesse circuire i pesci, li conducevano pian piano fin dentro la cala, portandoli fin sugli scogli. Lì, quasi all'asciutto, avevano poi la possibilità di «'ncupparli» (catturarli con il retino), facendo così un grosso e originale bottino e rientrando quindi in porto «naci-naci» (con barche stracolme).

Sebbene il pescato sia oggi scarso non è detto che, presentandosi una «buona annata», non sia possibile il ripetersi di simili eventi.

II posto prese il nome di «Caccara» per la presenza di una fornace, che non doveva essere lontana e che riceveva — via terra — pietre bianche per farne calce.

 

 

 

 

La "carcara"

(fornace dove si scioglieva la calce).

 

In questa foto, che purtroppo non è in ottime condizioni, è ritratta un'antica fornace che in passato esisteva sulla nostra riviera, l'ho fotografata nel 1996 durante un'eccezionale mostra fotografica organizzata presso le Ciminiere di Catania dal Touring Club Italiano. La didascalia non indicava il luogo esatto, ma solo la riviera Catanese. Una rara e antica "carcara" ancora esistente, è quella  ben visibile a S.G. li Cuti. Di quella suggestiva e sconosciuta della foto ho fatto ricerche che mi inducono a credere che sia quella che un tempo esisteva sulla scogliera, che oggi delimita verso sud il complesso della Baia Verde, https://www.mimmorapisarda.it/2021/94.jpgdove tutt'ora esiste una piccola caletta, chiamata dai vecchi pescatori di Ognina "a carcara". Questo mi fa pensare che sulla scogliera soprastante un tempo esisteva l'antica fornace; il gregge che pascola indica che il sito era campestre (i numerosi giardini sulla scogliera incominciarono a scomparire subito dopo la seconda guerra mondiale con l'incessante speculazione edilizia che ha stravolto e cancellato ogni cosa). Anche la conformazione della costa visibile nella foto avvalora la mia ipotesi, trattasi dunque di quella antica fornace sotto la quale si stendeva la caletta che ne tramanda la memoria. Mio padre nei suoi racconti citava spesso la "carcara" ricordando tutte quelle volte che con la sua lampara a petrolio, dopo aver radunato per tutta la notte sotto il fascio luminoso numerosi branchi di "masculini" ( acciughe), poco prima che iniziasse "l'abburi" (i primi bagliori dell'alba), con la "rema" (corrente sottomarina) favorevole, si dirigeva lentamente con la sua lampara, diminuendo sapientemente l'intensità luminosa, fin dentro la cala dove il fondale marino si abbassava costringendo il branco di acciughe a sollevarsi dal fondo ed ammucchiarsi sotto la fonte luminosa. Quello era il momento in cui mio padre esercitava la sua maestria, da tutti riconosciuta, immergendo il suo "coppo" nel branco riempiendolo così di acciughe che caricava dentro la barca fino a che questa ne potesse contenere. Quelle "masculini" della "carcara", lo ricordo da ragazzo, chissà perché erano sempre di taglia più grossa.

Mario Strano

 

 

 

U SAUTU DO CORVU (Il salto del corvo)

Il «Corvu» si trova sul lungomare Ognina-Acicastello, sotto l'hotel «Baia Verde»

Ahuu... carusi, viriti ca malu tempu c'è!...». Questa era la voce che il marinaio-meteorologo faceva passare, quando udiva i corvi gracchiare  sulla punta più alta della nostra scogliera. Già oasi di natura, è il picco emergente di un complesso lavico dove, dall'alba al tramonto, i corvi volteggiavano per calarsi nei tafoni e bere l'acqua che vi si raccoglieva.

Parliamo del «Corvu»: un'impressionante montagna di lava a picco sul mare, rigogliosa di macchia mediterranea: rovo, olivastro, fico d'India, cappero, ecc.

Prima, però, di abbordare «'u sàutu 'u Corvu», vogliamo darvi notizia della relazione fatta da Carlo Gemmellaro in ordine agli studi sull'azione chimica e corrosiva del mare, compiuti su un campione di roccia prelevato nella zona. Della dotta relazione, letta all'Accademia Gioenia di Scienze Naturali nella seduta ordinaria del 27 agosto 1829, leggiamo insieme un cenno:

 

«Questo pezzo di masso fu staccato dal fianco che presentano al mare le lave, che dallo scaro dell'Ognina si estendono sino ad Acicastello, e dal luogo precisamente detto salto del Corbo, d'onde sono provenienti forse tutti que' massi rotolati di natura simile, i quali si veggono ammontati presso la spiaggia orientale dell'Ognina [...] Si dà il nome di salto del Corbo ad un buon tratto di scogliera fra l'Ognina ed Acicastello. I pescatori distinguono poi con vari nomi quasi ogni scoglio. Il luogo d'onde questo masso fu strappato porta una indecente denominazione [...]  Esso è, come vedete, ridotto ad una forma di vespaio, bucato e corroso, con un labirinto di andrivieni, di archi, di volte e di colonnette, ed è nel tutto a prima vista un oggetto di mera curiosità. Ma se noi, come dobbiamo, vogliam penetrare addentro nella vera causa che da compattissimo masso di lava, un pezzo così logoro lo rese, abbiamo, son sicuro, di che scientificamente occuparci [...] Questo masso che osservate così logoro e bucato non è poi che una porzione d'una gran superficie di lava tutta corrosa anch'essa ed impraticabile; ed è in quel luogo del salto del Corbo, che voi osservar potete in grande l'effetto della forza solvente e meccanica delle onde, che in questo esemplare potete appena ammirare [...] Riepilogando [...] possiamo stabilire [...] che l'agente principale di questa forza solvente è il muriato di soda, sia per l'azione dell'acido sopra alcune basi, sia per la soda che scioglie la silice [...] Ma che a verificarsi la corrosione delle lave per questo processo, moltissimo tempo si richiede; e che nulla è la forza chimica delle acque in paragone de' grandiosi effetti della lor potenza meccanica».

Il luogo di cui parliamo e le sue adiacenze, che hanno preso nome di contrada Corvo, comprendono anche una serie di splendide grotte (la cui sommità i marinai chiamano «'a cruna d'i rutti»), che proteggono dalla vista del cemento e dal rumore del traffico.

Le grotte, ricche di pesci e crostacei, con le pareti a picco sul mare, le secche, che salgono verso la superficie da fondali profondi, e le praterie di Posidonia (anche qui intervallate da distese sabbiose), rappresentano la parte più attraente e spettacolare della nostra scogliera: i giochi di colore delle sue acque sono così decisi e intensi che sembrano appartenere alle acque dei mari del Sud.Questo era il luogo più noto e più idoneo per la pesca dei ricci.

 

 

 

U PALUMMU (Il Palombo)

Mentre proseguiamo il nostro viaggio, diretti verso Acicastello, ci viene ora indicato uno scoglio proteso in mare, denominato «Palummu», che è un noto punto di allineamento.

Gli allineamenti, che sono linee ideali che passano per due segnali sulla costa (chiese, monti, ciminiere, ecc.), sono necessari ai fini dell'orientamento e della individuazione dei tratti di mare da attenzionare.

Il marinaio conosce a memoria il comportamento dei pesci e regola di conseguenza le sue azioni, dirigendo le sue ricerche verso i posti ritenuti più pescosi.

Uno di questi era quello il cui sito veniva calcolato mediante l'allineamento tra «l'avvuliddu»  e lo scoglio del «Palummu» ed il riferimento tra il primo faraglione e la Punta aguzza. Il calcolo effettuato porta ad una profondità di circa quarantacinque metri.

Solo con la barca allineata in tal modo era possibile calare la «palummara»  che, in caso diverso, si sarebbe trovata distesa nel posto inesatto. Con un riferimento errato, ad esempio quando «affacciava» (si intravedeva) il faraglione, si correva il rischio che la rete finisse sulla secca chiamata «'u scogghiu d'u rèntici» , oppure sugli scogli detti della «Carrubba», dove non solo non avrebbe catturato «palummi», ma subito sicuramente seri danni.

Lo scoglio, per essere stato punto di riferimento per la pesca dei palombi, prese quindi il nome di «Palummu».

 

 

 

 

 

L'ACQUA E CAPRI (L'acqua delle capre)

Superato il «Palummu», poco prima di giungere di fronte all'Hotel Sheraton, ci vogliamo soffermare davanti ad un tratto di scogliera, detta comunemente «L'acqua 'e capri».

La denominazione «Acqua delle capre» sembra aver tratto origine sia per la presenza di uno sbocco in mare d'acqua dolce (oggi semisommerso da grossi sassi), che consentiva ai pastori di abbeverarvi il gregge, sia perché — come scriveva il D'Arcangelo —: «Sotto gli stessi scogli scaturiscono piccole fontane d'acqua, limpide e fresche [...] dolci e soavi al gusto, che nel fine del bere vi si sente un certo gradissimo sapore di latte» . Quanto riferito è per noi poco credibile, perché la logica dei marinai o della gente del posto, non poteva certamente affidarsi a voli poetici, ma più semplicemente, cercato un punto cui fare riferimento, vi ricamava poi con un po' di fantasia.

Piuttosto, visto che il luogo non era certamente idoneo per pascolarvi il gregge, né tantomeno per farlo dissetare, crediamo (come del resto ci viene confermato dai marinai) che la sorgente e quindi il luogo presero il nome di «Acqua 'e capri», perché le massaie vi lavavano la lana che, stesa ad asciugare sugli scogli, veniva poi cardata sul posto.

Secondo informazioni storiche, da questo luogo, prima che la lava del 118 a.C, passando per la Licatia, andasse al mare e distruggesse «Catania e i suoi contorni» , riuscendo a modificare per intero la fisionomia del posto, la costa, dopo aver tracciato un arco, si inoltrava fino all'odierna zona del Canalicchio.

 

L'acque 'e capri, pressi Sheraton

 

L'acqua ritenuta saluberrima doveva essere l'acqua del Fasano; il bosco sacro poteva essere il bosco che circondava un tempio dedicato alla «Bella dal tallon di perla figlia di Cadmo, Ino chiamata al tempo che vivea tra i mortali: or nel mar gode divini onori, e Leucotea si noma» Da qui il nome della località, che venne chiamata Licatia, e quindi Leucatia.

Anche Stesicoro, parlando dell'amore di una giovane di nome Calica, riferisce di una rupe — chiamata Scoglio di Leucate — dalla quale la fanciulla, per un amore non corrisposto, si lanciò «nei gorghi dello Ionio», trovandovi la morte .

  

pressi ex Ristorante Selene

 

A PUNTA A UZZA (La punta aguzza)

Superata «L'Acqua 'e capri» proseguiamo ora — sempre diretti a nord — in direzione di Acicastello, osservando l'ultimo tratto di scogliera, prima di cogliere in lontananza l'incanto della rocca del castello di Aci.

Qui turisti italiani e stranieri si stendono a prendere il sole sugli scogli e credono per un momento di essere in uno dei paradisi della Polinesia.

Il mare e il panorama sono quasi gli stessi e le bellezze naturali e l'acqua cristallina danno uno straordinario senso di quiete, che contrasta con il caos della strada, che costeggia il mare e gli ormai pochi giardini di ulivi, mandorli e limoni che una volta profumavano l'aria di intense fragranze.

Siamo nella «Punta Aguzza» o, più semplicemente, «'nta Uzza».

Il luogo, così ameno per turisti e bagnanti, non fu altrettanto accogliente per quei marinai che, come nei pressi della «Punta 'e Jaliuni», a bordo di antichi velieri furono qui sorpresi da improvvise burrasche, essendo la «Uzza» uno dei luoghi più esposti ai venti di tramontana e di grecale. E più d'una volta, non potendo fronteggiare la furia degli elementi della natura, non raggiunsero il porto di destinazione.

Si racconta di un veliero che, effettuata la prima virata in prossimità della «Punta 'e Jaliuni», non riuscendo qui ad effettuare la seconda, per il forte vento si trovò scarrocciato proprio sulla «Punta aguzza» e affondò assieme al carico. Da allora, e per tanto tempo, la punta anzidetta portò il nome di «Punta di S. Croce» perché, nel posto in cui il bastimento fece naufragio, mani pietose avevano deposto una croce in memoria dei marinai scomparsi. La «Punta aguzza» si trova subito dopo il lido «Esagono».

 

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le descrizioni dei punti sono stratte, a spezzoni, da "Luci sulla scogliera" di Pippo Testa e Mimmo Urzì - Edizioni Greco in Catania

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/2022/209.jpg

 

 

 

 

 

 

  

 

 

Località BAGNACULO - in avvicinamento ad Aci Castello