IMPRESARIO: Leo Weachter
PRESENTATORI: Rossella Como e Lucio Flauto
SOVRAINTENDENTE: Valerio Vancheri
ACCOMPAGNATORE: Gianni Minà


SUPPORTERS: Le Ombre, I Giovani Giovani, Guidone e gli Amici, Angela e il Gruppo Guidone e gli Amici, i New Dada, Fausto Leali e i Novelty, Peppino Di Capri ed il suo gruppo.


REPERTORIO: Twist And Shout, She's A Woman, I'm A Loser, Can't Buy Me Love, Baby's In Black, I Wanna Be Your Man, A Hand Day's Night, Everybody's Trying To Be My Baby, Rock And Roll Music, I Feel Fine, Ticket To Ride, Long Tall Sally.
 Il primo tempo dello spettacolo era riservato ai Supporters. I Beatles intervenivano nel secondo tempo.

Durante il concerto Paul presentò in lingua italiana moltissimi brani e allo stesso modo non poche volte volle ringraziare gli spettatori.
La durata dell'esibizione dei Beatles si aggirava sui 35 minuti.


MILANO

Nella loro unica visita in Italia, i Beatles si esibirono in tre città, cominciando con due concerti (1630 e 2130) al velodromo all'aperto Vigorelli di Milano (22000 posti a sedere), giovedi 24 Giugno. Lo spettacolo pomeridiano registrò circa 7000 spettatori, mentre quello serale 20000.

 

GENOVA

Due concerti furono tenuti al Palasport di Genova (25000 posti a sedere), Venerdi 25 Giugno, alle ore 1630 e alle 2130. Appena 7000 spettatori assitettero a quello pomeridiano. I Beatles arrivarono a Genova in auto da Milano e l'indomani mattina partirono per Roma in aereo.

 

ROMA

A Roma il gruppo si esibì due volte al giorno al Teatro Adriano (ore 1630 e 2130) per due giorni consecutivi, Domenica 27 e Lunedi 28 Giugno.
La RAI ha ammesso di aver registrato per intero uno dei quattro concerti.
Alle 1135 del 29 Giugno i Beatles rientrarono in Francia da dove erano venuti.

 

 

Quando incontrai i Beatles...

Intervista a Ricky Gianco
Abbiamo chiaccherato con il musicista Ricky Gianco che nel 1964 conobbe i Beatles a Londra. Gli abbiamo chiesto di raccontarci di quell'incontro e i perché di quel fenomeno musicale...

Leggi la recensione di "Love"

Quando ha conosciuto i Beatles?

Li ho incontrati a Londra nel 1964. Io dovevo fare il primo tempo del loro tour italiano. Leo Watcher che era l'impresario organizzatore dell'evento mi aveva mandato in Inghilterra. Io conoscevo già il loro editore Dick James e avevo conosciuto poi il produttore Brian Epstein. E insieme a loro sono andato all'Astoria Theatre per il Christmas show. Ho trascorso in loro compagnia il pomeriggio, abbiamo parlato di tante cose. Mi hanno fatto vedere il palcoscenico, gli strumenti che utilizzavano, e poi mi sono fermato ad assistere al loro spettacolo. Di George Harrison ho uno "spiacevole" ricordo perchè quando ci siamo salutati quel pomeriggio è stato scortese nei miei confronti e io purtroppo l'ho mandato a quel paese… Mi salutò con un “ciao pizza, mozzarella”… Naturalmente mi sono pentito. Eravamo giovani entrambi… E poi ho un ricordo stupendo di Lennon e di McCartney.

Quali erano secondo lei gli elementi più innovativi della musica dei Beatles?

Se non avessi avuto la fortuna di vedere la loro sperimentazione avrei pensato che suonassero in playback… Perché allora in Italia quando registravi una canzone il suo corrispettivo dal vivo era molto diverso. Non c’erano i mezzi tecnologici adeguati. Invece con i Beatles praticamente si poteva sentire il disco dalla platea. E poi esisteva questa alchimia fantastica di due geni diversi ma che si sono incontrati nella musica, Lennon e McCartney.

Lei ha inciso alcune canzoni del gruppo: Cambia tattica (From me to you), Non cercarmi (All my loving), Twist and shout. Che tipo di riscontro ebbero?

Un buon riscontro. Ma allora non avevamo capito ancora che mostri musicali fossero. In America per esempio non avevano ancora fatto il tour e non era ancora scoppiato la famosa british invasion che ha messo in crisi il mercato discografico americano, da Elvis Presley ai Beach Boys, i monarchi del rock statunitense.

E in Italia?

In Italia apparivano solo come un gruppo che faceva il beat, e pochi avevano capito che la loro era un po’ una risposta inglese agli americani che avevano messo in piedi tutta la rivoluzione del rock. Qui come sempre le cose si capiscono un po’ in ritardo.

Cosa pensa delle operazioni discografiche che riprendono negli arrangiamenti opere passate. Questo Love, oppure tempo fa il Let it be naked, voluto da McCartney?

Le motivazioni di questi recuperi come al solito possono essere diversissime. C’è chi è affezionato, chi vuole ricordare… ha l’istinto del ricercatore e ha voglia di vedere cosa può scoprire di nuovo. Non credo comunque che il vecchio George Martin alla sua età sia stato mosso da questo ma forse mi sbaglio…Probabilmente lo fa perché vuole "spingere" il figlio anche lui coinvolto nel progetto. Un po’ come la storia dei libri dell'autore di James Bond. La vedova di tanto in tanto trovava nel cassetto un inedito... Se lei considera che Elvis Presley guadagna più da morto che da vivo... Sono operazioni che cercano di sfruttare l'enorme catalogo a disposizione.

Quanto è ancora vivo il culto dei Beatles in Italia?

Io sento sempre vivi loro. La loro musica. Non mi rendo conto che sono passati tanti anni. Mi sembra una cosa recente. All’estero, Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti il ricordo e il rispetto sono maggiori. Anche quelli che non gli hanno conosciuti perchè non erano ancora nati sono più attenti. Cosa che invece non riscontro purtroppo qui da noi.

14 novembre 2006 Di Francesco Marchetti

 

Aprire il concerto dei Beatles...

La testimonianza di Fausto Leali
Abbiamo sentito Fausto Leali che il 24 giugno 1965, con i Novelty aprì il concerto dei Beatles, tenutosi al Velodromo Vigorelli di Milano.
Il concerto si componeva di due momenti principali: nel primo si esibivano i complessi Beat e cantanti italiani, tra cui appunto Leali col suo gruppo, mentre nel secondo entravano in scena i Beatles.
Leali presentò i brani Portami tante rose e La campagna in città.
Oltre a lui, della scena musicale italiana, vennero chiamati ad aprire il concerto dei Beatles, Peppino Di Capri con i suoi Rockets e Maurizio e i New Dada.
Per vedere i favolosi ragazzi di Liverpool si spendevano 2000 lire per il prato e 1000 lire per i posti sulle tribune. E il sogno diventava realtà!

Ma ecco la testimonianza di Fausto Leali su quell'evento ormai entrato nella storia

Cosa ha significato per lei aprire il concerto dei Beatles?

Sono stato il primo in Italia a incidere una cover dei Beatles con Please Please Me e She Loves You. Questi due pezzi tra l'altro andarono molto bene. Quando mi offrirono di aprire il concerto naturalmente decisi di non riproporre i loro brani. Certo in quel momento fu una grande soddisfazione per me essere stato scelto per fare da supporter ai Beatles nella loro tourneé italiana al Vigorelli di Milano.

Ha avuto la possibilità di conoscere i Fab Four?

Ebbi la possibilità di conoscerli e intrattenermi con loro perchè i Beatles erano ragazzi molto alla mano, molto simpatici. Facevano veramente "vita di gruppo" con il resto dei musicisti. Ho delle bellissime fotografie in compagnia dei Beatles scattate in occasione del tour.

I Beatles hanno influenzato la sua musica?

Direi di sì anche se la mia personale formazione artistica va ricercata nella musica nera, nel blues, nel soul. Però i Beatles a loro volta sono stati influenzati dalla musica nera, come tutto il rock'n'roll del resto. Sono stati un fenomeno artistico incredibile che è impensabile che qualcuno non abbia tratto vantaggio da quello che hanno scritto e cantato.

 

 

 

foto di Donatella Damiani e Luigi Fiumicelli

In posa sulle terrazze del Duomo o sul palcoscenico del velodromo Vigorelli, all'uscita dall'hotel o sommersi dai fan in delirio: sono 'I Beatles dal vivo!' raccontati negli scatti inediti degli archivi Farabola esposti fino al 9 luglio alla libreria Feltrinelli di piazza Duomo. Il 24 giugno 1965 i Fab Four tennero i loro due unici concerti milanesi - uno pomeridiano e uno serale - al Vigorelli, per poi continuare il loro breve tour italiano con le tappe di Genova e Roma. All'epoca furono fotografati dagli inviati dell'agenzia Farabola e finora erano stati messi in circolazione solo una decina degli scatti realizzati quel giorno, ovvero quelli che Farabola aveva selezionato, stampato e distribuito ai giornali. "Per quasi 50 anni si è creduto che quelle fossero le uniche fotografie esistenti dei Beatles a Milano - spiegano dagli archivi Farabola - La mostra allestita alla Feltrinelli presenta in anteprima assoluta una selezione di immagini inedite" (Lucia Landoni)
 

 

 

 

 

 

 

Guardate questa foto. E' bellissima. Ci sono quattro giovanissime fan dei Beatles, ognuna con un nome di uno dei "fab four" scritto sul braccio, sono in attesa di vedere i loro idoli in concerto a Milano, nel giugno del 1965. La storia che vi stiamo per raccontare è fantastica, mette insieme ricordi, persone, la televisione e "Chi l'ha visto", l'amore per i Beatles e la celebrazione dei 50 anni passati dai concerti italiani della band di Liverpool e oggi. E' una storia talmente bella che vale la pena raccontarla tutta

 

L’antefatto.

 Ottobre 2014. Franco Zanetti, direttore di www.rockol.it e storico dei Beatles (suo è fra l’altro “Il libro bianco dei Beatles”, edito da Giunti nel 2012) comincia a pensare a qualche iniziativa connessa al cinquantenario (giugno 2015) del tour italiano dei Beatles. Visita il sito Internet dell’agenzia Farabola, che detiene i diritti dell’iconica fotografia dei Quattro sulla terrazza dell’Hotel Duomo a Milano, con le guglie della Cattedrale sullo sfondo; e nota che le foto a disposizione per l’utilizzo sono in tutto una decina. Si chiede come mai siano così poche, e ipotizza che ce ne possano essere altre. Quindi, utilizzando un form sul sito Farabola, chiede un contatto con l’agenzia. Dopo qualche sollecito, alcune settimane dopo riesce a parlare con Massimo Vercesi, responsabile dell’archivio, che ora ha sede a Vaiano Cremasco. Gli spiega che ritiene molto probabile che ci siano altre foto dei Beatles in archivio; e Vercesi, sulle prime poco interessato, si fa convincere.

 Dicembre 2014: mercoledì 3 dicembre Zanetti va a Vaiano Cremasco, e lì Vercesi gli fa trovare su un tavolo luminoso una scatoletta di cartone contenente più di cento diapositive 6x6, la maggior parte delle quali in bianco e nero, ognuna contenuta in una bustina di carta velina sulla quale in bella calligrafia è descritto il contenuto. La data è uguale per tutte: 24 giugno 1965. Sono tutte foto relative alla presenza dei Beatles a Milano (sulla terrazza e in una saletta dell’Hotel Duomo, e al Vigorelli durante l’esibizione pomeridiana); e sono quasi tutte mai viste prima dall’occhio di Zanetti (che in più di vent’anni da storiografo del gruppo ne ha viste, di foto dei - o relative ai - Beatles…).

Gli autori delle foto sono ignoti: Vercesi dice che non sono documentati i nomi di chi le abbia scattate, e che nessuno ormai se lo ricorda. Nasce l’idea di una mostra, e col tempo il progetto prende forma attraverso il coinvolgimento di Paolo Soraci di Feltrinelli, il quale propone, come sede della mostra, il negozio Feltrinelli di Piazza del Duomo a Milano, che si trova nello stesso blocco di edifici in cui c’era l’Hotel Duomo – oggi chiuso.

 Aprile 2015: stabiliti tempi e modalità della mostra, che aprirà il 4 giugno 2015, si scelgono le fotografie da esporre. Ne vengono selezionate una trentina, che poi verranno stampate e appese nel negozio (è possibile ordinarne delle copie su tela direttamente in Feltrinelli Duomo o sul sito di Feltrinelli). Una di queste fotografie è particolarmente curiosa: ritrae quattro ragazze che posano per il fotografo, ognuna delle quali si è scritta su un braccio con il pennarello il nome di uno dei Beatles. Nella mente malata di Zanetti si insinua il progetto di rintracciare le fotografate del 1965 per rifotografarle cinquant’anni dopo nella stessa posa e con il nome dello stesso Beatle scritto sul braccio. Consapevole dell’impossibilità dell’impresa, Zanetti ricaccia l’idea in un angolo del cervello.

 3 giugno 2015: allestimento della mostra. Interviene – avendone letto sui giornali – anche Angelo Deligio, a lungo fotografo ufficiale di “Sorrisi e Canzoni”, che rivela a Zanetti di essere l’autore delle foto al pubblico del pomeriggio (e gli dice che secondo lui le altre foto sono state scattate da Adalberto Guarnerio). Zanetti contatta Adalberto Guarnerio, che però spiega di essere ancora arrabbiato, cinquant’anni dopo, perché l’agenzia Farabola all’epoca non aveva inviato lui, a fotografare i Beatles all’hotel Duomo e poi al concerto del pomeriggio, ma un collega di nome Eros Biavati – purtroppo scomparso alcuni anni fa. E così finalmente sappiamo chi scattò le foto col Duomo sullo sfondo – ma non potremo farci raccontare la sua avventura.

Rivedendo esposta la foto delle quattro ragazze, Zanetti decide che l’impresa impossibile va almeno tentata. La stessa sera scrive, senza conoscervi nessuno, alla redazione di “Chi l’ha visto?”, proponendo di mostrare la foto in trasmissione per sollecitare chi conoscesse le ragazze a mettersi in contatto con la RAI.

Con cortese scetticismo, la giornalista Francesca Carli chiede di vedere la foto, che le viene inviata via mail, e si mostra possibilista ma non ottimista. Invece la proposta di Zanetti viene accettata, fissando la (probabile) messa in onda dell’appello “chi le ha viste?” a mercoledì 17 giugno.

 17 giugno, ore 23 circa: nel corso di “Chi l’ha visto?” la conduttrice Federica Sciarelli spiega brevemente la faccenda e fa inquadrare la fotografia per poco più di mezzo minuto. Alle 23,07 Francesca Carli scrive a Zanetti: “Forse ne abbiamo trovata una… ha chiamato una sua compagna di scuola, ora prova a contattarla e domani vediamo!”.

 18 giugno, ore 13: Francesca Carli scrive a Zanetti: “La ragazza che ha il nome di George scritto sul braccio si chiama Antonella Boccola, vive in Abruzzo”, e aggiunge il numero di telefono e l’indirizzo: “lei conosce il nome di due delle altre: Laura Pacciarella e Daniela Colombo”.

Zanetti chiama Antonella che, però, non ha i contatti delle altre ragazze. Zanetti prova a rintracciare quella con il cognome meno diffuso, e scopre che una Laura Pacciarella vive a Milano, trovando anche su Youtube il video della sua conduzione di una trasmissione radiofonica. Zanetti chiama la radio, spiega chi sta cercando, e ha il primo colpo di fortuna: la persona che gli risponde ha guardato “Chi l’ha visto?” la sera prima. Coinvolta nella caccia, si attiva immediatamente; nel giro di dieci minuti Zanetti ottiene il numero di Laura Pacciarella (“Ringo”) e le parla. Secondo colpo di fortuna: Laura è sempre rimasta in contatto con Daniela Colombo, che nel frattempo si è sposata e si è trasferita in Svizzera. Zanetti parla anche con Daniela Colombo (“Paul”).

A questo punto manca la quarta, Daniela Corazza (“John”), della quale nessuna delle altre tre ha un contatto. E’ giovedì sera.

Mettendo insieme alcuni ricordi sparsi delle altre su Daniela Corazza (il cognome del possibile marito, la città in cui dovrebbe vivere, uno sport praticato) Zanetti fruga su Internet e risale, attraverso una serie di incroci ed eliminazioni, a nome, cognome, professione e numero di telefono dell’ufficio di Roma del marito di Daniela Corazza – sempre che sia lui. Ma ormai è notte…

 19 giugno, ore 10: Zanetti affida a Laura Pacciarella il compito di provare a chiamare l’ipotetico – sarà lui? - marito di Daniela Corazza. Alle 12 del mattino, Laura chiama l’ufficio ma il telefono suona a vuoto. Laura chiama Zanetti e lo informa del buco nell’acqua, ma dopo due minuti lo richiama: ha riprovato a telefonare, così, perché non si sa mai, e stavolta le hanno risposto. E le hanno chiesto di richiamare dopo venti minuti.

 19 giugno, ore 13: il marito conferma di essere quello che cercavamo, e dà a Laura il numero di sua moglie Daniela Corazza (“John”). Ma bisogna aspettare il pomeriggio per poterla chiamare.

 19 giugno, ore 16,07: Zanetti chiama al telefono Daniela Corazza. Ha fatto poker. E senza Facebook…

 http://assante.blogautore.repubblica.it/2015/06/i-beatles-in-italia-e-quattro-fan-ritrovate-dopo-50-anni/?ref=fbpr

 

 

 

 

 

I Beatles al Velodromo Vigorelli
“Allacciatevi le cinture di sicurezza perché questo è un aereo. Ora decolla!”. Nei ricordi della giovane protagonista, allora quattordicenne, Donatella Damiani, il viaggio da Firenze a Milano alla volta di uno dei concerti dell’unico tour in Italia dei Beatles, 1965, comincia così, a bordo di una vecchia Giulia Super bianca. “Era giugno, e quello era il regalo per il nostro esame di terza media appena superato. Ci accompagnava al concerto il padre di una mia cara amica, che era spesso a Milano per lavoro perché aveva fatto fortuna, nei primi anni ’60, come grafico pubblicitario. Ancora la professione era poco diffusa, e chi era competente in materia si era creato in quegli anni una discreta stabilità economica. Fu tramite lui che riuscimmo ad avere i biglietti. Il costo era di 3000 lire. Non poco per quei tempi !”
Del concerto di per sé, dell’evento musicale, a distanza di così tanti anni non le è rimasto un grande ricordo. I particolari, la strumentazione, i pezzi suonati sono dettagli su cui l’attenzione non si è forse mai soffermata. “Non avevo una profonda conoscenza della musica, né coltivavo questo tipo di interesse. A quei tempi, del resto, non era semplice. Non era per tutti andare ai concerti e seguire la musica, e la passione doveva essere affiancata da una certa disponibilità economica. Tutto quello che sapevo era che mi piacevano i Beatles. Conoscevo più o meno bene i pezzi del gruppo, li avevo ascoltati sui loro dischi, gli unici dischi che conoscevo. Io e l’amica che mi accompagnava al concerto li avevamo comprati a metà e li ascoltavamo insieme”. Cosa c’è allora di speciale nel racconto di questo concerto? C’è intanto la allora giovane età della protagonista a caratterizzarlo, ma soprattutto c’è la sua passione per la fotografia. A quel concerto Donatella andò equipaggiata di macchina fotografica, una Voighlander degli anni Cinquanta, e scattò sedici fotografie. Il tempo e la complicità della scarsa passione per la musica hanno fatto sì che poi le foto finissero, anche se conservate con la massima cura, in fondo ad un cassetto, e che per tutti questi anni non ricevessero la dovuta considerazione.Questo fino al giorno in cui l’attenzione, casualmente, non si è soffermata di nuovo su di esse. I negativi, che erano stati ordinatamente messi da parte, sono stati ritrovati e restaurati.
 “La passione per la fotografia me la aveva trasmessa mio padre, fotografo per passione fin dagli anni Quaranta. Per me in quegli anni era normale fare fotografie. Scattai le prime rimanendo distante dal palco, poi mi feci coraggio e mi avvicinai. Riuscivo a vederli bene nella posizione in cui ero, così che in un paio di scatti riuscii ad immortalare in primo piano il gruppo al completo”.
Ciò che Donatella si ricorda bene è che tutti in quel periodo erano pazzi per i Beatles, ma che lei del fenomeno musicale si rendeva ancora poco conto, e che gli aspetti di questa esperienza che, dopo tutto questo tempo, le sono ancora maggiormente vicini sono quelli legati alla quotidianità e all’emozione concreta: la prima volta a Milano, la curiosità della spedizione, quel po’ di influenza che la Beatles mania aveva anche su di lei e sulla sua giovane amica. “Il viaggio passò più velocemente di quanto avremmo mai potuto immaginare e, fra l’emozione per la novità e quella per il concerto, ci trovammo a Milano in un attimo. Il traffico sulle autostrade non era certo quello di adesso, e in più al nostro accompagnatore correre piaceva un bel po’… ”. La città che si trovarono davanti era molto diversa da come l’avrebbero rivista negli anni successivi. “ Me la ricordo, innanzi tutto, molto meno affollata. Mi sembrava che tutto avesse più respiro e la città non era ancora il polo industriale che sarebbe diventata. Anche se tutto è, chiaramente, in relazione a quello che allora era il mio modo di percepire la realtà! ” Si ricorda di una città già ricca e nella quale la gente identificava la capitale del benessere, ma tutto questo diluito in tempi e modi diversi da quelli di adesso. “Appena arrivati, il padre della mia amica ci portò a fare un giro a La Rinascente. Allora La Rinascente c’era solo a Milano ed era considerata veramente la frontiera dei grandi magazzini. Erano un po’ gli Harrods di casa nostra.  Comprammo degli strani vestiti, che mi ricordo ancora bene! E poi da lì a fare un giro in Galleria”. Come per ogni evento di questo tipo, i dettagli caratteristici hanno retto al trascorrere del tempo meglio di tutto il resto. “Mi ricordo che andammo a mangiare da Biffi, e io non ero mai stata in un self-service. Mangiai il prosciutto arrosto con i piselli. 

Una bella fetta alta di prosciutto buonissimo e una montagna di piselli”.
Da lì il pomeriggio si spostò verso il Velodromo Vigorelli, in Via Arona, in attesa dell’inizio del concerto. Le esibizioni che i Beatles tennero, il 24 giugno del ’65, furono due, una nel pomeriggio e una la sera. Nessuna delle due fece registrare il tutto esaurito. Quella del pomeriggio attirò circa 7000 persone, non un numero esorbitante per la disponibilità di posti, ma la sensazione era quella della presenza di tante persone intorno. “ Era stato mobilitato un bel numero di forze per il servizio d’ordine. I militari erano tutti in divisa, ordinatamente disposti sotto il palco. I nostri biglietti erano per il prato. La gente era tanta, e all’inizio del concerto non mancavano quelli, e soprattutto quelle, che si strappavano i capelli. Che altro fare, del resto: infuriava la Beatles mania!” Il ricordo della performance del gruppo si limita alle sensazioni. “ Non ricordo bene per quanto tempo suonarono, ma sicuramente suonarono Love Me Do e A Hard Day’s Night. Nell’aria c’era grande fermento. Loro erano forse il primo gruppo rock che arrivava in Italia provocando un impatto del genere. Personalmente, prima dei Beatles, non ho il ricordo di nient’altro di simile. Io, addirittura, non ho il ricordo musicale di niente altro. Nessuna delle influenze precedenti mi aveva sfiorato. Credo, comunque, fossimo tutti molto affascinati dai Beatles” Riflette poi: “Ci siamo passati in mezzo assolutamente senza consapevolezza, ma quello era lo spirito e quella era la gente. Chissà se perfino i Beatles sapevano, quando si incamminarono sulla strada per il successo, che percorrerla li avrebbe definitivamente consacrati alla storia”
Giulia Nuti

The Beatles in Italy

E’ notte fonda e regna il silenzio nella grande hall dell’Hotel Duomo di Milano.
Il Duomo è un ottocentesco immobile posto imperioso sul primo anello che cinge il centro storico della capitale lombarda. Oggi, siamo nel 1965, non è più il miglior albergo della capitale ambrogina ma fermarvisi significa ancora qualcosa. Ecco perché Leo Wachter, triestino con radici ungheresi di professione “ agente dello spettacolo “, ha prenotato qui, per tre notti ben dieci camere doppie e la “suite degli imperatori” tanto cara ai comandanti austrungarici che la rallegravano con donnine fatte venire in carrozza dall’ adiacente zona della stazione.
Sulla destinazione delle stanze regna il riserbo più completo. Le consegne ai portieri notturni sono perentorie: rispettare la privacy degli ospiti, rendere il loro soggiorno piacevole. L’Hotel Duomo è l’unico a Milano, fra le altre cose, capace di servirti una cena completa a qualsiasi ora della notte. Un cuoco e uno chef vivono perennemente lì, presso le spaziose stanze di una dependance che è oggi, quaranta anni dopo, un celebre studio d’ architetti associati specializzati, guarda un pò!, in cucine.
Per Leo questi di giugno sono giorni cruciali alla sua attività futura e il triestino, sfollato dalla guerra e venuto su dal nulla, lo sa bene: la gloria che sta accumulando potrebbe rivoltarsi contro se non saprà dimostrare a tutti, colleghi stranieri in primo luogo, di saper gestire impeccabilmente le logistiche di un’organizzazione per l’epoca complessa. Intanto, il baffuto e colorito Wachetr, cela il suo nervosismo con uno stile di vita splendido, da bravo godurioso, tipico di colui che non ha niente da perdere.
Con una mossa rapida e scaltra Wachter è riuscito a sfilare da sotto la penna del più grande agente italiano, il versiliese Sergio Bernardini, quello de “ La Bussola ” di Focette, locale celebre in tutto il mondo, un contratto praticamente già firmato dall’altro con i Beatles, con i “ favolosi Beatles “, come il giornalista Gianni Bisiach li avevi fatti conoscere a tutta Italia in un memorabile servizio dell’immarcescibile TV7 nel novembre 1963, quando i quattro erano oramai sulla bocca di tutti i teen agers del mondo.
Con un solo volo in Inghilterra – Bernardini era troppo impegnato a chiudere la stagione estiva 1965 per potersi concedere due giorni oltremanica e aveva affidato tutto a un suo dipendente – Wachter, contanti alla mano, aveva portato così a casa un contratto che teneva impegnati per un’intera settimana John, Paul, George e Ringo in Italia, alla fine del mese di giugno di quel 1965.


Tutto era avvenuto velocemente nei mesi immediatamente precedenti e Leo aveva dovuto correre per organizzare in prima persona la data milanese del tour e sub appaltare i servizi per le date di Roma e Genova a persone sicure, che lo tutelassero sui propri personali interessi il più possibile, persone con le quali dividere poi un guadagno che Leo considerava comunque esiguo visto le richieste di Brian Epstein, manager supremo e assoluto dei quattro.
Ad essere sinceri Wachter era riuscito a limitare moltissimo il personale rischio: per l’organizzazione delle due date milanesi presso il moto velodromo Vigorelli, sito in zona fiera, poteva contare su un partner o meglio, su una serie di partner sicuri che ebbero qualche merito nel convincere Wachter a intraprendere il grande passo.
Accadeva infatti già da un pò che uno dei più celebri gruppi della prima onda beat milanese, i sanbabilini New Dada, guidati dal bell’ombroso Maurizio Arcieri, tampinava l’ufficio di Wachter in Galleria del Corso per convincere l’agente a far qualcosa di tangibile per la “Nuova Onda “ giovanile in chiara e decisa ascesa.
Leo, reticente sulle prime alle richieste dei New Dada di tentare – almeno tentare – a portare i Beatles in Italia , iniziò a pensare seriamente a proporsi a Brian Epstein solo quando alla sua porta bussarono però i conti Monti Arduini e l’architetto Caccia Dominioni.
Chi erano costoro ? nessun altro se i genitori di due dei componenti dei New Dada (il primo sarebbe divenuto celebre negli anni settanta come “Il Guardiano del Faro “ ed è oggi un potente editore, mentre il secondo è presidente della Warner europea…) ma soprattutto rappresentavano due delle più celebri famiglie ambrogine di antiche generazioni.
I loro cognomi influenti e una promessa a sostenere e a contribuire alle spese della data milanese dei Beatles, con denaro contante, in cambio dell’esibizione del gruppo beat dei propri figli come “spalla “, convinsero perciò Leo Wachter a partire all’attacco dell’impero dei favolosi quattro.
Un po’ tutti trassero giovamento dai concerti italiani dei Beatles. Tutti meno che i Beatles stessi in fin dei conti che non aggiunsero certo popolarità a popolarità
I New Dada furono i primi a trarre frutti dalla loro esibizione di spalla ai Beatles. Incisero un buon album, Maurizio e soci si fecero biondo platino, l’anno dopo si esibirono al Cantagiro 1966, pur senza riuscire a scalzare i più bravi Equipe 84 dalla prima posizione, e nel breve tempo di un altro anno si sarebbero sciolti. Il cantante Guidone, uno dei primi a cantare rock & roll in Italia, invece sarebbe stato l’unico a stringere amicizia con i quattro. Guido Crapanzano, oggi consulente numismatico del Ministero delle Finanze, stanco del mondo della musica in Italia, avrebbe aperto nel 1966 un ristorante su un’isola greca presso cui George e John spesso soggiornarono. Peppino di Capri, fra i più celebri artisti italiani ad esibirsi nella “revue” che precedeva i 35 minuti dei nostri, sarebbe rimasto il Peppino che tutti conosciamo. Quando nel 2001 tentò lo scoop di regalare a Sir Paul il filmino del Vigorelli, che girò con la sua macchina da presa in super otto, solo per farsi ritrarre e orchestrare così una notizia per il TG1 ( Vincenzone Mollica era il suo pass partout ), venne gentilmente rimbalzato. I presentatori dello show, Gisella Sofio e Silvio Noto avrebbero continuato la propria attività, quest’ultimo diventando molto “ noto ” presso i teen ager dei primi settanta con lo spettacolo televisivo del sabato pomeriggio ”Chissà chi lo sà?”, uno dei primi ad aprirsi ai gruppi rock come ospiti. Per la data romana tutto il jet set apparve almeno un attimo al Teatro Adriano, magari per scomparire solo un attimo dopo. Anna Magnani, Giorgio Albertazzi, Luchino Visconti sono alcuni degli “avvistamenti” celebri confermati.
Fra gli artisti italiani solo Ricky Gianco venne fatto accedere alla loro ristretta corte ( Ricky li aveva conosciuti due anni prima, quando era andato registrare a Londra).
Fra i giornalisti italiani che chiesero una intervista esclusiva con i quattro solo Gianni Minà n’ottenne una, mentre, a Roma Brian Epstein fece invitare personalmente Gianni Bisiach.
Certo è che se tutti quelli che dicono di aver visto i Beatles in Italia fossero veramente stati presenti alle date della loro breve tournée di quel tardo giugno 1965, i nostri avrebbero suonato nei seguenti luoghi: allo Stadio Olimpico ( a Roma ), allo Stadio Marassi ( a Genova ), a San Siro ( a Milano ). E’ prevista la costruzione di nuovi stadi per ospitare quelli che ancora non si sono espressi, ma hanno una gran voglia di affermare di esserci stati…
A Genova Brian Epstein scomparve per due giorni per ripresentarsi puntuale a Milano la sera prima del concerto. John Lennon e Paul Mc Cartney ebbero piccole e fugaci storie con questa o quell’attrice ma la lista dei nomi che affermano di aver avuto “ Quella” storia è oggi troppo lunga per corrispondere a verità ed essere presa in considerazione.
Per i quattro Beatles e il loro piccolo entourage (Brian Epstein e segretaria, Male Evans, Tony Barrow e altri) la settimana italiana fu una settimana di disagi, comunque. Non abituati alle inadeguatezze locali, alla disorganizzazione generale concertistica cui Leo supplì nei limiti del possibile, non abituati alle abitudini alimentari degli italiani, il gruppo si spostò in treno da una città all’altra. A Milano, oltretutto, ebbe i New Dada sempre fra i coglioni! Wachter, da parte sua, si guardò bene di spiegare a Epstein perché quei quattro “dovevano “ star lì.
Nella loro storia a venire, i baronetti non hanno mai citato né ricordato apertamente le date italiane, se non a fronte di precise domande e in quel caso sfoggiando il loro proverbiale savoir faire. Eppure le date italiane dei Beatles corrispondono a un momento di grande crescita artistica dei ragazzi di Liverpool ( il dvd dal vivo all’Ed Sullivan Show comprende tutte le loro quattro performance presos il celebre show americano e l’ultima – quella del 12 settembre 1965 – non è molto dissimile dai concerti italiani! ).
Leo Wachter, però, è doveroso dirlo, lavorò obbiettivamente bene. All’entourage dei nostri non fece mancare nulla, di più non poteva fare per i mezzi che esistevano all’epoca in Italia. I concerti dei Beatles gli aprirono la strada agli Who, ai Pink Floyd, a Jimi Hendrix, ai Rolling Stones. L’agente aveva superato l’esame.
Da bon viveur quale fu, il triestino con i soldi guadagnati in quella settimana si comprò una macchina sportiva e, per quattro soldi, un teatro dismesso nella zona universitaria della capitale lombarda.
In omaggio al suo amore per il grande schermo, Leo Wachter inaugurò il nuovo teatro in piena contestazione giovanile, chiamandolo semplicemente Ciak.
anche di quella che aveva già bevuto e si era pure ubriacata al suono dei Beatles, dei favolosi Beatles .
Negli anni novanta il teatro venne venduto una società che faceva capo a Maurizio Costanzo.
Anche lui, d’altronde, era stato spettatore dei concerti italiani dei Beatles, dei favolosi Beatles.
Ernesto de Pascale

 

Palazzo dello Sport di Genova

Giulia Nuti ha intervistato per il Popolo del Blues il chitarrista fiorentino Luigi Fiumicelli, uno dei primi chitarristi di rock a Firenze, un pioniere della pedal steel guitar e uno dei più grandi appassionati di musica locali. Attraverso le sue parole, il racconto del concerto dei Beatles al Palazzo dello Sport di Genova
Cominciamo col raccontare la tua percezione del “fenomeno Beatles”. Che cosa rappresentavano i Beatles per te allora, da giovane fan italiano in primo luogo e in secondo da musicista?
Il fenomeno Beatles fu molto importante per me perché segno un cambiamento sia musicale che di costume dopo il Rock di Elvis Presley , Gene Vincent e molti altri.
Luigi Fiumicelli nel 1965: che cosa stavi facendo musicalmente in quel periodo ? Già suonavi, avevi un gruppo, scrivevi…?
Nel “65 suonavo sia con il mio gruppo ma anche con altri, nei vari locali dove venivo scritturato.
Ti ricordi come hai saputo che i Beatles venivano a suonare in Italia ? Quale è stata la reazione ?
Lo seppi dalla Radio, perché la TV ignorò totalmente l’evento tanto è vero che non fu neanche ripreso uno dei concerti. L’unico filmato esistente è quello effettuato da Peppino Di Capri che con il suo gruppo apriva i loro concerti. La mia reazione fu di gioia immensa anche se non mi sembrava vero, poiché i Miti prima dei Baetles non si sono mai esibiti in Italia eccetto Vincent che fu una “mosca bianca” .
Come è nata la decisione di andare proprio al concerto di Genova tra le date italiane ?
 Le date Italiane erano solo tre: Milano, Genova e Roma. Scelsi Genova perché preferii una città di mare.

 
Entriamo nei dettagli del viaggio… Mi racconti tutto quel che ti ricordi ? Quando siete partiti, con che mezzo, con chi eri… un pò di diario di bordo…
Era una giornata bellissima. Partii solo e in treno. Durante il viaggio trovai molti fans. Ero elettrizzato e incredulo di ciò che stava avvenendo. Fui sicuro che l’evento esisteva veramente quando, dopo l’esibizione di P. Di Capri, portarono sul palco la batteria di Ringo con su scritto “The Beatles” . Fu un’esplosione di gioia da parte di tutto il pubblico, assai numeroso.
L’arrivo sul luogo del concerto. Eri mai stato al Palazzo dello Sport di Genova prima di allora? Quale fu l’impressione arrivando lì ?
Non ero mai stato al Palazzo dello Sporto di Genova prima. La mia impressione fu di una gran festa per le numerose bancarelle che vendevano tutti i gadgets (era la prima volta).
Le cronache dell’epoca raccontano che l’affluenza agli spettacoli non fu molta in proporzione ad una capienza, quella del Palazzo dello Sport, di circa 25.000 persone (per lo spettacolo del pomeriggio 5000 persone di cui 1000 del servizio d’ordine, ndr ) , ma non è detto che ciò coincida con la tua percezione dell’affluenza in quel momento… Ti sembrava che ci fosse tanta gente, poca, tantissima….?
Non mi ricordo se il Palazzo era al completo, perché la mia attenzione era proiettata verso il palco. Ma una cosa è certa che di persone ce ne erano tantissime e non potrei, ora, stimare la quantità.
Presentatore e gruppi spalla: ti ricordi qualcosa a riguardo ?
Del presentatore non ricordo il nome ma solo il momento che in cui fece entrare i Baetles, fu un boato! Il gruppo spalla fu quello di Peppino Di Capri, e devo dire che il pubblico, ansioso di ascoltare i protagonisti, non si comportò civilmente nei suoi confronti chiedendo di smettere la sua esibizione. Di Capri capì e fu molto cortese e comprensivo. A suo favore, devo dire, che suonò molto bene e professionalità.
Arriviamo al punto topico della giornata: il concerto. Racconta tutto a ruota libera…
L’inizio fu bellissimo e coreografico: arrivarono in fila con i loro strumenti, si voltarono verso il pubblico con un profondo inchino e subito dopo iniziarono “a cappella” I’m a loser seguita da Baby’ s in black e She is a woman che non avevo mai sentito e mi colpì per l’introduzione della chitarra elettrica di Geoge tutta in “levare”. Il concerto sprizzava di energia e simpatia da parte di tutti. I brani erano perfetti sotto ogni punto di vista e sarebbe stato favoloso se registrato dal vivo.
John aveva davanti un folto gruppo di ragazzine urlanti e fra una canzone e l’altra scherzava con loro. Paul si divertiva ad avvitarsi su se stesso attorcigliandosi intorno al cavo e risciogliendosi a tempo con i vari break dei brani. Gorge era molto preso dai brani per il difficile lavoro sulla sua chitarra. Ringo sempre sorridente dando l’impressione di divertirsi un mondo.
So che sai degli aneddoti interessanti sulla strumentazione e sopratutto sulle casse e l’impianto Davoli…
Entrando nel Palazzo e guardando verso il palco fui un po’ sorpreso nel vedere che l’impianto sonoro era della Davoli che, a mio avviso, a quei tempi, non era al top per l’alta fedeltà. Ma dovetti ricredermi: il suono era perfetto e vidi, per la prima volta delle enormi casse in sospensione nei vari angoli del Palazzo.
Quali erano prima di vedere I Beatles le tue aspettative riguardo al loro concerto ? Furono poi soddisfatte ?
Le mie aspettative sono state superate dalla perfezione e professionalità dell’evento!
Ormai la “Beatles mania” è un vero e proprio fatto di costume storico nazionale e internazionale, e le immagini dei giovanissimi fans impazziti per I Beatles sono immortalate in tutte le cronache dell’epoca . Molti andarono al concerto più trascinati dall’onda che investiva l’universo giovanile in quel momento che musicalmente consapevoli del concerto che avevano davanti. Quale fu il tuo personale approccio a questo evento ? Ti rendevi conto di essere di fronte ad un evento che sarebbe passato alla storia ? Ti sentivi più fan oppure più attento appassionato di musica ?
 Il mio approccio fu un atto di umiltà dal quale imparai molto sotto ogni punto di vista. Mi resi conto di essere davanti a qualcosa di nuovo ed importante nella storia e nella cultura musicale. Non mi sono mai sentito fan nel senso di mania ma, un appassionato ammiratore e stimatore dal punto di vista artistico, un’ arte che sfocia nella genialità. Il tempo mi ha dato ragione!
Un giudizio spassionato: come suonarono I Beatles ?
Come ho già detto la loro esibizione fu un compendio di bravura, estrosità, versatilità e simpatia. Il tutto condito con una tecnica perfetta sia vocale che strumentale.
Le cronache dell’epoca, specialmente Il Messagero e Il Tempo per la data di Roma, tesero a minimizzare il valore personale dei quattro musicisti, quasi a prendere sotto gamba questi quattro ragazzi che sconvolgevano il mondo ma che restavano pur sempre dei capelloni (Il Liverpoll Echo riportò di quella tournee: “Rome newspapers today showed mixed reactions to The Beatles’ concert there last night. Il Messaggero said(…) : “No more than four ugly faces, four long heads of hair, four sublime idiots (…) but they succeeded in creating a spettacle that one can only admire” – Trad: “I giornali romani hanno mostrato pareri discordanti riguardo ai concerti dei Beatles a Roma ieri sera. Il Messaggero ha dichiarato (…) : “Nient’altro che quattro brutte facce, quattro capelloni, quattro perfetti idioti (…) ma sono riusciti a creare uno spettacolo che si può solo ammirare” ) Si meritavano i Beatles tutto ciò ?… Che cosa ti ricordi di questa immagine immutabile di capelloni che parte del mondo adulto italiano continuava ad associare ai Beatles ? Riscontravi il fenomeno nelle persone intorno a te ?
Purtroppo davanti ai cambiamenti culturali molte persone tendono a dare giudizi negativi, dettati forse dalla paura del cambiamento stesso. Talvolta senza essere minimamente competenti in materia. Queste citazioni non mi meravigliano, anzi anch’io le ho lette. Lo stesso accadde a suo tempo per Elvis Presley. I cambiamenti di rottura spesso sconcertano chi si affida solo all’esteriorità e non va alla sostanza del fatto, non si accorge del contenuto artistico e del valore che prima o poi verrà fuori. In conclusione i Beatles non si meritavano certi articoli di stampa e posso dirti che le persone intorno a me erano entusiaste dell’avvenimento.
Se non sono già venuti fuori, mi racconti gli aneddoti più divertenti e curiosi della giornata ?
Al momento non ricordo un particolare episodio. Una delle cose che mi rimase impressa fu nel notare che dietro gli amplificatori ogni componente del gruppo si era portato un duplicato della chitarra e del basso, capii che ciò serviva ad un immediato scambio in caso di rottura di una corda.
Che cosa ti ha lasciato quell’esperienza ? C’è qualcosa che ancora oggi ti porti dietro di quel concerto ?
Ho appreso un modo simpatico di stare sul palco, la comunicativa col pubblico, la preparazione dei brani, la cura del suono, il non sovrastarsi a vicenda ma fare in modo che ognuno possa dare il meglio di sé nell’armonia del gruppo.In fondo: suonare con grande passione divertendosi.
Tutto questo mi è rimasto da quella esperienza.

 

 

 

 

 

 

MEMORIE BEATLESIANE E DINTORNI
 

Genova, Liguria, 1965, Londra.. Liverpool... Una ragazzina "innamorata" dei Beatles, suoi idoli musicali. Un fenomeno sempre attuale, ma se oggi e' solo una notizia dei media, tanti anni fa fu un grande fenomeno che porto' ad una vera e propria rivoluzione nella musica e nei costumi. La nota dominante della vita della co-autrice e' sempre stata, fin dall'eta' di 13 anni, la sua passione per i Beatles, nata durante il loro concerto nell'unico tour italiano del 1965, che ella racconta in questo libro con passione ed emozione. Questo amore per quegli anni non si e' mai spento, portandola a vivere e lavorare a Londra diversi anni nel decennio '70/'80, anche insieme al co-autore e assorbendone la cultura di cui descrivono l'atmosfera, la vita quotidiana, l'ambiente musicale, ricordi, impressioni ed esperienze che sono anche la testimoninanza diretta di un'epoca. Fino alle attualita' dei giorni nostri. All'approssimarsi del 50enario (l'anno prossimo, 2015), della venuta in Italia dei Fab-Four, ecco la pubblicazione di quello che non e' un saggio storico, ma sono racconti in prima persona da chi in quegli anni c'era e li ha vissuti, con foto originali scattate ai concerti di gruppi della scena rock dell'epoca che sono famosi ancora oggi come i Pink Floyd, i Black Sabbath (definita la the "Greatest Metal Band" of all time) i Rolling Stones, i Kraftwerk (tra i fondatori della musica elettronica insieme ai i Tangerine Dream), Crosby & Nash, alcune mai pubblicate alcune delle quali rarita' in quanto non hanno qausi nessuna foto rilasciata ufficialmente come nel caso dei Kraftwerk, (all'epoca quasi sconosciuti in Italia e diventati poi famosissimi) insieme a cartine esplicative dei luoghi beatlesiani piu' importanti, ad articoli di memorabilia quali biglietti dei concerti, copertine di programmi ufficiali etc. che gli autori acquistarono durante la loro permanenza in Inghilterra.
Questo libro e' dedicato a tutti i fans dei Beatles. Ma non solo.
http://www.enricopelos.it/


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I Beatles all’Adriano: pura energia!

di Luciano Ceri

Caldo. Molto caldo. Faceva molto caldo sotto le palme di Piazza Cavour dove il mio amico Maurizio ed io aspettavamo che aprissero le porte del Teatro Adriano. Il mio amico Maurizio era anche il mio compagno di banco in quel primo anno di liceo classico ed io lo invidiavo molto perché i suoi genitori (sua madre suppongo) gli pagava la camiciaia per farsi le camice su misura. Strettissime, a quadretti piccoli, con il cannello sulla schiena e soprattutto con quella strana fettuccia di stoffa che partiva dal fondo posteriore della camicia, passava sotto, in mezzo alle gambe, per rispuntare sul davanti ad agganciare di nuovo la camicia con un bottone speciale posizionato alla fine dell’attaccatura dei bottoni normali. Un prodigioso marchingegno che impediva alla camicia di fuoriuscire dai pantaloni. Doveva essere anche molto scomodo avere una camicia così, però vuoi mettere essere tutto attillato dalla testa ai piedi, con i pantaloni a vita bassa ed una cintura bella grossa? Davvero lo invidiavo, anche se poi non so se me la sarei mai messa una camicia così. Io ripiegavo su quelle comprate a via Sannio, magari il pomeriggio del sabato alle tre per poi indossarle alle cinque in qualche festa rimediata all’ultimo momento. Dove non sempre c’era anche Maurizio, perché lui aveva un giro di amici diverso, ma quando ci incontravamo mi accorgevo che non ballava molto e che spesso si piazzava accanto al giradischi a mettere il più possibile dischi dei Beatles, dell’Equipe 84 e dei Rokes. Era stato lui, visto che abitava in Prati, vicino a scuola, ad informarci che al nostro juke-box preferito (accanto ad un chiosco-bar sul lungotevere) era arrivato Ticket To Ride e negli ultimi giorni di scuola ai primi di giugno – quei giorni che si riesce sempre ad uscire prima perché ci sono gli scrutini o perché qualche professore manca all’ultima ora – spesso ci andavamo a sentire i dischi. Le magiche note del riff iniziale di Ticket To Ride si diffondevano sul marciapiede mentre noi guardavamo raggianti i biglietti che Maurizio aveva comprato al botteghino dell’Adriano: lunedì 28 giungo, ore 16,30, diurna, balconata, lire 1500.
Avevamo scelto il lunedì un po’ perché Maurizio sarebbe andato al mare la domenica, il giorno del primo concerto dei Beatles, e un po’ perché i biglietti per la domenica erano finiti, o meglio, erano finiti i biglietti delle balconate, e quelli di platea erano veramente troppo alti per le nostre tasche, e a Maurizio, che se li sarebbe potuti permettere, non gli andava di andare da solo in platea. Io amavo molto l’Adriano perché mio padre mi ci portava sempre a vedere i film di James Bond appena uscivano, visto che a lui piacevano quanto a me, ed io aspettavo con ansia di leggere il titolo del nuovo film proposto in lettere nere su fondo bianco in quel riquadro lungo e stretto piazzato sopra le porte dell’Adriano e che di sera si illuminava di luce al neon. In più ero incantato da quella frase di chitarra elettrica che compariva sempre sui titoli di testa, che a loro volta mi provocavano non pochi turbamenti con le immagini di donne seminude appena visibili nella penombra di veli, luci offuscate ed effetti speciali. E fu proprio in quell’occasione, mentre guardavo il riquadro lungo e stretto sopra le porte del Teatro Adriano con su scritto “The Beatles”, che ebbi una strana sensazione, una percezione confusa ma allo stesso tempo molto definita, che quei due nomi, Bond e Beatles, difficilmente li avrei dimenticati e che sarebbero diventati oggetto di ammirazione ed affetto, e che sicuramente sarei andato, prima o poi, a Londra, dove immaginavo che i Beatles e Sean Connery si frequentassero, magari andando a cena insieme.
C’era un sacco di gente sotto le palme di Piazza Cavour, soprattutto c’erano un sacco di ragazze molto carine, vestite molto colorate e con i quarantacinque giri dei Beatles in mano, e c’erano anche alcune mamme, venute lì a controllare cosa stesse succedendo e perché per la prima volta a Roma si creava tanta confusione per uno spettacolo di canzoni in un teatro. Molti ragazzi avevano i capelli moderatamente lunghi, a coprire le orecchie ed appena il collo, e molti avevano gli occhiali da sole con le lenti a goccia, ed anche io ce li avevo, anche se non sapevo che si chiamavano Ray-Ban perché li avevo comprati a via Sannio e non c’era nessuna scritta sulla montatura o sulle stanghette. Ad un certo punto cominciammo tutti ad attraversare la piazza e quasi automaticamente ci trovammo di fronte alle porte, e poi entrammo dentro e poi su per le scale – ormai di corsa – ed alla fine entrammo nel nostro palchetto di balconata, forse insieme ad altri cinque o sei, non ricordo bene, ma di colpo il teatro fu pieno. O meglio, le balconate furono piene, perché in platea le persone arrivavano un po’ alla volta, con molta calma, a parte quelle cinquanta o sessanta ragazze che avevano occupato in un baleno le prime sei-sette file di posti. L’Adriano era ancora più bello visto dall’alto, e noi eravamo sistemati sul lato di destra guardando il palco, forse sul terzo ordine di balconate, comunque nel punto più alto e praticamente a picco sul palcoscenico. Maurizio mi indicò che in platea stava prendendo posto il cantante dell’Equipe 84, quello alto e secco che avevamo visto solo in fotografia, e mi fece notare – finalmente c’era qualcosa che invidiava anche lui – che aveva una camicia ed un paio di pantaloni esageratamente stretti, ed i pantaloni erano per di più a righe e quindi sembravano ancora più stretti. C’erano anche gli altri tre dell’Equipe ed io dissi a Maurizio che sapevo che stavano a Roma perché guardando la pagina degli spettacoli del giornale qualche giorno prima mi era capitato l’occhio su di un annuncio che diceva “Stasera il complesso Equipe 84”, ma non mi ricordavo a quale posto si riferisse, forse era il Piper Club, questo nuovo locale di cui molti parlavano e di cui avevamo letto sulla rivista “Big”. Maurizio mi disse che secondo lui il Piper aveva ormai chiuso la stagione, e che a giugno la gente voleva ballare all’aperto. Lui aveva due amici che erano stati al Piper e gli avevano detto che era bellissimo, e che si poteva ballare - invece che con i dischi - con i complessi che suonavano sul palcoscenico le canzoni dei Beatles, che c’erano delle pedane luminose sulle quali si poteva salire per ballare, che dietro ai complessi c’era una cosa strana, tipo un quadro, ma fatto con delle foto ingrandite di labbra e occhi di ragazza con pezzi di ferro e di legno e anche parafanghi di automobili e tubi strani, che le luci si accendevano e si spengevano, che la musica era a volume altissimo e che tutte le ragazze avevano le gonne cortissime. Maurizio diceva che questi suoi amici, secondo lui, erano un po’ pallonari, cioe’ raccontavano cose non vere, però eravamo tutti e due incuriositi, e decidemmo che quando avrebbe riaperto la scuola ci saremmo andati un pomeriggio con i compagni di classe. Mentre parlavamo del Piper le luci in sala si spensero e cominciò lo spettacolo. Sapevamo che prima dei Beatles ci sarebbero stati altri cantanti, ma non mi ricordo bene chi ci fosse, forse i New Dada, che erano simpatici e avevano il cantante con i capelli biondi, ma noi eravamo tutti impazienti di sentire loro e quando arrivò Peppino Di Capri ci furono pure diversi fischi, anche se Peppino a me stava simpatico, perché si muoveva come se avesse un tremito spastico nella parte superiore del corpo e si teneva stretto in mano e vicino alla bocca quel grosso microfono quadrangolare come se fosse un grosso pezzo di torta da addentare. Poi il palco rimase vuoto e venne qualcuno ad annunciare: “Signore e signori, The Beatles!”. E lì venne giù il teatro.
Le ragazze cominciarono a strillare, ed il loro strillo era uno strillo di ragazze, aveva cioè un suono (un timbro, avrei detto qualche anno più tardi) molto acuto, come se fosse un fischio elettrico, a volume altissimo. Anche io e Maurizio cominciammo a strillare, ma ci veniva male, ero uno strillo da maschi, con un suono un po’ ridicolo, e ci stancammo subito perché poi cercavamo di ottenere un suono (un timbro, avrei detto qualche anno più tardi) simile a quello delle ragazze, ed era chiaramente impossibile, e subito ci andò via la voce. John Lennon era proprio sotto di noi, aveva il cappelletto scuro che Maurizio aveva comprato a via Sannio a Febbraio ed una faccia molto simpatica, come se dovesse farti uno scherzo da un momento all’altro, mentre Paul McCartney stava all’altra estremità, con quel suo basso strano che sembrava un violino un po’ allungato e che non capivo come facesse a suonarlo al contrario, nel senso che io le dita sulla tastiera della chitarra Eko che mi padre mi aveva regalato a Marzo per il mio compleanno le mettevo con la sinistra, anche quando cercavo di fare le note del basso di And I Love Her , mentre lui ci metteva le dita della mano destra, e per me era inspiegabile, non concepivo il fatto che esistessero i mancini anche sulla chitarra. George Harrison stava più o meno al centro, qualche volta andava vicino a Paul a fare il coro, aveva un’altra chitarra appoggiata su una specie di trespolo vicino alla batteria e mi sembrava molto elegante mentre suonava, e lo amai molto soprattutto quando attaccò l’inizio di Ticket To Ride : una vera magia! In mezzo a tutti e incastrato quasi tra gli enormi amplificatori ai quali erano attaccati i fili delle chitarre e del basso c’era Ringo Starr, con i suoi splendidi capelli quasi biondi che si agitavano in continuazione e con un sorriso molto accattivante, che picchiava con le bacchette sui piatti e sui vari tamburi della batteria, compreso quello più grosso (quello che si suonava con il piede destro, e non tutti lo sapevano e quando lo dicevi, soprattutto alle ragazze, facevi un gran figurone) dove c’era questa scritta misteriosa: “Ludwig The Beatles”, e né io né Maurizio sapevamo chi fosse mai questo Ludwig, perché né io né lui conoscevamo qualcuno che suonava la batteria, in grado quindi di spiegarci che il signor Ludwig era quello che fabbricava le batterie, ne più ne meno come il signor Eko fabbricava le chitarre.
Insomma, finalmente erano lì. Era quasi incredibile, e anche senza voce Maurizio ed io continuavamo a strillare ogni volta che incominciavano una nuova canzone: Please Please Me, She Loves You, A Hard Day’s Night, I Feel Fine, Baby’s In Black . Poi fecero quella che canzone che amavo tantissimo, ed iniziarono John and Paul, questa volta vicini, allo stesso microfono a cantare: “Am a luuuuser, am a luuuuser…….”. Era I’m A Loser , ed io l’amavo perché oltre ad essere bella era anche una canzone che i giornalisti avevano detto che per le parole avevano subito l’influenza di Bob Dylan, il quale aveva scritto delle canzoni bellissime che noi amavamo molto, anche perché avevo letto la traduzione delle parole delle sue canzoni ed erano fantastiche, e avevo visto su una rivista la riproduzione di un ritaglio di un giornale inglese che diceva: “Beatles say: Dylan shows the way” e per me questi due nomi accostati era una cosa bellissima, perfetta, come inzuppare il ciambellone nel caffellatte o mangiare pane e frittata alle undici del mattino.
I Beatles erano vestiti di nero, con l’abbottonatura delle giacche altissima, come se fosse un maglione a V, camicia bianca e cravatta nera, avevano gli stivaletti come ci aspettavamo che avessero e facevano veramente una bella figura, insomma, erano molto belli visti tutti insieme e sembravano comunque divertirsi molto nel suonare, si guardavano spesso, guardavano spesso Ringo, e ad un certo punto gli fecero cantare una canzone tutta a lui, I Wanna Be Your Man, e ogni volta che finivano si inchinavano profondamente rivolti verso la platea, come per ringraziare il pubblico. Ma eravamo noi che li dovevamo ringraziare per essere lì, e lo facevamo nell’unico modo possibile, urlando ed applaudendo in continuazione. Maurizio ed io ci guardavamo e ridevamo, agitando le braccia e tutto il corpo in generale, e ad un certo punto ci fissammo sbigottiti perché cantarono una canzone che non conoscevamo, tutta strana con un inizio di accordi di chitarra saltellanti (in levare, avrei detto qualche anno più tardi), la cantava Paul e solo qualche settimana dopo scoprimmo che era She’s A Woman , il nuovo quarantacinque giri dei Beatles, che sarebbe uscito con in copertina una loro foto in cima al Duomo di Milano.
Poi lo spettacolo finì, dopo soltanto mezz’ora dall’inizio, i Beatles si inchinarono per l’ultima volta in un rumore assordante ed abbandonarono il palcoscenico dell’Adriano. Eravamo tutti sudati, le ragazze nel nostro palchetto e in quello vicino piangevano, io pensavo che piangevano di gioia perché gioia era quello che avevamo provato ascoltandoli. E anche quando scendemmo le scale tutti insieme, anche quando uscimmo sfiniti ed afoni su Piazza Cavour ancora piena di sole, anche quando salimmo sull’autobus per tornare a casa con ancora nelle orecchie il fischio elettrico delle ragazze e le urla di Twist And Shout , eravamo pieni di gioia. E negli anni a venire, per tutte le volte che avrei ascoltato i Beatles, da una radio accesa nel porto di Corfù o nella stazione della metropolitana di Parigi, in un bar di Tirana o in un negozio di Dubrovnik, sul taxi turco che mi portava ad Efeso o facendo colazione in un albergo di Vienna, o semplicemente a casa, in un giorno di pioggia o in una notte stellata d’estate, avrei provato sempre la stessa sensazione: gioia. Non felicità, ma gioia, una gioia che si diffonde immediatamente in tutto il corpo. Pura gioia.
Luciano Ceri

 


Piazza Cavour: 40 anni fa su un Motom 48
Intervista a Paolo Zaccagnini
Quando incontro Paolo sono sempre contento e un pò emozionato perchè so che si parlerà di cose vere e se ne parlerà in maniera semplice e diretta. Sarà un piacere ricordare con lui il quarantennale dei concerti dei Beatles in Italia. Mi inoltro nella cagnara del Tritone per raggiungere la redazione del Messaggero dove troverò il mio barbuto amico al lavoro in un assolato pomeriggio di inizio maggio e, se Dio vuole speriamo che proprio il suo competitor Giove Pluvio la pianti di romperci le tasche. Io comunque sono bravissimo a rompermele da solo dato che entrando al giornale mi accorgo di aver dimenticato a casa la mia superpiccolamacchinafotograficadigitale e solo dopo cinque minuti di foschi pensieri e nuvole nere penso al mio supermodernotelefoninocameravideomp3enonsopiùcosa e mi dico che è l'occasione buona per vedere se la baracca funziona e dati i risultati che vedete in queste pagine direi di sì. Il pomeriggio ritorna languido. Entro. Vedo una lunga barba, l’ho trovato.
D. Caro Paolo buon giorno , sono venuto a trovarti per ricordare i concerti dei Beatles in Italia. A Roma si esibirono pomeriggio e sera al Cinema Teatro Adriano in piazza Cavour, proprio di fronte al Tribunale. Sono certo che c'eri...
R. C'ero ma in realtà arrivai un pò per caso. Era il 1965 e da due anni erano esplosi ma ancora non c'era la vera e propria beatlemania, almeno a Roma. Certo se andavi al cinema a vedere i loro film trovavi le ragazzine urlanti ma non era come a Londra ovviamente e tutto finiva lì.
D. Torniamo al tuo pomeriggio all'Adriano
R. Ero con un amico in sella ad un Motom 48 e giravamo per Roma alla disperata ricerca di un 45 dei Rolling Stones che si intitolava "19th nervous breakdown"...
D. Quello con la svisata di basso di Bill Wyman
R. Esatto. Insomma nei nostri percorsi passammo davanti all'Adriano e notammo una certa folla. Visto che sapevamo del concerto ci siamo fermati e dato che i biglietti c'erano siamo entrati. Comunque a proposito degli Stones devo dire che loro ci colpivano molto perchè erano veramente selvaggi. Al Teatro c'era ressa ma in fondo sopportabile. L'atmosfera a Roma non era certo di frenetica attesa per l'evento storico, per quello c'era il Papa a poca distanza, non erano tempi. I giornali non ne parlarono molto e quelli che lo fecero scrissero che eravamo dei capelloni zozzi e sospetti. Noi (Il Messaggero n.d.r.) ne parlammo anche più degli altri. Ricordo che per Ciao 2001 li intervistò un giovane e magro Gianni Minà già allora con i baffi da castorino. Ad ogni modo tra le cose divertenti ricordo che entrando abbiamo incontrato dei compagni di scuola e uno di questi era un tipetto particolare, sveglio e con notevole faccia tosta. Bè, durante il concerto ad un certo punto parte di corsa e sale sul palco dalla destra, si avvicina a John Lennon, l'unico col cappello, quello a visiera, glielo porta via e solo perchè era il 1965 e non esisteva servizio d'ordine se la cavò.
D. Adesso lo avrebbero fatto nero
R. A quello abbiamo pensato noi. Subito dopo siamo andati tutti in bagno e invidiosi lo abbiamo gonfiato di botte, non so come si sia rialzato. Fatto sta che il giorno dopo arriva a scuola pesto e gonfio come una zampogna ma sfoggiando il cappelletto di uno dei Beatles. Era l'eroe del giorno, mi pare si chiamasse Nicosia.
D. Che impressione fecero i Beatles al pubblico? Ci si rendeva conto che sarebbero diventati dei fenomeni?
R. Eravamo tutti ancora un pò tiepidi, almeno il mio giro di amici. Ascoltavamo tante altre cose, io personalmente se devo citare un gruppo che mi ha cambiato la vita non posso non nominare i Cream: Eric Clapton, Ginger Baker e Jack Bruce. Certo per quel che riguarda l'arrivo della lingua inglese, un certo modo di vestire, fare amicizie in modo diverso, rapportarsi con le ragazze e i genitori in modo diverso e il desiderio di andare a Londra i Beatles e gli Stones furono importantissimi. Comunque qualche settimana fa ho preso il mio biglietto e sono andato a vedere la reunion dei Cream e ti dirò che quando mi si è seduto accanto Dave Gilmour che stava là per i miei stessi motivi e col mio stesso atteggiamento mi sono sentito veramente bene. Tornando ai Beatles quella italiana fu una tourneè importantissima perchè fu unica, ne venne ricavato il famoso e introvabile "The Beatles in Italy" e comunque loro se la ricordavano per il gran caldo come mi ha confermato il noiosissimo Paul Mc Cartney e il grande, che Dio l'abbia in gloria, George Harrison. Era Giugno e noi eravamo tutti in maglietta e loro invece in giacca e cravatta.
D. Come si ponevano rispetto al pubblico?
R. Brian Epstein, il manager che li ha cresciuti come un padre e li ha lanciati, ancora dettava legge e quindi inchino dopo ogni pezzo, divisa con cravatta ma capelli comunque abbastanza lunghi da destare scandalo. Erano un pò come una boy band di adesso. Dopo di loro lo fecero i Monkees. I Beatles più tardi hanno cominciato a vestirsi in modo diverso, ad essere diversi loro stessi ognuno rivendicando anche il proprio carattere. Calcola che allora erano esplosi solo da due anni ma ne bastarono altri due soltanto per arrivare a "Revolver", "Pepper" e tutto il resto...
D. E per il disco dei Cream che ti ha cambiato la vita… Senti ma tu, che hai ovviamente un orecchio attento, fosti in grado allora di percepire che quei quattro erano diretti verso la gloria?
R. Guarda, io e credo pochi giornalisti irlandesi abbiamo avuto una gran fortuna. Nel Dicembre 1979 ero con mia moglie, ancora non eravamo sposati ma era lo stesso, a Dublino e decidiamo di andare ad un posto dove vendevano vestiti e libri usati. Era in un grande parcheggio e si chiamava Dandelion Market, poi ci avrebbero costruito il primo centro commerciale della città. In fondo al mercato c'era un palco fatto con cassette di frutta o poco più dove si esibivano dei gruppi. Io lì, era il 27 o 28 dicembre, ho avuto l'occasione di vedere gli U2 quando ancora erano pressochè sconosciuti e mi sono accorto subito che erano fortissimi. E' come quando senti la sgassata di una macchina o di una moto data da un pilota o da un guidatore normale...è diverso. Capisci subito chi è il professionista o almeno quello che è destinato a fare strada. Ecco, per i Beatles la sensazione è stata quella, si capiva subito che erano "Favolosi". Si sentiva che erano più bravi di Gerry and the Pacemakers a gli altri loro contemporanei e concittadini. Anche con il pubblico erano più bravi, più spiritosi. Lascia perdere l'orecchio allenato, quello è venuto dopo con la professione di cui non parlo mai perchè per me il Rock è stato un hobby che è diventato professione. Però non si poteva non notare che lo stato dell'arte lo decidevano loro. Non dimentichiamo che George Harrison è stato uno dei cinque chitarristi più grandi della storia, come si sentiva che quell'altro (il povero Mc Cartney n.d.r.) era cretino e lo sarebbe rimasto e che invece quello col cappelletto (Lennon ovviamente n.d.r.) era geniale, si un genio puro, uno che avrebbe potuto fare il primo ministro o prendere il Nobel per la medicina o per l'economia. Si capiva anche che Ringo era un clown intelligentissimo e grande batterista, rovinato però proprio dal suo modo di porsi. Io non ho sentito dal vivo "Bonzo" Bonham, solo una volta e avevo 40 di febbre, però Ringo lo metto ai primissimi posti insieme a Charlie Watts che però è più jazz. In cima alla piramide un solo nome : Ginger Baker. Considerando che ha 66 anni, l'osteoporosi e una gamba semiparalizzata, sono dieci anni che alleva ponies e quasi non suonava da 15 è stato per l'ennesima volta il motore dei Cream.
D. Non possiamo non citare Keith Moon
R. Sì, certo, un drumming eccellente e una gran brava persona. Di più recenti amo Dave Grohl prima coi Nirvana e poi con i Foo Fighters. Comunque dopo Kurt Cobain il Rock è in rianimazione...
D. Tornando ai Beatles, quando li hai incontrati negli anni successivi gli hai chiesto se ricordavano qualcosa dei concerti italiani?
R. Nulla se non il gran caldo come dicevo prima. Sai erano comunque separati dalla gente a causa dell'isteria che via via si diffondeva. Li portarono subito al Parco dei Principi e li chiusero in camera. Comunque se vuoi una curiosità sui Beatles te la dico. Non si riferisce a quell'occasione ma al loro viaggio in India : è grazie all'ex direttore dell' Unità Furio Colombo, allora corrispondente dall'America per la Rai che esistono filmati dei Fab Four in oriente. Fu l'unico che filmò i Beatles col Maharishi, esistono solo fotografie e quei filmati. Neanche la Bbc riprese nulla. C'erano tra gli altri Donovan, Mia Farrow, Patty Boyd che dopo George Harrison avrebbe sposato Eric Clapton che le avrebbe dedicato prima "Layla" e poi "Wonderful Tonight" e scusa se è poco...
D. Insomma, guarda quante cose sono accadute dopo un casuale passaggio davanti al Cinema Teatro Adriano di Roma in un pomeriggio di giugno del 1965. Era tanta la gente in attesa?
R. Abbastanza, calcola che lì la folla si creava solo quando esponevano l' Aston Martin di 007 e cose così quindi ci fermammo, vedemmo che i botteghini erano aperti e,incredibile, c'erano i biglietti. Siamo entrati tranquilli tranquilli e anche se c'era ressa c'era la solidarietà tra capelloni dovuta al fatto che per strada ti tiravano i mattoni dalle finestre o al meglio ti guardavano male. Eravamo dei Catari, una enclave assolutamente non protetta. Ti denunciavano, bastavano due chitarre senza neanche gli spinelli che noi peraltro neanche ci facevamo per trascorrere pomeriggi alla questura di San Vitale. Insomma il 1965.
D. Secondo te ci sono dei gruppi che hanno superato i Beatles?
R. Penso che un tale complesso di opere in un percorso artistico non sia raggiungibile. Voglio dire, non cerchi di superare la musica di Beethoven o la prosa di Seneca. Ti ci metti accanto sperando di essere un pò come loro...E diciamo anche che suonavano con una strumentazione che se tu la proponi oggi a tuo figlio che vuole imparare a suonare rischi la denuncia o il disconoscimento di paternità. Solo pochi anni dopo Jack Bruce avrebbe usato un basso Gibson che era certamente meglio dello Hofner a violino che aveva Paul.
D. Del resto caro Paolo, e qui ti saluto, anche il Cinema Teatro Adriano ora è una multisala. Il tempo non si ferma mai…anche se è dalla nostra parte.
Alessandro Mannozzi


Gli stati della parola
Say the word and you’ll be free / say the word and be like me/ have you heard is love? ….avrebbero cantato I Beatles nel dicembre nel 1965, nello stesso mese Timothy Leary veniva condannato a 30 anni di reclusione per possesso di sostanze stupefacenti. Come dire che la stagione della psichedelia stava prendendo corpo sotto un cielo variabile, pur all’interno di un percorso ben delineato che l’avrebbe portata ad andare ben oltre la semplice cronaca. Si sarebbe espansa superando i confini fra i vari campi dell’arte, avrebbe realizzato una grande area di creatività gioiosa da ricrearsi continuamente in parole, musica,colori. Un nuovo state of mind era nato ed era destinato ad accompagnarsi, per assonanza o per contrasto, con tutte le manifestazioni della quotidianità e del pensiero di quel periodo. In piena guerra del Vietnam si contestavano scelte politiche e amministrative, si allargava la ginsberghiana coscienza per costruire nuovi comportamenti, si ricercavano le alternative possibili agli status quo stabiliti. Anche nell’arte e nella letteratura si era ormai esaurito il realismo imperante e in più direzioni il percorso da praticare risultava quello della sperimentazione.
Nel 1965 Andy Warhol fonda a New York la Factory e Raymond Queneau a Parigi pubblica Les fleurs bleues. A Torino Einaudi stampa Le cosmicomiche di Italo Calvino (non sarà un caso che pochi anni dopo lo scrittore si unisca proprio a Queneau e al gruppo di letteratura potenziale “Oulipo”), mentre a Palermo si tiene il terzo convegno del gruppo ’63 sul romanzo sperimentale. Lo stesso anno Einaudi riedita l’antologia poetica I  novissimi - precedentemente apparsa su rivista – con gli scardinanti testi di Giuliani, Balestrini, Pagliarani, Sanguineti, Porta. Praticare l’arte dell’ordine-disordine in un discorso nuovo, oppure il raccontare per fatti minimi all’apparenza trascurabili o per sequenze svagate e devianti tagliate a colpi di forbici, è il lavoro sul testo che questi “ultimi poeti” italiani costruiscono con impegno e che prelude ad una loro successiva militanza letteraria o politica. E’ l’esperienza italiana – fondamentale per il percorso della parola nel nostro territorio – parallela alla beat poetry e a quanto stava arrivando in traduzione. Nel 1965 appare a Milano per la Sugar La morbida macchina di William Burroughs e per la Mondadori Jukebox all’idrogeno di Allen Ginsberg,entrambi i volumi due pietre miliari della nuova scrittura statunitense. A Londra si stava intanto leggendo fresco di stampa A spaniard in the works di Lennon e a New York Desolation angels di Kerouac, mentre Bob Dylan dava avvio alla stesura delle associazioni deliranti e allucinate dei Tarantola poems. La parola insomma lasciava gli spazi istituzionali per partorire una poesia senza confini, sempre più vicina alle scansioni musicali con cui condivideva orizzonti e finalità. Questa apertura, questo respiro che superava finalmente gli addetti ai lavori per arrivare ad un pubblico più ampio soprattutto giovanile, doveva assistere in Italia ad una vera e propria rivoluzione nell’editoria. Il 27 aprile del 1965 esce il primo volume della collana degli “oscar” per la Mondadori : Addio alle armi di Heminguay, cui seguirà una serie di romanzi contemporanei italiani e stranieri (Cassola,Sartre,Buzzati…). Al prezzo di 350 lire gli italiani possono acquistare questi tascabili settimanalmente in edicola; l’iniziativa riscuote subito un grande successo e le edizioni vanno a ruba, perfino nel circuito parallelo dei libri usati. Il pubblico dei lettori dunque subisce una crescita importante, sia da un punto di vista quantitativo che da uno qualitativo. A cavallo di questi anni nessun’altra generazione toccò vertici così alti nella lettura (5 milioni di volumi in 6 mesi!), anche se questo creò un divario culturale fra gli adulti e i giovani che stavano divorando quelle opere letterarie così a portata di mano. Di lì a poco nel corso dello stesso anno si aggiunse la concorrenza di altre case editrici, Garzanti e Feltrinelli, che realizzarono una collana economica con altrettanti autori prestigiosi in catalogo. Non era più un lusso leggere e con spinte provenienti da più parti si stava così formando una nuova coscienza.
L’Italia del boom assiste alla trasformazione di costumi e abitudini, tanto sociali (l’italiano sostituisce il latino nella liturgia cattolica, la “liberazione femminile” si diffonde anche nel sud) quanto culturali (in termini di fruizione del prodotto artistico). La televisione e il cinema non sono da meno. Proprio nel 1965 la tv irrompe nella vita degli italiani – si contano più di 6 milioni di abbonati – con gli storici sceneggiati del tenente Sheridan e del commissario Maigret, con Belfagor-il fantasma del Louvre, e poi’giochi senza frontiere’ e i due pupazzi del Carosello Carmencita e il Caballero.Tutti questi, ormai entrati nell’immaginario collettivo di un’intera generazione, furoreggiavano con picchi di ascolto ad ogni messa in onda. Indubbiamente la televisione cominciava ad essere la coltura ideale per i linguaggi mainstream. Il target giovanile verrà poi completamente conquistato dalla radio nell’ottobre del ’65 con Arbore e Boncompagni a “Bandiera gialla”, vetrina musicale di quanto di meglio si ascoltava oltremanica e oltreoceano. Nel frattempo, i dati ufficiali di giugno ci riferiscono di una grande affluenza nelle sale cinematografiche di tutto il paese e Cinecittà risulta il centro cinematografico più fertile in Europa. Nasce proprio allora lo spartiacque nel cinema italiano fra gli anni ’50 e i ’60. Vengono girati i film più intellettuali e sperimentali (Pasolini, Fellini, Antonioni, I pugni in tasca del giovane Belloccio), ma anche quelli del filone della commedia all’italiana più gettonati nelle sale. Sono questi ultimi film leggeri e volgarotti, con tematiche boccaccesche, di satira del costume messo in risalto con gag grottesche e ridicole, film che vengono prodotti a centinaia ma che non lasceranno traccia alcuna nella storia. Oppure saranno recuperati molti anni dopo per diventare opere di culto per altri registi. È del 1965 Terrore nello spazio di Mario Bava, pellicola ricca di elementi horror e di suggestioni che saranno riprese da Ridley Scott in Alien. Sempre di questo periodo sono altre opere di fantascienza italiana, come i quattro film girati da Margheriti-Dawson in poche settimane e con pochi mezzi :I criminali della galassia, I diafanoidi vengono da Marte, Il pianeta errante,La morte viene dal pianeta Aytin; a parte un certo virtuosismo tecnico e la presenza di attori professionisti come Franco Nero e Lisa Gastoni, sono evidenti sullo schermo i difetti della frettolosità della lavorazione (ma non sarà questo a impedirne l’esportazione negli States). Il capolavoro del genere lo realizza invece Elio Petri con La decima vittima, prendendo spunto dal romanzo The 7th victim di Robert Sheckley. Il film è una geniale operazione di fantascienza chic e cultura pop all’italiana, con una storia delirante girata come un fumetto e interpretata da Marcello Mastroianni e Ursula Andress; Piero Piccioni ne firma la colonna sonora a base di jazz mutante e futuristico e Ennio Flaiano collabora alla sceneggiatura. Il 1965 è un anno importante per la fantascienza in Italia, se alla terza edizione del Festival Internazionale di Fantascienza a Trieste nasce il primo “fandom” italiano, anche se in maniera non ufficiale. In quell’occasione un nutrito gruppo di giovani fra i sedici e i vent’anni si scopre accomunato da ugual passione per questo genere letterario e comincia a collaborare alla redazione di alcune fanzine. A queste rivistine ciclostilate – “L’aspidistra”, “Nuovi orizzonti”, “Verso le stelle” –si affianca la raffinatissima “Gamma” di Valentino de Carlo e l’opera instancabile di traduzione e promozione di Vittorio Curtoni. Senza imbarazzi ne’ complessi di inferiorità nei confronti della letteratura ‘alta’, questo primo fandom italiano raccoglie una community che non si risparmia ore di treno per incontrarsi e condividere lo stesso linguaggio, il medesimo futuro interiore. Altre visioni e quotidiano si mescolano, avvicinando i confini fra differenti elementi culturali,
e la parola (non solo quella scritta) si trasforma e intraprende nuove strade.
L’immagine finale per lo stato della parola nel 1965 potrebbe appartenere a P.K.Dick, al futuro lisergico e terrificante del suo Cronache del dopobomba uscito in quell’anno. Ma anche possiamo fermare la scena sul volto accattivante e enigmatico della Valentina di Crepax, nata su “Linus” proprio nel ’65.
say the word and you’ll be free…it’s so fine, it’s sunshine,it’s the word love…
Elisabetta Beneforti



 


A chi non viene un po’ di nostalgia

a vedere le immagini in bianco e nero di una Tv che non esiste più? E ci riferiamo sia a quella italiana che di altri paesi. Ma stavolta ce ne occupiamo perché da un po’ di tempo è stata recuperata un’importante presenza dei Beatles nella televisione americana, quella nelle trasmissioni di Ed Sullivan. Sono due i Dvd che riprendono le trasmissioni trasmesse dalla Cbs tra il 1964 e il 1965, sono in tutto quattro e le prime tre fanno parte di un corpus omogeneo, dato che furono trasmesse tra il 9 e il 13 febbraio 1964. L'edizione rimasterizzata è stata supervisionata da Andrew Solt, ideatore e direttore del documentario del 1988 Imagine:John Lennon. Per realizzare questa produzione, Solt ha dovuto lottare per ben 5 anni con la Apple per ottenere il permesso di utilizzo di alcune immagini che erano rimaste inedite e mai apparse su supporto fono videografico. Ai Beatles, accolti dalle grida di un pubblico di giovani ragazze divenuto ormai un fatto consueto, vengono affidate apertura e chiusura del programma con un repertorio tratto in parte da A Hard Day’s Night ma anche dai primi album. Per due volte vengono rappresentate I Saw Her Standing There, All My Loving e She Loves You, mentre il brano finale è sempre I Want To Hold Your Hand. Certamente il gruppo è il punto di forza di queste trasmissioni, nonostante siano infarciti di sketch e di altri artisti come lo strepitoso Cab Calloway che il 23 febbraio presenta St.James Infirmary e Old Man River. Il pubblico scalpita aspettando i quattro giovani da Liverpool che si presentano nel consueto look dei primi anni. Qualcosa però cambia l’anno successivo quando i Beatles tornano nello show per una sola trasmissione: a loro è affidata ben metà trasmissione con sei brani, quattro dei quali, come annunciato da George Harrison, fanno parte del nuovo album che presto uscirà anche negli Usa, ovvero Help!. Lennon lascia la chitarra per suonare il pianoforte elettrico in I’n Down, mente Paul McCartney da solo con la sua chitarra acustica e con la base del quartetto d’archi presenta Yesterday . E’ un momento di grande interesse oltre a quello musicale, perché nonostante il trucco il povero Paul non può trattenere il sudore, un fatto impensabile nella televisione odierna. Con Help! nel finale il pubblico è in delirio e non poteva essere altrimenti. I Beatles erano in grande forma come compositori ed esecutori, e l’evoluzione del loro suono era in fondo appena iniziata. Era facile, con queste premesse, conquistare il mondo. Compreso il nostro paese.
Michele Manzotti

(www.ilpopolodelblues.com)

 

 

 

INTERVISTA AI BEATLES DURANTE IL TOUR ITALIANO

Il 25 marzo 1965, alle ventidue, i Beatles fanno la loro prima apparizione sulla televisione italiana, programma nazionale. Emilio Radius scriveva sul "Radiocorriere": «I Beatles canteranno davanti al gran pubblico della televisione; e questo, dopo aver vinto il pregiudizio dei parrucchini, giudicherà col suo buon senso. Questo è il calderone della musica leggera del secolo, d'accordo; ma è un calderone allegro e innocuo, non il calderone delle streghe».

Nell'intervista che riportiamo, pubblicata su "Epoca" il 27 giugno 1965 a cura di Giacomo Maugieri, si avvertono i tipici umori di quel tempo:

A quanto si dice, Liverpool è la città più "canora" d'Inghilterra. Ci sono quattrocento "gruppi Vi cantanti yè yè come il vostro. Come si spiega questa fioritura di canzoni popolari: voi di Liverpool siete forse i napoletani d'Inghilterra?

BEATLES (in coro eccetto Ringo che tace) La nostra città è un porto pieno di navi, di bettole, di marinai. C'è un via vai di gente che si vuole divertire, che ama le canzoni allegre, il rock and roll. E' il primo scalo delle navi che vengono dall'America, subiamo molto le influenze americane. Poi, in faccia a noi c'è l'Irlanda e quindi siamo anche un po' contagiati dall'allegria irlandese. Cantano sempre. La gente di Liverpool non è ricca e si sfoga cantando. Si mangiano patate, si ingrassa e si canta.

E' per questo che siete estroversi, rumorosi, spiritosi?

JOHN E GEORGE Altro che. Dovreste sentire le battute di spirito del pubblico, le punzecchiature ai giocatori durante le partite di calcio, è uno spasso. Domandatelo a quelli dell'Inter quando hanno giocato a Liveropool. Ma già, i vostri non potevano capire.

I vostri primi successi li avete conosciuti ad Amburgo. Perché siete andati ad Amburgo?
GEORGE Perché siamo stati attirati magneticamente su una nave. PAUL Perché Amburgo è un altro porto. Stessa latitudine di Liverpool, stessa gente allegra, whisky, marinai, canzoni, rock and roll.

Solo per questo? JOHN La verità è che ad Amburgo ci offrivano quindici sterline la settimana. Bada bene: quindici sterline a testa. Ne spendevamo quattordici per vivere, ma era lo stesso una fortuna.

Che cosa guadagnavate a Liverpool?
PAUL Coca Cola a volontà e venticinque scellini al giorno, da dividere in quattro.

Dove cantavate?
BEATLES (in coro) Piccoli clubs, piccoli bar, tipo Greenwich Village.

E le vostre famiglie che dicevano?

BEATLES (in coro) Get a job! Trovatevi un lavoro!

Perché al vostro ritorno da Amburgo vi hanno scambiato per tedeschi?

GEORGE Perché negli annunci c'era scritto: "arrivano i Beatles direttamente da Amburgo". JOHN Quando tornammo nessuno ci riconobbe perché avevamo i capelli lunghi.

Non li portavate così anche prima di recarvi in Germania? PAUL Sì, ma non tanto lunghi. Solo john, che frequentava il liceo artistico, li portava lunghi. JOHN Però è stato ad Amburgo che li abbiamo lasciati crescere tanto.

Perché?
GEORGE Perché ci avevano detto che i parrucchieri tedeschi, quando si mettono uno sotto le forbici, glieli tagliano cortissimi. Noi non parlavamo il tedesco, perciò non potevamo spiegare che volevamo solo una spuntatina. Avevamo paura di essere rapati. JOHN Per tre mesi abbiamo scansato i parrucchieri. In tutto il mondo, da allora, abbiamo avuto difficoltà coi parrucchieri.

Il successo straordinario che avete avuto in questi ultimi due anni non vi ha ubriacati?
PAUL No. Saremo cambiati esteriormente, ma dentro di noi siamo rimasti gli stessi. JOHN E GEORGE Ci vestiamo meglio e possiamo mangiare hamburgers.

Vivete per la musica o lavorate solo per i soldi? RINGO Per tutti e due.

Ora siete ricchi e famosi. Come vedete il futuro?
JOHN Un letto di rose. PAUL Bello. GEORGE Andrà benissimo. RINGO (tace)

C'è qualche cantante italiano che vi piace?
GEORGE Marino Marini. PAUL Ci piace anche Tito Gobbi. E anche Bengiamino Gigli, Benny (fa un acuto modulato)

Conoscete Rita Pavone, Celentano, Bobby Solo?
RINGO Come si fa? Ci sono tanti cantanti in Italia!
PAUL A noi non piace il rock and roll. Ci piace l'opera.

Davvero?
JOHN No, stiamo scherzando

Avete molti ammiratori in Italia, ricevete molte lettere dai fans italiani?
PAUL Molte. Ne riceviamo continuamente

Che cosa vi scrivono gli ammiratori italiani?
GEORGE E chi lo sa? Noi l'italiano non lo comprendiamo.

Non direte una frase in italiano esibendovi in Italia?
JOHN Diremo: Hello! GEORGE Io non parlerò per tutto il tempo che starò in Italia. Parlo solo il tedesco.

 

IL DISCO

Side one
  1. "Long Tall Sally" (Enotris Johnson/Richard Penniman/Robert Blackwell) - 2:03

  2. "She's a Woman - 3:04

  3. "Matchbox"(Carl Perkins) - 1:58

  4. "From Me to You" - 1:56

  5. "I Want to Hold Your Hand" - 2:24

  6. "Ticket to Ride" - 3:11

 

Side two
  1. "This Boy" - 2:11

  2. "Slow Down" (Larry Williams) - 2:56

  3. "I Call Your Name" - 2:09

  4. "Thank You Girl" - 2:04

  5. "Yes It Is" - 2:42

  6. "I Feel Fine" - 2:16

 

 

 

Addio a Leo Wachter, fece vedere i Beatles all'Italia


Se n'è andato improvvisamente l'uomo che trentacinque anni fa portò per la prima volta il quartetto di Liverpool nel nostro paese. Per una triste coincidenza, domani avrebbe ritirato al Velodromo Vigorelli una targa in ricordo di quel primo storico concerto dei "Fab Four", avvenuto il 24 giugno del 1965. Ma nella vita di Leo ci furono anche il lager di Dachau, la Resistenza, il Teatro Ciak...
di Paolo Gallori - kataweb musica


Quando si dice il destino. Leo Wachter, una delle figure più importanti nella vita culturale di Milano dal secondo dopoguerra ad oggi, avrebbe dovuto ritirare domani l'ennesimo riconoscimento. Una targa dai Beatlesiani d'Italia, l'associazione degli adoratori dei Fab Four, in ricordo di quel 24 giugno 1965, quando Leo riuscì a portare in Italia i Beatles per la prima volta. Ma domani Wachter non sarà al Velodromo Vigorelli, dove 35 anni fa ebbe luogo lo storico concerto. L'impresario è improvvisamente mancato la notte scorsa all'età di 78 anni, tra lo sconforto dei beatlesiani e dei tanti amici accumulati nel corso dei decenni con la sua attività di promoter, impresario teatrale, talent scout.
Ma, si diceva all'inizio, Wachter era diventato figura leggendaria del music business italiano grazie ai Beatles. Leo riuscì nell'impresa di ingaggiare i Fab Four nel 1965, ovvero un anno dopo il trionfale sbarco del quartetto di Liverpool negli Usa. I Beatles avevano visitato l'America pochi mesi dopo l'assassinio di John Kennedy e gli "orfani" del grande presidente avevano riversato su di loro tutte le inconsce speranze in un futuro migliore, "freddate" dalla cupa tragedia di stato. Le immagini dell'isteria collettiva che aveva colpito gli americani rimbalzarono in tutto il mondo innescando la famosa beatlemania, fenomeno che non lasciò impassibile neanche l'Italia. Credendo nell'avventura, Wachter ottenne contributi dalla Coca Cola e dalla casa discografica Carish e i Beatles arrivarono infine nel nostro paese il 23 giugno del 1965. Milano la loro prima destinazione, dove giunsero in treno e dove trovarono ad attenderli tremila persone che avevano gettato la stazione centrale nel caos.
Poi John, Paul, George e Ringo furono caricati su quattro spider rosse e condotti all'Hotel Duomo, dove occuparono quattro differenti suite al primo piano. E nell'albergo ebbe luogo la prima conferenza stampa dove il "quinto Beatles", il manager Brian Epstein, anch'egli di origine ebraica, volle che le domande fossero rivolte a Leo, che avrebbe provveduto a tradurgliele in yiddish di modo che Epstein le avrebbe poi girate ai Beatles. Tutta questa procedura per non cadere nei trabocchetti della stampa italiana.
Il giorno dopo i Beatles tennero due show al Vigorelli, uno alle 16 e uno 21,15. Il prezzo del biglietto era di mille lire per gli spalti delle tribune e duemila per il prato. Il concerto fu aperto dai New Dada di Maurizio e, a seguire, Peppino di Capri. Accorsero in diecimila allo spettacolo pomeridiano e ben ventiseimila a quello della sera, per un incasso che superò le migliori aspettative. Fu così che Leo decise di devolvere 750mila lire in beneficenza, distribuite alla Colonia Giuseppina Saragat, l'opera di Don Gnocchi e ai figli dei carcerati. Questo era Leo Wachter.