
Anno 1946-47 - Serie C
E
tu, Domenico Rapisarda, vuoi prendere come tua legittima
sposa la qui presente signorina “u Catania” ed amarla
per sempre con qualsiasi matricola, tifarla in salute e
in malattia sia in casa che in trasferta, onorarla con
ogni sigla e logo ma con gli stessi colori, seguirla in
gloria e in fallimenti, finché giudice sportivo non vi
separi?

Versione maschile dell'amore per
questa terra. Non "LA" ma "IL", anzi "U Catania. Tre sono le cose che non
bisogna toccare al catanese DOC: Sant'Aituzza, i masculini e 'u Catania.
E' stato da sempre la passione
domenicale alle falde dell'Etna. Non so quante generazioni di catanesi si
sono recati al vecchio Cibali per godersi il loro Catania. Quante domeniche
col falsomagro ancora da digerire e portato appresso nello stomaco mentre
si cercava il parcheggio, acquistare l'ultimo biglietto ai bagarini, cercare
l'amico che ti faceva entrare! Allora i bambini non pagavano: "E' me figghiu!"
Ma quando mai? Alle porte il buon Calanna era lì, assieme al patron
Massimino, a controllare ai varchi i furbetti della domenica. Ma non sempre
ci riuscivano.
Al contrario di altre città italiane,
dove si entrava con calma e ci si andava a sedere al proprio posto, al
Cibali il varcare la soglia dell'accesso diventava una sorta di manche di
"Giochi senza frontiere". Si corre, si corre per arrivare a prendere il
posto migliore. Ma non c'è l'abbonamento con posti numerati e già assegnati?
L'abbonamento è relativo, qui a Catania tutto è relativo, se non si corre
rischiando l'infarto non c'è piacere. La verità è che hanno fretta di
rivedere qualcosa di magico perchè, risalendo le scale della Curva, si
comincia a vedere il verde terreno di gioco che li aspetta da una settimana,
a respirare l'odore di erba appena tagliata, a sentire i primi cori. A quel
punto il catanese (di qualsiasi ceto) appena seduto al suo posto, si
trasforma: diventa "tifusu do' Catania".
E quando si cominciava era uno
spettacolo di colori e di suoni. Sfido chiunque a recarsi allo stadio e
vedere una partita senza farsi distrarre dalle coreografie delle Curve,
dalle bandiere, dalle ironiche battute in tribuna, da quello che c'è scritto
sugli striscioni. Impossibile. E come loro, lo era diventata la squadra
degli argentini (parecchi dei quali sono rimasti qui) che dieci anni fa ci
regalò immense soddisfazioni, nel bene e nel male. Quando in campo i
giocatori cominciavano a sentire dalla curva "noi vogliamo questa vittoria",
tutti insieme si trasformavano come per dovere. Uno stato di cose che durava
una decina di secondi, il tempo di far diventare i loro occhi quelli di una
tigre. Sugli spalti si percepiva questa sensazione, se ne accorgevano tutti:
in quei dieci secondi il Catania "vuole" segnare, deve segnare. E accadeva.
E quando Maxi Lopez o il Papu andavano a rete, la Nord continuava a cantare
ininterrottamente per mezz'ora, anche se la squadra era in svantaggio. Come
ha fatto all'Olimpico mentre incassava i sette gol dai centurioni romani. A
Roma tutto lo stadio quasi si commosse vedendo quella scena che rimarrà
nella storia del calcio rossazzurro: la Roma vinceva 7 a 0, ma dalla curva
ospite cantavano continuamente come se nulla fosse accaduto, come se il
risultato fosse in parità. Sembrava proprio quella scena del film Quo Vadis,
in cui Nerone vedeva i cristiani che al Colosseo andavano incontro alla
morte: "Li senti? Vanno a morire e cantano! Cantano ancora!" Certo, dai
cori si capiva subito che i "cantanti" erano marca Liotru. L'accento li
tradiva anche nel canto: "Canto per te" diventava "... canto ppe tte, solo
ppe tte, solo ppe tte, solo ppe tte!".
U Palemmu. Al "Catania vaffanculo"
chiunque si aspetterebbe la pronta risposta, cioè un'offesa alla città dei
tifosi ospiti, no? E invece no, qui al Cibali è diverso. Se, per esempio, i
Sampdoriani ci insultano, non si risponde con "Genova vaffanculo" ma con
"Palermo vaffanculo, chi non salta rosanero è". Pazzi, no? Chiunque siano
gli ospiti, gli insulti di ricambio sono riservati solo ai cugini, anche se
questi partecipano in un torneo diverso. Un profondo odio pallonaro che si
trascina da un cinquantennio.

Comunque pazzi già dalla domenica
mattina, quando si sa che quel giorno è speciale perchè il Catania gioca in
casa. Tanti anni fa notai un signore, fermo in fila davanti al semaforo
rosso, che gridava da dentro la sua auto. Ma che fa? Ho guardato meglio:
aveva l'autoradio accesa e stava ascoltando musica ad alto volume. Potevo
capire Pausini, Ramazzotti, al limite Gigi D'Alessio o addirittura le
canzoni napoletane..... macchè! era "Alè Alè Alè Alè Vulcano! Perchè il
Vulcano è la terra che amiamo, dell'eruzione ce ne freghiamo! Alè!", uno
degli inni della sua squadra, e lui gli andava appresso cantando a
squarciagola. In parole povere: si stava caricando per il pomeriggio!
Quello che è successo dai treni del
gol di Pulvirenti fino alla Sigi e agli ultimi sciacalli che stavano per
avventarsi su una creatura in agonia è storia nota a tutti. Sarei l'ultimo a
raccontarla e apparirei alquanto noioso nell'elencare tutte le prese in giro
di questo biennio, ai danni dei catanesi.
E' finita. Il Catania, quello che
abbiamo sempre amato, non esiste più. In questa triste vicenda, un plauso va
ai giudici del Tribunale di Catania che, fino alla fine, hanno cercato di
rianimare un corpo ormai senza vita ma alimentato da ragazzi e da un
allenatore straordinari che non dimenticheremo mai, disponibili addirittura
a giocare gratis pur di concludere il campionato vicino ai loro tifosi.
Adesso chi avrà il coraggio di andare
a dire a quel tifoso rossazzurro che dalla tribuna diceva "chi ci pozzu
fari? iaiu 'na malatia: U Catania!" che da questa domenica, nel pomeriggio
dovrà fare ben altro? Per noi tifosi, senza il Catania non sarà più
domenica. Come faremo a rispondere a chi ci domanda "chi fici u Catania?"
Risorgeremo. Forse con un'altra
denominazione, sicuramente con un'altra matricola, è già successo ad altre
squadre più blasonate di noi. Ma i colori della maglia no, quelli resteranno
per sempre appiccicati sulla pelle di chi avrà la soddisfazione di
indossarla e l'orgoglio di onorarla.
Presidentissimo, lo so che stai
soffrendo. Assieme a Stefania Sberna, immagino come ti starai rivoltando
sulla tua nuvola, spargendo quintali di sale lì sotto corredandolo, ad ogni
lancio, con un "cunnuti ca siti!". Esattamente come quando stavi dietro il
portiere avversario e per deconcentrarlo gli sussurravi che sua moglie, nel
frattempo, lo stava cornificando.
Ma lo sai come si dice qui da noi, no?
"Melior de cinere surgo". Quattro parole in cui noi catanesi ci
rispecchiamo da secoli e secoli. Ci hanno un po' etichettati così, ci siamo
abituati. E proprio per questa nostra nomea risorgeremo nuovamente perchè siamo
instancabili, indistruttibili e ancora una volta grideremo ...... FORZA CATANIA, VINCI PER NOI!
M.R.

Un grazie ad Alessandro Russo, Antonio Buemi, Filippo Fabio Solarino, Roberto Quartarone, Francesco Di Salvo,
Sergio Nunzio Capizzi, Mimmo Romano, Salvo Consoli, Emanuele Rizzo, Gigi
Chiavaro, Nino Cantone, Nino Leonardi, Piero Armenio e Salvo Emanuele.



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