In alto i cuori e anche gli
smartphone. Una selva di telefonini illumina la cattedrale per
l'incontro dei devoti con S. Agata. E anche quando alle 7.15 il
busto reliquiario viene issato sul fercolo, i cellulari si
agitano tanto quanto i fazzoletti bianchi.
S. Agata torna con la sua
gente che l'accoglie con un boato affettuoso, nell'immenso
catino bianco e nero di piazza Duomo abbagliata da un
inaspettato sole di primavera.
Si è svegliata presto Catania
per rituffarsi nella sua festa, nel suo specialissimo
"capodanno". Il serpentone ondeggiante di "cittadini" sguscia
sotto l'arco di Porta Uzeda come un'onda che lambisce gli Archi
della Marina, giù fino alla stazione. Attraversa la solita
casbah di venditori di tutto: candele, statuette, poster,
torroni, magneti. L'effigie di S. Agata su tutto, la voglia di
festa su tutto. Voglia di una festa «nuova».
La mattina del 4 appartiene
alle famiglie. Nuvole di «Peppa Pig» e «Minion» navigano tra le
teste dei portatori di candelore. Bambini e passeggini,
merendine e biberon, sulle spalle di papà a guardare «quanto è
bella S. Agata». In piazza dei Martiri non vengono "sparati" i
fuochi per la delusione di chi li vedeva correre in piccole
nuvole verso il mare.

L'incontro con i disabili, invece, c'è,
così come l'abbraccio con i gruppi di preghiera all'interno del
cordone. Negli anni passati sembrava più una tappa obbligata,
oggi c'è chi è pronto a giurare in una nuova consapevolezza
dell'incontro con l'altro da parte dei devoti.
C'è un passo diverso
nell'andatura del fercolo e si vede. Viale Libertà a tempo di
record e l'arrivo in piazza Carlo Alberto alle 15.20, lo
testimoniano. Non era mai successo. Quando le campane di S.
Gaetano alle Grotte cominciano a suonare non ci si crede.
Bisogna aspettare l'assordante conferma dei fuochi al Carmine
per rendersi conto che S. Agata è proprio lì, ai piedi del
Santuario.

L'odore della polvere pirica
copre tutti gli altri, quelli della carne arrostita,
dell'incenso, dei cassonetti fradici lungo la salita verso la
chiesa. «Che schifo - si lamenta qualcuno - avrebbero potuto
almeno chiudere i coperchi».
Alla Fiera il mercato storico
ha levato le tende per far posto a S. Agata. Restano i venditori
improvvisati di polpette e di fette di cedro con il sale. Pochi
i balconi occupati, segno che in tanti sono fuggiti da un luogo
suggestivo ma dal quotidiano invivibile.
Le gradinate della Chiesa del
Carmine sono una sorta di galleria teatrale in attesa
dell'arrivo della «Star» e sulla piazza le voci e i rumori si
spalmano come in un unico brusio sorvegliato e attento. Sul
sagrato della chiesa i ragazzi del catechismo parrocchiale
inscenano gli ultimi giorni di S. Agata. Quando il cordone
arriva in piazza, la musica new age di Enya lascia il posto
all'Inno di S. Agata. Un'anziana La cerca con lo sguardo «Unn'è
Sant'Aita? ».

Sulle facce dei catanesi
un'espressione da «stupor mundi», un lieve contagioso sorriso,
come quello dei bambini davanti a una montagna di gelato.
L'«effetto S. Agata» si fa sentire. Negli abbracci, nei mazzi di
fiori bianchi portati come una reliquia, nei saluti: «Per
Sant'Agata c'incontriamo sempre! ». Peccato che questo senso
della collettività, questa appartenenza condivisa, questo rito
identitario della "catanesitudine", sia un incantesimo che
svanisce dopo tre giorni.
Sant'Agata e la Madonna del
Carmine, patrona e compatrona, l'una di fronte all'altra. Per la
prima e seconda festa cittadina si mette in marcia lo stesso
popolo. Lo stesso che il parroco del Carmine, Francesco
Collodoro, si chiede «dove sia la domenica? », per poi incitarlo
a «non farsi fregare la speranza» e a «non aspettarsi sempre
tutto dagli altri. Ognuno deve fare la sua parte, come Agata ha
fatto la sua. Questo popolo può rendere Catania più buona,
bella, pulita, e non solo - chiosa - per la munnizza che qui in
piazza Carlo Alberto non manca mai... ».

Sono emozionanti le
storie che legano i fedeli a Sant' Agata.
Toccano il cuore per
l'intensità, per la forza capace di generare un amore senza
fine. Sono come sempre numerosi i devoti che seguono il fercolo,
tanti quelli che ne attendono il passaggio con i fiori in mano e
i ceri da donare alla Santa.
Il marito inconsolabile. I
ceri di Giovanni, due per l'esattezza, li tiene in mano la
cognata Antonia. Lui è visibilmente emozionato, accarezza il
capo di entrambi i suoi figli Lorenzo e Riccardo. Per il signor
Giovanni il passaggio segna un momento importante legato al
distacco dalla moglie scomparsa poco tempo addietro. Lui non
parla perché è troppo commosso ma ricorda al piccolo Lorenzo
cosa si sono detti a casa, prima di andare ad incontrare la
Santa patrona. «Devi chiedere una cosa importante a Sant'Agata»
sussurra Giovanni al figlio. «Sì - risponde Lorenzo - dobbiamo
offrire i ceri e chiedere a Sant'Agata di parlare con mamma
lassù in cielo e dirle che le vogliamo bene…». Non è devota zia
Antonia che però sottolinea: «Ci credo molto perché la sento una
festa del popolo e pur non essendo profondamente religiosa il
calore di tutta questa gente mi fa stare bene».
La mamma devota. «Entrambi i
miei bambini indossano il sacco» racconta Rosaria, giovane mamma
a tempo pieno. «E' qualcosa di intimo che deve restare dentro di
me, un legame che mi unisce alla Santa ma sì - confessa
timidamente - ho ricevuto una grazia e da dieci anni indosso il
sacco per devozione». Il piccolo Carmelo ha appena tre anni e
non solo indossa il sacco ma, insieme con il suo papà, Giovanni,
tira addirittura il cordone della vara. «Indosso il sacco da
trent'anni per grazia ricevuta da mia madre, praticamente sono
uscito dall'ospedale con il sacco già indosso…».
La famiglia ospitale. Da un
balcone lungo via VI Aprile la famiglia Sagù segue la
processione. «Non siamo devoti, nel senso che io non ho mai
indossato il sacco - afferma Angela, tra l'altro neomamma di una
splendida bimba di nome Dalila - ma la festa è appassionante,
credo nello spirito della devozione e ne rispetto il
significato». Non saranno devoti tradizionali i componenti della
famiglia Sagù, ma la signora Gresy e il marito Daniel sono
gentili e disponibili. «Devoti in fondo lo siamo un po' tutti
per una questione di cultura e folclore. Poi se andiamo a
cercare il pelo nell'uomo scopriamo che in pochi conoscono la
storia di S. Agata». «Nemmeno io ho mai indossato il sacco -
sottolinea la signora Gresy - ma, da sempre, sono molto legata
alla Santa».
Il devoto per lavoro. Il
genero della signora Gresy, Gaetano Porto, invece segue la
processione per fede e anche per lavoro. Da qualche tempo
gestisce una pagina su Facebook "Perché a Catania" e in questi
giorni sta seguendo la festa passo dopo passo postando video e
foto. «La festa è una cosa seria - afferma - ed è
indissolubilmente legata al concetto di catanesità. Chi, per
ragioni di lavoro o studio, vive lontano segue tutto con
interesse e il seguito è davvero incredibile». Proprio così,
basti considerare che la pagina ha 68.321 mi piace. Un vero
record.
L'avvocatessa emozionata.
Elena Cassella, avvocato "senza pausa", ci tiene a precisarlo:
«Non sono devota, chi mi conosce lo sa bene. Mi sono trovata ad
assistere al passaggio del fercolo al viale Libertà per caso, le
strane coincidenze della vita, non seguo proprio la festa. Sono
sempre di fretta. Ma oggi mi sono fermata…» afferma commossa e
ne spiega il motivo. «Oggi (ieri per chi legge) si celebra la
Giornata mondiale contro il cancro e Sant'Agata è la protettrice
della salute del seno: trovarmi qui mi è sembrato un segno del
destino perché due anni faè mancata una persona cara che
lavorava da tanto tempo con noi. Una donna che si chiamava
Agata…».
La Sicilia, Lucy Gullotta

quindi essi promettono la
grossa torcia, di vario peso, tra cui molti tra i 50 o 100 kg.
Questi ceri quindi sono molto pesanti, e i devoti fanno molta
fatica a trasportarli sulle loro spalle, arrivando a fine
processione stremati dalla fatica e dal dolore.
Sommando il peso della cera
che si accumula, tra le migliaia di candele che vengono offerte
sul fercolo, soprattutto in questa giornata, e le grosse torce
portate a spalla dai devoti, che infine vengono mandate al
macero, questo peso supera di molto le tonnellate, Infatti,
durante la processione viene spesso effettuato lo scarico della
cera del fercolo, riempendo tantissimi camion di candele da
mandare al macero.

Questo è il testo del
«Messaggio alla città», pronunciato dall'arcivescovo mons.
Gristina ieri pomeriggio in piazza Stesicoro.
«Fratelli e Sorelle, ancora
una volta ci ritroviamo in questa splendida piazza che riesce
appena a contenerci. Siamo qui così numerosi e devoti perché
proprio in questi luoghi avvenne il martirio di S. Agata. Il mio
pensiero, in questo momento, corre alle persone che, pur non
essendo presenti qui fisicamente, ci seguono in collegamento e
specialmente a quelle ammalate che contemplano il volto della
nostra Patrona con fiduciosa speranza. A loro ed a voi,
carissimi amici, un affettuoso saluto, un ricordo nella
preghiera e il cordiale augurio di trascorrere serenamente
questi giorni di festa in onore di Sant'Agata.
«Guardiamo il volto
risplendente della nostra Santa Patrona per scoprire sempre
meglio il segreto che esso custodisce, per imparare a guardare
dove guarda Lei e per fondare la nostra vita dove l'ha fondata
Lei. Lo facciamo in questa città, che fu la sua città, in questi
luoghi dove, in un giorno di inizio febbraio dell'anno 251, i
soldati del governatore romano Quinziano le tolsero la vita, ma
non la libertà e la dignità.
«Che cosa aveva Sant'Agata di
così grande nel cuore, da essere capace di resistere alle
lusinghe e, poi, alle torture dei suoi carnefici? E' la domanda
che ancora oggi ci facciamo e che vogliamo riproporre alla
nostra attenzione. La giovane Agata non seguiva una ideologia,
le mode del tuo tempo, né seguiva una religione, ma una persona
che aveva afferrato la sua vita, Cristo. Per questo nella
tavoletta che fu collocata nel suo sepolcro troviamo scritto che
Ella si è lasciata guidare da pensieri santi, dal desiderio di
prestare onore a Dio e di ottenere la liberazione della sua
patria.

«Il legame con Dio e l'amore
alla sua città è stato testimoniato nei secoli in maniera
mirabile e molteplice. Fin da subito questa città l'ha vista
come un esempio da seguire, una figlia di cui tenere vivo il
ricordo, una patrona da imitare e invocare nei momenti cruciali
della vita. E per questo la sua fama s'è diffusa presto in tutta
la Chiesa d'Occidente e d'Oriente.
«Gli anni in cui visse S.
Agata, per certi versi, assomigliano ai nostri. Quelli di Agata
erano tempi di durissime persecuzioni contro i cristiani. Ma
anche oggi come non pensare ai nostri fratelli che in Medio
Oriente, in Siria, in Iraq sono stati costretti a lasciare
lavoro, case e città per non tradire la loro fede in Cristo? O
come non pensare alla situazione di nuovo paganesimo che stiamo
vivendo in questo scorcio di nuovo millennio?

«Siamo liberi, ma la nostra
libertà è vuota, ci diciamo felici ma la nostra gioia non ci
soddisfa, facciamo con sempre maggiore frequenza l'esperienza di
una vita senza uno scopo preciso, significativo e duraturo. Ciò
perché abbiamo escluso Dio dal nostro orizzonte di vita
quotidiana e ci siamo affidati a tanti nuovi dei: il potere, il
piacere, l'interesse individuale. Viviamo spesso tristi, senza
gioia, senza speranza, senza futuro. Il tasso di natalità
diminuisce, le fabbriche chiudono, i quartieri, soprattutto
quelli periferici, sembrano desolati.

«Non possiamo rimanere
insensibili e inerti di fronte al grido di chi soffre perché ha
perso il lavoro, perché ha subito violenza, è stato costretto a
emigrare. Per questo vogliamo tornare a guardare dove la nostra
Santa Patrona seppe guardare con coraggio e tenacia; vogliamo
uscire dal tunnel della tristezza, dal dramma della povertà,
dalla ferocia della violenza, per riscoprire invece la speranza,
la forza dirompente della solidarietà, l'amicizia e la
fraternità. E' questa l'unica via che ci permetterà di
sconfiggere la sconfortante delusione che spesso accompagna la
nostra esistenza.
«I santi, carissimi fratelli
e sorelle, non sono super-uomini, o super-donne, sono uomini e
donne come noi che ci testimoniano la verità dell'umano. Per
riscoprire questa verità elementare, la Chiesa italiana, e noi
con essa, siamo impegnati nel cammino di preparazione del 5°
Convegno ecclesiale nazionale che si terrà a Firenze dal 9 al 13
novembre di quest'anno.

«Il tema del convegno parla
proprio di un "nuovo umanesimo" che si può raggiungere seguendo
Gesù Cristo e immedesimandosi con Lui. "L'accesso all'umano - ci
ricorda la traccia del Convegno di Firenze - si rinviene
imparando a inscrivere nel volto di Gesù Cristo tutti i volti,
perché Egli ne raccoglie in unità i lineamenti come pure le
cicatrici".
«Agata è come un vetrino, un
tassello del volto luminoso di Cristo. Per questo le chiediamo:
tu che, rimanendo attaccata a Cristo, hai resistito al potere
tirannico, hai ridato speranza alla tua città e sei divenuta un
esempio per il mondo intero, aiutaci a non rassegnarci, a non
fidare solo sulle nostre povere forze, a guardare al dolore che
c'è attorno a noi, a sapere vedere il bene grande e nascosto che
c'è nella nostra terra. Perché, guardando te e guardando dove
guardi tu, anche noi possiamo avere pensieri santi, possiamo
desiderare di appartenere solo a Cristo ed essere disponibili a
lottare per la liberazione della nostra amata patria, della
nostra amata Catania.
Salvatore Gristina,
arcivescovo di Catania
La Sicilia, 5.2.2015


La quantità di candele
offerte è così enorme, che le candele offerte sul fercolo, per
dare la disponibilità di accontentare tutti i fedeli che
vogliono la propria candela accesa, vengono accese per pochi
minuti e subito spente ed accantonate, formandosi nel retro del
fercolo una montagna di cera, che deve essere spesso scaricata
dopo poche centinaia di metri dallo scarico precedente.
UNA PAUSA OGNI ARCATA DI
LUMINARIE
«Vendo più ceri
grazie alla crisi la gente li porta in chiesa e prega»
«Sembra un parodosso, ma è
grazie alla crisi se quest'anno sto vendendo più candele
rispetto al passato. La gente viene e mi dice: "Mi dia un cero,
così vado in chiesa, lo accendo e prego perché la mia situazione
familiare migliori"». Ma quella del signor Gambino, titolare di
una delle cererie più importanti della città, è l'eccezione.
Nelle altre, infatti, il trend delle vendite è in calo rispetto
all'anno precedente, «colpa della crisi» sostiene il signor
Cosentino, «ma forse colpa anche di un'assurda psicosi che
sembra essersi diffusa tra alcuni miei clienti, i quali hanno
disdetto diversi ordini di ceri destinati a Sant'Agata per paura
che, durante i momenti clou dei festeggiamenti, possa
verificarsi un attentato dell'Isis» dice il signor Viola,
titolare dell'omonima cereria in piazza Federico di Svevia.
«Un'altra leggenda metropolitana - continua Viola -. Ovviamente
ritengo che il motivo principale per cui sto vendendo meno ceri
sia la crisi economica. E io, da ex operaio, sono il primo a
dire alla gente che ha difficoltà a sbarcare il lunario di non
spendere i propri soldi per acquistare candele se prima non ha
portato da mangiare ai propri figli».
I rivenditori hanno
commentato, e criticato, l'ordinanza del sindaco Bianco che
vieta anche quest'anno, in occasione dei festeggiamenti per la
santa patrona, "l'accensione e il trasporto dei ceri accesi". «È
da diversi anni ormai che il Comune ripropone la stessa
ordinanza - dice il signor Cosentino - ed è dallo stesso numero
di anni che non viene rispettata. E sa perché? Perché è
un'ordinanza stupida. Se tu, Comune, poni un divieto, devi
offrire ai devoti un'alternativa. E non mi vengano a dire che
gli spazi offerti per l'accensione dei ceri sono idonei e
sufficienti, perché non lo sono affatto. Credo, tuttavia, che la
flessione delle vendite non sia dovuta all'ordinanza sindacale,
ma semplicemente alla crisi. Prima con 50.000 lire un padre di
famiglia portava a casa diversi ceri che bastavano per tutti.
Oggi con 25 euro, che è l'equivalente, purtroppo prendi davvero
poca roba».
«Io vendo ceri e dunque il
mio parere sarà giudicato di parte - dice il signor Viola -.
Cerco dunque di essere obiettivo. Perché il Comune non ha
ritenuto giusto e corretto trovare un punto d'incontro tra le
legittime esigenze di sicurezza e le altrettanto legittime
aspettative ed esigenze dei fedeli che vogliono accendere un
cero alla santa? Perché non ha mai sentito l'esigenza di
convocarci attorno a un tavolo per trovare insieme soluzioni
condivise? Vietare è la cosa più facile che un'amministrazione
possa fare. Ma così si va contro le ragioni dell'altro, senza
nemmeno provare a sentire quali sono le sue esigenze. Accendere
un cero, piccolo o grande che sia, a Catania è da sempre una
tradizione, una dimostrazione di fede, una volontà di voto».
«Guardi, la mia famiglia ha
quest'attività da quattro generazioni, sin dal 1795, dunque
l'ordinanza del sindaco non mi potrebbe mai trovare d'accordo -
dice il signor Gambino -. Bisogna trovare soluzioni nel rispetto
di chi porta avanti una tradizione pluridecennale. Per esempio,
perché non mettere 10 centimetri di segatura lungo tutto il
percorso, via Etnea e via Caronda soprattutto, chiudendole al
traffico già tre giorni prima del giro interno? Finita la festa,
la cera verrebbe rimossa con facilità. Questo venne fatto
diversi anni fa, credo con Scapagnini sindaco, e funzionò. I
luoghi che il Comune indica per l'accensione dei ceri sono
insufficienti. Potrebbero bastare sono per chi ha ceri piccoli.
Ma quei fedeli che fanno voto, non rinuncerebbero mai e poi mai
a portare sulle spalle il loro cero da piazza Duomo fino al
Borgo, e solo qui lo "consegneranno" alla santa. Non ci sono
ordinanze che possano impedirlo. Tanto vale, dunque, studiare
soluzioni alternative, perché alla sicurezza ci teniamo tutti,
non solo il Comune».
Non solo ceri nella
tradizione dei festeggiamenti agatini. Anche le mercerie di
solito concludono buoni affari, soprattutto quelle del centro
storico che vendono il sacco bianco, ovvero la veste devozionale
indossata da migliaia di devoti nei giorni clou della festa, e
il cappellino nero, che i catanesi chiamano "scuzzetta".

Levendite procedono lentamente, più lentamente del solito - dice
il titolare della merceria "Lara" di via Manzoni -. Rispetto
all'anno scorso registriamo una flessione di circa il 40%. Credo
che qualcosa stia cambiando nell'approccio con la festa. La
gente forse preferisce assistere alle fasi salienti della
processione, allo spettacolo dei fuochi pirotecnici, e pensa
meno all'aspetto religioso. Avverto un calo di fede. Spero sia
solo una mia sensazione».
Per il signor Zuccarello,
dell'omonima merceria di via Manzoni, «il trend di vendite è
stabile. Non vedo differenze con gli anni precedenti - dice - e
per fortuna questo è un buon segno, considerato il momento di
crisi che attraversiamo. In questa edizione 2015 spicca un dato
su tutti: stanno andando a ruba i sacchi per i neonati. Vedremo
tantissimi pargoletti durante la processione vestire l'abito
devozionale. Un omaggio dei genitori alla santa patrona, alla
quale si affida il futuro dei propri figli».
Vittorio Romano, La Sicilia,
3.2.2015

Questa è una processione che avanza molto lentamente, più
lentamente del giorno precedente, per via della grande offerta
di cera sul fercolo, per i moltissimi scarichi delle candele sui
camion, e per la grande calca di folla; infatti la Santa, arriva
in piazza Borgo in tarda nottata, e di anno in anno
sempre con più ritardo nella tabella di marcia, oltre le ore
3,00 del 6 febbraio;
il ricercato
effetto "Caravaggio" effettuato dalle migliaia di fotografi nelle
sere di festa

Dopo il Borgo, S. Agata ridiscende durante la fredda notte
invernale per la via Etnea verso la Cattedrale, ed
arrivando all’angolo con la via A. di San Giuliano, o i
“Quattro Canti” per i catanesi, effettua l’emozionante corsa
della salita di Sangiuliano, intorno le prime ore del
mattino, oppure a giorno fatto..

Questa salita è molto
pericolosa perchè stretta, ripida e scivolosa, e con la grande
calca di popolo, ogni anno viene sempre più difficoltosa
eseguirla, creando spesso incidenti molto gravi, tra cui la
morte di un devoto, Roberto Calì, morto nel tragico incidente
dell’edizione 2004, scivolato involontariamente e schiacciato
dagli altri devoti caduti a catena sopra di lui.



Berlusconi: "Vi
restituirò i fuochi del Borgo"
Martedì 05 Febbraio 2013 - 19:21 di Francesca Marchese
L'ironia corre su Facebook e Berlusconi promette: "Vi restituirò
i fuochi del Borgo". E' questo il meme che si sta diffondendo
oggi tra i profili catanesi in occasione della Festa di
Sant'Agata. I Fuochi del Borgo, una delle tradizioni più care ai
catanesi, quest'anno non si svolgeranno p
er difficoltà
economiche del Comune. L'immagine, modificata al Photoshop,
raffigura un devoto con il sacco agatino mentre accende un cero
a Sant'Agata davanti alla chiesa Collegiata: il viso del devoto
è proprio quello di Berlusconi. Sotto il messaggio, il simbolo
di un partito politico. Su Twitter: #LiveSAgatN
nel 2014 tornano i fuochi
del Borgo