Oggi siamo nello Utah, fra le montagne che facevano da nascondiglio a Jasse James e Buth Cassidy per sfuggire alla legge del lontano Ovest. Meglio conosciuto come Far West.

Già il suo nome evoca nella nostra fantasia chissà quali duelli o quali leggendari personaggi. Si tratta di quel territorio americano che si estende tra le Montagne Rocciose e la costa del Pacifico. In particolare lo Utah, ma anche l'Arizona, il Wyoming, il Nevada, l'Idaho, l'Oregon, Washington e soprattutto la California che ai tempi della "febbre" fu presa d’assalto dai cercatori d’oro e che per questo si guadagnò il nome di Golden State.  Messi tutti assieme, questi Stati rappresentavano l’ultima “frontiera” americana, allora soltanto sognata dall'uomo bianco.

 

Vista di persona l'immensità di quella  terra, immaginandola oggi come allora tutta da conquistare con gli impervi terreni da percorrere e le ostilità (obiettive) incontrate durante il percorso, questa pagina la dedico a tutti quegli uomini e alle loro famiglie, i cosiddetti pionieri, che con grandissimo coraggio e i loro sacrifici spesso macchiati di sangue hanno fatto quei necessari "passi da gigante" in avanti per costruire un grande Paese i cui orizzonti si perdevano a vista d'occhio ma che a quel tempo facevano presagire soltanto incognite, buone e cattive.

Quei pionieri le hanno affrontate di petto, mettendo quotidianamente sulle loro spalle tutti i pro e i contro di quelle incognite; perchè più non sapevano che c'era "oltre" quell'immane quantità di prateria che aspettava soltanto di essere cavalcata, più scorgevano miglia e miglia di manna dal cielo che lassù qualcuno (non certo Manitù) aveva messo loro a disposizione e ..... più aumentava il loro spirito di conquista.

Dall'impavido coraggio di quei pionieri nacque lo spirito del West americano. Un mito che sopravvive fino ai giorni nostri.

Dopo simili gesta, la conseguente nascita di una grande Nazione è stato soltanto un piccolissimo passo. 

Breve, brevissimo.

(Mimmo Rapisarda)

 

 

 

 

 

L'EPOPEA DEI PIONIERI. 

 

 

L'espansione a ovest da parte di coloni europei iniziò nel 1763 quasi casualmente, quando al termine della guerra dei Sette anni la Francia cedette alla Gran Bretagna il Canada e il nordovest, conservando il controllo delle isole di Saint-Pierre, Miquelon, Guadalupa e Martinica. Dopo la guerra di indipendenza americana, il Louisiana Purchase (acquisto della Louisiana, 1803) praticamente raddoppiò il territorio statunitense, un fatto la cui portata venne inizialmente sottovalutata in quanto lo scopo precipuo dell'acquisto era stato quello di ottenere uno sbocco al mare attraverso il fiume Mississippi. Gli Stati uniti ampliarono i propri territori in misura molto maggiore di ogni altra nazione. Le lotte e le altre vicissitudini legate a questo processo hanno quindi assunto un afflato epico-emotivo molto forte. Stimolata, oltre che dalla fame di terra e di opportunità degli immigrati provenienti dai paesi più poveri dell'Europa, anche dal diffondersi della teoria del Manifest Destiny (destino manifesto), che incoraggiava gli Stati uniti a estendere la loro influenza e la loro civiltà all'intero continente americano, la conquista del West ebbe vari stadi e diverse frontiere: la Connecticut Valley, la valle dell'Ohio e le estensioni erbose del Kentucky, le Montagne rocciose e, oltre il Missouri e il deserto americano, verso l'Oregon e le miniere californiane. Con la significativa eccezione dei mormoni, l'emigrazione verso ovest avvenne non per comunità, ma per individui o gruppi familiari, a iniziare dai primi frontiersmen (vedi frontiera), cacciatori e commercianti che segnarono le prime piste. I colonizzatori del West non appartenevano in genere ai ceti estremi, ma a una sorta di classe media che anche ideologicamente plasmò la società dei territori di frontiera, stimolando la pratica democratica e l'atteggiamento pragmatico, pronto ad affrontare i problemi al loro porsi e ad accettare il continuo cambiamento tipico della frontiera, che stimolava lo spirito d'avventura, l'inventiva e l'iniziativa individuale. In quello stesso contesto si formarono le basi del pensiero politico americano, soprattutto la fede nel federalismo, che lasciava ampia autonomia ai singoli stati. Anche l'orgoglio per i risultati raggiunti autonomamente dal paese si radica nella sicurezza di sé tipica degli uomini del West. Analogamente, il Louisiana Purchase, con le possibilità di espansione e popolamento che aprì, oltre a dare agli Stati uniti la possibilità di avere una presenza significativa in campo internazionale, è stato considerato da alcuni storici alla base di un atteggiamento politico che darebbe la priorità al benessere della popolazione agevolando il credito ed evitando tassazioni troppo gravose. Inoltre la varietà stessa delle persone e dei motivi che spinsero la conquista sarebbe alla base di un atteggiamento conciliativo e disponibile al dialogo che avrebbe favorito in ultima analisi l'unità nazionale. A tutto ciò contribuì sicuramente la caratteristica peculiare del West americano che, diversamente da altre aree di frontiera quali l'Africa, le steppe russe o le lande australiane, offriva risorse più immediatamente accessibili, grazie anche a generose concessioni di terre e politiche governative favorevoli agli insediamenti, richiedendo al contempo processi di adattamento molto meno laboriosi.

Mentre i pionieri consideravano il West da un punto di vista eminentemente pratico, le stesse caratteristiche di territorio praticamente illimitato in mano a un'unica nazione, ricco di risorse di ogni genere, terre fertili, foreste, minerali, clima propizio e grandi fiumi navigabili, ne fecero quasi un luogo favoloso, ove nulla era precluso a chi avesse avuto forza e volontà sufficienti. La conquista del West procedette dunque a ondate che spostarono la frontiera sempre più a ovest, dando così modo alle regioni di precedente colonizzazione di affinare i costumi e instaurare via via modelli di società più progrediti. Sin dagli anni immediatamente successivi alla rivoluzione gli Stati uniti espressero una legislazione sull'ovest, che fu poi applicata all'intera nazione: un ordinamento del 1785 regolò la vendita delle terre, un altro del 1787 vi stabilì forme di autorità costituita e definì l'impegno pubblico ad appoggiare la formazione di scuole e altri centri per l'educazione; il Pre-emption Act del 1841 difese i diritti dei frontiersmen a detenere i terreni, e nel 1862 lo Homestead Act giunse quasi a coronare il sogno di ogni famiglia di possedere un pezzo di terra. Allo stesso modo, la crescita del West favorì l'emergere di personalità politiche da tali regioni. All'epoca della guerra civile americana la maggioranza della classe dirigente era di origine western. Tuttavia proprio le grandi risorse del West, percepite come infinite, ne favorirono lo sfruttamento indiscriminato e talvolta la distruzione: lo sterminio della fauna selvatica, dai castori ai bisonti, e la distruzione delle foreste avvennero sia per profitto che per liberare le terre coltivabili. Le Grandi pianure, che componevano circa un quarto dell'intero territorio nazionale, furono quasi distrutte nel giro di una generazione dal cattivo uso che della terra venne fatto da aspiranti agricoltori, inesperti, truffati dagli speculatori terrieri. E soprattutto l'espansione a ovest portò all'annientamento delle popolazioni native sterminate da guerre ed epidemie, private di ogni diritto, poste in riserve ove persero tradizioni e identità culturale. La democrazia americana e il carattere nazionale, le cui radici sono da molti storici fatti risalire alla colonizzazione del West, erano beneficio esclusivo dell'uomo bianco, che considerava il possesso e lo sfruttamento del territorio un suo diritto naturale e con altrettanta naturalezza eliminava gli ostacoli, materiali o umani, che avrebbero potuto impedirne l'esercizio.

L.Cremoni (J.C. Parish, Reflections on the Nature of the Western Movement, "Proceedings of the Pacific Coast Branch", American Historical Association, 1930)

Il West tra mito e leggenda

Sebbene il fascino del selvaggio West, o Wild West, per dirlo all’americana, sia un argomento capace di stuzzicare la curiosità e l’interesse di giovani e meno giovani, è solo mediante una precisa e costante ricerca della conoscenza dei fatti che si possono interpretare quei drammatici anni che segnarono l’America del tempo e quella moderna.

La storia del West ci è stata tramandata dal cinema, e dalla carta stampata, in quell’unica forma che molti di noi volevano conoscere: un luogo di buoni e cattivi, di miseri ed eroi. Un’epopea costruita sulle storie di coloro che, nel bene e nel male, aprirono la strada verso i territori inospitali di un’America sconosciuta. Quell’America dove Sioux, Apache, Cheyenne, Navajo vivevano la loro vita secondo tradizioni che si tramandavano di padre in figlio.
Visitando i luoghi dove bianchi e pellerossa si sono aspramente battuti per anni, ed incontrando la gente del posto, si realizza presto una considerazione: l’animo che muoveva i pionieri più di 150 anni fa è quello di ogni americano moderno che abita i territori dell’Ovest. Quell’americano che quotidianamente sfida la furia della natura e l’ostilità di certi luoghi, magnifici e terribili allo stesso tempo. Molti di essi, infatti, sono ancora oggi paesaggi inospitali, tanto pericolosi quanto splendidamente semplici, invitanti e unici. Sono i luoghi dove meglio si esprime l’ideale americano, quello per capirci costruito sulla libertà e sull’indipendenza. Sono però anche le lande desolate dove l’uomo incontra la libertà nella civiltà, nel tempo e nello spazio. Gli americani la chiamerebbero the Need of Freddom, il bisogno di libertà.
Gli Open Range, le grandi distese come vengono definite negli Stati Uniti, sono il simbolo primario del West americano, un luogo dove bisonti, cavalli e uomini, pur vivendo immersi nel Paese simbolo della cultura Occidentale, conservano le tradizioni che hanno rappresentato il combustibile primario per alcuni avventurieri. Stiamo parlando degli esploratori che si stabilirono, ad esempio, nelle terre del Dakota (Nord e Sud), del Montana, del Wyoming, del Colorado, dell’Arizona, del New Mexico, del Kansas, del Nebraska, dell’Oregon, della California e dell’attuale Stato di Washington (da non confondere con Washington D.C. che si trova invece nella parte Est degli USA). L’emozione e la suggestione che generano questi territori del Nord America sono come un grande sogno nella mente di un europeo nato e cresciuto in un Continente la cui storia, e i cui luoghi, nulla hanno a che fare con quelli considerati in questo sito. Sebbene il travaso culturale è una realtà che viene vissuta da entrambe le parti dell’Oceano Atlantico, quello che si impara, durante le pur brevi ma intense esperienze di viaggio negli Stati dell’Ovest, è un differente atteggiamento culturale con cui le due civiltà, europea ed americana, si pongono l’una relativamente all’altra.

La prima arroccata e nascosta dietro l’ombra di un passato storico intenso che di fatto ne ha congelato, in parte, il processo evolutivo. Una questione che, talvolta, assume aspetti drammatici contrassegnati da idee ormai stereotipizzate secondo cui “…la nostra storia ci insegna che…”. La seconda, nata da una storia molto più misera e con origine poco lontane nel tempo (se si considerano i primi veri segni della civilizzazione), sembra oggi procedere ad un passo superiore a tutti gli altri. Sarà la forza di un paese giovane o il risultato di un popolo fermamente convinto delle proprie possibilità. In ogni caso, quale che sia la ragione di un progresso così veloce e incessante, l’America dell’Ovest, l’America vera, è un Paese in cui si respira ancora l’atmosfera del vecchio West e dei pionieri che, poco più di centocinquanta anni fa, hanno realizzato quel sogno che era appunto la Conquista del West.
La Frontiera, quella linea immaginaria che separava la civiltà dall’enigma dell’Ovest, non esiste più. Ma la forza e la volontà che spingevano i pionieri di allora è un tratto tipico degli americani che oggi vivono in quelle terre. La colonizzazione del Continente Nord Americano è stata, come noto, frutto di un’ondata migratoria in arrivo dall’Europa e, ancora oggi, gli stessi americani sono coscienti del fatto che la loro società è il frutto di una complicata commistione di etnie differenti. Per citare un esempio evidente basti pensare che la stessa pratica dello schiavismo che ha spinto i francesi ad importare, sul continente Nord Americano, la gente di colore ha fatto si che oggi il popolo americano sia uno degli esempi più clamorosi di bianchi e neri che convivono, non sempre nel migliore dei modi, sulla stessa terra. Anche il vicino Messico ha influito pesantemente sulla formazione culturale di alcune parti d’America. Ci riferiamo, ad esempio, a zone come la California, l’Arizona, il New Mexico e il Texas.

 

Far West: Mito Necessario

di Bruna Taravello

C'era una volta il mito del west e della frontiera, c'è ancora e forse non se ne è mai veramente andato: aiutato dalla scarsa fantasia dei produttori di Hollywood e dalla moda del ritorno alla natura e alle origini, se ne parla sia al cinema, sia come atteggiamento di tendenza. A Venezia abbiamo visto in concorso il film di A. Dominik "L'assassinio di Jesse James" con Brad Pitt, tratto da un libro scritto dal figlio del leggendario pistolero che uscirà a settembre. Sempre sulla Laguna si è svolta una retrospettiva dedicata al western all'italiana, che negli anni sessanta si impose sul mercato statunitense, ed è stata anche presentata un'edizione restaurata di "Per un pugno di dollari", che quel filone inaugurò. Altro western anche a Cannes, dove i fratelli Coen hanno portato "No country for old men" dal romanzo di Cormac Mc Carthy: qui però è la location a caratterizzare il film come genere, e non l'epoca. Vittorio Zucconi, corrispondente dagli Usa per Repubblica, racconta invece della moda di acquistare piccoli e remoti cottages ai margini dei grandi parchi del Midwest e del West: questa tendenza riguarda in genere coppie ormai affermate socialmente ed economicamente, spesso con i figli già al college, che decidono di abbandonare le grandi città e di andare a vivere nella "Piccola casa nella prateria" che proprio da queste parti era stato ambientato; pagano cifre astronomiche per dotarsi di ogni comfort, dall'aria condizionata all'impianto satellitare, ma ignorano di essere esposti al rischio degli incendi che, nelle ultime torride estati, sono stati la causa di tali e tanti abbandoni e disastri da far recedere dalle polizze assicurative numerose compagnie; anche i vigili del fuoco hanno dichiarato che non interverranno più per aiutare gli abitanti di case sprovviste di impianti anti incendio certificati. La moda è iniziata quasi trent'anni fa, con i divi di Hollywood in testa e altri miliardari a seguire che acquistavano tenute immense dove allevare cavalli, bisonti, e poter organizzare feste a tema. Ora gran parte di queste proprietà sono in vendita, dopo che le mogli si sono stancate di pilotare l'aereo privato per ogni uscita in città e i mariti di galoppare inseguendo animali da catturare; arrivano comunque sempre nuovi e volenterosi candidati, attratti anche dal prestigio che il possedere un ranch conferisce. Wyoming, Colorado, Utah, Nevada e Montana: questi stati, al di là della porzione di territorio occupata dai grandi parchi e dalle piccole cittadine, devono fare i conti con spazi immensi, spesso monotoni e senza attrattive, con un clima certamente non facile: persino i nativi ne fuggivano alcune zone perchè ritenute troppo inospitali. In una superficie grande quanto Francia, Svizzera, Germania e Paesi Bassi vivono circa 2.600.000 persone, un quarto di quelle che popolano Parigi.

 Eppure i Rockies, chiamati così per la posizione a ridosso delle Montagne Rocciose, sono fra i pochi stati che possono vantare una popolazione e un'economia costantemente in crescita, pur avendo un livello di reddito pro capite ancora molto inferiore a quello medio americano. Qui si sono trasferite numerose aziende dalla California, attratte dal basso costo dei terreni e dalla tranquilla situazione politica: il Colorado ha segnato per due anni consecutivi il tasso di crescita più alto del paese ed è anche esploso il numero degli abitanti, sempre in termini relativi s'intende.Nel divertente libro di Bill Bryson "America perduta" è ben raccontato lo spaesamento che prende il turista quando scopre che città dai nomi evocativi, ripetutamente protagoniste di film e libri di ogni genere, non sono altro che piccoli centri con immensi negozi di souvenirs e gadgets di dubbio gusto che riproducono il monte Rushmore o la battaglia di Little Big Horn. L'individualismo tipico della cultura americana qui è portato ai suoi massimi livelli: in Montana i limiti di velocità sono stati alzati di 20 miglia orarie rispetto al resto del paese e le pene per chi trasgredisce sono ridicole; nel Wyoming, il più fieramente western degli stati del west, il locale Parlamento ha dovuto emanare un'apposita ordinanza per obbligare i legislatori a non entrare armati nell'aula e a depositare le pistole al bancone. Ancora, qui il diritto alla caccia e alla pesca è stato inserito nella Costituzione con un apposito referendum. Ecco, questi sono gli abitanti di queste terre, i figli di quei pionieri che si spinsero oltre la frontiera, una linea immaginaria che separava la civiltà dal nulla dei grandi territori, insidiosi ma anche fertili, ricchi di materie prime e di spazi liberi: qui non contava la tua origine ma quello che sapevi fare con le tue mani, e qui un qualsiasi relitto umano aveva una possibilità di riscatto. Questo è il mito a cui si aggrappa l'America, la gloriosa giustificazione della propria storia e della propria presenza: questo forma l'intima convinzione, che ogni abitante degli Stati Uniti ha, di vivere nel paese più ricco e più potente, con la miglior forma di governo e il cibo più abbondante, abitato dal popolo più cordiale e amato della terra e dotato delle più ampie possibilità di successo. 

A nulla valgono le riletture del mito della frontiera, i pionieri non più eroi e cavalieri erranti ma avventurieri disposti a tutto, in grado sì di riconoscere il male ma non di evitarlo. Il mito per alimentarsi necessita di bugie, e necessita di chi abbia fede in esse: fra le Ombre Rosse di John Ford e gli Spietati di Clint Eastwood, gli abitanti dei Rockies non hanno alcun dubbio su chi scegliere.


Kanab è un comune degli Stati Uniti d'America nella contea di Kane nello stato dello Utah,. Contava una popolazione di 3.564 abitanti secondo il censimento del 2000, 3.769 secondo una stima del 2007. Viene chiamata dagli abitanti del posto "La piccola Hollywood" in quanto nel tempo è stata luogo di riprese di diversi film e serie televisive western.

 

A cura di Rino Albertarelli

 

Il detto che intitola questa rapida scorsa della questione indiana negli Stati Uniti (dalle origini alla strage di Ash Hollow) è stato attribuito gratuitamente al generale Philip Sheridan.
Certo gli somiglia nella grinta, ma quando il terribile “Piccolo Phil” cominciò a far soffrire i nativi, questa frase era già nota sulla Frontiera;
forse risaliva addirittura ai Puritani nel XVII Secolo, perché tra questi e gli indiani era stato odio quasi a prima vista. Gli Stati Uniti avevano ereditato il problema indiano dai governi coloniali.
In che consisteva? Molto semplice: gli indiani esistevano e non si sapeva cosa farne.
Per gli spagnoli e I francesi essi avevano rappresentato una ricchezza viva: quella della forza lavoro, che sarebbe stato sciocco non utilizzare o distruggere.
La colonizzazione inglese, viceversa, fu impostata subito in modo da escluderli da qualunque partecipazione. Basato sull’agricoltura e sul commercio e con una disponibilità di braccia che aumentava anno dopo anno, il sistema coloniale anglosassone non sapeva che farsene dei nativi; né questi avevano la minima inclinazione al lavoro dei campi. Il mais che consumavano lo facevano coltivare dalle donne; erano cacciatori, gente dei boschi, liberi, fieri e mai avrebbero accettato di diventare braccianti agricoli salariati. La barriera culturale e la barriera razziale, sommate alle circostanze storiche, divisero fin dai primi anni della conquista bianchi e rossi, nelle colonie di Sua Maestà Britannica.
Dai rossi i bianchi volevano solo la terra. Da principio erano troppo pochi per prenderla con la forza, e inoltre avevano una mentalità legalitaria. La terra volevano comprarla (pagandola, naturalmente, il meno possibile) ed essere con le carte in regola. Le carte rappresentano la coscienza dei mercanti.
Il rum li aiutò a convincere i capi indiani che non capivano nulla di transazioni terriere e di proprietà immobiliare privata. Per i pellirosse la terra era come l’aria, come l’acqua: un dono del Grande Spirito che ne aveva creata abbastanza perché ogni popolo potesse prenderne quanta gliene occorreva.
Ma gli inglesi - che gli indiani chiamavano yankee, come i primi olandesi (janke) sbarcati nel Nord-Est - di terra ne volevano sempre di più per i nuovi che arrivavano dal mare, e gli indiani avevano cominciato a preoccuparsi, a nicchiare, a puntare i piedi. A forza di comprare, gli stranieri stavano buttando le tribù una a ridosso dell’altra e l’eccessiva vicinanza produceva attriti, litigi sempre più aspri, per non dire che la selvaggina diminuiva di anno in anno. Fatto ancor più grave per l’orgoglio di gente libera, gli yankee pretendevano che rispettassero le loro leggi, controllavano la loro condotta, li punivano al minimo sgarro e trattavano i capi come bambini deficienti. Era troppo. I Pequot si ribellarono e furono cancellati, come entità tribale, dalla faccia della terra. Poi fu la volta dei Wampanoag e anch’essi furono duramente castigati. Ma il primo di tutti a insorgere, in Virginia, nel 1662, era stato il capo Opechancanough, dei Powhatan. Sotto le asce dei suoi guerrieri erano caduti, in un solo giorno, trecentosettanta coloni. Senonché, il mare ne partoriva sempre di nuovi e nei due secoli successivi, il tallone della razza bianca era diventato ancor più pesante. Poi, i coloni s’erano liberati del “Padre” loro che stava di là del mare e avevano fatto la repubblica. Cosa significava per gli indiani? Poteva cambiare qualcosa?
Le repubbliche nascono sempre gravide di nobili ideali di giustizia e quella americana non fece eccezione. È vero che ignorò il problema degli schiavi di colore; ma mise in discussione quello indiano. Non C’era idea, allora, che la giovane Unione si sarebbe estesa fino al Pacifico. Terra ne aveva anche troppa, per le sue braccia, né la costituzione prevedeva accrescimenti territoriali. Thomas Jefferson dichiarava che il territorio nazionale sarebbe certo stato più che sufficiente per centinaia di generazioni d’americani; dunque il problema indiano si sarebbe potuto risolvere secondo critti di giustizia, soprattutto se gli indiani avessero collaborato, rinunciando alla vita nomade e dedicandosi solo all’agricoltura.

I fisiocrati erano convinti - e con buone ragioni - che l’agricoltura fosse la base stessa del benessere e del progresso. “Lasciate che l’Europa ci mandi i suoi prodotti industriali in cambio dei nostri prodotti agricoli”, dicevano. “L’Unione americana deve diventare una repubblica di piccoli proprietari terrieri, liberi da servitù, virtuosi come gli antichi romani e felici di produrre il necessario alla vita con il loro lavoro”. Non tutti, però, la pensavano allo stesso modo e alla lunga furono i contrari a prevalere.
Per gli indiani, la repubblica votò in pochi anni tre provvedimenti. In primo luogo riservò al governo federale l’autorità di trattare nuovi acquisti territoriali dagli indiani. Poi, istituì le riserve e le factory. Avocando al governo centrale la facoltà di nuovi acquisti territoriali dagli indigeni, il legislatore poneva in essere una finzione legale: quella di considerare le tribù native alla stregua di potenze straniere incastonate nei confini nazionali. Con le riserve intendeva metterle a salvo dall’intrusione abusiva dei bianchi. Infine, con le factory mirava a sottrarre gli sprovveduti figli della Natura alla cupidigia senza scrupoli dei mercanti.
Le factory erano stabilimenti governativi collocati all’incrocio delle piste, dove gli indiani avrebbero potuto comprare dal governo, a prezzo di costo, i manufatti che essi non potevano produrre, in cambio delle loro pelli d’animali valutate ai prezzi di mercato.
Le factory risultarono la gamba debole del tripode, perché, commerciando con gli indiani, il governo si metteva in concorrenza con la libera iniziativa privata che era la base stessa dell’economia americana.
I mercanti danneggiati sollevarono la questione costituzionale, strumentalizzando l’influenza del potente senatore del Missouri, Thomas Hart Benton, e non cessarono i loro attacchi finché, nel 1882, il governo non ebbe capitolato. Le factory furono abolite. C’è da dire che agli indiani non piacevano. Gli impiegati governativi addetti agli scambi non facevano quei piccoli doni che erano d’obbligo, nell’etica indigena, in ogni transazione commerciale; non partecipavano ai problemi dei loro fratelli rossi, restavano staccati, superbi. I mercanti, invece, non dimenticavano mai i regali, andavano spesso a vivere nei villaggi indiani della foresta, e se è vero che li imbrogliavano, è anche vero che sposavano le loro figlie, partecipavano alla vita della tribù e non facevano mai mancare il conforto del rum, benché il governo lo vietasse. Dunque, le relazioni umane trascurate fecero fallire il migliore dei tre progetti.

http://www.farwest.it/?p=414

 

il capezzale del mio letto

 

QUANTO DURO' LA TORMENTOSA INVASIONE

- Nel 1755 gli Inglesi e i Francesi iniziano una guerra per possedere la valle dell'Ohio. Anche gli Indiani partecipano a questa guerra; gli Irochesi alleati agli Inglesi, mentre gli Algonchini si alleano ai Francesi. La guerra termina nel 1763 (verrà così chiamata "la guerra dei sette anni") con la vittoria degli Inglesi, siglata dal trattato di Parigi.
- Nel 1763 il Parlamento concede ai Nativi il diritto di rimanere sulle terre non ancora cedute e garantisce tranquillità alle loro popolazioni.
Ma intorno al 1770, gli Irochesi sono costretti a firmare il trattato di Stanwick che gli obbliga a spostarsi più a ovest e ad abbandonare le terre dove avevano sempre vissuto.
I coloni europei si espandono sui territori dei Nativi e, infrangendo il trattato del 1763, scacciano i Delaware e gli Shawnee, ponendosi contro gli Inglesi che erano favorevoli ad una alleanza con i Nativi.
Negli anni successivi,proseguono le guerre fra Inglesi e Americani,alle quali i Nativi prendono parte, ma quando nel 1787 nascono gli Stati Uniti, per tutte le tribù indiane è l'inizio della fine.
Il primo presidente Washington, inizia una guerra contro gli Indiani che porta alla battaglia di Fallen Timbers, dove gli Indiani subiscono una forte sconfitta ad opera dell'esercito americano guidato dal gen. Waine, complice il tradimento degli Inglesi che, in un primo tempo, avevano promesso loro aiuto.
- Nell'agosto del 1795, le tribù Shawnee e Miami, sono costretti a firmare il trattato di Greenville,con il quale perdono circa 60.000 chilometri quadrati del loro territorio.
E' proprio alla luce di questi avvenimenti che Tecumseh, divenuto da giovane capo della tribù Shawnee, inizia un lungo viaggio in tutto il Nord America, con l'intento di convincere gli altri capi a creare uno stato indiano nel quale tutte le tribù risultino unite.
Ma intanto l'uomo bianco continua a volersi espandere, e si arriva così al 1830 dove il Congresso Americano vota un decreto, l"Indian Removal Act", con il quale le tribù del sud-est sono costrette a lasciare le loro terre e a trasferirsi ad ovest del Grande Fiume Mississippi.
- Fra il 1850 e il 1853 le tribù dell' ovest, Sioux, Cheyenne, Arapaho, Crow, Apache e Comanche, convinti che l'esercito li proteggerà dai pionieri, firmano trattati per la costruzione di strade e forti nei loro territori. La risposta è sempre la stessa: esercito e pionieri invadono i territori, relegando le tribù in territori insufficenti. Inizia così un periodo in cui gli Indiani, si segnalano per una serie di attacchi sia contro l'esercito che contro i pionieri.

- Nel 1858 i Messicani sterminano la famiglia di Geronimo, che giurando odio eterno nei loro confronti, inizia la battaglia di uno dei più famosi e terribili capi della storia. Viene catturato e rinchiuso nella riserva di San Carlos, da cui riesce a fuggire e scatenare l'inferno nel sud-ovest; viene ripreso ma riesce a fuggire ancora dalla riserva; dopo anni di battaglie, stanco di combattere si arrende e chiede una riserva nelle terre d'origine per il suo popolo.
Finisce la sua vita come attrazione in uno spettacolo itinerante.
- Fra il 1862 e il 1868, nonostante sia in corso la Guerra di Secessione, il gen Carleton e Kit Carson attaccano i Navaho che si rifiutano di trasferirsi in una riserva ad est del New Mexico. Dopo anni di lotte, stremata dalla fame e dalla malattia, la tribù accetta il trasferimento.
Lo stesso trattamento fu riservato agli Apache che,con i loro capi Manica Rossa e Cochise, prima di arrendersi, per alcuni anni seminano il terrore compiendo massacri passati alla storia.
Nel 1864 i Cheyenne attaccano un treno merci. Il col. Chivington come risposta attacca il villaggio di Sand Creek,nonostante gli Indiani espongano la bandiera bianca in segno di resa. Nella strage non si risparmiano nemmeno donne e bambini. I Sioux guidati da Nuvola Rossa e da Cavallo Pazzo, per vendicare Sand Creek, attirano in un imboscata in reggimento dell'esercito ed uccidono tutti gli uomini. Seguono una serie di scontri con perdite da una parte e dall'altra, ma che mettono in evidenza la strategia, il valore e il coraggio dei due capi Sioux.
- Nel 1868 i Cheyenne di Pentola Nera,che era sopravvissuto a Sand Creek e si era battuto per la pace fra bianchi e Indiani, vengono attaccati di sorpresa da Custer sul Washita River: è un'altra strage.
- Nel 1872 sono i Modoc a fuggire da una riserva in cui erano stati confinati assieme ai Klamath con i quali non erano in buoni rapporti. Guidati da Kintpuash (Captain Jack), raggiungono le loro terre sui Lava Beds. Grazie all'astuzia del loro capo e al territorio impervio, resistono a lungo all'inseguimento degli Americani, costringendoli ad una delle guerre più dure e costose. Kintpuash viene catturato e impiccato.
- Il 1876 è un anno importantissimo nella storia dei Nativi. I Sioux di Toro Seduto e Cavallo Pazzo, si uniscono ai Cheyenne di Due Lune, e tengono una grande cerimonia chiamata "Danza del Sole" sulle rive del fiume Rosebud. Dopo qualche giorno vengono attaccati dalle truppe del gen Crook, ma dopo uno scontro durissimo Cavallo Pazzo e i suoi uomini resistono e hanno la meglio.
Viene successivamente ordinato al generale Custer, di andare in avanscoperta, ma quest'ultimo senza aspettare i rinforzi decide di attaccare. Toro Seduto fa evacuare l'accampamento, ordinando ai suoi uomini di lasciare accesi i fuochi e di nascondersi sulle colline circostanti pronti per l'attacco. Custer è convinto di prendere gli Indiani di sorpresa e lancia il suo settimo reggimento di cavalleria contro l'accampamento, ma quando si accorge che è vuoto, i guerrieri indiani escono dalle colline e per lui non c'è speranza. Questa è la vittoria più importante nella storia dei Nativi.
- Nel 1877 anche i Nez Percè sono costretti a lasciare la loro terra nella valle di Wallowa, per trasferirsi in una riserva; una parte della tribù non accetta e si dà alla fuga inseguita dall'esercito. Inizia così una lunga marcia da parte dei Nativi guidati da Capo Giuseppe, durante la quale si susseguono gli scontri con l'esercito americano,e che li porterà a raggiungere l'accampamento di Toro Seduto in Canada.
- Nel 1878, dopo la battaglia di Little Big Horn, i Cheyenne e gli Arapaho accettano di andare a vivere nelle riserve,con la promessa del governo americano di poter fare ritorno alle loro terre qualora la riserva non fosse di loro gradimento. Naturalmente la riserva si rivela arida e senza selvaggina da poter cacciare, e i Nativi guidati da Coltello Spuntato e Piccolo Lupo, iniziano una fuga per poter tornare nelle loro terre, che porterà ad ottenere una riserva nelle loro terre, dopo anni di scontri e numerose perdite di uomini.
- Il 12 dicembre del 1890, l'esercito si reca a casa di Toro Seduto per arrestarlo. Soltanto dopo tre giorni i soldati riescono ad entrare nella casa difesa dai guerrieri fedeli al loro capo; Toro Seduto cade ferito mentre Red Tomahawk gli infligge il colpo di grazia.
Sempre nel 1890 il settimo reggimento di cavalleria, raggruppa i Sioux a Wounded Knee Creek con l'intento di trasferirli verso altre riserve. A causa di qualche scontro, i soldati aprono il fuoco e alla fine uccidono più di trecento tra uomini, donne e bambini.
- Fra il 1891 e il 1898 tutti i Nativi vengono relegati per sempre nelle riserve, ad eccezione dei Chippewa che danno origine ad una rivolta che termina in un bagno di sangue.

Dal 1900 in poi,nascono associazioni sensibili ai problemi degli Indiani che cercano di salvaguardare la cultura e la vita dei popoli nelle riserve e nel 1934 nasce l'Indian Reorganization Act,con il quale gli Indiani riescono ad ottenere qualche diritto in più e vedono aumentare i territori a loro disposizione.
fonte: www.fratellipellerossa.com

 

 

 

 

NON VOGLIONO PIÙ ESSERE “AMERICANI”

 

I discendenti dei fieri Lakota, i nipoti di Toro Seduto e Cavallo Pazzo che vivono nelle grandi riserve del Nebraska, del Dakota, del Montana e del Wyoming, dopo 150 anni di promesse non mantenute hanno chiesto l’indipendenza da Washington stracciando simbolicamente i Trattati. I territori in cui vivono queste tribù Sioux dovrebbero costituire la base del nuovo Stato “indiano”.
Si tratta di puro folklore o di reale volontà politica? Lo abbiamo chiesto al professore Paolo Carozza, docente di diritto internazionale all'Università Notre Dame dell’Indiana e membro della commissione inter-americana dei diritti umani.
– Professor Carozza, è giustificata la protesta degli indiani Lakota?
«Sì, obbiettivamente la condizione in cui vivono oggi gli indiani in molte riserve, ma non tutte a dire il vero, non è degna di una comunità umana: sono più esposti alle malattie, la loro aspettativa di vita è bassa, mancano il lavoro e un serio progetto educativo che faccia ben sperare per il futuro delle giovani generazioni».
– Colpa del Governo americano?
«Paradossalmente il Governo americano, più di ogni altro Paese al mondo, ha un grande rispetto delle minoranze indigene. Ma, in nome dell’autonomia, lascia gli indiani soli, abbandonati a sé stessi, alla loro ignoranza e incapacità di autogestirsi».
– Un eccesso di liberalità?
«Esatto. Lasciati in balìa di se stessi, senza mezzi adeguati e un vero progetto di integrazione, gli indiani d’America non arriveranno mai a conquistare una reale autonomia economica e culturale».
– Perché gli indiani considerano carta straccia 150 anni di Trattati?
«I vari accordi stipulati con il Governo degli Stati Uniti dal 1890 a oggi sono stati violati ogni volta che non era più conveniente per Washington affidare il territorio alla sovranità limitata di queste popolazioni, costrette a forzate e ripetute migrazioni».
– Si può parlare, tra ’800 e ’900, di genocidio del popolo indiano?
«Non userei questo termine, non c'è stata una vera intenzione di eliminare il popolo indiano; anche se, per il passato, si può parlare di decimazione forzata e confinamento nelle riserve».

www.famigliacristiana.it

 

 

NON CHIAMATECI PIU' SQUAW

Di Vittorio Zucconi

WASHINGTON - Erano le prime a essere massacrate e ora sono le ultime a ribellarsi contro l´uomo bianco che le umiliò e le violentò nel corpo e nello spirito. Dai casinò che hanno ormai sostituito i «tipì» e i bisonti nella grande prateria, scendono in guerra le donne indiane e dissotterrano un´arma infinitamente più formidabile delle asce: la parola. Questa volte sono le donne di Nuvola Rossa, di Cavallo Pazzo, di Capo Osceola, di Geronimo, a battersi. Le squaw sono in rivolta contro la parola squaw perché sanno che nelle parole sta il potere, e nei nomi che i forti appiccicano ai più deboli sta la manifestazione della loro oppressione. Si sono stancate di essere conosciute come squaw, un´espressione che nei primi capoverso di un giornale per famiglie non si può neppure tradurre. Anche se gli studiosi di lingue e dialetti originali dei nativi dissentono e dibattono sul significato e sull´etimologia, nell´accezione comune dare a una donna della squaw significa riferirsi ai suoi genitali. Provate con la moglie, la collega, la sorella o la compagna per vedere come reagirebbe, anche senza essere una Navajo, una Lakota o una Cherokee. La «rivolta delle squaw» contro la parola divenuta parolaccia è più della solita battaglia per la political correctness, per quella, spesso stucchevole, semantica dell´eufemismo che ha vietato da tempo, almeno in pubblico, l´uso di epiteti come negroe per gli afro-americani, mick per gli irlandesi, spic per gli ispanici, raghead o camel fucker, testa di stracci e amatore di cammelli per gli arabi, wop. da «senza documenti» o greaseball, palla di brillantina unta, per gli italiani. Le 55 fra nazioni e tribù americane, guidate dalle attiviste dei «Coeur d´Alene» nell´Idaho (altro nome affibbiato dai primi avventurieri francesi), che chiedono di cancellare questo insulto alle femmine sono parte di una lunga marcia che da ormai oltre un secolo cerca di ripercorrere alla rovescia quel «sentieri delle lacrime» e delle umiliazioni che i conquistatori bianchi inflissero ai «selvaggi».
Squaw, ora che i fanciulli hanno certamente smesso di leggere questa corrispondenza ammesso che l´abbiano mai cominciata lo possiamo tradurre, è considerato l´equivalente di fighetta. Invano i linguisti come Ivan Goddard della New Mexico University che ha dedicato la vita a studiare centinaia di linguaggi nativi, si ingegnano a spiegare che questa parola, probabilmente originaria tra gli Algonquin nella forma di «ethskeewa», significa semplicemente femmina, al massimo ragazza, e non aveva tra di loro nessun connotato dispregiativo. Nella sua forma distorta e fonetica, appunto «squaw», fu adottata avidamente dai primi cacciatori bianchi, dai coloni, dai mercanti, dai soldati, che le diedero il significato che oggi porta: quello di un semplice oggetto dei loro desideri. Tra le nazioni dell´Ovest, come i Lakota, gli Cheyenne, i Corvi, gli Arapaho, che parlavano lingue diverse dagli Indiani dell´Est e del Nord, come gli Algonquin o i Mohwak, il grido di Squaw! Squaw! lanciato dai conquistatori eccitati all´assalto delle donne urlanti negli accampamenti fu addirittura collegato al sesso opposto, ai genitali maschili, brandito nell´inseguimento delle vittime.
Le disquisizioni linguistiche, pure rispettabili, valgono nulla di fronte alla sensibilità di chi considera la parola un´offesa. Riferirsi a una signora italiana come una puttana non passerebbe liscio neppure rammentandole l´origine perfettamente innocua in «putto» e «putta» né migliore accoglienza avrebbe mignotta, prodotta dal generico «madre ignota», abbreviato in «m. ignota» nei registri parrocchiali per i trovatelli. Le parole valgono per il suono che esse hanno nelle orecchie di chi le ascolta e per le intenzioni sulla bocca di chi le pronuncia. Per questo, ben sapendo che cosa avevano in mente i was´ichu, i bianchi quando gridavano «squaw», le 55 tribù, oggi ben finanziate dai proventi dei casinò aperti nelle riserve e nei territori non sottoposti alla giurisdizione federale, vogliono cancellare la parola dalla toponomastica che l´ha immortalata in valli, picchi e terre del West.
Ci sono, secondo lo «NGB», l´Ufficio Geografico Nazionale di Washington, almeno 800 località con il nome di «squaw», dalla celebre Squaw Valley nello Utah, scelta per il giochi olimpici invernali offendendo gli Ute, gli indiani della regione, ai molti Squaw Peaks, che suonano tanto carini nelle guide turistiche, fino a quando non li si ripensano come «le vette delle vagine», per dirla appunto eufemisticamente. Via dunque i monti della «Big Squaw», la mignottona, nel Maine, il «Picco della Squaw» in Arizona, il «Torrente della Squaw» nel Missouri, i «Giardini della Squaw» in Oregon, il «Campo da Golf della Squaw» in Texas. «Forse l´intenzione di chi usò quei nomi era di onorare le donne native» ha tentato l´ufficio geografico nazionale, ma le «squaw» non ci sono cadute. «Mantenere l´uso di quel che nome che ci offende e che tutti sappiamo benissimo a cosa allude, dopo avere bandito altri epiteti come nigger o jap o gooks riferiti a neri e asiatici, significa soltanto riconfermare la storia e la condizione di inferiorità e di oppressione di tutti i nativi» ha sentenziato Ruby Bernal, la signora che rappresenta gli Shoshone. La risposta del governo dell´uomo bianco, del was´ichu, di «colui che si ruba il grasso» come vorrebbe la traduzione letterale, è un classico: è stata nominata una commissione per studiare il problema, mentre altri indiani continuano a battersi per cambiare i nomi più offensivi anche di squadre famose di football, come i «Pellerossa» di Washington. Ma per ora neppure gli attivisti dell´Idaho sembrano voler cambiare il nome che i francesi affibbiarono a loro, quando li ribattezzarono «Coeur d´Alene», che voleva significare «cuor di strega», per la loro ostilità, la loro diabolica astuzia di trafficanti e la fiera resistenza delle loro donne alle avance dei bianchi. Meglio strega che puttana, ovviamente.

http://www.indianiamericani.it/

 

 

Nonostante sia difficile confrontare e dare un valore alla bellezza dei cinque parchi nazionali dello Utah lo splendore scenico del Zion National Park "Parco Nazionale del Zion" , é indubbiamente di un'indefinibile bellezza che lascia, sia i turisti che vedono la zona per la prima volta che quelli abituali, letteralmente senza parole.

Qui, nel sud-ovest dello Utah, si trova una delle bellezze naturali più imponenti del nostro pianeta, aspra e allo stesso tempo maestosa. Creato da milioni di anni di evoluzione geologica, il Zion National Park è caratterizzato da enormi lastre verticali di sabbia rocciosa che si innalzano per oltre 350 metri / 1.000 piedi da una graziosa vallata i cui campi erbosi e abissi di rocce rosse sono bagnati dal Virgin River "Fiume Virgin."

Per anni, le macchine hanno potuto viaggiare lungo il Virgin River fino al Parco, e fermarsi nelle numerose aree di parcheggio e picnic. Nonostante l'accesso ai veicoli sia tutt'oggi consentito, la progressiva notorietà del parco ha reso necessaria l'istituzione di un sistema chiamato "parcheggia e cammina", a seconda del quale i turisti possono usare autobus che vanno avanti e indietro lungo tutto il parco.

 

 

 

Recentemente, i pianificatori del Zion National Park hanno perfezionato il sistema dei sentieri in modo da semplificare e incrementare il "contatto con la natura" ricercato da molti turisti. La sua bassa altitudine (il Parco si trova a 1.000 metri / 3.000 piedi sopra il livello del mare) e il suolo relativamente pianeggiante, consentono l'esplorazione del Zion Park sia a piedi che in bicicletta. Una nuova compagnia nella cittadina limitrofa di Springdale noleggia biciclette elettriche!

La maggior parte dei percorsi "non necessitano di una guida", perciò tutto ciò che dovrete fare è godervi la passeggiata. Il centro turistico all'entrata sud del Zion National Park (e della graziosa cittadina di Springdale) è fornito di libri e depliant che descrivono la geologia, la storia, la flora e la fauna del parco; per di più potrete ottenere consigli su escursioni da fare a piedi su sentieri straordinari, sui campeggi e sulle scalate in montagna. Apprenderete, inoltre, quanto questo ambiente straordinario sia fragile ... e come aiutare a proteggerlo mentre visitate il parco.

Per via della natura aspra e remota del parco e la possibilità di inondazioni nel canyon da parte del Virgin River, il turista in cerca di "avventure estreme" dovrebbe essere sempre accuratamente informato e munito del permesso adatto prima di addentrarsi nel parco.

 

 

una volta all'interno del parco, i turisti più intraprendenti, debitamente premuniti di viveri e acqua, potranno avventurarsi in uno dei numerosi sentieri. Durante i mesi estivi, cercate di iniziare le escursioni nelle prime ore del mattino perché in pieno giorno le temperature estive sono talvolta assai elevate. Indossate scarpe da tennis oppure scarpe da montagna e cercate di portare con voi un cappello e una crema solare. Non fate mai le escursioni senza una scorta di acqua! I periodi migliori per una permanenza più lunga sono la primavera e l'autunno, ma bisogna ammettere che anche l'inverno ha il suo fascino, caratterizzato da un'indefinibile solitudine, temperature pungenti e la possibilità di vedere la neve o il ghiaccio risplendere al sole sui pendii spettacolari di roccia rossa.

La comunità limitrofa di Springdale ha attraversato, in questi ultimi anni, un periodo di rinnovamento il quale ha permesso la costruzione di una vasta gamma di alloggi tra cui motel di lusso tipo resort e centri per conferenze attrezzati con tutte le comodità immaginabili. Le numerose pensioni familiari con prima colazione "bed-and-breakfast" offrono un servizio personalizzato ed un carattere locale spesso richiesto dai turisti intenditori. I turisti di buon appetito apprezzeranno i ristoranti pittoreschi e intimi, i posti in cui bere l'espresso o mangiare la pizza e la possibilità di mangiare nel noto ristorante messicano. I negozi di regali e le gallerie d'arte che si trovano sullo Zion Park Boulevard (la "Strada Principale" di Springdale) renderanno la vostra passeggiata più piacevole. Il teatro cinematografico IMAX del posto presenta documentari di viaggio su uno schermo di dimensioni enormi assolutamente da vedere. In poche parole, se voi non avete visto lo Zion National Park, non avete visto lo Utah.

 

Virgin River

 

 

Al confine tra utah e Arizona, la Monument Valley, a lungo considerata l'ottava meraviglia del mondo, è lo scenario immancabile di numerosi film western.
In mezzo ad un altipiano spoglio, battuto dai venti del deserto e abitato soltanto da indiani Navajo e
coyote, si innalzano vere e proprie "torri di pietra", grandi formazioni rocciose dalle pareti verticali
con la cima piatta, imponenti picchi, gole intagliate e incredibili monoliti di arenaria che sembrano
vegliare, come antiche fortezze, sulla regione circostante.
Nello Utah, si trova l'incredibile Arches National Park con gigantesche teste di pietra, ponti e archi naturali, finestre nella roccia e pinnacoli di pietre rosse e arancioni, dalle forme fantastiche. Il vicino Canyonlands National Park, in parte ancora inesplorato, si visita in jeep tra picchi altissimi, città indiane fantasma, strapiombi, gole impervie e vasti altipiani. La località più sorprendente è senz'altro Death Horse Point, a circa 1.830 m di altitudine, dove si ammira una grande ansa del Colorado a forma di ferro di cavallo. Sempre nello utah, si trova Zion National Park, dalle colossali pareti di arenaria rossa; lo scenario del parco è costituito da un profondo canyon dove l'erosione ha modellato rocce dalle forme inconsuete.
Le acque del Virgin River, che attraversa il parco, e altri agenti atmosferici hanno intaccato l'altopiano provocando delle ferite nella roccia calcarea, che, nei millenni, hanno generato le scoscese falesie oggi chiamate "templi". una delle meraviglie della natura americana è, senza alcun dubbio, il Bryce Canyon National Park. La grande attrazione del parco sono le enormi fratture della terra che creano suggestivi anfiteatri di calcare rosa e bianco, profondi anche 300 m. Qui si ammira l'erosione delle cosiddette Pink Cliffs, rocce rosa formatesi 50-60 milioni di anni fa, un misto di pietra arenaria e scisti che si mischiano con strati di solido calcare. Questa mistura di rocce, sfaldandosi, ha provocato le formazioni dai colori rosso-rosa, chiamati "hoodoos", simili ad enormi pinnacoli, colonne, torri e gradini.
Anche Capitol Reef National Park preserva, per ben 160 km di lunghezza, il Waterpocket Fold, una piega della crosta terreste con sedimenti dai magnifici colori. Percorrendo la strada al suo interno si costeggia il tortuoso fiume Fremont, sotto alte rupi di arenaria note agli indiani Paiute come "l'Arcobaleno assopito".

 

Benvenuti a St. George, il punto di partenza per l'esplorazione di "Dixie", nello Utah.

 

La parola "Dixie" è stata introdotta durante le prime fasi d'insediamento da parte dei pionieri Mormoni. Il capo dei Mormoni, Brigham Young, inizialmente vi immaginò dei campi di cotone. Oggi, St. George è una località di villeggiatura per tutto l'anno, particolarmente per i "pensionati attivi." I primi promotori della Camera del Commercio, lo chiamarono il luogo "dove il sole estivo splende tutto l'anno." Per dimostrare che questo era vero, i motel offrivano camere gratis quando non splendeva il sole!

Sfortunatamente, l'offerta non è più valida. Ma il turista apprezzerà lo splendore autunnale, invernale ed estivo, particolarmente se è un appassionato di attività all'aria aperta. Per esempio, potrete praticare lo Sci alpino o nordico, oppure fare "snowmobiling" tutto il giorno nel Brian Head "Capo di Brian" (una località di villeggiatura aperta tutto l'anno a soli 90 minuti di macchina a nord di St. George) e poi potrete trascorrere il giorno seguente in pantaloncini e giacca leggera giocando a golf in uno dei magnifici e ben tenuti campi da golf di St. George.

IConsigliamo il soggiorno di uno o due giorni nella comunità limitrofa di Springdale, dove si trovano caffè, gallerie e confortevoli motel e pensioni familiari con prima colazione "bed-and-breakfast," ideali per qualsiasi condizione finanziaria. Le passeggiate ed escursioni lungo il parco vi riveleranno una sorprendente varietà di ere geologiche e piante--dalle variopinte formazioni sabbiose degli alti versanti rocciosi alle piante delicate che adornano le pareti dei pendii e ai ruscelli pittoreschi che si insinuano nei canyon contorti, durante il loro corso verso il Virgin River "Fiume Virgin." Il fortunato turista invernale potrà trovare un'imprevista leggera nevicata sulle cime del Zion Canyon, nonché rocce ricoperte di ghiaccio, e alberi sotto graziose cascate. Le guide turistiche della zona organizzano passeggiate a cavallo nel Parco quasi tutti i giorni.

A breve distanza da St. George si trovano altre località ben conosciute tra cui il Cedar Breaks National Monument "Monumento Nazionale di Cedar Breaks," il Bryce Canyon National Park "Parco Nazionale di Bryce Canyon" e il Grand Canyon. Altre destinazioni interessanti includono Snow Canyon State Park "Parco Statale di Snow Canyon," il settore Kolob del Zion National Park, il Virgin River Gorge "Strettoia del Fiume Virgin", il Lake Powell "Lago di Powell", e il Lake Mead "Lago di Mead." Las Vegas, nel Nevada, si trova a solo 90 minuti di macchina a sud di St. George. A St. George, e nelle vicinanze, sono presenti numerosi centri storici i quali testimoniano la presenza della cultura Mormone in questa località meridionale dello Utah. Nel sud-ovest dello Utah, l'avventura comincia a St. George.

 

 

 

 

(n.d.r. il miglior sito al mondo sulla storia del West)

 

Los Angeles Hollywood Arizona Grand Canyon Mon. Valley Page-Bryce C.
Zion-Utah Las Vegas Sierra Nevada Yosemite Pacific Coast San Francisco