Capomulini, S.M. La Scala, Acireale, Santa Tecla, Giarre, Riposto

 

 

I CAVADDARI

 

ACQUADELFERRO (Acireale)

 

ZASH

 

A SCIALATA (Giarre)

 

IL PANORAMICO

 

L'OSTE SCURO

 

IL TINO (Giarre)

LA CASA DEL GRECALE

 

AL MOLINO

 

BORGO DELL'ETNA

 

DAL BARONE

 

LOJEMA (Riposto)

 

CONTROSENSO (Acireale)

AL LIMONETO (Acireale)

 

CENTONZE

 

ACQUAPAZZA

 

ABBATAZZI (Acireale)

 

S TECLA TOWER

 

BELLAVISTA (Acireale)

TERRANTICA

 

LA POLENA

 

I DUE LADRONI

 

LA TERRA DEL MEZZO

 

TRATTORIA CORDAI (Acireale)

AMMUCCAMU (Acireale)

 

INCOGNITO

TRATTORIA SCALO GRANDE

LA SOLITARIA

AL PORTICCIOLO

LA STIVA

LA CONCHIGLIA (Capomulini)

AL PESCATORE

LA GROTTA

LA BARCACCIA

LA TIMPA

ANTICA TAVERNA

LA GAZZENA (Capomulini)

LA BETTOLA DEI MARINAI

A SCIALATA

LA GROTTA

AL MULINO

LA BARCHETTA (Pozzillo)

LATERRAZZA (Capomulini)

AL MOLO

VERDE BLU

LA PRUA

LA BATTIGIA

U PUTTUSU (Acireale)

DON SARO (Capomulini)

GIZA

CARTABIANCA (Acireale)

VINERIA 186 (Acireale)

 

IL ROSTICCIERE

BIRRIFICIO DELL'ETNA

TIKITAKA (Acireale)

FRAMMENTO (Acireale)

THE MESCAN

LOVE BAKERY (Acireale)

LA CAVERNA DEL MASTRO BIRRAIO

LE BOTTI  (Riposto)

AL FICODINDIA (Acireale)

FRUMENTO

IL PORTICCIOLO (Riposto)

REITANA (Acicatena)

STELLA MARINA (S.M La Scala)

LOJEMA (Giarre)

LA SPIGA

L'ODISSEA (Riposto)

IL TOCCO

VULCANICA (Acireale)

ACQUA DEL FERRO

TRIPLO GUSTO (Acireale)

VECCHIA ACI

BAR ELDORADO

ANTICA DOLCERIA DELL'ETNA

CIOCCOLATERIA ACESE

FLORA CAFE'

SOTTOZERO (Acireale)

BAR CONDORELLI

CAFFE' CIPRIANI

PASTICCERIA CANNAVO'

DODGE BAR

 

 

Capo Mulini

Capo Mulini è una frazione del comune di Acireale, in provincia di Catania. Si trova a sud di Acireale, da cui dista circa 5 chilometri, nei pressi dell'omonimo capo che segna il limite settentrionale del Golfo di Catania.Nei pressi dell'odierna borgata doveva sorgere la città di Xiphonia e sono stati rinvenuti reperti d'età romana. Nel 1800 fu progettato un grande porto commerciale ma questo non fu eseguito, essendosi preferito creare una struttura nella vicina e più popolosa.

La Torre Sant'Anna, oggi faro, fu iniziata nel 1582 in corrispondenza del Capo Mulini e finita in circa un ventennio. Vi alloggiava un corpo di guardia con il compito di allertare all'avvicinarsi di navi corsare.

L'economia della frazione si basa sulla pesca, sulla ristorazione e sul turismo. Ormai abbandonate sono le attività industriali (concerie) presenti tra il XIX e il XX secolo

 

 

Questo borgo marinaro, che delimita il lato settentrionale del Golfo di Catania, fino al medioevo era la “vecchia” Acireale.

Con la crescita e lo sviluppo economico della città, le casate nobiliari e la borghesia decisero di spostare il centro cittadino più in alto, in una zona più protetta.

 

 

 

 

Molto suggestivo da vedere è il porto naturale, un “must” da non perdere per chi visita la zona insieme ai ristoranti di pesce tipico. Interessante, anche dal punto di vista storico, è la Torre Sant’Anna, oggi faro, che risale alla fine del Cinquecento e la chiesa di Santa Maria della Purità che risale al XVI secolo.

 

 

 

 

 

 

 

Acireale

La barocca Acireale si trova al centro della riviera dei limoni, su una terrazza fertilissima dal nome Timpa. La città dei mitologici Ciclopi è terra ricca di sorgenti d’ acqua e di agrumi; vi si producono limoni, arance, ulivi, fichi e rigogliosi vitigni. Durante i mesi estivi la granita diventa un vero e proprio rito: al limone, ai gelsi, al caffè, alla mandorla o al cioccolato, purché servita con grandi brioches ancora calde.

La cucina di Acireale, marinara e nello stesso tempo contadina, segue i tempi delle stagioni; le sue ricette hanno un segreto, l’uso di ingredienti freschissimi e di prima qualità.

Piatti tipici della città sono le “Polpettine ne pammini da lumia”, polpettine di carne trita o di pesce azzurro condite con sale, uova, pecorino siciliano grattugiato e trito di prezzemolo, che vengono grigliate racchiuse tra due grandi foglie di limone e le frittelline di nunnatu.

“Nunnatu” (neonato) si riferisce al pesce appena nato e può essere di varie specie: sardine (muccu), alici, pagello. Il termine “muccu” viene dall’ Arabo “sumuk” (pesce) ed è usato nella costa Ionica della Sicilia.

Si condisce il “nunnatu” con uova, prezzemolo trito, sale e pecorino. Si fanno delle polpettine, si friggono in abbondante olio di oliva e si mangiano ancora fumanti.

 

 

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foto di Orazio Esposito

 

 

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COME RICONOSCERE IL PESCE FRESCO AL RISTORANTE

Secondo uno studio, gran parte degli italiani mangia pesce solo una volta alla settimana. I nutrizionisti suggeriscono di consumarlo almeno due volte la settimana dati gli enormi vantaggi della sua carne.

Il pesce è ricco di minerali come il selenio, il fosforo, il fluoro e lo iodio (quest’ultimo in particolare è scarsamente presente in altri alimenti), che fanno parte della costituzione dei vari tessuti dell’organismo e regolano le funzioni circolatorie, nervose e muscolari.

Inoltre il pesce apporta una discreta quantità di vitamine: le vitamine A ed E presenti nei pesci grassi (tonno, anguilla e sgombro) e alcune del complesso B.

I molluschi (cozze, vongole e polpi) e i crostacei (gamberi, scampi) hanno una composizione simile a quella del pesce, con un po’ meno proteine,ma con un buon contenuto di zinco, magnesio e iodio; nel caso di cozze, vongole e ostriche, anche di ferro.

Riconoscere il pesce fresco al ristorante è facile. Innanzitutto è importante osservarlo con attenzione.

L’odore, ad esempio, deve essere delicato, deve ricordare il profumo del mare; il corpo deve essere rigido e arcuato; la consistenza delle carni deve essere elastica e soda.

Bisogna fare attenzione anche alle squame che devono essere molto aderenti. L’occhio sporgente con la pupilla nera e la cornea trasparent e sarà un altro segnale importante da considerare.

 

 

Il pesce fresco ha un odore tenue, marino gradevole; il pesce non fresco ha un odore acre e sgradevole. Il pesce fresco ha un aspetto brillante, metallico, quasi iridescente; il pesce non fresco ha un aspetto smorto, senza riflessi. Corpo rigido e arcuato; il pesce non fresco ha un corpo molle e flaccido, squame aderenti, al contrario di quello non fresco.

 

 

 

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Dalle parti di Acireale, in una frazione incastonata fra giardini di limoni e il mare, c’è un bar a conduzione familiare che produce una granita di mandorla buonissima, ma il servizio è pessimo. Può capitare di ordinarla e sentirsi rispondere "Ora a voli? Si facissi du passi ca poi a facemu!". Magari poi te la preparano subito, anche a mezzanotte, ma quelle lamentele sprigionano tutto il folclore e la sottile ironia che circolano da queste parti. I catanesi lo sanno, ci vanno apposta e stando al gioco si divertono a ricevere le risposte più colorite alle loro richieste. E fanno questo anche per passare tempo, e questo da noi si chiama "sbaddu" (spiego altrove cosa significa). 

Il bello viene quando capita da quelle parti una famigliola del Nord che si incazza quando riceve quelle risposte, risposte che non comprendono, perché la loro vacanza è tutta programmata e il tempo destinato all’assaggio di quella prelibatezza era soltanto di venti minuti, sempre per non perdere tempo. E invece non sanno che il divertimento è proprio lì, cogliere l’attimo di certe situazioni occasionali, sfruttarne tutti i suoi aspetti positivi e spassosi, senza guardare l’orologio o il telefonino.

Devo dire che il film mi ha affascinato fin dall’inizio. Tanto ne ero preso che nel finale vengo pure colto di sorpresa: "Oh, guarda chi c’è… che ci fa De Gregori qui?", quasi dimenticando il motivo della mia presenza in quel cinema. Subito dopo, però, ho sollevato istintivamente la mia mano destra quasi a cercare il testo "rewind" del telecomando. Devo dire che nella parte del musicologo che parla di catarsi e sciamani si è comportato davvero bene, complimenti.

La Sicilia, chiaramente, non è più come quella descritta nel film, anche qui la gente corre e pigramente si affida alla tecnologia perché è più comodo e non fa perdere tempo. Il cucito non si fa più come in quel bellissimo cortile circondato da banani, dove le donne, fra l’ago, la lingua e il ditale (facendo finta di essere sottomesse) regolavano il destino dei loro uomini. 

E’ sempre stato così, in Sicilia hanno sempre comandaro loro.La battuta finale di Sgalambro, seduto al tavolino di un bar in una piazza assolata, simboleggia tutto il nostro modo di essere: "La Sicilia esercita un diritto di appartenenza. Per favore, una granita alla mandorla".

E’ vero, siamo fatti così. Seduti a un tavolino, con una granita di mandorla davanti e stavolta PER perdere tempo, volutamente, quaggiù siamo ancora capaci di consumarla impiegandoci anche due ore filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando …

(Mimmo Rapisarda)

 

Santa Maria La Scala

 

Spremitura a mano. Chi è stato il primo a scoprire la granita della zia Tanina, insomma il bar della Timpa di Santa Maria la Scala? Su questo posto, su questa donna splendida, si dovrebbe scrivere un libro, e in fretta.

Un semplice bar che più anonimo non si potrebbe, in una microscopica frazione sotto la “timpa”, costone lavico dalla natura selvaggia, incantevole e silenziosa. Quando si parla di sostanza, di un posto dove l’apparenza non entra ma neanche di striscio, il bar La Timpa non lo batte nessuno. Proviamo a spiegare qualcosa di più.

Capelli grigi un po’ trasandati e legati alla buona, con l’immancabile fadale. Sempre affaccendata, con le mani che non si stancano mai di impastare la frutta delle granite. E ricominciare da capo.Le 50 granite siciliane del 2017: da 10 a 1 | Dissapore

Lei, in apparenza più anziana di quel che davvero è, potrebbe anche non darvi la granita, per lo meno non in tutti i gusti disponibili.

Alcuni li tiene nascosti dagli sguardi indiscreti coprendo i pozzetti del banco frigo con la carta stagnola.

“Doppioni sono!”, è la sbrigativa risposta per il malcapitato che ha la ventura di chiedere cosa si nasconde sotto. Il messaggio è scritto a chiare lettere. Non fare domande. Stop.

Ma attenzione, non è una macchietta. Chi pensa di deridere questa donna siciliana d’altri tempi, di grande intelligenza, dalla battuta salace e pronta, verrà fulminato all’istante.

Se invece, per qualche fortunata congiunzione astrale entrate nelle sue grazie, vi farà sentire coccolati, chiamandovi ‘gioia’, e concedervi le sue migliori specialità come farebbe la nonna che vi ha cresciuti.

Sedendo ai tavoli non chiedetevi chi vi servirà, potrebbe essere un vicino di casa, un abitante del luogo, un parente della numerosa famiglia, o un po’ uno e un po’ l’altro.

Solo bicchieri di carta, raramente di vetro, come se il sapore vero non avesse bisogno di materiali importanti. Quello piccolo, da caffè, dal costo di un euro, potrà pure bastarvi, colmo com’è.

Gusti: quelli che la sorte e la benevolenza della zia Tanina vorranno farvi scoprire. Strepitosi pesca, banana, arancia rossa, mandorla e lampone (che proviene da una coltivazione del marito “quannu non c’è troppu cauru”). Tutti preparati a mano senza nessun macchinario, neanche lo spremiagrumi per il limone.

La sera passando da Santa Maria La Scala, quando i pochi abitanti del borgo marinaro vanno a dormire, la troverete seduta davanti al tavolo del suo bar, con la granita appena consumata, a fissare il vuoto, mentre si sostiene il volto stanco con la mano, in una delle cartoline siciliane più affascinanti.

(Mara Pettignano)

 

 

 

MAURO E PATELLE, IL MATRIMONIO PIU' RIUSCITO DELLA COSTA JONICA

 

Il "Mauro" è un'alga il cui nome scientifico è Chondracanthus teedei. E' presente, in realtà, nelle coste di tutto il mondo, in Sicilia cresce sugli scogli vulcanici e rappresenta una specialità tipica del litorale catanese per la sua apprezzata consistenza callosa e l’intenso sapore “di mare”.

Servita come insalata con un po’ di olio, sale e limone, ha una consistenza quasi carnosa, è davvero gustosa e ti lascia in bocca un sapore di mare per tanto tempo.

Chi è più anziano lo ricorda perchè lo vendevano per strada (siamo o no i maestri dello street food?) dentro la carta paglia gialla. Poi l'inquinamento del mare lo ha reso quasi introvabile. Qualcuno sostiene che il nome derivi da

màguru (magro), altri che si  chiami Mauro perchè (dicono che era abbondante in quella zona costiera) in onore del santo patrono di Aci Castello, ma la cosa non convince. In verità, la sua zona è Santa Tecla, Riposto, Stazzo, tutte frazioni di Acireale. Cresce lì, quando trova acque pulite.

Ormai è diventato anche un piatto famoso siciliano, cucinato con patelle e pomodorini e poi affogato nelle linguine saltate.

Di leva ero in Capitaneria e a volte dalla motovedetta lo issavamo a bordo con il mezzo marinaio, quando ci trovavamo nelle acque acesi.

Quello che ho fotografato si trova alla Pescheria, non so se sia fresco ma era bello a vedersi ma ricorda le nostre Scuola medie quando,  all’uscita, si mangiava crudo in tutta tranquillità.

Per la sicurezza, si dovrebbero usare le stesse accortezze come per le cozze: crude a tuo rischio e pericolo, cotte si va alla grande.

Comunque, spettacolare e da provare!

Le patelle sono molluschi dotati di una conchiglia conica, sottile, dal contorno grossolano, che si adatta alla superficie alla quale l'animale aderisce. La bocca presenta un organo caratteristico, detto radulaL e la parte inferiore della radula contiene una fila di denti, classificato come il materiale biologico più resistente finora conosciuto.

 

"Siamo stati a pranzo in questo locale delizioso segnalatoci da un amico, il proprietario si è presentato e con modi garbati e competenza ci ha 'raccontato' i piatti alla carta. Abbiamo optato per una carrellata di antipasti caldi e freddi e tre diversi primi. Tutto eccezionalmente fresco ma il top sono state le linguine con alga Mauro patelle e pomodorini, un piatto da estasi. Dolci di buona qualità e vino bianco di nera che è il mio preferito. Che dire: continuate così!"

 

Concordo la recensione su Tripadavisor. Aggiungo che appartiene a gente che non si vergogna a dire che i gamberoni sono congelati (poche volte), il che significa che tutto il resto è tutta roba fresca dello spettacolare repertorio ittico della Timpa acese.

Consiglio vivamente le linguine con pomodorino, patelle e alga Mauro che, quando è possibile viene acquisita dai ristoratori solo quando è reperibile nelle acque di Santa Tecla, quindi prodotto non inquinato e soprattutto non congelato come in parecchi locali del Catanese.

M.R. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Maestri

 

 

 

 

 

 

Riposto

Deposito (“u ripostu”) per conservare merci e botti da imbarcare via mare, ecco l’ origine del nome Riposto.

La gente del luogo ha sviluppato un rapporto intimo con il mare, principale mezzo di sussistenza e punto nevralgico di mercanti, pescatori, armatori, “sensali” (mediatori), “bordonari” ( proprietari di un mulo o di un asino, dediti al trasporto di grano e fave) e marinai.

La tradizionale cucina ripostese è rinomata per le fritture di pesce e per l’alalunga - il pregiato tonno bianco che i pescherecci catturano al largo della costa. “Masculini” (acciughe), spigole, calamari, gamberi sono cucinati nei modi più svariati per soddisfare anche i palati più esigenti: alla griglia, con la cipollata, fritti, al cartoccio o marinati crudi.

La tipica bevanda dell’ estate ripostese è u cor ’i cani, un misto d’acqua, granita di limone e sciroppo di menta.

 

 

 

 

STAZZO

 

 

 

Giarre

Il fitto Bosco di Aci che nell’antichità occupava tutti i territori posti a Nord-Ovest di Acireale, nell’ antica contea di Mascali, per volere del vescovo Caracciolo, venne disboscato e coltivato a vite. Ai suoi margini nacque la città di Giarre, il cui nome trae origine dalle giare, contenitori di terracotta che contenevano vino, olio e cereali. L’ economia agricola giarrese produce ottime qualità di patate, agrumi, cereali, ciliegie e vino.

Già dal ‘500, durante la dominazione spagnola, la preparazione, una volta alla settimana, del pane fatto in casa era un doveroso rito. Le farine più grezze e poco raffinate venivano utilizzate dai poveri, mentre le classi sociali più abbienti facevano uso della farina di Majorca, corrispondente all’odierna farina di grano tenero 00. Con la Majorca si preparavano anche le scacciate. Il pane, cotto nel forno a legna d’ulivo, appena sfornato veniva cunzatu (condito) con olio extravergine d’oliva, origano, peperoncino e sale.

 

 

Riposto

 

 

Calatabiano

Le possenti mura di cinta del castello di Calatabiano fanno da sentinella all’accesso orientale della valle dell’ Alcàntara, il cui nome viene da Al qantar, il ponte, che sta ad indicare il punto di confine tra le province di Catania e Messina.

Calatabiano è sempre stato un centro prevalentemente agricolo. Qui si producono nespole in abbondanza. Primeggiano le qualità chiamate vaniglia e nespolone. Le nespole di Calatabiano sembrano racchiudere in sé tutto il colore e la dolcezza del sole. Vengono raccolte sul finire dell’autunno, riposte nella paglia per farle maturare a dovere in modo che risultino dolci e succose. Straordinariamente buone sono poi le marmellate, gli ottimi gelati alla nespola e i liquori fatti in casa, tra i quali vale la pena assaggiare il “nespolino”.

Ad Agosto si svolgono le giostre del Saracino, del Cinghiale e dell’ Anello, che rappresentano un vero e proprio tuffo nella storia medievale di Calatabiano. Un’occasione per assaggiare e riscoprire i suoi antichi sapori: vino, olio extravergine di oliva, liquori alla frutta, ricotta fresca e formaggi nostrani.

 

Mascali

Le terre di Mascali, alle falde dell’ Etna, sono enormi distese laviche che si affacciano sul mare, costellate da vecchi palmenti dove avveniva la pigiatura e la conservazione del vino in enormi botti di castagno.

Qui i vitigni si coltivano da almeno quattro secoli, dai grappoli d’uva si ottiene il pregiato e celebrato “Nerello Mascalese”, Si coltivano anche cereali, agrumi e mandorle.

Un prodotto tipico è il raro fagiolino mascalese, coltivato solo in questa zona. Spunta verso la metà del mese di luglio e dura fino alla fine d’agosto.

 

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