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http://farm8.staticflickr
  
   
	  
                
				
				 Palazzo
                Pancari Ferreri 
                Via
                Etnea, 306 - Anno Di Costruzione: 1881-1900/ inizio -
                Architetto: Carlo Sada (1849-1924) 
                
				L'edificio
                ubicato in Via Etnea, angolo Via Umberto I, insiste su un'area
                coinvolta dalle ristrutturazioni urbane di fine Ottocento. E a
                tale epoca (1875 prime proposte-1892 completamento) che risale
                la decisione del Consiglio comunale per l'allargamento della Via
                Santa Caterina, attuale Via Umberto I, in asse con l'ingresso
                della Villa Bellini. A seguito di tale intervento urbanistico la
                famiglia Fischetti commissiona nel 1881, all'architetto Carlo
                Sada, la costruzione del proprio palazzo. Nel progetto
                originario, come per le tre case signorili progettate
                dall'architetto milanese, sono previsti oltre all'abitazione del
                proprietario anche diversi appartamenti da destinare alla
                famiglia o ad affitto. Tipologicamente l'autore adotta soluzioni
                in uso nelle case di fitto milanesi, come la corte interna
                aperta su di un lato () le anticamere di disimpegno delle stanze
                raggruppate attorno alle scale principali di servizio. Nel 1885
                è previsto un ampliamento del corpo di fabbrica a nord
                della...ed alcune variazioni della copertura e alla fine
                dell'Ottocento l'edificio risulta quasi interamente completato.
                Agli inizi del Novecento il barone Pancari acquista il palazzo
                ed affida allo stesso Sada l'incarico di apportare modifiche
                all'esistente: il nuovo getto interessa la scala principale, il
                salone dell'appartamento del primo piano, i soffitti a volta ed
                infine viene richiesto all'architetto di completare
                l'arredamento dell'appartamento del piano nobile. 
	
 
  	
   
  
    
    
      
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            Il
          loro habitat naturale era la via Etnea, con particolare preferenza al
          tratto villa Bellini-piazza Stesicoro, ma il tempo maggiore lo
          trascorrevano davanti a Caviezel, il bar-pasticceria ubicato di fronte
          al cinema "Sala Roma", che da lì a poco sarebbe scomparso
          per far posto all'attuale casermone della Rinascente, e a pochi metri
          dall'Hotel CentraI Corona, oggi CentraI Palace. Davanti alle vetrine
          della pasticceria svizzera si riunivano in gruppetti di cinque o sei e
          lì, dalle undici alle quattordici circa, si svolgeva il quotidiano
          rito della "sfurbiciata". Si tagliavano i vestiti addosso a
          tutte le donne conosciute e non (tranne le madri e le sorelle,
          ovviamente) e si raccontavano, con dovizie di particolari stuzzicanti,
          avventure galanti vissute o ... sognate. Con linguaggio coloratissimo,
          non proprio da educande o da seminaristi. 
          LO
          sproloquiare s'interrompeva solo quando passava una bella donna,
          all'indirizzo della quale piovevano i complimenti più infocati. Ogni
          tanto un "guerriero del sesso" si staccava dal gruppetto,
          entrava da Caviezel, ne usciva poco dopo con un bicchiere di Campari
          Soda e con questo, tenuto in mano come un trofeo, tornava al suo
          posto, riappoggiava al muro le spalle e la pianta di un piede e
          cominciava a centellinare il suo aperitivo con la non chalance di una
          sofisticata nobildonna d'altri tempi. 
          Apparentemente
          sembravano uguali ai coetanei che stazionavano poco più in là,
          davanti a Savia e al giardino Bellini, ma, come detto, rispetto ai
          più popolari "picciotti di vita" avevano sicuramente più
          classe: provenivano quasi tutti dai licei classici cittadini, molti
          avevano già letto il Brancati di Don Giovanni in Sicilia, Il
          bell'Antonio e Paolo il caldo e alcuni anche il primo Patti di
          Quartieri alti, ogni tanto si "sparavano" qualche frase
          sentenziosa latina, citavano Cartesio e Kant, parlavano di Prévert,
          Sartre e Juliette Greco. 
            
          
			
			  
          
          Non erano, insomma, degli sprovveduti, tutt'altro: una generazione cui
          la storia aveva assegnato il compito di concludere, con gli anni '60,
          una mitologia di gallismo che letteratura e cinematografia non sempre
          hanno saputo sfruttare adeguatamente; una generazione alla quale la
          guerra aveva negato fanciullezza e adolescenza; una generazione di
          ragazzi che, usciti dalla sfera erotico-letteraria di quel tempo,
          trovarono ben presto la strada giusta per imporsi nella vita con i
          frutti dei loro seri studi e della loro intelligenza. Molti di essi
          occupano ancora oggi posti di grande prestigio e responsabilità
          nell'amministrazione dello Stato o svolgono attività di liberi
          professionisti; qualcuno sfortunatamente ci ha preceduti nell'ultimo
          viaggio. 
          Fra tanti ne voglio ricordare particolarmente uno col quale giocavo a
          calcio nel campetto del collegio Leonardo da Vinci, allora in viale
          della Libertà; non giocava molto bene, anzi sarebbe più esatto dire
          che era alquanto "scarso", ma, in compenso, non si stancava
          mai quando parlava di donne e di sesso. Era eternamente disponibile e,
          spesso, con sussiegosa aria professionale e con un pizzico di mal
          celata civetteria, soleva definirsi modestamente un ''homo
          eroticus". 
          da
          "A Catania con amore" - di Lucio Sciacca - Edizioni Greco 
          
			
			 
          	
           In
          una citta' golosa e raffinata come Catania, la Pasticceria Savia
          incarna i fasti della dolcezza, tra cannoli invitanti e cassate
          variopinte, tra paste di mandorla e l'esplosione di colori del
          marzapane. 
          Come
          consuetudine cittadina,da piu' di Un Secolo, dal caffe'
          all'aperitivo,dall'arancina al pasticcino, a seconda dell'ora e degli
          impegni, la Pasticceria Savia e' la meta preferita da giovani e meno
          giovani impiegati e manager ranpanti nella pausa pranzo. 
          Fu
          fondata nel 1897 dai coniugi Angelo ed Elisabetta Savia in quella zona
          anticamente chiamata Piano di Nicosia. Da li' mosse i primi passi e
          accrebbe la sua esperienza grazie all'intuito e alla sagacia di Alfio
          e Carmelina Savia trovo' degna sistemazione nel cuore della citta'; 
          Per
          i pochi che non lo sapessero la Pasticceria Savia si trova incastonata
          ad angolo tra la via Etnea e la Via Umberto, in quello che Federico de
          Roberto battezzo' col nome prestigioso di Salotto di Catania. 
            
			  
			
			
			  
			  
			
			  
			
			
			
			
			 
      
                  
           
          
            
            
              
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 In
          quell'illustre angolo matura, grazie ad Angelo Savia, la tradizione
          dolciaria che trova i suoi punti di forza nell'eccelsa qualità delle
          materie prime, nella magistrale professionalita' e cortesia del suo
          personale e nel confezionamento dei prodotti sempre freschi e
          fragranti. 
          Forte
          di questi capisaldi la Pasticceria Savia ha iniziato un nuovo capitolo
          della sua storia Da oggi insieme ai nipoti Alessandro e Claudio, si
          presenta alla clientela in una veste completamente rinnovata,
          conservando sempre la qualita' e le tradizioni di un tempo. 
          da
          www.savia..it 
					  
					
					  
					  
					
					Il 13 
					feb 2015 il Signor Hood si accomodò al banchetto catanese di 
					Radio Radicale, di fronte al Bar Savia. Morì un anno dopo. 
					
					
					
					https://www.cataniatoday.it/cronaca/marco-pannella-radicali-catania-13-febbraio-2015.html 
					
					
					Mentre era lì, qualcuno commentava. 
					
					- il 
					monfiano: cara, come lo Speaker Corner che incontrammo ad 
					Hyde Park? 
					
					- il 
					mammoriano: minchia Cetty, talìa ccu c'è: Pannella! 
                   
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Pippo, il Re delle pernacchie 
	
	
	  
	
	
	In 
	ogni articolo che si rispetti i ringraziamenti
	
	si 
	scorgono in coda all’elaborato;  nondimeno
	
	
	viceversa si apre 
	oggi 
	il mio. Propriamente con un tributo di sincera gratitudine a cantautori, 
	poeti, scrittori e artisti che hanno solennizz ato un uomo vissuto nella 
	seconda metà del secolo scorso ai piedi del vulcano più alto d’Europa. 
	Immortalato dal pittore francese Cristian Bernard,
	
	il 
	suo ritratto
	
	
	spicca in un murales del bar Mokambo di Taormina mentre una sua foto 
	in primo piano la copertina del Times anni fa guadagnò. È grazie a 
	questi signori se tuttora egli sosta oltre i confini delle leggende 
	nostrane.    
	
	
	«Chi 
	era in realtà Pippo? -si 
	chiede Domenico Trischitta- Era l’ultimo testimone e, nello stesso tempo, 
	personaggio del mondo brancatiano. Percorreva in lungo e largo i marciapiedi 
	di via Etnea, dispensando sorrisi, ghigni beffardi e sonore pernacchie ai 
	pochi nobili decaduti o agli impettiti politici che facevano passerella per 
	elemosinare voti. Si era autodecorato con tre medaglie che gli penzolavano 
	sulla giacca nera e unta di grasso».«Non 
	sapremo mai 
	
	–prosegue Aldo Motta- se Giuseppe Condorelli detto ’Pippo pernacchia’ 
	fosse veramente babbo. O non piuttosto troppo sperto. Se è vero che gli 
	occhi sono lo specchio dell’anima, i suoi proiettavano candore e furbizia, 
	dolcezza e scaltrezza; erano un insieme di sottile ingenuità mista ad una 
	gentile velatura di mascalzoneria. Il suo viso rotondeggiante era spaccato 
	da un sorriso permanente, bonario e forse anche misterioso.‘Frati mio –mi 
	disse una volta-cu sti quattru sordi ca mi dati, a pernacchia mi nesci 
	vascia e lenta’».«La pernacchia di Pippo –così Salvatore Scalia- 
	s’innalzò in un ultimo acuto che incrinò l’aria cristallina della sera 
	primaverile, sfiorò i balconi per perdersi tra i tetti bui, infine si esaurì 
	in un lungo malinconico lamento».  
	
	
	Ora 
	è sconfortata e ha smarrito il proverbiale humour ma, all’inizio 
	degli anni Sessanta, questa città chiamata Catania è l’opulenta Milano del 
	sud. L’atmosfera sognante della sua realtà urbana, dal salotto buono al 
	cuore pulsante, la innalza a una delle più belle del reame. Quivi
	
	c’è 
	la pasticceria svizzera Caviezel che rimane 
	
	in 
	via Etnea, di fronte al piccolo gioiello liberty incastonato tra due antichi 
	palazzi: il 
	cine Sala Roma. Colà  
	
	
	un 
	giovanotto riccioluto e piccolo di statura ha creato il suo quartier 
	generale. Ha poco più di trent’anni, una rada peluria sul viso da simpatica 
	canaglia e un cappellino di paglia in testa. Indossa camicia a fiori e 
	giacca da yachtman con bottoni dorati, i suoi pantaloni di colore blu 
	son lisi e spiegazzati.  
	
	
	
	Pippo è un talento della natura, un personaggio la cui nomea s’estende dalla 
	costa ionica fin a Mascalucia, Belpasso e Sigonella. 
	
	Ha 
	una funzione sociale, perché quando qualcuno vola più in alto della quota di 
	competenza, scende in campo con arte e indirizza un chiaro messaggio al 
	destinatario. Delle pernacchie, in fin dei conti, è il Re ma anche un po’ il 
	Robin Hood. Porta pollice e indice alla bocca e con prepotenti deflagrazioni 
	gli fa capire che è il caso di ridimensionarsi. Tali spifferi irrispettosi 
	costano poche lire ma se paghi il doppio, può darsi che tremi tutta la via 
	Etnea dai Quattro Canti fin al Duomo e a Porta Aci. L’intera città è 
	sbeffeggiata 
	dai 
	frastuoni stravaganti del suo irridente trombone; per il suo esser senza 
	tempo e convenzioni, per gli stentorei virtuosismi e la vita randagia 
	suscita un oscuro turbamento nei concittadini. «Pernacchie così –ripetono 
	i passanti- non ne fabbricano manco alla Fiat di Torino». «Chissà 
	chi – dicono-gli prepara da mangiare  e chi gli assicura un tetto e 
	un letto». Se gli si domanda «Pippo, ma perchè non ti sposi?» il 
	giovanotto s’accarezza la barbetta e poi fa: «No, perchè poi mi si sciupa 
	il viso».«Pippo pernacchia –parola di Piero Corigliano- è un vecchio 
	fanciullo con gli occhietti da topolino, l’espressione un po’ beffarda, un 
	po’ trasognata e un segno particolare sul labbro inferiore, una specie di 
	tumefazione come quella del grande Armstrong. La sua popolarità supera 
	quella di un deputato. Pippo è un grosso commerciante.  
	Vende pernacchie. Ci vive. Potrebbe diventare ricco se lo volesse. La sua 
	produzione fragorosa, inconfondibile e, fortunatamente, inodore, trova 
	numerosi acquirenti. Un non siciliano stenterebbe  a credere che si possa 
	campare tranquillamente prendendo a pernacchie il prossimo. Pippo non è un 
	filosofo che protesta contro una società sperequata e malefatta; né 
	s’intende di politica: è soltanto un istintivo che dileggia il prossimo per 
	servirlo. A suo modo, è un uomo felice».  
	
	
	È 
	 un sicario, ma non uno comune: un giullare buono camuffato da esecutore.
	
	Gli 
	autobus di linea e quelli dell’Etna Trasporti lo portano con sè e lo 
	mostrano come un trofeo: i conducenti alleviano la noia e si donano uno 
	sfizio. Non appena 
	
	scende giù, quello comincia a spernacchiare uomini e cose da un marciapiede 
	all’altro. Come 
	una stella del varietà, dapprima accenna un lieve inchino poi allarga in 
	modo solenne le braccia; avvicina la mano alle labbra, gonfia le guance e 
	s’esibisce con maestria. Col viso stravolto e grottesco, sorride beato e 
	s’illude di aver il mondo ai piedi. Con la bella stagione si spinge in quel 
	di Taormina e lo si vede bazzicare in corso Umberto a incuriosir i turisti 
	americani che lo pagano bene per sbeffeggiare connazionali e travestiti di
	
	 passaggio. 
	Quando scompare dalla circolazione, la gente di Catania sta in angoscia fin 
	quando Pippo non fa di nuovo capolino alla stazione, alla plaja o in 
	via delle Finanze. 
	
	
	
	Passano gli anni, il signor Pernacchia invecchia e si trasforma in una 
	specie di clochard con barba grigia,  braccia mulinanti e consueto sguardo 
	di lince. Cappello da cowboy, aspetto trasandato, giubba scura con 
	patacche lucenti: non più super-eroe ma fenomeno da baraccone.
	
	Ora 
	l’andatura è caracollante come quella delle galline, indossa una stella da 
	sceriffo sul petto e va in giro vestito più modestamente. In città 
	l’atmosfera si fa nuvolosa, da tempo il volto fiero e ironico della Milano 
	del sud non c’è più. 
	
	Giuseppe Condorelli ha l’animo d’un bambino e i catanesi lo amano ancora; se 
	qualcuno, però, gli grida «Talia cu c’è Pippo ‘Sala Roma’», perde le 
	staffe e risponde con parolacce. Nessuno ha mai capito il perché.
	 
	
	
	«Mille 
	lire una pernacchia, -ripete per le strade- duemila lire due 
	pernacchie». Le sue vittime sono sempre i palloni gonfiati e -oggi come 
	ieri- più importante è il bersaglio, più alta la tariffa.
	
	«Se 
	non sei nell'attenzione delle pernacchie di Pippo, -è
	vox populi negli anni ottanta- non sei nessuno».
	
	
	Epperò i suoi motteggi hanno ancora un suono struggente, quasi celestiale 
	che si ode a cento metri di distanza.
	
	«A 
	chi si congratulava con lui 
	
	–insiste Aldo Motta- per le tante onorificenze ricevute, rispondeva con 
	modestia, mentre i suoi occhi birbanti lampeggiavano di contentezza: ’Sugnu 
	sulamenti cavaleri’». «Quel giorno –riprende Domenico Trischitta- 
	era felice, era il 27 settembre, e ogni 27 andava a riscuotere lo 
	stipendio dal suo datore di lavoro, il capo redattore de La Sicilia Piero 
	Corigliano, che gli elargiva generosamente una somma per la sua singolare 
	professionalità di artista dello sberleffo sonoro. Ma mentre gli dava il 
	denaro, il giornalista si accorse che il fazzoletto di Pippo era sporco di 
	sangue, gli chiese come mai e lui disse di essere raffreddato. Erano i primi 
	sintomi di un tumore alla gola che lentamente gli avrebbe spento lo 
	strumento e la vita».  
	
	
	
	«Quando Pippo morì, 
	-congiunge il cerchio Santo Privitera- nella sua bara ci entrò così: con 
	i suoi ‘allori’ conquistati grazie alle ‘colonne sonore’ intonate con 
	maestria ai più meritevoli».
	 
	
	
	È il 
	quindicesimo giorno del mese di marzo dell’anno domini 
	millenovecentonovantatre.  
	
	
	«Ma 
	vu ricordati a Pippo –canta Vincenzo Spampinato-  ca calava a 
	via Etnea ca so stidda da sceriffu, sutta o suli o si chiuveva. Era bonu  
	era cuntentu ca so funcia e li mustazzi, chi pirnacchi a lu guvernu ca 
	trimavunu i palazzi. Pippu su lu purtau lu ventu cu nu sgrusciu di 
	carrozza, u distinu nfamu e tinti ci manciau li cannarozza»
	 
	
	  
	
	
	
	Alessandro Russo - La Sicilia, 1 ottobre 2016 (il disegno è di Enzo 
	Salanitro) 
	
	
	  
	
	  
	
	  
	
	
	 _______________________ 
	
  
	
	Qualche consiglio su dove ripararsi dall'alta 
	temperatura, onde evitare svenimenti per strada e concludere la serata la 
	pronto soccorso.  
	
	Un piccolo segreto di Via Etnea. Non so se vi siete 
	mai chiesti perché, nel tratto che va dal fotografo Marino fino a Palazzo 
	Cantarella, un gruppetto di uomini sosta sempre proprio sul marciapiedi 
	antistante l’ingresso del Palazzo delle Poste. 
	
	Nei caldi pomeriggi estivi sono sempre lì, ogni 
	giorno, a sollevare al cielo i loro antichi racconti pregni di avventure a 
	Taormina, delle serate al Lido dei Ciclopi negli anni Sessanta, delle loro 
	carriere, di conquiste mai avvenute ma raccontate nei minimi dettagli, ma 
	soprattutto di minchiate, tante minchiate che si sollevano al cielo come 
	palloncini alla festa di Sant’Agata e che li fanno sentire ancora giovani 
	quando arriva il momento di prendere il bus (se arriva) per tornare a casa. 
	
	Perché le sollevano proprio lì? Perché mi hanno 
	raccontato che proprio in quei dieci metri di Via Etnea circola una corrente 
	d’aria proveniente da Via Litrico, complice l’androne del Palazzo delle 
	Poste, che genera un gradevole venticello che si incanala in quel tratto di 
	strada come se fosse aria condizionata, capace di asciugare in un attimo 
	qualsiasi indumento offeso dall’afa catanese.  
	
	Ecco (come da foto) perché stanno sempre lì, quasi a 
	darsi spallate per ricevere ogni alito di brezza proveniente dalla Villa 
	Bellini. 
	
	(M.R.) 
	
  
	
  
	
  
	
  
	
Palazzo Carnazza Cocuzza 
	
  
	
  
	
  
  
  
  
  
    
    
      
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			   | 
       
      
        | Via
          Etnea negli anni Sessanta 
           
			
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        |      | 
       
     
    
   
	  
	
	  
	
	  
          
			 
	
			  
          
			IL RINAZZO. 
	
			  
	
	-Quando la più importante strada della 
	città non si snodava lunga e diritta come ora,ma dopo breve e ondulato corso 
	andava a morire sui muraglioni della Porta di Aci,quel tratto di periferia 
	che ne restava fuori, altro non era che aperta campagna. Una campagna 
	formata da terreni privi di rocce laviche alla superficie, permeabili e in 
	prevalenza sabbiosi,dove la vegetazione s'infoltiva facilmente e dove, fino 
	alla metà dell'Ottocento, prosperarono i cosiddetti ORTI DEL SALVATORE.
	 
	
	Forse per la natura stessa di quei 
	terreni, il quartiere che via via andò formandosi a oriente del giardino 
	biscariano, fra il Vico delle Fosse e l'ex Villa Maiorana (attuali via Sant'Euplio-palazzo 
	delle Poste),la via Stesicorea, il vico Santa Caterina e la Grotta Bianca, 
	si chiamò RINAZZO. 
	
	<<......Chi non lo conosce ancora, vada a 
	vederlo nel suo interno, questo quartiere del Rinazzo;troverà un'intrigata 
	tela di luride catapecchie, aggruppate senz'ordine e senza regola, 
	attorniate da strette viuzze, ove regna l'umidità permanente, perché non vi 
	penetra aria nè luce;ed è addirittura una succursale della vecchia CIVITA 
	trapiantata al RINAZZO >>(M.Scammacca Asmundo-Appello al pubblico catanese 
	sull'apertura d'una nuova strada dirimpetto la Villa Bellini- Catania, 1876) 
	
	Insomma un quartiere malandato nel cuore 
	della città, un quartiere per il quale i tempi buoni sembrava non dovessero 
	mai arrivare.  
	
	Invece, un bel giorno arrivarono;e 
	arrivarono quasi contemporaneamente all'unità della Patria.  
	
	
	  
	
	  
	
	Fra il 1858 e il 1890 (il tempo non si 
	misura ad anni,in fatto di opere pubbliche) maturarono eventi determinanti 
	per la rinascita del Rinazzo. 
	
	Il primo di questi fu la trasformazione 
	del LABERINTO biscariano in villa pubblica, cui fecero seguito la 
	sistemazione della via Etnea fino al Borgo,l'illuminazione a gas,l'apertura 
	della via Santa Caterina, la costruzione di alcuni grandiosi palazzi di 
	fronte e di fianco al giardino Bellini, il conseguente spostamento del 
	centro cittadino più a nord rispetto alla Marina e a piazza Duomo. 
	 
	
	Per incidenza e vistosità, il fatto che 
	merita di essere particolarmente ricordato è quello che ruota attorno 
	all'apertura di via Santa Caterina (attuale via Umberto),ricco di spunti 
	polemici e d'interventi politici,di proposte e di contropoposte;ricco,soprattutto, 
	d'episodi nei quali l'interesse privato ebbe parte preminente, spesso a 
	scapito di quello pubblico, e perciò stesso della Città. 
	
	Devesi premettere che i lavori di 
	livellamento della via Etnea fino all'ingresso principale della Villa, 
	iniziati in quello stesso scorcio di tempo, erano stati di non facile 
	attuazione, specialmente nel raccordo delle varie pendenze;e, come al 
	solito, avevano suscitato discussioni, critiche, interventi a livello di 
	tecnici, di amministratori comunali, di privati.Si arrivò persino alle 
	offese scritte,quando  - per citare un esempio  - l'ing. Ignazio Landolina, 
	in un suo opuscolo stampato nel 1870 per i tipi della Gazzetta di Catania, 
	diede del somaro all'ingegnere Eligio Sciuto,capo dell'ufficio tecnico 
	comunale, colpevole, secondo lui,d'avere sbagliato tutto in quei lavori, i 
	cui risultati furono <<così infelicissimi e mostruosi,da dare la esatta 
	sensazione anche ad un cieco che per salire all'Etna la strada cominciasse a 
	discendere......>>. 
	
	  
	
	
	  
	
	Al progetto d'apertura d'una strada 
	dirimpetto l'ingresso centrale della Villa Bellini si perveniva dunque con 
	gli animi ancora accesi e con le discordie fra i vari gruppi politici, 
	dentro e fuori l'aula consiliare, più vive e insanabili che mai. 
	
	L' esito del risanamento del RINAZZO 
	dipendeva in gran parte dalla realizzazione di questa strada, che si 
	presentava complessa e delicata per gli oneri finanziari, i risvolti 
	politici, le interferenze private che ne derivavano. 
	
	Per restare nei limiti di tempo e di 
	spazio  - la questione comporterebbe più lungo esame  - diremo in succinto 
	che le soluzioni presentate in Consiglio Comunale furono tre:  
	
	1) apertura d'una grande strada di 34 
	metri di larghezza in asse con l'ingresso della Villa;  
	
	2) apertura d'una strada, sempre 
	dirimpetto all'ingresso della Villa, con larghezza costante di metri 14,e 
	soppressione di gran parte della tortuosa via Santa Caterina;  
	
	3) allargamento della detta via Santa 
	Caterina.  
	  
	
			
			  
			Il Rinazzo   
	
	Nel 1875 una commissione di esperti, dopo 
	lungo e accurato studio, propose al Consiglio la soluzione numero due. 
	
	Ma,andando le cose alle lunghe,un anno e 
	mezzo dopo, il consigliere comunale Michele Scammacca, che della prima 
	soluzione era tenace assertore, dà alle stampe un opuscolo col quale mette 
	in chiaro i retroscena, gli errori, i difetti della spinosa questione.
	 
	
	Rivolgendosi ai catanesi, il nobile 
	Scammacca pone sotto accusa i colleghi del Consiglio, il Sindaco, gli 
	Assessori, i quali non avvertono l'incidenza di un'ordinata espansione 
	urbanistica, mentre  << I nostri padri,prevedendo uno sviluppo non 
	facilmente rilevabile a quei tempi, prepararono l'avvenire grandioso ed 
	estetico della città, con le bellissime strade della Stesicoro-Etnea, della 
	Garibaldi, del Corso, dei Quattro Cantoni, della Vittoria.  
	
	Noi,"civilizzati posteri", abbiamo 
	permesso, invece, il sorgere di quartieri come quelli del Carmine e di San 
	Berillo, la fabbrica di case antigieniche e malsane, la costruzione di 
	strade anguste e tortuose.....>> 
	
	  
	
	  
	
	  
	
	Si scaglia, poi,contro i sostenitori 
	degli interessi privati e contro i proprietari delle aree entro cui cadono 
	opere di pubblica utilità, i quali << salvo poche,laudabili eccezioni, hanno 
	scarso gusto estetico, ed anziché sollecitare, o spingere la civica 
	amministrazione ad eseguire certe opere pubbliche, la osteggiano o 
	profittano della sua scarsa energia per ottenere assegni di linea favorevoli 
	soltanto ai loro ciechi interessi......>>.Conclude auspicando che <<dal 
	fronte della Villa Bellini, nella direzione dell'est, s'apra una grande 
	arteria larga non meno di 34 metri, che dia respiro alla città, accresca 
	l'importanza della Villa, risollevi le sorti di un quartiere 
	desolato......>> 
	
	Cinque anni dopo la nobile sortita dello 
	Scammacca, precisamente il 21 dicembre 1881,nel palazzo di città si riunisce 
	la commissione consiliare per discutere <<sui tre differenti progetti 
	elaborati dall'ufficio tecnico per l'apertura d'una strada nel lato 
	orientale del RINAZZO, di fronte al giardino Bellini >>. 
	
	Dopo ampia discussione, durata non 
	sappiamo quanto,prende piede e si afferma il Voto ragionato del consigliere 
	Carmelo Sciuto Patti,membro della detta commissione.  
	
	Signori - dice pressappoco lo Sciuto 
	Patti  - perché lambiccarsi il cervello?Perché perdere tempo prezioso?Uno 
	solo è il progetto da prendere in considerazione, quello che prevede 
	l'allargamento della via Santa Caterina. Aprire una grande arteria?A qual 
	pro?E perché? 
	
	  
			
			
			  
	
			VIDEO DELLA 
			PASTICCERIA SAVIA 
	
	  
	
	<<.....Quale sarebbe lo scopo di questa 
	larghissima strada?A mio avviso, nessuno. Se si eccettui l'idea di aversi 
	una larga via di riscontro all'ingresso del giardino Bellini, nessun'altra 
	circostanza di utilità pubblica, sia d'igiene, sia d'estetica od altro, 
	potrà mai giustificarla. L' igiene vi guadagnerà tanto con una strada larga 
	trenta metri quanto con l'altra larga dieci......>>. 
	
	L' appassionato consigliere chiama quindi 
	a sostegno del suo assunto le spese cui si andrebbe incontro, le difficoltà 
	tecniche, le inutilità di una strada che si apra in asse con l'ingresso 
	della Villa;la stoltezza di certi lussi,lo sperpero del pubblico danaro, se 
	mai si dovesse optare per altra soluzione. 
	
	Con l'allargamento della via Santa 
	Caterina, invece, tutto diverrà più semplice e più facile;non si 
	affronteranno che spese irrilevanti e sacrifici lievi,non si avrà alcuna 
	espropriazione di proprietà privata.  
	
	Il dibattito fu acceso, vivaci le 
	polemiche.  
	
	L' anno successivo, per i tipi di Eugenio 
	Coco,e forse ad iniziativa del giornale IL PLEBISCITO, veniva stampato altro 
	opuscolo nel quale, rimescolandosi ancora la minestra della costruenda 
	strada, si passavano in rassegna le interminabili tappe e le varie prese di 
	posizione di tecnici e di politici. 
	
	  
	
	  
	
	<<......Noi non sappiamo se il Voto 
	ragionato del prof. Sciuto Patti....sia stato ispirato dalla Curia 
	Arcivescovile, nè se egli sia membro della Società Pia o Circolo di 
	Sant'Agata o Circolo di Sant'Euplio o altro sodalizio, sappiamo però che 
	l'egregio professore non doveva subordinare i suoi doveri di consigliere 
	comunale alle esigenze della Curia che non doveva essere tirata in ballo, 
	sebbene ne conosciamo la prevalenza nelle elezioni politiche ed 
	amministrative.....>>. 
	
	Dopo lunga dissertazione, l'opuscolo 
	conclude con l'auspicio che la bella e grande via dirimpetto l'ingresso del 
	giardino Bellini sia al più presto realizzata, com'è nei voti d'ogni persona 
	amante della propria città.  
	
	Sul finire del 1883,finalmente la 
	decisione. Il Consiglio, disattesa ogni altra decisione, approvò il progetto 
	per l'allargamento di via Santa Caterina fino alle Grotte Bianche (la strada 
	successivamente e in periodi diversi,venne prolungata fino a piazza 
	Iolanda). 
	
	Per la gioia dei pochi,la montagna aveva 
	partorito il classico topolino, e la grande arteria di 34 metri vagheggiata 
	dai molti, in asse con l'ingresso centrale della Villa Bellini, venne così 
	trasformandosi in un budello, di fianco alla Villa stessa.  
	
	Ad alleggerire il peso di tanto 
	affronto,s'incaricò Carlo Sada,realizzando per il RINAZZO una delle sue più 
	rappresentative opere, il palazzo Pancari. 
	
	(di Lucio Sciacca, da "Catania 
	com'era",edizione Ì Faraglioni, 1974) 
	
			  
	
	  
	  
	
	
	  
	  
  			
			
			Palazzo Delle Poste (Francesco Fichera 
			1881-1950) 
				
				 Un corpo decorativo coinvolge all'esterno 
				l'edificio con motivi déco, classici e neobarocchi, visibili nel 
				cornicione, nei capitelli, nei bottoni posti sotto di esso, 
				nella trama dei cancelli, negli ordini architettonici, nei 
				barocchi mascheroni che fuoriescono dalle chiavi di volta degli 
				archi, ma soprattutto nel pesante bugnato rustico che corre 
				lungo la parte basamentale della facciata. All'interno, una 
				grande fascia periferica, destinata agli utenti, circonda un 
				cortile centrale su cui affacciano gli uffici e gli sportelli. 
				Sebbene l'opera di Fichera possa sembrare stilisticamente non 
				interessante, in realtà le sue architetture, mascherate secondo 
				il gusto eclettico alla moda, frutto di approfonditi studi, 
				esprimono il rigore formale nella concezione degli spazi, la 
				necessità della gerarchizzazione degli ambienti e della 
				distinzione delle parti della facciata, nonchè un repertorio 
				vasto di tipologie e di elementi architettonici a cui dare un 
				nuovo stile, oppure... tutti gli stili. 
	  
	
	  
	
	
	  
	
	  
	
	  
	
			
	  
	
			  
	
			  
	
			  
	
			  
	
		
			
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				Il Teatro Metropolitan di 
				Catania è stato inaugurato nel 1954, gli architetti furono gli 
				stessi del Sistina di Roma del quale ricorda molto la struttura, 
				con i maggiori spazi disponibili. Si trova al centro della 
				città. 
				
				Dopo una programmazione mista 
				di Cinema e Teatro da 10 anni ormai la sua attività è 
				esclusivamente teatrale, ospita una rassegna che è ormai 
				arrivata alla trentatreesima edizione e varie altre rassegne, 
				concerti e spettacoli vari organizzati dalla stessa gestione o 
				da altri. 
				
				Attualmente gli abbonati 
				della rassegna principale sono circa 9.000, mentre le presenze 
				complessive durante l'anno si aggirano sulle 200.000 
				
				Per maggiori informazioni: 
				Tel.: 095 322323 - Fax 095 316596  E-mail: info@metropolitan.catania.it 
				
				  
				
				  
				  
			SUGLI AUTOBUS CITTADINI 
			
			A Catania c’è un modo molto 
			divertente per passare il tempo libero. No, non parlo di noiosi 
			Happy Hour (più noiosi dell’aggiornamento di Adobe), di cineforum 
			degni del Prof. Caligaris o di giri in bicicletta in una città che, 
			per sua conformazione “piroclastica”, non è per niente adatta al 
			ciclismo. Si tratta dell’AMT: Azienda Municipale Trasporti, con sede 
			in Catania. Con tutti gli sforzi che si fanno per eguagliare i 
			colleghi europei, forse non dovrei scrivere questo. Ma qui siamo a 
			Catania, siamo speciali. E il percorso, specie quello popolare, è 
			uno sballo! 
			
			Quelli dell’AMT sono da anni in 
			crisi cosmica, non sanno più che pesci pigliare e forse la 
			penserebbero diversamente se sapessero che le loro vetture sono 
			invece popolate da veraci attori che trasformano i loro sedili in 
			tribune e i corridoi del mezzo in palcoscenico. Mancherebbe solo 
			Musco a far da controllore ai clandestini e saremmo completi! 
			
			Pensandola in maniera più 
			ingegnosa, il servizio potrebbe diventare fruttuoso. Che voglio 
			dire? Che per passare un sano pomeriggio di autentica “cultura 
			catanese” basta acquistare un biglietto di un’ora e mezza ad appena 
			1 euro (che vuoi di più, con un euro?), salire su certe, tipiche, 
			linee che già al solo nome dei loro capolinea ti fanno intuire il 
			favoloso tragitto – per niente bello, visto che attraversa triste, 
			malfamata e abusiva periferia - e chi potrebbe salirci sopra per 
			allietarlo e renderlo …. diciamo, più colorito!  
			
			Provateci, obliterate il ticket e 
			mettetevi comodi su una sedia, se la trovate. Non fate caso ai loro 
			ritardi mostruosi, da scriverci pure un romanzo durante le attese, o 
			alle cose che non funzionano all’interno, oppure ai monitor che 
			vedete davanti ai vostro occhi e che vi dicono “next stop: “…. 
			puntini puntini. Volete il sollazzo a un euro? E allora allungate le 
			antenne delle vostre orecchie e ascoltateli bene: sono i pensionati 
			che tornano dalla Pescheria e che si lamentano dei prezzi alti e del 
			Governo ladro; grandi saggi che si trasformano in grandi oratori 
			sfoggiando arringhe interminabili contro Berlusconi, Monti, Bersani 
			(dai, anche Lo Monaco!); e poi personaggi incredibili che raccontano 
			a qualunque sconosciuto, senza nessuna vergogna, le loro disgrazie 
			quotidiane; vecchie pazze (più di quelle di Trastevere) che non 
			hanno più niente da chiedere alla dignità, niente da perdere negli 
			ultimi chilometri della loro vita e quindi tanto da offrire in 
			termini di lecite volgarità agli astanti; madri quindicenni già con 
			due bimbi alle ginocchia, che sembrano suoi fratelli, intente a 
			guardare l’ultimo messaggio FB o a rispondere all’ultima 
			prenotazione del loro ambitissimo lavoro: ricostruttrice di unghie! 
			
			I più riservati sono sempre gli 
			extracomunitari, sempre zitti in dignitoso contegno. Ma gli indigeni 
			sono slavine di fatti personali, valanghe di storielle e fatti 
			privati da regalare a chiunque ne sappia o voglia coglierne il 
			valore! 
			
			Ma questo è niente. Basta 
			allungare un po’ di più l’antenna per captare ancora di più: il menù 
			dell’indomani, le scenate di gelosie, gli scontri con la suocera, le 
			vendette col vicino sulle scale, le corna e i tradimenti, le 
			cambiali andate in protesto, le promesse del candidato a Consigliere 
			di quartiere (vedi che autorità!), i candidati a Sindaco di Catania 
			ca su “unu cchiu latru di n’autru!” 
			
			Una ragazzina tredicenne in 
			rigoroso abbigliamento alla Tatangelo racconta alla sorella del suo 
			fidanzatino di un "pretendente" multimediale: “n’somma, mi visti 
			accussi bedda e scrissi “mi piaci la voglio, la voglio conoscere”. 
			Sempre rivolta alla ipotetica cognata: “U sai comu finiu? Ca sti rui 
			s’ammazzanu e iu eru a bambula, ndo menzu!”. La cognata: C'è capaci 
			ca ti voli? 
			
			Autentico teatro. L'autobus 
			(specie quello catanese) è un palco. Osservando i suoi passeggeri 
			riesci a immaginare le loro esistenze, dagli sguardi fantastichi le 
			loro giornate allegre o dolorose che siano, addirittura riesci a 
			captare il motivo per cui stanno rientrando a casa e .... cosa ci 
			porteranno, o ci troveranno. 
			
			A volte guardo le loro buste 
			della spesa e dal contenuto immagino già tanto, tantissimo. 
			
			Se poi cominciano a parlare (in 
			questo caso) comincia il primo atto come in una commedia di 
			Martoglio e alla fine occorrono pure gli applausi. E se li meritano! 
			
			Man mano che mi avvicino ai 
			Capolinea, gli attori scendono dal bus, mentre vanno incontro alle 
			loro vite disgraziate. Ma forse disgraziate le vediamo solo noi, 
			fragili pessimisti del nuovo millennio, perché …. forse i nostri 
			eroi sono felici lo stesso così, perché forse non capiamo come siano 
			indistruttibili ed immuni alle più catastrofiche crisi economiche, 
			insensibili alle più menegrame previsioni. Perché forse non 
			immaginiamo che vivono alla giornata e il loro obiettivo pro-capite 
			giornaliero è costituito da un etto. Di pasta, di qualsiasi taglio. 
			
			Forse (anzi, è certo) di tutto il 
			resto non gliene frega nulla. Domani si vedrà, e dopodomani pure. 
			
			All’arrivo rimango solo io, col 
			divertito autista, e rifaccio il percorso all’incontrario. Per 
			arricchirmi ancora di più. 
			
			I requisiti del divertimento? 
			Conoscere il dialetto e tanta, tanta, tanta curiosità di conoscere 
			la vera Catania. 
			
			 M.R.  
				
				  
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	angolo Via Andronico 
	
	  
	
	  
	
	  
	
	La necropoli sotto la 
	Rinascente 
	
	  
	di Livio Mario Cortese 
	
	 CATANIA - C'è un mondo nascosto sotto la 
	città. Un mondo che trasuda storia, coperto da altra storia. Catania 
	nasconde un cuore archeologico spesso sconosciuto ma che vale la pena di 
	scoprire, addentrandosi sotto la superficie dove si trovano le testimonianze 
	delle vite precedenti di una città rinata più volte su se stessa, che si 
	intrecciano con la città moderna. 
	
	La Rinascente, via Etnea, pieno giorno. 
	Si scende di qualche piano e, superato lo scarico merci, una porta introduce 
	in un ambiente spoglio e piuttosto freddo, di cemento grezzo. Qui inizia uno 
	spezzone della vastissima necropoli romana di Catania: è venuto alla luce 
	oltre mezzo secolo fa, durante la costruzione dell’edificio. Le sepolture, 
	vuote, si intervallano a tubature e pilastri delle fondamenta; in mezzo si 
	apre un pozzo artesiano. Sulle pareti dei loculi, dove ancora resiste 
	l’intonaco, si possono osservare tracce di colore giallo e rosso. Colpisce 
	il contrasto tra queste pietre e il cemento. “Il ritrovamento risale agli 
	anni ‘50”, ci racconta il dott. Andrea Patanè, della Soprintendenza ai Beni 
	Culturali. “Fu demolito il palazzo Spitaleri-Trigona, danneggiato dai 
	bombardamenti, e sostituito dallo stabile attuale: questo necessitava di 
	piani molto interrati, anche per i pilastri delle fondamenta. Le tombe 
	furono scoperte in quell’occasione, ma già nel 1928 se n’erano rinvenute 
	altre durante la costruzione del palazzo delle Poste”.  
	
	Il centro di Catania sorge quindi su un 
	antico cimitero romano. Negli anni ’60, in epoca di speculazione edilizia, 
	non erano rari episodi simili. “Sotto la zona di via Dottor Consoli e via 
	Androne, scavando altre fondamenta, fu dissotterrata un’altra grossa area 
	sepolcrale, dove spiccava una piccola basilica. Il mosaico pavimentale è 
	stato restaurato ed esposto al Castello Ursino, finché la ristrutturazione 
	degli anni ’90 non ci ha costretti a smontarlo per conservarlo in un 
	deposito, dove si trova tutt’ora”. Il rinvenimento del mosaico riveste una 
	certa importanza storica. “Risale al V secolo d.C., al periodo 
	dell’invasione dei Visigoti; denota tuttavia una forte disponibilità 
	economica per l’ingaggio di artigiani qualificati, in un’epoca pur critica”. 
	
	Altri siti notevoli, l’ipogeo romano di 
	via Ipogeo e quello entro il perimetro di villa Modica: l’uno visitabile, 
	l’altro chiuso al pubblico. Diversi fattori, ci viene spiegato, non ne hanno 
	favorito la visibilità. “Negli anni del boom edilizio”, prosegue Patane’, 
	“la coscienza collettiva su questi fatti era scarsa. Del resto la prima 
	legge sulla tutela dei beni archeologici risale al 1939. Tuttavia, proprio 
	nella necropoli della Rinascente il professor Rizza procedette a operazioni 
	di restauro. I ritrovamenti in viale Regina Margherita sono avvenuti sui 
	terreni già di proprietà dei domenicani, espropriati dallo Stato unitario e 
	poi acquistati dalle famiglie borghesi per costruirvi le famose ville 
	liberty. Oggi, i beni sarebbero tutelati in modo ben più rigoroso, anche se 
	nel caso di villa Modica i proprietari hanno sempre avuto la massima 
	disponibilità verso la Soprintendenza in caso di sopralluoghi”. 
	
	Nell'insieme, la necropoli catanese si 
	estende su tutta la zona a nord dell’anfiteatro e fuori dalle antiche mura, 
	tra Palazzo Tezzano (dove altre sepolture romane sono emerse una ventina 
	d’anni fa) e piazza S.Maria di Gesù. Alcuni luoghi, come quello sotto le 
	Poste, non sono oggi fruibili; altri stanno conoscendo diversi processi di 
	valorizzazione. “Un’idea potrebbe essere quella di proseguire, su questi 
	siti, la collaborazione con l’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali 
	del CNR. Grazie a loro è stato già allestito un modello 3D dell’anfiteatro. 
	Anche le ricostruzioni interattive possono essere utili a mostrare punti non 
	altrimenti visitabili dal pubblico, come alcune parti dell’anfiteatro 
	impiegate come fognatura fino ad epoche recenti”.  
	
	Nell’immediato, la mostra “Catania 
	all’epoca di Agata”, presso il Museo Diocesano, ospiterà alcuni pannelli 
	esplicativi nei quali si parlerà anche delle sepolture sotto la Rinascente. 
	Pannelli analoghi saranno posti nel grande magazzino in via Etnea, vista la 
	volontà della società di rendere partecipi i clienti. Sul piano divulgativo, 
	proseguiranno i piani didattici presentati alle scuole dalla Soprintendenza, 
	comprendenti lezioni frontali e visite guidate nelle aree archeologiche di 
	Catania e provincia. 
	
	31 Gennaio 2017 
	
	
	
	http://catania.livesicilia.it/2016/01/31/la-necropoli-romana-e-la-citta-da-valorizzare-viaggio-nella-catania-sepolta-sotto-i-palazzi_366640/ 
	
	  
	
	  
	
	  
	
		
			
				
				
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				| Palazzo Majorana | 
				Palazzo Papa | 
			 
		 
	 
	
	  
	
	  
	
	  
	
	
	  
	  
	  
	
		
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			CHIESA E RECLUSORIO DEL LUME 
			
			Ciò che rimane della struttura di beneficenza 
			oggi è solo la via Reclusorio del Lume traversa di piazza San 
			Domenico. Sorgeva al posto di questo palazzo un istituto che 
			ospitava le fanciulle disagiate in gran parte orfane che venivano 
			istruite ed educate .Il reclusorio era stato fondato nel 1812 da un 
			gruppo di sacerdoti e finanziato dal duca di Carcaci .L'istituito 
			ospitava oltre 200 fanciulle . 
			
			Costruito dai F.lli Costanzo nel 1967/68, dal 
			1969 il pianterreno e parte del primo pinao divennero la sede della 
			nuovissima facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Catania. 
			
			Annessa al Reclusorio una chiesa:  
			
			-Non ha prospetto perché è nell'interno del 
			Reclusorio, però nel portone della via Androne che guarda a levante 
			si osserva la seguente iscrizione :Reclusorio di M.SS.Del Lume .Su 
			di questa sono le sigle di Maria sormontate da una corona di pietra 
			calcare e da una croce più su.Innanzi agli stipiti del portone sono 
			sculti da un lato due uccellini sotto una stella e dall'altro 
			un'ancora e la iniziale M. 
			
			Passato il portone segue una scala di marmo, 
			indi un uscio a destra che introduce nella sagrestia ove vedesi una 
			lapide con la seguente iscrizione latina : 
			
			(Il sacerdote Martino Ursino consacrò questa 
			cappella più decente dell'anteriore, sé stesso, e questa famiglia 
			alla Madre SS. Del Lume il 10 agosto del 1824 ,anno 22* dalla 
			fondazione dell'asceterio ). 
			
			Dalla sagrestia si passa nella sacra 
			edicoletta di forma esagona ,la quale serve esclusivamente per le 
			sole donzelle orfane ammesse nel Conservatorio. 
			
			Qui ammiransi un altarino sul quale è posta 
			una grande tela rappresentante M.SS.Del Lume, due confessionari, un 
			organo posticcio ed alcuni piccoli quadri . 
			
			A qualche metro dal pavimento si osserva tre 
			grandi gelosie ,ed altre ancora ve ne sono più in su.Sulla volta, 
			dalla quale pende un lampadario, vedesi il monogramma di Maria.
			 
			
			Nel dopoguerra (credo primi anni 60)il 
			Reclusorio, non essendo più in uso da anni,fu abbattuto per la 
			realizzazione di questa struttura 
			
			Nelle foto collage le prime due immagini sono 
			riferibili alla posizione in cui sorgeva il Reclusorio del Lume, 
			mentre nella foto sotto è ben visibile a destra l'edificio non più 
			esistente 
			
			La tela di Maria Santissima del Lume è 
			attualmente conservata nell'omonimo edificio del Corso Indipendenza 
			
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         I
        giardini pubblici
        dedicati al Cigno di Catania 
        L'ingresso
        monumentale del giardino Bellini da via Etnea.Il giardino Bellini è il
        più antico dei quattro giardini principali di Catania. Dai catanesi è
        chiamato a villa e rappresenta la villa per antonomasia. 
        Il
        giardino risale al Settecento ed apparteneva al principe Ignazio
        Paternò Castello, che lo aveva voluto secondo le tipologie di allora
        con labirinti di siepi, statue e fontane a zampillo di foggia tale da
        creare giochi d'acqua. Venne acquistato dal comune di Catania nel 1854
        dagli eredi del principe e venne dato incarico all'architetto catanese
        Landolina di renderlo atto al nuovo tipo di uso. Per far questo vennero
        acquistati degli orti privati adiacenti che incorporati ne ampliarono la
        superficie. Il Viale degli Uomini Illustri ad ovest venne inaugurato nel
        1880 con i busti posti su colonne dei personaggi più famosi della
        storia italiana e catanese, ma già nel 1875 all'inizio del viale era
        stata posta la statua in bronzo di Giuseppe Mazzini.  
		
		
		  
		  
		
		I lavori vennero
        conclusi nel 1883. Il giardino divenne l'abituale meta delle famiglie
        catanesi che vi portavano i bambini a giocare mentre passeggiavano
        conversando con gli amici. L'ingresso monumentale di Via Etnea venne
        realizzato ed aperto nel 1932 e l'anno dopo, alla sommità dello
        scalone, nel piazzale soprastante il tunnel di via Sant'Euplio vennero
        collocate le statue monumentali che rappresentano le arti opera dello
        scultore Domenico Maria Lazzaro. Alla fine degli anni cinquanta venne
        riordinata la zona del tunnel di Via Sant'Euplio e quelle adiacenti. In
        quegli anni venne curato ampiamente l'aspetto floreale ed esperti
        giardinieri creavano veri e propri disegni ed iscrizioni nelle aiuole
        delle collinette gemelle. Poco tempo dopo venne incrementato il numero
        di voliere e di volatili esotici, quindi acquisiti ed allevati anche
        volatili acquatici come anatre e cigni, il cui habitat era stato
        attrezzato nelle grandi vasche e fontane di cui il giardino era dotato.
        Verso il 1960 il giardino divenne anche un piccolo zoo con volatili
        stanziali in libertà ed animali, come varie specie di scimmie, ed
        infine anche elefanti. 
        
		  
          
        il
        padiglione cinese è andato distrutto per un incendio.A partire dalla
        metà degli anni settanta iniziò un progressivo ridimensionamento dei
        fondi stanziati per la manutenzione e la decadenza non tardò a
        manifestarsi. Le piogge rovinarono ampiamente le aiuole in pendenza
        della parte sud del giardino e le piante mal curate inselvatichirono.
        Quelle stagionali scomparvero addirittura. Non miglior sorte toccò agli
        animali che lentamente si ridussero. L'elefante indiano donato alla
        città dal circo Orfei, ultimo sopravvissuto del piccolo ma ricco zoo 
         del Bellini, morì alla metà degli anni ottanta. Il giardino Bellini di
        oggi è classificabile piuttosto come semplice parco alberato;
        nell'ultimo decennio è stato usato per manifestazioni culturali e
        religiose, per concerti canori ma non è più la meta di famiglie e
        bambini.  
          
		
		
		  
		  
        Dopo anni di incertezza e abbandono in cui un incendio di
        origine non chiara ha distrutto totalmente il padiglione cinese posto
        alla sommità della collinetta nord, assieme al suo contenuto in libri e
        documenti, di recente si è ventilata la voce di una sua cessione a
        privati nell'ambito delle nuove politiche economiche del comune. Oggi la
        sua fruibilità è del tutto ridotta a causa di transenne e ponteggi che
        permettono solamente il transito nel senso della lunghezza nel viale
        alberato adiacente la via Sant'Euplio. 
        Uno
        dei quattro gruppi scultorei di D. M. Lazzaro (lato nord-ovest).Già di
        proprietà privata, ha la forma di un rettangolo piuttosto regolare e
        venne aperto al pubblico nel gennaio del 1883. Situato nel centro
        storico della città con l'ingresso principale sulla via Etnea, il
        giardino Bellini si estende su di una superficie di circa 72.000 metri
        quadri. L'ingresso da via Etnea avviene attraverso uno scalone,
        fiancheggiato da aiuole fiorite, che conduce ad un piazzale con al
        ce ntro una grande vasca nella quale nuotano degli eleganti cigni. Sulla
        collinetta che fa da sfondo alla vasca, con un effetto scenografico
        molto apprezzabile, è sistemato un grande orologio il cui quadrante è
        costituito da piantine sempreverdi. Sopra di esso un calendario, che i
        giardinieri modificano ogni giorno, indica mese giorno ed anno. 
        La
        vasca dei cigni, l'orologio floreale ed il calendario; in alto sullo
        sfondo il padiglione della musica.La struttura del giardino nel suo
        complesso è costituita al suo interno da due colline simmetriche e da
        un grande viale che circonda, ad anello allungato, la collinetta nord.
        Concentrico ad esso vi è un altro viale pedonale collegato mediante
        vialetti contornati da siepi a labirinto alle varie piazzole ed aree
        nelle quali insistono grotticelle con giochi d'acqua e luoghi appartati
        con panchine. Alla sommità della collinetta sud è posto un chiosco in
        ferro battuto che contiene un palco per la musica nel quale fino agli
        anni sessanta venivano tenuti dei concerti di musica classica. Alla
        sommità dell'altra vi era un caratteristico chiosco in legno di forma
        circolare orientaleggiante in cui era ubicata una biblioteca. Il chiosco
        era un dono dell'imperatore della Cina. Questo si incendiò alla fine
        degli anni novanta e venne completamente distrutto. Lungo i viali
        secondari sono poste delle statue, fontane, vasche, voliere e chioschi.
        Sul lato ovest, parallelo alla via Salvatore Tomaselli, esiste il Viale
        degli Uomini Illustri, italiani e catanesi, che è fiancheggiato da
        busti, posti su colonne, rappresentanti le maggiori glorie della città.
        Una caratteristica, oggi perduta, erano le numerose grotte in pietra
        lavica al cui interno erano ricavate delle fontane con giochi d'acqua,
        spesso con pesci rossi nella vasca. 
        La
        flora è molto varia e presenta delle specie di provenienza subtropicale
        che si sono acclimatate molto bene. Esistono oltre cento specie diverse
        nelle quali si distinguono le palme presenti in un numero di varietà
        fuori dal comune. Molto presenti anche gli alberi di alto f usto come i
        platani ed enormi ficus magnolia dell'età di centinaia di anni oltre a
        numerose altre varietà di pini e di alberi sempreverdi. 
        Vista
        della vasca dei cigni guardando verso via Etnea dalla parte superiore
        dell'orologio floreale.Intorno agli anni sessanta, per oltre un 
        decennio, al suo interno venne inserito un vero e proprio zoo con
        voliere ricche di molte varietà di uccelli, anatre, oche e cigni nelle
        varie vasche del giardino e pavoni in libertà, rettili e serpenti in
        apposite gabbie e varietà di scimmie ed altri piccoli animali, in un
        apposito recinto, anche alcuni elefantini tra cui un elefante indiano
        donato da un circo di passaggio, come simbolo della città di Catania.
        Le difficoltà economiche e una certa dose di insensibilità tuttavia
        depauperarono lentamente il prezioso patrimonio zoologico che piano
        piano si ridusse a zero e ridussero quello botanico. 
        Recentemente
        nel piazzale principale, posto fra le due collinette, nei mesi estivi
        sono stati organizzati concerti e spettacoli di vario genere ai quali
        potevano assistere anche 20.000 spettatori. 
        Nel
        2006 è stato approntato un progetto di recupero funzionale[1] molto
        contestato perché stravolgerebbe l'aspetto globale architettonico e
        botanico del giardino Bellini[2]. 
        Dopo
        4 anni di chiusura al pubblico per lavori, il giardino Bellini è stato
        riconsegnato alla città il 23 settembre 2010, anniversario della morte
        di Vincenzo Bellini, con una pomposa cerimonia inaugurale che ha visto
        un concerto della banda dei carabinieri nel chiosco della musica da
        lungo tempo inattivo. Lo splendore dell'antico giardino è tuttavia
        offuscato dalla mancanza delle decorazioni floreali che ne costituivano
        l'attrazione e dall'assenza dei cigni di un tempo della grande vasca di
        ingresso, sostituiti da una scultura che rappresenta un gruppo di gru di
        cui molti hanno sottolineato la mancanza di alcuna attinenza col
        passato.[3] 
        Viale
        degli Uomini Illustri [modifica] 
        Il Viale degli Uomini Illustri, posto ad ovest del giardino, fu
        inaugurato nel 1880 con i busti dei personaggi più famosi della storia
        italiana e catanese posti su colonne; già nel 1875 all'inizio del viale
        era stata posta la statua in bronzo di Giuseppe Mazzini. I lavori si
        conclusero nel 1883. Nel corso degli ultimi decenni, a causa
        dell'incuria e della scarsa vigilanza, i busti sono stati oggetto di
        vandalismi ed asportazioni furtive. Dopo la riapertura del 23 settembre
        2010 sono presenti: 
        Luigi
        Capuana Francesco Paolo Frontini Mario Rapisardi Gaetano Emanuel Calì
        Federico De Roberto Nino Martoglio Giovanni Verga Giovanni Grasso 
        Angelo Musco Francesco Pastura Stesicoro Il busto di Francesco Paolo
        Frontini, opera di Mimì Maria Lazzaro del 1957, trafugato negli anni
        ottanta. 
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         Il
        Giardino del tempo ritrovato  
        di
        Carmela Grasso, foto di Antonio Parrinello - da In Viaggio allegato a La
        Sicilia del 30.10.2010 
          
        Speriamo
        proprio di non sbagliarci se, passeggiando in questo autunno al Giardino
        Bellini - la "Villa" appena restituita ai catanesi e a tutti
        quei forestieri che, da tre secoli, vi si rifugiano in cerca di quiete -
        ci viene in mente quella frase "La città del tempo ritrovato"
        il claim, lo slogan, di uno dei tanti centri commerciali sorti come
        funghi nella provincia etnea. Spazi irreali, non-luoghi identici a
        Bolzano come a Ragusa, sfavillanti paesi dei balocchi dove il tempo è
        scandito dagli acquisti di tutti i generi, fatti o rimandati per ragioni
        di portafoglio. Spazi dove non è concesso pensare, tale è
        l'accanimento degli altoparlanti piazzati in ogni angolo. 
        Il tempo ritrovato, invece, crediamo sia qui e adesso, al Giardino
        Bellini dove in una calda mattina d'autunno scopriamo che la Catania
        sempre più frenetica e arrogante sa ancora cedere all'antico sortilegio
        di Madre Natura. Varcati i cancelli della Villa, c'è ancora una città
        che sa ascoltare il silenzio e il fruscio delle foglie all'ombra di
        alberi altissimi, sa rallentare i suoi ritmi, sa guardare in alto o spingersi lontano, fermarsi a leggere
        sotto i platani nella mega-panchina in ghisa che abbraccia il piazzale
        centrale, o spingersi più in alto, su quella piccola acropoli che è il
        piazzale del Chiosco della Musica. La sua seduta circolare è un
        irresistibile invito a divenire protagonisti dello spazio. Intorno è il
        bianco di gelsomini e boccioli di candide rose botaniche. 
         
        Quanti amori e
        promesse immaginiamo dentro questo cerchio magico. L'Etna, con il suo
        filo di fumo, giganteggia immobile sempre a nord, mentre questo
        monumento vegetale vivente, muto testimone delle stagioni, questo
        "bene da vivere" che è il Giardino Bellini racconta nuove
        storie: se i giovani siciliani la percorrono al ritmo della corsa -
        isolati dal mondo nel limbo del proprio Ipod - almeno tre continenti si
        danno appuntamento fra i suoi viali profumati di lavanda. Le lingue
        straniere si intrecciano fra loro, mentre i più giovani - bianchi, neri
        o gialli - hanno già assimilato la sicula cadenza. Un tempo, quello da
        "ritrovare" alla Villa Bellini, che lo contiene tutto:
        passato, presente e futuro. È memoria collettiva - di un'intera
        comunità - e memoria individuale quella singola la singola, e a volte
        intimissima, di ognuno di noi, legata com'è alle persone care della
        nostra vita e agli istanti intensi trascorsi con loro fra il verde di
        questi viali. 
        
        Un tempo e una storia "ritrovate" anche per il Giardino
        Bellini che, frutto dell'accorpamento in tre periodi diversi di tre
        differenti parchi privati, ha portato l'autrice del progetto di
        restauro, l'architetto romano Marina Galeazzi, a condurre
        quell'indagine storica e scientifica su genesi e trasformazioni del
        giardino mai redatta in quasi trecento anni di vita del parco. Una
        ricerca tra biblioteche civiche, archivio di Stato e collezioni private,
        con il supporto del Dau, il Dipartimento d'Architettura dell'Università
        di Catania, recuperando documenti storici e inediti che hanno fatto da
        viatico alla stesura di quello che è il primo restauro filologico dal
        1854 a oggi. "Un'operazione complessa - spiega la Galeazzi - alla
        costante ricerca di un ragionevole equilibrio tra la conservazione del
        giardino, storicamente inteso, e il progetto di architettura quale
        strumento privilegiato in grado di rivelare l'istanza contemporanea e,
        al tempo stesso, l'essenza del luogo-giardino".  
        Un
        restauro, tuttavia, che nonostante il plauso di uno fra i maggiori
        paesaggisti italiani come Marco Dezzi Bardeschi e di uno storico come
        Giuseppe Giarrizzo, si è scontrato con la memoria personale di un
        attivo comitato di cittadini che, dopo lunghe trattative, è riuscito ad
        apportare modifiche, nel segno della tradizione, all'originario progetto
        della Galeazzi più dinamico e creativo tanto da essersi conquistato un
        posto di rilievo nella graduatoria europea del bando. Per quanto ci è
        dato ricordare, gli ultimi quarant'anni sono stati i più infelici per
        la Villa: animali in gabbia e cigni trucidati da balordi, auto in
        transito e in sosta, statue sfigurate, chiassose bancarelle per la Festa
        dei morti, giostrino dalle musiche assordanti e infine, nel 2001,
        l'incendio della palazzina cinese e della sua biblioteca, dove - si
        spera presto - potrebbe nascere un'esclusiva caffetteria circondata dal
        verde e in pieno cen-tro storico. Un po' di nostalgia la vivono di certo
        quei vecchietti che, tra le panchine del grande piazzale centrale -
        destinato a concerti ed eventi della città -rimpiangono quei
        curatissimi decori vegetali dove figurava sempre "la musica" -
        come ce l'ha definita in confidenza uno di loro - ovvero la chiave di
        violino, il simbolo dell'arte di Vincenzo Bellini. Se è vero che
        occorre aspettare la primavera perché il fianco della collina si
        ricopra per bene - le essenze appena trapiantate sono ancora basse e non
        in fioritura - è anche vero che di maestri giardinieri, come i dieci in
        dotazione alla villa fino a qualche decennio fa, non ne esistono quasi
        più. 
        Fra le novità introdotte dal restauro ecco scoperchiata la scala a
        lumaca dell'antica casina del principe Biscari che finora è stata
        celata alla vista ed era accessibile, a discrezione dei custodi, da un
        portoncino al piano inferiore. 
        Rinvenuta
        poi un'altra scala che conduceva alla stessa dimora e che adesso,
        sottoposta a un accurato intervento di recupero, è percorribile da
        tutti i visitatori e costituisce una emozionante "ascesa" al
        grande piazzale. Sfoggiano un bel naso nuovo, infine, le statue dei 47
        uomini illustri deturpate dai vandali. Le associazioni di volontariato e
        le istituzioni si preparano a una inedita "gestione condivisa"
        della Villa, mentre i bambini attendono la primavera per testare i nuovi
        giochi loro promessi. Adesso che la città ha ritrovato la
        "sua" Villa - e uno spazio dove recuperare la qualità della
        vita - sarà il caso di cedere il passo a Madre Natura e lasciarle tutto
        il tempo di esprimersi. Come ha già fatto con il secolare Ficus
        Magnolioides, il grande patriarca vegetale dalle possenti radici aeree
        eletto dai bambini delle ultime generazioni - quelle che non si fanno
        più ritrarre immobili, con l'abitino della festa e le aiuole ornate
        alle spalle - il "più fantastico gioco" della Villa.  
		  
		
		
		  
		  
        
          
            
              | 
                 a
                
                  
        
         Il
        ristoro del Principe 
        In origine tu il giardino privato del
        Principe di Biscari Ignazio Paternò
        Castello, che nel 1719 edificò su una delle collinette anche una casina
        di cui non si hanno più tracce eccetto la scala riportata alla luce nel
        corso dei restauri oltre a un labirinto a cielo aperto con schiere di
        cipressi che in altre epoche è stato confuso con il criptoportico
        sotterraneo, la cui pianta - dopo l'intervento di restauro - è
        identificabile oggi al piano della passeggiata da un percorso di
        ciottoli bianchi. Quindi l'area ottocentesca definita dall'architetto
        Filadelfo Fichera con il sistema dei tre viali sull'antico impianto
        dell'orto benedettino del San Salvatore e evidenziata lungo la via
        sant'Euplio dalle cancellate in ghisa il cui cromatismo rimanda allo
        stile francese come il marchio di fabbrica delle straordinarie e
        aggraziate statue muliebri che ai lati del chioschetto della musica
        indicano le quattro stagioni. Ultimo ambito spazio-temporale quello del
        Novecento, con il "giardino di pietra", all'ingresso da via
        Etnea, progettato da Giuseppe Samonà, l'architetto e urbanista palermitano che nel 1930 vinse il
        concorso per la sistemazione della Villa per la quale realizzò anche il
        ponte sulla via Sant'Euplio. 
          
        
		
		  
         Se si esclude una perizia realizzata da
        Sebastiano Ittar nel '700 l'ultimo atto ufficiale, colto e di rilievo
        sul Giardino Bellini è quello di Guido Libertini dei 1931, in occasione
        della Mostra del Giardino Italiano di Firenze. Una guida di Catania dei
        1899 paragona infine la veduta dalle due colline, quelle dell'ex
        palazzina cinese e del chiostro della musica, all'emozione che si prova
        a Roma dalla spianata del Pincio o a Firenze da Piazzale Michelangelo.
        "I viali di questo giardino - è scritte. - sono diversi e
        tortuosi, fittamente ombreggiati e tracciati tanto sul pendio delle due
        collinette come nei punti piani della villa. Diversi ponticelli,
        costruiti con vera eleganza, i sottopassaggi, un tunnel, le aiuole
        fiorite, i praticelli erbosi e ricchi di ogni specie di fiori, la
        fontana, il piazzale che divide le due colline, tutto si fonde per
        trasformare questo meraviglioso giardino in un luogo di delizie".
        (c.g.) 
               | 
             
           
         
          
		  
          
								
								  
		
		  
		  
		  
        
		  
          
          
        COME
        LA VEDE FRANCESCO RACITI 
          
        
		
		  
        
		  
		
		
		
		BREVE STORIA PER I 60 ANNI DI UN GRANDE OROLOGIO  
		
		
		di 
		GIOVANNI SAGUTO (dalla pagina Facebook di Franz Cannizzo)
		
		https://www.facebook.com/franz.cannizzo 
		
		
		Era l’autunno del 
		1961, avevo appena compiuto 14 anni, mio fratello Alberto studiava a 
		Roma e, come ogni pomeriggio, non avendo altro da fare dopo i compiti e 
		dopo la tv dei ragazzi, mia madre mi spediva in negozio da papà con un 
		perentorio “vai ad aiutare tuo padre”.  
		
		
		Allora papà aveva 
		aperto da qualche anno un piccolo negozio di fronte la Villa Bellini e 
		solo da poco eravamo andati ad abitare a pochi passi, bastava 
		attraversare la via Etnea ed ero già arrivato. 
		
		
		Uno di questi 
		pomeriggi venne in negozio il sindaco di allora,  
		
		
		l’avv. Salvatore 
		Papale, con la sua signora. Dopo i convenevoli di rito, il sindaco cavò 
		da una tasca del cappotto una cartolina a colori con un magnifico 
		orologio floreale ritratto sulla sponda del lago di Ginevra. “Cavaliere, 
		disse il sindaco, desidero che provveda all’istallazione di un orologio 
		identico a questo sopra la vasca dei cigni al Giardino Bellini”. 
		 
		
		
		Immagino che papà, a 
		queste parole, abbia avuto un sussulto non indifferente, ma, 
		conoscendolo, non si scompose minimamente e con grande sicurezza disse 
		che avrebbe provveduto nei tempi stabiliti e prima della Festa di S. 
		Agata. 
		
		
		Fino a quel momento 
		la nostra famiglia si era interessata alla produzione di orologi da 
		campanile e poi da salone, ma mai di orologi “floreali”. 
		 
		
		
		Papà chiese subito 
		consiglio a suo fratello,il mitico zio Mimì, trasferitosi a Roma da 
		molti anni, ex professore di orologeria nonché orologiaio del Quirinale, 
		il quale lo indirizzò ad una fabbrica svizzera, la Favag di Neuchatel. 
		
		  
		
		  
		
		
		In brevissimo tempo 
		ricevette il preventivo che fu subito approvato dal Comune di Catania; 
		fatto l’ordine, finalmente, dopo un paio di mesi, arrivarono diverse 
		casse di legno con all’interno i vari componenti dell’impianto ed i 
		manuali del montaggio rigorosamente in francese.  
		
		
		Toccò a me 
		intervenire, visto che l’avevo studiato a scuola e poi avevo anche fatto 
		la Scuola Radio Elettra per corrispondenza, quindi due fili li sapevo 
		pure giuntare senza fare danni. 
		
		
		Ricordo con grande 
		affetto il direttore del Giardino Bellini, dott. Malerba, personaggio 
		sanguigno ed autoritario, che, con grande efficienza, attivò tutte le 
		maestranze disponibili per la collocazione del macchinario, i 
		collegamenti, e la realizzazione del quadrante con vari tipi di 
		piantine.  
		
		
		Questo orologio fu 
		collocato al posto del calendario il quale fu spostato un po’ più su 
		sulla collinetta e, per renderlo più visibile, fu accorciata la colonna  
		che regge il busto di Bellini. 
		
		
		Prima della messa a 
		dimora del macchinario bisognava fare le prove di funzionamento, 
		cosicché mio padre ed io, con l’aiuto del dott. Malerba e di alcuni 
		giardinieri, dopo la chiusura al pubblico della Villa, montammo tutto 
		l’impianto in un angolo del piazzale del palco della musica. 
		 
		
		
		Non potrò mai 
		descrivere l’emozione che provai nel vedere partire quelle enormi 
		lancette per posizionarsi all’ora stabilita ed andare avanti, dopo la 
		collocazione definitiva nella sua dimora, secondo dopo secondo, fino ai 
		giorni nostri. 
		
		  
		
		
		  
		
		
		I festeggiamenti in 
		onore della Santa erano già cominciati, era il pomeriggio del 2 febbraio 
		del 1962, le enormi luminarie erano state collocate, bisognava accendere 
		il tutto ed inaugurare l’orologio floreale. Fu una cerimonia breve ed 
		intensa e qui i miei ricordi si confondono tra i discorsi di circostanza 
		del Sindaco Papale, dell’assessore ai Giardini Pubblici La Rosa ed i 
		flash dei fotografi quando si scopre che il quadrante era completamente 
		buio ed i piccoli faretti istallati per renderlo più visibile non erano 
		sufficienti.  
		
		
		Panico totale, ma 
		non c’era nulla da fare, io ero comunque strafelice per la riuscita del 
		mio lavoro e con me mio padre, ma lui, come era suo stile, non lo dava a 
		vedere". 
		
		  
        
		
		  
          
          
		
		
		LA MERIDIANA POLIEDRICA TRA GLI UOMINI 
		ILLUSTRI.jpg)  
		
		 Percorrendo il Viale degli Uomini Illustri, 
		giunti nello slargo che sovrasta il Piazzale delle Carrozze, ci 
		imbattiamo in una colonna che sorregge uno strano poliedro. Si tratta di 
		un orologio solare invero particolare, perché ha la forma, insolita per 
		una meridiana, di un dodecaedro regolare, cioè di un poliedro con dodici 
		facce marmoree pentagonali. 
		
		 Le due facce orizzontali non possiedono 
		indicazioni: quella inferiore perché di appoggio sulla colonna; quella 
		superiore perché non visibile da chi osserva l’orologio. Su ciascuna 
		delle restanti dieci, sono incisi gli alloggi per gli gnomoni (le 
		asticciole di opportuna lunghezza la cui ombra indica le ore sulle 
		meridiane) e i quadranti solari (le meridiane e le relative indicazioni 
		orarie). Gli gnomoni originali, andati perduti o trafugati, non sono 
		stati rimpiazzati; le meridiane e le ore sono invece ancora ben marcate 
		e visibili. 
		
		 Invece che di un singolo orologio, sarebbe dunque 
		più corretto parlare di dieci distinti orologi solari, che, grazie alla 
		loro diversa inclinazione, potrebbero fornire le indicazioni orarie per 
		l’intero arco diurno e per tutto l’anno solare. Tuttavia, ad oggi, 
		l’orologio non è utilizzabile, sia perchè privo degli gnomoni, sia 
		perchè posizionato ignorandone il corretto orientamento. 
		
		 Alcuni studiosi ritengono che la manifattura sia 
		ottocentesca, attribuendo l’opera agli astronomi tedeschi Peters e 
		Sartorius, autori di importanti meridiane ad Acireale e a Catania, nel 
		periodo dal 1840 al 1843. Altri invece ritengono più probabile la 
		provenienza dal sistema delle decorazioni del preesistente, 
		settecentesco, “Labirinto Biscari”. Quest’ultima ipotesi sembra 
		avvalorata sia dallo stile dei numeri incisi sul poliedro, sia dalla 
		fattura e dal materiale della colonna di sostegno. E’ molto probabile 
		infatti, per quest’ultima, una provenienza archeologica, verosimilmente 
		dal Teatro Romano di Catania, indagato, negli anni '70 del settecento, 
		proprio dal principe di Biscari. 
		
		 (foto e testo di Roberto Leone) 
		
		  
		
		  
		  
		
		  
		
		  
		
		IL FICUS MONUMENTALE DELL’INGRESSO 
		NORD 
		
		 Il Giardino Bellini ospita alcuni alberi di 
		provenienza subtropicale che si sono acclimatati molto bene. Accedendo 
		al Giardino dall’ingresso prospiciente la Piazza Roma, sulla parte 
		destra dello slargo d’ingresso, è possibile ammirare un maestoso 
		esemplare di Ficus magnolioides (specie nota anche come Ficus 
		macrophylla). Quest’albero, ormai più che centenario, fu messo lì a 
		dimora attorno al 1860. Esso sovrasta in altezza tutti gli alberi 
		circostanti e il diametro del suo fusto misura quasi 6 metri. 
		
		 La specie è originaria delle foreste pluviali 
		dell’Australia Orientale e, nel proprio habitat naturale, può 
		raggiungere i 60 metri di altezza. E’ stata introdotta in Italia nella 
		prima metà dell’Ottocento, trovando dimora in diversi orti botanici e 
		parchi cittadini, a scopo soprattutto ornamentale. Le sue dimensioni, la 
		conformazione e gli intrecci della chioma e del fusto, lo sviluppo di 
		radici aeree, rendono infatti suggestiva la sua presenza nel verde 
		urbano. 
		
		 In Sicilia questi alberi hanno trovato condizioni 
		climatiche e di luminosità particolarmente favorevoli. Oltre a quello di 
		Catania, si possono ammirare altri imponenti esemplari a Siracusa nella 
		zona archeologica, a Trapani presso la Villa Margherita, e a Palermo 
		presso la Villa Garibaldi e l’Orto botanico. 
		
		 (testo di Roberto Leone) 
          
SOTTO QUEST'ALBERO FU GIRATA UNA SCENA 
DEL FILM "MIMI' METALLURGICO" 
		
		
		  
		  
		  
          
        
		
		  
          
        
		
		
		 LA 
		FONTANA OTTAGONALE DELL’INGRESSO SUD  
		
		  
		
		Numerose fontane artistiche impreziosiscono, con i 
		loro giochi d’acqua, il verde del Giardino Bellini. Entrando nel 
		Giardino dall’ingresso di Via Salvatore Tomaselli, ci accoglie la 
		fontana ottagonale riportata in fotografia.  
		
		 La fontana è semplice nelle forme, ma elegante ed 
		eclettica nel gusto. Il basamento e la vasca di terra hanno sezione 
		ottagonale; il profilo della vasca presenta una parete liscia, con un 
		accenno di gradino, ed un parapetto con modanature curve. Dalla vasca si 
		erge una colonna decorata con tori e scozie, che regge un catino 
		polilobato quadrangolare da cui l'acqua deborda raggiungendo la vasca di 
		terra. Lo zampillo sommitale scaturisce da un ulteriore elemento 
		sagomato, posto al centro del catino. Il materiale impiegato per tutti 
		gli elementi pare essere un tipo di travertino o comunque una pietra 
		dura.  
		
		 Si intuisce subito che questa fontana, semplice e 
		al contempo elegante, abbia avuto un nobile passato e che sia stata 
		probabilmente smontata e ricollocata in quel punto per decorare 
		degnamente il Giardino. Incerta è però la sua provenienza: alcuni 
		studiosi ritengono che essa sia il riciclo di una perduta fontana 
		ottagonale che fu prezioso elemento del preesistente “Labirinto Biscari”; 
		altri invece che un tempo essa ornasse il chiostro del Convento di San 
		Giuliano in Via Crociferi.  
		
		 (foto e testo di Roberto Leone) 
		
		  
		  
          
        
		
		  
          
          
          
        
		
		  
          
        
		
		  
          
        
		
		  
          
        
		
		  
          
		
		  
          
		
		
		
		  
          
          
		
		
		  
		  
        IN
        MEMORIA DI GINO E TONY 
          
        la
        Villa nella mente (di
        Tano Giuffrida ) 
         http://www.psicogiardinaggio.it/alberta/la%20villa%20nella%20mente.htm  
        La
        Villa nella mente del Catanese è il luogo della fanciullezza, dell’oasi
        in cui rifugiarsi durante la calura estiva, dove rilassarsi e svagarsi a
        contatto con la natura, con le cose belle e pacifiche, con il
        sonnecchiare, con il dolce schiamazzo dei giochi dei bimbi; il luogo
        dove meditare sull’umana esistenza e sul suo senso.
		
         
        Ma
        non solo, la Villa è anche il luogo dei primi amori, delle coppiette
        abbracciate su panchine tranquille e appartate, delle fontane, delle
        vasche d’acqua con ninfee e papiri, delle fontanelle con acqua fresca
        dove d’estate prendere un sorso di refrigerio. 
        Il luogo dove andare quando si marina la scuola, il luogo dove dare un
        appuntamento ad un caro amico e con lui trascorrere dei piacevoli
        momenti, magari sorseggiando un selz con sciroppo e limone seduti vicino
        il chiosco delle bibite. 
        
		Un
        giardino amorevolmente progettato, sapientemente coltivato e amato dai
        rispettosi visitatori, un punto d’incontro all’interno di una città
        in perenne scontro, un punto di tregua e pace fisica e spirituale. 
        
		Al
        suo interno, un tempo, il gazebo era il luogo dei concerti di musica d’arte,
        e la palazzina cinese il tempio della cultura, dove venivano raccolti e
        messi a disposizione di tutti i libri... i libri, questi strani oggetti,
        destinati a bruciare con tutto il loro contenitore, come accade alla
        famosa biblioteca di Alessandria: anche Catania ha avuto il suo rogo
        forse meno famoso, ma altrettanto significativo del degrado mentale. In
        una palazzina 
		
		 completamente costruita in legno ripiena di libri,
        lasciata all’incuria del tempo con scarsissima manutenzione e nessun
        sistema antincendio, come si fa a pensare che un bel giorno non bruci
        tutto? no, non può accadere... e se per caso dovesse accadere, certo
        non si tratterebbe di un evento calcolato bensì di una disgrazia! 
        Per ogni Catanese di una certa età la scimmia Gina era più famosa di
        Cita, la scimmia di Tarzan: sì, è vero Gina era prigioniera in una
        gabbia, ma era coccolata e corteggiata più di una star e questo di
        sicuro la faceva vivere bene. 
        In
        quella Villa i pavoni erano animali domestici come le galline, liberi di
        girare tra gli altri abitanti del giardino; i cigni sguazzavano
        tranquilli nella grande fontana, mentre in altre vasche c’erano
        trampolieri e pellicani, e grandi voliere ospitavano svariati pennuti di
        ogni specie. La cronaca racconta che molti di quei volatili diventarono
        prede di caccia notturna per cittadini bracconieri improvvisati. 
        Grande
        evento fu l’arrivo di un elefante. Per lui fu costruito un recinto
        senza sbarre, e solo un piccolo fossato lo separava dai visitatori. La
        solita imbecillità umana non tenne conto che quello non era il suo
        habitat ideale: il fatto che il simbolo della città di Catania fosse un
        elefante non servì a proteggerlo per nulla e il tentativo di
        trasformare la villa in zoo finì con la morte del povero elefante poco
        tempo dopo.  
        Oggi
        accade spesso che si organizzino all’interno della Villa
        manifestazioni, anche valide, ma che attirano migliaia di partecipanti
        tutti insieme e per svariati giorni consecutivi, al termine dei quali
        tutti si meravigliano e gridano allo scandalo che non è rimasto più un
        filo d’erba, addossando la colpa dell’inciviltà ai partecipanti, di
        sicuro vandali o unni. 
					  
					Tony vi fu portato 
					anestetizato perchè la prima volta si pensò di portarlo alla 
					Villa in "corteo", lo ricordo perchè ero presente, corteo 
					che partì da piazza Alcalà (odierna piazza 
					Falcone-Borsellino) - dove stanziava il circo Togni - ma 
					giunto in piazza duomo, l'elefante si imbizzarri e vi fu un 
					fuggi fuggi generale, io e mia nonna, assieme ad altri 
					catanesi che assitevano al corteo, ci rifugiammo all'interno della villetta 
					della cattedrale chiudendo i cancelli 
					.L'elefante inferocito 
					distrusse alcune macchine parcheggiate vicino palazzo dei 
					Chierici e dopo un bel po' i domatori del circo Togni 
					riuscirono a prenderlo e quindi portarlo di nuovo nella 
					gabbia del circo sita in piazza Alcalà. Per questo si decise 
					di portare l'elefante al Giardino Bellini così come lo si 
					vede nella foto. 
					Turi Salvatore Giordano  
		  
		
		
		  
          
		
		  
		
		Gli elefanti pervenuti a Catania 
		furon due. cominciamo con il piu' noto e cioe' ""tony da villa"", 
		regalato dal circo darix togni(poiche' era gia'avanti con l'eta',arrivo' 
		a ct nell'agosto del 1965 e mori' quasi due anni dopo nel maggio del 
		1967. 
		
		Solo pochi sanno e' il fatto che a 
		catania prima diedero il nome tony (maschilismo imperante) e solo dopo 
		si accorsero che si trattava di un'elefantessa...pertanto..tony da villa 
		era una antonina.ma fu il secondo elefante arrivato a ct, infatti nel 
		1890 l'imperatore dell'etiopia """menelik""regalo' al re d'italia 
		umberto I ,un elefantino,poiche' si trattava di un dono molto 
		ingombrante da gestire,venne regalato a catania visto che' era l'emblema 
		del suo stemma. i catanesi lo accettaron benissimo e lo chiamaron in 
		onore di menelik """minnulicchiu""".ma ahime' duro' solo pochi giorni  e 
		mori.per finire rispondo a coloro che confondevano tony da villa con 
		gino da villa. 
		
		  
		
		  
		
		  
		
		sempre negli anni 60,quando catania 
		era chiamata"" la milano del sud"" e la nostra villa era 
		bellissima,pulitissima ed ospitava tantissimi animali,c'eran pure delle 
		scimmie.la piu' famosa fu proprio ""gino"" ginu da villa""era un 
		esemplare maschio infatti  venne pure chiamato ""u vastasu"""poiche' 
		amava sempre grattarsi....i gioielli di famiglia . 
		
		per finire ,da queste nostre 
		meravigliose storie di animali a catania , son venuti fuori due modi di 
		dire tipicamente catanesi"""minnulicchiu"" e ""si chiu lariu di ginu da 
		villa""....sperando di esser stato chiaro ...esaustivo ed aver risposto 
		alle vostre domande 
		
		Gianni Sineri. 
		  
		  
		
		
		  
		  
        O
        piuttosto la colpa non è degli organizzatori, o di chi ha dato il
        permesso criminale di realizzare là dentro certe attività di massa? 
        Villa
        Bellini. A Catania tutto è dedicato a Vincenzo Bellini, grande
        musicista... ma Bellini ha vissuto e composto la sua musica a Parigi,
        avendo passato ben poco tempo nella città etnea. Non basta aver dato la
        natività ad un uomo illustre per potersene vantare, bisogna avergli
        dato anche qualcos’altro per poterlo osannare come rappresentativo del
        buon Catanese e per dedicargli ogni cosa, piazze, palazzi, monumenti,
        ville, pizze, pasta e torte. 
        Oggi
        la Villa ha la sua importanza solo nell’immaginario collettivo del
        Catanese, poiché sembra che ormai non importi più a nessuno di lei.
        Magari prima o poi qualcuno proporrà di fare in sua vece un bel
        posteggio, così utile in pieno centro... o meglio ancora, un centro
        commerciale... questo sì che sarebbe un servizio di pubblica utilità!! 
        Tanto
        a Catania il verde è sempre stato scarso e se si elimina il poco
        sopravvissuto si aiuta a completare un processo naturale di
        desertificazione. 
		
		
		__________________________________________________  
		  
		
		L'elefante Menelik 
		
		Il primo elefantino ospitato 
		all'interno del Giardino Bellini. 
		
		Nel 1890, dopo il trattato di 
		Uccialli, il negus Menelik II, in segno di amicizia, inviò in dono al re 
		d'Italia Umberto I un piccolo elefante. 
		
		Il sovrano, a sua volta, regalò il 
		pachiderma alla città di Catania, perchè nel suo stemma ha appunto un 
		elefante. 
		
		La notizia della decisione reale 
		venne accolta con entusiasmo dai catanesi, pochissimi dei quali avevano 
		mai visto un elefante, ma con minor giubilo dalle autorità comunali, 
		alle quali il dono del re pose subito dei gravi problemi: dove sistemare 
		il bestione? 
		
		Fu allestito alla meglio un recinto 
		in uno spiazzo del giardino Bellini in attesa di costruire un gabbione. 
		L'elefante, subito battezzato dalla popolazione con il nome di Menelik, 
		giunse in treno a Catania nella prima metà di giugno. Sfilò, seguito 
		dalla folla, per le vie della città fino al giardino Bellini dove fu per 
		pochi mesi motivo di curiosità. 
		
		Morì prima dello scadere dell'anno 
		perchè- si scoprì poi- la sua cella era umida e buia, e perchè lo 
		cibavano di erbe malsane. Fu imbalsamato e sistemato nel salone 
		dell'istituto di Zoologia dell'università, in via Androne, dove ancora 
		oggi si trova. 
		
		 Enc. di Catania Tringale Editore 1987 
		
		  
		
		   
		Piazzale delle Carrozze  | 
     
   
  
 
  
      
        
  	
   
  
  
    
      
        
          
            
              
                I
                NUMERI DEL GIARDINO BELLINI 
                  
                Superficie
                totale Mq.61640 
                Illuminazione: a copertura totale buona. 
                Arredo: panchine e beverini omogeneamente
                divisi lungo la superficie. 
                Pavimentazione strade e vicoli: 60% asfalto; 25
                % mattonelle d'asfalto. 
                Pavimentazione con mosaici: 15% presenti lungo
                i viali della collina nord e della collina del datario. 
                Attrezzature sportive: presenti lungo il
                perimetro comprendente anche strutture per portatori di
                Handicap. 
                Servizi igienici: siti presso collina nord lato
                entrata piazza Roma. 
                Fontane:
                entrata piazza Roma "Samaritana" entrata via Etnea
                "Vasca dei Cigni". 
                Bambinopoli: sita di fronte collinetta nord. 
                Verde fruibile: parziale solo dove presenti
                attrezzature sportive. 
                Alberate presenti in N°711: Platani, Schinus,
                Ficus m., Ficus e., Ficus M., Nerium o., Ligustrum J., Ligustrum
                v., Pino p., Pinus r., Chorisia s., Casalpina t., Sophora j.,
                Sophora p., Araucaria e., Araucaria c., Araucaria b., Erytrina
                f., Brachichiton a., Grevillea r., Ceratolina s., Citrus a.,
                Phytolacca, Ulmus c., Magnolia g., Merita d., Cedrus d.. Albero
                secolare :Ficus Magnolideis situato entrata lato Piazza Roma.
                Palmizi presenti in N°247: Phoenix c., Phoenix d., Phoenix r.,
                Phoenix ro., Chamaerops h., Trachicarpus f., Washigtonia f.,
                washigtonia r., Livistona c., Livistona a., Erythea a., Howea
                f., Cycas r., Dracena d., Cordyline i., Yucca e. 
                Aperture
                e chiusura parco: a
                cura del V° Servizio Tutela Verde Pubblico nei seguenti orari
                estivo " 06.00-23.00 ", primaverile autunnale "
                06.00-22.00 ", invernale " 06.00-21.00 ". 
                Impianto
                d'irrigazione: automatico
                telecontrollato 
                  
                
				
				  
                  
                La
                Villa Bellini 
                Per
                i catanesi il Giardino Bellini è semplicemente ‘a Villa,
                luogo di svago, di relax, di passeggiate e di incontri. 
                Occupa, nel suo complesso, una superficie di 70.942 mq
                all'interno della quale si dispongono, aiuole fiorite, piazze
                per manifestazioni sportive e musicali, panchine per il riposo e
                la lettura, viali ombreggiati e fontane. Una parte dello spazio,
                oggi occupato dalla villa, costituiva l'antico‘Labirinto',
                pittoresco giardino che circondava un edificio realizzato, nel
                ‘700, da Ignazio Paternò Castello principe di Biscari.
				
                 L'abitudine di
                costruire giardini con percorsi intricati nei quali gli ospiti
                si potessero facilmente smarrire, era una delle tante mode
                diffuse nell'Europa del Settecento quando si fondevano e
                convivevano la razionalità e la fantasia, il gusto per le
                ‘meraviglie' e il rigore scientifico. Intorno alla metà
                dell'Ottocento il Comune di Catania acquistò la villa della
                famiglia Paternò Castello per costruirvi un parco pubblico.
                Negli anni successivi furono acquisiti nuovi terreni per dare
                ancora più spazio al giardino e consentire alla popolazione
                catanese di recarsi in un grande luogo verde, ricchissimo di
                decorazioni floreali, palmizi, alberi centenari e fontane.  
				  
				
				
				  
				  
				  
				
				 Tra
                le pagine di una breve ma essenziale guida di Catania, edita nel
                1899, troviamo una gustosa descrizione del giardino che, sin
                dalla sua apertura, fu considerato uno dei più belli d'Europa.
                "Il Giardino Bellini - leggiamo nella guida - è il ritrovo
                più simpatico e ameno della città. La sua posizione è
                incantevole. Da due collinette, che si ergono nel centro e che
                sono divise da un ampio piazzale, si domina buona parte della
                città, la distesa del mare e lo spettacolo maestoso dell'Etna.
                Per questa diversità di panorami che offre, il Giardino di
                Catania è considerato come uno dei migliori d'Europa. Chi
                guarda da una delle due colline, prova le stesse impressioni di
                chi sta a guardare Roma dalla spianata del Pincio o Firenze dal
                piazzale Michelangelo. I viali di questo giardino sono diversi e
                tortuosi, fittamente ombreggiati e tracciati tanto sul pendio
                delle due collinette, come nei punti piani della villa. 
                
				Diversi
                ponticelli, costruiti con vera eleganza, i sottopassaggi, un
                tunnel, le aiuole fiorite, i praticelli erbosi e ricchi di ogni
                specie di fiori, la fontana, il piazzale che divide le due
                colline, tutto si fonde per trasformare questo meraviglioso
                giardino in un luogo di delizie. Nell'estate vi si godono
                pomeriggi freschi, col riparo degli alti ed ombrosi alberi:
                meravigliosi tramonti per la calda orientale vivacità dei loro
                riflessi; le 
				 serate si passano deliziosamente, quando sciami di
                signore popolano la villa illuminata fantasticamente e
                riccamente". Queste parole possono, ancora oggi, essere
                considerate pertinenti; l'atmosfera che si respira nella villa
                Bellini è la stessa che animava l'entusiasmo del nostro
                scrittore di guide. Nel 1932, l'antico ingresso sulla via Etnea
                venne reso monumentale; sempre quell'anno fu innalzato il
                cavalcavia sulla via Sant'Euplio e fu realizzata la grande vasca
                circolare nella quale vennero messi a dimora alcuni bellissimi
                cigni bianchi. 
				
				Nel 1933 l'artista M.M. Lazzaro collocò nel piazzale
                dell'ingresso principale le statue che personificano le arti. 
                Negli ultimi anni la villa Bellini accoglie spettacoli
                prestigiosi che allietano le serate dei catanesi e dei
                visitatori italiani e stranieri. 
                Bibliografia generale AA.VV., Enciclopedia di Catania, Catania
                1987. 
                Guida di Catania e provincia, a c. di N. Recupero, Catania 1991. 
                Villa
                Bellini è il principale giardino pubblico della città. Occupa
                una superficie di 70.942 mq e deriva, attraverso vari processi
                di ampliamento e riadattamento, da un antico giardino
                settecentesco, del quale oggi restano poche tracce. 
                Il
                patrimonio botanico di Villa Bellini consiste, tra alberi e
                arbusti, in 106 specie di piante prevalentemente di origine
                esotica. Diversi sono gli esemplari ultracentenari che, per la
                loro maestosità, rendono pregevole il giardino. 
				  
				
				
		  
				
				 
                Villa Bellini si presenta come un giardino formale e in parte
                bisimmetrico. La flora, per lo più di tipo subtropicale, è
                costituita da elementi che, tranne poche eccezioni, hanno ampia
                diffusione nel paesaggio verde cittadino. 
                In
                misura quantitativamente minore sono rappresentate specie del
                contingente mediterraneo (Ulmus canescens,Quercus ilex, Pinus
                halepensis, P. pinea, Cupressus sempervirens, Viburnum tinus). 
                La
                forma biologica dominante è quella fanerofitica, sia arborea
                che arbustiva la quale, nell'insieme, definisce 
                l'aspetto strutturale più significativo della copertura
                vegetale. 
                Sono presenti 106 specie, appartenenti a 83 generi e 54
                famiglie; tra queste meritano menzione le numerose palme
                (Chamaerops humilis, Ph. canariensis, Ph. reclinata, Livistona
                chinensis, L. australis, Washingtonia filifera, W. robusta,
                Erythea armata, Trachycarpus fortunei, Howea forsteriana), varie
                specie di Araucaria (A. heterophylla, A. bidwillii,, A.
                columnaris A. cunninghamii) e Ficus (F. magnolioides, F.
                microcarpa, F. elastica), imponenti esemplari di Sophora
                japonica, Cupressus sempervirens, Phytolacca dioica, nonché
                filari di Platanus x hybrida e Schinus molle, componenti
                principali delle alberature dei viali. 
                Approfondimenti
				
                 Recupero
                e valorizzazione del verde storico "Giardino Bellini",
                per una migliore fruibilità anche ai fini ludico - spettacolari 
				  
                
		  
               
             
           
         
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	GIARDINO BELLINI - gruppo facebook 
	  
	
	
	  
            
          
            
	
	
	  
	
	
	  
	
	  
	Palazzo Cannizzaro 
	
	  
	
	SALENDO 
	SALENDO........................ 
	  
	
	
	 Il 
	Palazzo Libertini Scuderi fu progettato nel 1875 dal giovanissimo architetto 
	milanese Carlo Sada (1849-1924). Questi giunse a Catania dapprima come 
	collaboratore del più anziano arch. Andrea Scala, per progettare e dirigere 
	i lavori del Teatro Massimo Bellini, ma si rese ben presto autonomo rispetto 
	al maestro. Divenne progettista di successo, molto richiesto dalle famiglie 
	catanesi più facoltose, e rimase definitivamente a Catania, fino alla sua 
	scomparsa. La redazione del progetto per la “Palazzina Raddusa” impegna 
	l’Arch. Sada per un periodo piuttosto esteso, che inizia nell’aprile del 
	1875 e prosegue, per la redazione dei disegni esecutivi, fino al 1879.
	 
	
	Nel 1907 il progetto dell’edificio, 
	divenuto intanto “Palazzo Libertini”, è riportato in un album di disegni 
	destinati alla pubblicazione sulla rivista “L’Edilizia Moderna”. 
	
	Sono gli anni in cui, nel pieno della 
	temperie storico-critico-estetica del periodo romantico che permea per 
	intero l’Ottocento, l’Architettura rivolge il proprio interesse alla 
	rivisitazione degli stili e dei caratteri costruttivi del passato, i quali, 
	attraverso differenti linguaggi e variegati binomi stile-funzione adottati 
	per le varie tipologie di edifici pubblici e/o privati in ragione delle 
	specifiche destinazioni d’uso-ora, vengono rivisitati e riproposti con un 
	repertorio che spazia dal neoromanico e dal neogotico, attraverso il 
	neorinascimento, il neo barocco ed il neorococò di gusto francese, fino al 
	neoclassicismo del primo Ottocento. 
	
	E’ questo ciò che in Architettura viene 
	definito “Eclettismo”, un linguaggio espressivo composito che, attingendo 
	agli stili ed agli schemi decorativi del passato, li miscela e li declina in 
	varie forme, rendendoli persino compresenti anche nel medesimo edificio. 
	
	Fu commissionato al Sada dal cav. 
	Giuseppe Paternò di Raddusa nel 1875 ed è l’unico palazzo in città che 
	riecheggia nello stile il Rinascimento fiorentino, con un piano terra 
	interamente rivestito da grosse bugne a guanciale, sovrastato da un piano 
	primo intonacato in colore rosso-rosa antico. Successivamente, per un breve 
	periodo fu proprietà del sig. Giuseppe Schininà, marchese di Sant’Elia; poi, 
	nel 1901, fu acquistato dal Sen. Pasquale Libertini ed infine, nel 1941, 
	dall’armatore Matteo Scuderi, i cui eredi lo detengono. Curiosamente lo 
	stemma che compare sul fronte del portico antistante il giardino è quello 
	della famiglia che possedette il palazzo per il periodo più breve, e cioè 
	quello degli Schininà (una cometa sovrastante un giglio, su uno sfondo che 
	sarebbe azzurro, se non fosse di pietra). 
	
	L’architetto milanese realizza, ubicato 
	tra due vie principali della città, un volume che, per mezzo della simmetria 
	e della regolarità dell’impianto compositivo, attesta sulla Via Etnea la 
	severità del prospetto principale di rappresentanza, contrapposto ed 
	alleggerito, sulla secondaria Via Caronda, per mezzo del loggiato ad ampie 
	arcate al piano terra e del vuoto della terrazza sulla superiore elevazione, 
	al di sopra della quale parapetto e cornice di coronamento occultano il 
	piano in ammezzato con relativo terrazzo a livello. 
	
	Sicché dalle due elevazioni lungo la Via 
	Etnea si passa alle quattro sulla Via Caronda, se si tiene conto anche del 
	piano seminterrato che ospita alcuni servizi e le cantine. 
	  
	
	
	  
	  
	
	Il prospetto principale si affaccia sulla 
	Via Etnea, con un portone centrale e tre luci su ognuno dei due lati. 
	Significativa la rinuncia alla realizzazione di botteghe al livello stradale 
	ed ai proventi che da esse sarebbero derivati. 
	
	Le sette luci così ottenute si ripetono 
	al piano primo, differenziate nei timpani, che si alternano nelle forme 
	triangolari e ad arco. Quella centrale è arricchita da un balcone protetto 
	da un grazioso parapetto con balaustre realizzate in pietra bianca. Le altre 
	luci sono di fatto delle finestre in quanto non consentono di uscire 
	all’aperto, ma si partono da terra e sono quindi anch’esse protette da una 
	breve balaustrata. L’edificio si conclude in alto con un cornicione 
	sostenuto da mensole a dentello, sormontato da un parapetto che nasconde 
	alla vista la copertura in tegole. 
	
	Gli spigoli (vero quello sulla Via 
	Cordaro, simulato l’altro), sono ben evidenziati con un gioco di bugne nella 
	stessa pietra bianca, alternate a maggiore e minore estensione. 
	
	Al piano primo il Sada dispose gli 
	ambienti di maggiore pregio allineati sulla Via Etnea, mentre sul retro, che 
	si affaccia su un giardino confinante con la via Caronda, dispose gli 
	ambienti minori o di servizio, a loro volta dotati di piano ammezzato. In 
	conseguenza di ciò, sulla Via Cordaro, il prospetto mantiene lo stesso 
	schema di quello presente sulla Via Etnea per metà della larghezza, per poi 
	cambiare schema in corrispondenza degli ambienti di minore pregio. 
	
	Gli ambienti che si affacciano sulla Via 
	Etnea sono cinque, tutti con funzione di rappresentanza e perciò riccamente 
	decorati, sia alle pareti, sia ai soffitti. Il salone più grande è quello 
	che corrisponde all’angolo con la Via Cordaro, dotato di una luce su 
	quest’ultima strada e due sulla Via Etnea. Di grandi dimensioni anche il 
	successivo vano, il secondo, dotato di due luci, tra cui quella che 
	corrisponde al balcone principale. Il terzo, il quarto ed il quinto vano 
	dispongono di una finestra ciascuna.  
	
	Dal portone sulla Via Etnea si accede ad 
	un lungo androne che sfocia, dalla parte opposta, nel giardino prospiciente 
	la Via Caronda. Lateralmente ad esso, sulla destra, è collocato lo scalone 
	che conduce al piano primo e che consente di accedere, tramite uno spazio di 
	disimpegno-guardaroba, sia all’appartamento, sia alla cucina non più in 
	funzione e da qui ad un terrazza creata nell’incavo che presenta l’edificio 
	sul lato di levante. 
	
	La terrazza poggia su un portico a tre 
	luci ad arcate, sostenute da colonne, di cui quelle intermedie binate. Un 
	gioco simile, ma con colonne dai capitelli più elaborati, si ripete sulle 
	pareti che chiudono da tre lati la terrazza. Sul quarto lato essa si 
	affaccia sul giardino sottostante, protetta da un’elegante balaustrata 
	costituita da plinti rettangolari alternati a gruppi di quattro colonnine. 
	Sui plinti centrali sono collocate quattro statue in terracotta, di 
	provenienza lombarda, ad altezza naturale, raffiguranti le quattro stagioni. 
	
	In definitiva la facciata di levante, 
	prospiciente la Via Caronda, benché meno visibile dal pubblico, è tutt’altro 
	che una facciata secondaria, presentandosi anch’essa elegante e riccamente 
	decorata, grazie anche al movimento determinato dal portico al piano terra, 
	dalla sovrastante terrazza e dai due corpi di fabbrica laterali che si 
	sporgono in avanti. I rivestimenti di questa facciata si ripetono uguali al 
	piano primo (intonaco di color rosso antico), mentre il bugnato a guanciale 
	di colore scuro utilizzato sulla Via Etnea è sostituito da un bugnato “a 
	bugne piatte” color crema. 
	
	Lo scalone 
	
	Lo scalone principale del palazzo (non è 
	il solo perché ne esistono altri due di servizio) è quello che conduce dal 
	piano terra al piano primo e, data la notevole altezza tra i piani, esso 
	consta di tre rampe. 
	
	E’ riccamente decorato in stile 
	assolutamente classico. Le pareti offrono superfici rivestite con intonaco 
	di gesso trattato magistralmente ad imitazione di marmi di varie tinte 
	(nero, bianco di Carrara e giallo Siena), con disegni a riquadri. Sono 
	minime le parti in marmo autentico. 
	
	In corrispondenza del piano primo (o 
	piano nobile) il vano scala è in buona parte circoscritto da numerosi 
	pregevoli infissi del tipo “a bussola” in legno e cristallo istoriato. 
	Alcuni di essi sono presenti solo a scopo decorativo, in quanto di fatto non 
	utilizzabili, ma riescono a portare un po’ di luce agli ambienti 
	retrostanti. Tra un infisso e l’altro, con lo stesso metodo dell’imitazione 
	del marmo, sono ricavate delle lesene (finte colonne a superficie piatta). 
	
	Al centro della parete che delimita il 
	vano dello scalone dal terrazzo, campeggia una figura femminile in stucco ad 
	alto rilievo, di grande eleganza, che rappresenta la Flora o la Primavera. 
	Lo stile di quest’opera, che risente dell’influsso dell’Art Nouveau, più 
	nota in Italia come “Stile Liberty”, fa ritenere che essa sia stata 
	realizzata in una fase successiva. 
	
	  
	
	
	  
	
	  
	
	Al di sopra della fascia occupata da 
	questi infissi, interrotti dalle lesene, sono ricavati dei tableaux 
	contenenti dei bassorilievi in stucco bianco, raffiguranti figure femminili, 
	putti e temi mitologici. 
	
	Il soffitto del vano scala è anch’esso 
	decorato a stucchi, nei colori bianco, grigio, azzurro e ocra chiara, con un 
	grande riquadro al centro, riccamente lavorato a stucco con temi vegetali di 
	tralci e fiori, contornato da una cornice a sua volta costituita da riquadri 
	di minore dimensione. 
	
	Le decorazioni pittoriche dei saloni. 
	
	E’ possibile ipotizzare che per le 
	decorazioni degli interni del palazzo l’arch. Sada – il quale generalmente 
	nelle sue opere programmava, con la collaborazione di esperte maestranze, 
	anche l’apparato decorativo interno – sia per quanto attiene agli stucchi ed 
	alle dorature a porporina d’oro zecchino, copiosamente presenti nei saloni 
	di rappresentanza, sia per le volte dipinte, abbia fatto ricorso alle 
	medesime figure di decoratori che in quegli anni con lui collaboravano per 
	il teatro massimo “V. Bellini”, ovvero il triestino Andrea Stella per quanto 
	riguarda gli stucchi e le dorature ed il fiorentino Ernesto Bellandi per gli 
	affreschi delle volte; più verosimilmente per quelli della volta del salone 
	“rosso” d’angolo tra la Via Etnea e la Via Cordaro che, con l’Allegoria 
	della Flora, sia nell’impianto compositivo, sia nella tecnica pittorica, 
	richiamano il dipinto centrale della volta del Teatro, raffigurante 
	l’Apoteosi di Bellini.  
	
	Nei quattro angoli della volta sono 
	rappresentate 4 bellezze femminili dei quattro continenti: a sinistra di 
	Venere l’Egitto, a destra le americhe, a sinistra in basso l’oriente e a 
	destra in basso l’Europa. 
	
	 Sala delle arti: al centro della volta, 
	immersi nel celeste chiarore di una giornata di primavera, puttini gioiosi e 
	amorini (uno porta in mano l’arco per scoccare le frecce) intrecciano 
	ghirlande di fiori; ai lati del pannello centrale della volta sono 
	rappresentate, nelle vesti di splendide fanciulle, le arti: in alto in 
	corrispondenza del pannello centrale, la scrittura, a sinistra del pannello 
	centrale la musica e la scultura, in basso la poesia, a destra del pannello 
	la pittura e l’architettura. 
	
	Sala della musica: pannello centrale con 
	fanciulla inghirlandata, amorini che suonano e spartiti musicali; ai lati 
	del pannello figure che si ispirano all’arte pompeiana e alle grottesche 
	rinascimentali con personaggi che suonano vari strumenti musicali; agli 
	angoli della volta sono rappresentate bellissime nature morte con strumenti 
	tra i quali si riconoscono: strumenti a fiato, a corda e a percussione. 
	
	Camera da letto: allegoria del sonno 
	nelle vesti di una bellissima fanciulla nuda addormentata sulle nuvole con 
	la luna piena sullo sfondo. 
	
	Il giardino 
	
	E’ un classico giardino all’italiana, 
	della superficie di circa 700 mq, che confina a nord con la Via Cordaro e ad 
	est con la Via Caronda. 
	
	Il fulcro attorno al quale si svolge il 
	giardino è una fontana di forma circolare, che ospita al centro una statua 
	in terracotta raffigurante un putto con un delfino, circondata da ciuffi di 
	falsi papiri (Cyperus alternifolius) immersi nell’acqua. La vasca è 
	circondata da un camminamento pavimentato con ciottoli bianchi e neri che 
	realizzano dei disegni geometrici. Nella posizione leggibile da chi proviene 
	dalla villa compare la scritta “M. Scuderi” che ci fa comprendere che il 
	pavimento è stato restaurato dopo il 1941, anno in cui il palazzo fu 
	acquistato dall’armatore Matteo Scuderi. Su una pubblicazione edita nel 1990 
	dalla Soprintendenza ai B.B.C.C.A.A. di Catania appare il disegno del 
	giardino differente da quello odierno, per cui si presume che l’Armatore 
	Matteo Scuderi modificò non solo il pavimento, ma l’intero disegno delle 
	aiuole. 
	
	Il resto del giardino è suddiviso in 
	tante isole di forma per lo più rettangolare e tra un’isola e l’altra si 
	insinuano altri camminamenti, o meglio altri vialetti, anch’essi pavimenti a 
	ciottoli bianchi e neri, grazie ai quali è possibile avvicinarsi ad ogni 
	angolo del giardino. Le isole sono circondate da una bordura realizzata con 
	l’impiego di una della più familiare delle piante grasse che troviamo sui 
	balconi di Sicilia, la portulacaria afra, priva di nome italiano, ma intesa 
	familiarmente come “ricchezza”, forse perché le piccole e numerose foglie 
	carnose ricordano tante lenticchie. 
	
	Queste bordure sono state lavorate 
	secondo la classica arte topiaria, che consiste nel potare alberi e arbusti 
	al fine di dare loro una forma geometrica, diversa da quella naturalmente 
	assunta dalla pianta, per scopi ornamentali. 
	
	All’interno delle isole troviamo varie 
	piante, tra cui la più vistosa è un magnifico ciuffo di Strelitzia augusta, 
	alto non meno di quattro metri, posto alle spalle della fontana rispetto 
	alla casa. Più vicina a questa troviamo due alberi ornamentali di notevole 
	altezza: una magnolia (Magnolia grandiflora), bella specie presente in 
	diverse piazze cittadine, e un’araucaria (Araucaria araucana), albero 
	proveniente dall’emisfero australe. 
	
	Oltre alla Strelitzia augusta troviamo 
	poi un esemplare di Strelitzia reginae e alcune cycas revoluta, una pianta 
	che viene spesso confusa con le palme, ma che appartiene ad una famiglia del 
	tutto diversa (le Cycadaceae) e che è nota, oltre che per la sua eleganza, 
	per il fatto di essere un vero e proprio fossile vivente, cioè una pianta 
	molto antica che ha conservato le sue caratteristiche nel tempo. Le cycas 
	sono originarie dell’Asia tropicale, della Polinesia, dell’Africa orientale 
	e dell’Australia. 
	
	(Ugo Mirone, Giambattista Condorelli, 
	Maria Teresa Di Blasi – delegazione Fai di Catania) 
	
	
	http://www.girasicilia.it/patrizi-e-palazzi-visite-guidate-catania/ 
	
	
	  
            
    
    
	
	  
    
  
    
    
      
        | 
           
			 Catania,
          primi del Novecento. Largo Paisiello è uno degli spazi più eleganti
          della Catania sfarzosa ed artistica della Bell’Epoque. In questo
          periodo, infatti, la via Pacini è un viale ampio ed alberato che fa
          da monumentale scenografia ad uno dei teatri più in voga: l’Arena
          Pacini appunto. Inaugurata nel 1877, costruita interamente in legno
          con tre ordini di palchi, ospita spettacoli di notevole livello
          artistico, dalla lirica alla prosa all’operetta. Poco distante vi è
          l’Arena Gangi, grande cinema inaugurato nel 1918, capace di ospitare
          ben 4500 persone. Vengono demolite la prima nel 1936 (ormai
          abbandonata) e la seconda qualche anno più tardi (ultimo film
          proiettato: “Il pugnale cinese” nel settembre ’38) . 
			  
			  
            
          
			
			  
            
			  
			
			
			LA TERRAZZA SQUIBB 
			
			Negli anni 60’ del 
			secolo scorso, a Catania, i campi di calcio scarseggiavano, cosa che 
			stimolava la fantasia dei ragazzi, che per giocare erano capaci di 
			trasformare in un campo qualsiasi spazio di qualsiasi forma, purché 
			fosse sgombro, vogghiu diri libiru di ‘mmarazzi, no pisci, no stummu! 
			‘U capisturu, veru? 
			
			Io giocavo 
			soprattutto nello slargo antistante la stazione Borgo della 
			Circumetnea, vicino la casa di mia nonna materna, in piazza Abramo 
			Lincoln e nella cosiddetta terrazza Squibb, che prendeva il nome 
			dalla grande insegna della nota casa produttrice di dentifrici e 
			detergenti vari.  
			
			Ora ci sunu ‘i 
			campetti di calcio a cinqu, ci sunu ‘i campi di palluni comunali, ci 
			sunu tanti impianti di tennis, di pallavolu, di squash, ma a ddì 
			tempi c’erunu sulu ‘i piazzi, ‘i strati lagghi e qualche cuttigghiu.
			 
			
			Eppuri ‘i carusi 
			bravi c’erunu, ma era difficili ca qualcunu si ‘n’accurgeva e quannu 
			qualcunu arrinisceva a fari ‘npruvinu cu’ ‘na squatra s’ava fari ‘a 
			valigia e si ‘n’ ava ghiri fora e si era piddaveru ‘n campiuni non 
			tunnava chiù. 
			
			Alla terrazza 
			Squibb, nei pressi dell’ingresso posteriore della Villa Bellini, 
			giocavano soprattutto i ragazzi che frequentavano le scuole vicine: 
			il Liceo Classico Spedalieri, l’Istatuto Tecnico Industriale 
			Archimede, l’Istituto Tecnico Commerciale De Felice e qualche altro.
			 
			
			Le partire erano 
			lunghissime, duravano fino allo sfiancamento dei vari giocatori i 
			quali, quando non ce la facevano più, lasciavano spazio a chi veniva 
			dopo. 
			
			Le porte si 
			facevano con gli zaini pieni di libri o con qualche grossa pietra, 
			ma tanto era sufficiente per farci giocare trascurando il dettaglio 
			che la terrazza era vagamente circolare, aveva un grosso gradino che 
			la divideva quasi a metà e aveva un ingresso molto ampio dal quale, 
			spessissimo, usciva il pallone che finiva tra le macchine in 
			transito, facendo rischiare i calciatori di caderci sotto. 
			
			‘I gol, a ddi 
			tempi, si cuntavunu a deci a deci, mentri nuddu vuleva fari ‘u 
			putteri, picchì erunu tutti attaccanti, tutti Gigi Riva e Petru ‘U 
			Tuccu.  
			
			Quegli anni erano 
			molto diversi da quelli che stiamo vivendo adesso. Non so se erano 
			più belli o più brutti, chi può dirlo, i processi alla storia sono 
			sempre difficili.  
			
			Dico che allora noi 
			eravamo più giovani, facevamo di necessità virtù e dico pure che 
			sapevamo accontentarci di quello che c’era, pur continuando a 
			sognare quello che non c’era.  
			
			E va beni, 
			tagghiamula cca, se no arriva ‘a nostalgia e pinsamu macari all’autri 
			cosi ca non si pone fari chiù, e macari a tanti amici e parenti ca 
			purtroppu non ci sunu chiù, ma ca pinsamu sempri. 
			
			(Salvo Fleres) 
			  
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 AL PRIMO MAESTRO DELLA DANZA RITMICA, CATANIA 
DEDICA UNA STATUA E UNA STRADA  
	
 Vi è tra le opere decorative che adornano il 
Giardino Bellini una statua di marmo,quella che rappresenta il quasi mitico 
Androne, che per quanto non sia un'opera d'arte nel senso più nobile della 
parola,è per molti aspetti pregevole;voglio dire che ha pregi di fattura---impostazione,proporzioni, studiata esattezza di particolari 
anatomici che dimostrano come nell'Ottocento,anche per opere esclusivamente 
decorative,alle quali l'artista faceva a meno di apporre la firma, i canoni 
dell'insegnamento severo praticato allora nelle scuole d'arte, venissero 
scrupolosamente applicati. 
Giacché quest'opera non ignobile, non risulta 
che sia firmata;lacuna anche questa che soltanto l'Archivio Comunale, distrutto 
nel sacrilego incendio del 1944,avrebbe, per noi studiosi ,potuto colmare. 
Comunque riferendomi al tempo in cui la statua venne collocata nel Giardino, 
cioè all'anno 1863 ed a quelli che lo seguirono---un quindicennio---fino a 
quando, come ho scritto altre volte, l'ingegnere Filadelfo Fichera, padre di 
Francesco, sistemò definitivamente il vecchio Labirinto biscariano, può pensarsi 
che autore dell'Androne sia stato lo scultore napoletano Tito Angelini, 
esecutore anche della Fontana dell'Amenano all'ingresso principale della piazza 
Alonzo Di Benedetto e del busto di Bellini nel Giardino stesso.  
Debbo aggiungere, però, che anche osservando 
con attenzione la maniera con cui la statua è scolpita, essa fornisce pochi o 
punti addentellati perché si possa sicuramente affermare che sia dovuta 
all'Angelini; anzi,il modo come la parte anatomica appare condotta e amorosamente 
studiata ,è in palese contrasto con quanto vediamo nell'efebo rappresentante il 
fiume Amenano della fontana suddetta. Ma tant'è, quel che importa si è che 
l'opera, come ho detto, non è ignobile;ignobili invece sono stati coloro che in 
un tempo non lontano l'hanno vandalicamente deturpata, infrangendone il piffero 
e le dita delle mani. Da ciò il restauro recente, dovuto all'arte paziente dello 
scultore Salvo Giordano.  
Se Androne è un mito ,esso è un mito 
squisitamente catanese,città musicale nel profondo e madre del più puro dei 
melodisti;anzi,secondo quanto scrisse l'illustre filologo Consoli,un'autentica 
gloria di Catania 
Per Teofrasto,discepolo di Aristotele, 
Androne è tutt'altro che un mito;esso fu un flautista catanese che per primo 
applicò al corpo umano movimenti e ritmi suonando il flauto. Con buona pace però 
dell'antichissimo storico, asserire che il nostro lontano concittadino sia stato 
il primo a muovere ritmicamente il corpo sul suono del flauto, del piffero o 
comunque di uno strumento, come dire l'inventore della danza, è ipotesi del 
tutto azzardata;In quanto è pacifico che la danza nacque e nasce con l'uomo, e 
che ove all'uomo manchi uno strumento qualsiasi, basta a lui la voce per 
sostituirlo.  
Ma i miti e le leggende valgono per quel che 
in essi v'è di poesia, cioè di bellezza, e vanno accettati senz'altro. Androne 
fu certamente, in remotissimi tempi, un danzatore famoso, se il nome di lui 
venne a noi tramandato con sì lusinghieri attributi;e se esso,sulla 
testimonianza del discepolo di Aristotele, fu come non dubito, un catanese;bene 
ha fatto chi ne ha voluto onorare la memoria innalzandogli una statua e dando il 
nome ad una via che è tra le più seducenti della città. -(Saverio Fiducia) 
 (di Saverio Fiducia da Passeggiate 
Sentimentali) 
	
		  
	
	
	  
	  
  
    
    
      
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            CONSIGLI
          PER UNA SANA MATTINATA ....A CIOLLIARE!  
          A
          Catania l’aria è sempre calda e quando scoppia la primavera sembra
          già estate. Basta girovagare tra la Pescheria, vicino Piazza Duomo, e
          ‘a Fera o’ Luni, in piazza Carlo Alberto, e sarete subito
          catturati da profumi e sapori che sgomitano tra loro, talvolta
          scontrandosi, ma sempre lasciando un segno indelebile. E’ un vero e
          proprio risveglio dei sensi quello che ogni volta si compie, che sia
          una fritturina di pesce fresco o una classica pasta alla norma,
          fragrante di melanzane fritte ed avvolta nella ricotta salata
          spruzzata come neve calda, o delle frittelline di verdure, o i dolci
          di frutta martorana, colorati più di un quadro di Van Gogh, esagerati
          nel loro sapore unico. 
             
          - la mattina catanese non può che cominciare con una granita di
          mandorla o di caffè, con la brioche calda, naturalmente. E’ uno dei
          simboli della città, ottime quelle del Caffè Europa o di Ernesto, al
          lungomare, ma praticamente ovunque a Catania si possono gustare ottime
          granite. In qualunque momento della giornata e della notte. 
          
          - Assolutamente da non perdere un tuffo al mattino (l’ideale sarebbe
          molto presto) alla Pescheria, tra i banconi del pesce e i venditori
          dalla voce grossa che richiamano l’attenzione. Un quadro a tinte
          forti dipinto ogni mattina e dal forte profumo di mare, dove ognuno
          – compreso lo spettatore – ha la sua parte in primo piano. Se è
          già mezzogiorno, aperitivo al baretto della piazza, tra polpettine
          fritte di pesciolini, verdurine in pastella, o pesce freschissimo
          crudo e marinato: il sushi catanese. Se siete fortunati potrete
          scambiare quattro chiacchiere con il cuoco Carmelo Chiaramonte,
          ragusano di Modica ma "cuciniere" a Catania ed habitué del
          luogo.  
          - Da un teatro all’aria aperta ad un altro, ed eccovi in piazza
          Carlo Alberto, ‘a Fera o’ Luni per i catanesi, a caccia di
          occasioni e di piccoli affari. Un’esplosione di suoni, odori,
          colori, sapori, frutta colorata, pesci boccheggianti, carne macellata
          appesa a gocciolare e le urla dei venditori, poi, con la voce sempre
          rauca per lo sforzo di gridare. Se a questo punto volete provare un’esplosione
          di dolcezza dovete per forza assaggiare il cannolo di ricotta di
          Savia, di Spinello o di Scardaci, tutti in via Etnea. 
           
          - E’ ora di pranzo e che peccato dover rinunciare a qualcosa!
          Perdersi tra il profumo della ricotta calda e gli asparagi appena
          raccolti all’ombra del maniero di Federico II (Castello Ursino).
          Oppure deliziarsi con un piatto di spaghetti al nero di seppia o con i
          ricci di mare all’Antica Marina, nella piazza della Pescheria ormai
          vuota di banconi. Oppure sdraiati al sole sulle panchine della villa
          Bellini (da poco restituita alla città) assaporando il mitico
          arancino al sugo di Savia -quello con i pezzetti di bollito dentro - o
          le crispelle di ricotta e acciughe di Stella, la più antica
          crispelleria di Catania. 
			  
			  
			
			
			  
			  
          
          - Per dissetarsi, a Catania, è d’obbligo lo "sgriccio",
          un seltz limone e sale inventato dai fratelli Giammona, titolari del
          chiosco più famoso della città, quello in piazza Vittorio Emanuele
          da tutti conosciuta come “Piazza dei Chioschi”, appunto. Oltre al
          limone e sale, tanti sciroppi possono accompagnare le bollicine ma i
          più gettonati rimangono mandarino verde e tamarindo. Praticamente in
          tutte le piazze storiche di Catania c’è un chiosco per queste
          bevande: alla Pescheria, alla Fiera,
          in Piazza Jolanda, a San Cristoforo. Quello di Piazza Roma (di fronte
          l’ingresso nord di villa Bellini) è
          famoso per aver inventato il
          frappè alla nutella con le brioscine Tomarchio frullate dentro. Una
          bomba di dolcezza richiestissima dai giovanissimi e dai golosi di ogni
          età. A notte fonda, preferibilmente, al rientro dalla discoteca o per
          tirare tardi e sballarsi di Nutella. 
			  
			
			
			  
			  
			
			  
          	- Cosa c’è di
          meglio nel pomeriggio che passeggiare per le vie del centro storico,
          inoltrandosi da Piazza Università nel dedalo di stradine che di notte
          diventano il teatro affollatissimo della movida cittadina ed arrivare
          a scoprire Piazza Duca di Genova, nel cuore del quartiere Civita oggi
          “vestita in fiore” e sbirciare dalle vetrate dei piani bassi del
          Palazzo Biscari, le pezze che diventeranno i vestiti opere d’arte
          intorno ai quali si muovono giovani apprendisti della stilista Marella
          Ferrera che proprio nel palazzo Biscari ha allestito il Museo della
          Moda. 
    
	  
    
    
     
	vecchia cartolina di Piazza Vittorio Emanuele 
    
  		
			  E dopo il museo è l’ora di un cono gelato leccato davanti al
          bellissimo teatro Massimo in piazza Bellini. Pistacchio, mandorla,
          nocciola, cioccolato, fragola con le fragoline di Noto sopra, fior di
          latte, puoi sbizzarrire la tua scelta, il godimento è assicurato. 
          - Tra i piatti tipici della cena catanese non può mancare il
          "masculinu con i piselli ed il finocchietto riccio", servito
          con la mollica abbrustolita sopra; oppure la carne di cavallo
          (bistecche o polpette) in via Plebiscito, nel cuore antico del
          quartiere San Cristoforo; oppure la grigliata di carne e le sfiziose
          “cipollate” (spiedini di pancetta e cipollina fresca alla brace)
          sotto le luci del Castello Ursino. E poi tirare tardi a sorseggiare
          cocktails seduti sulla scalinata Alessi, alle spalle della
          meravigliosa via Croficeri ed a migliaia di decibel dalle vicine suore
          Benedettine di clausura. Per chiudere, nel cuore della notte, con il
          cornetto caldo al pistacchio nella vicina Etoile. 
          http://www.risiu.it/index.php?path=ct 
            
          
			
			  
            
            
          
			 
          
           
			 I
          CIOSPI  a
          cura di Salvo L.G. (www.catanesidov.it) 
          A Catania, sparsi in tutti i quartieri e quasi ad ogni angolo
          delle vie di maggior importanza, abbiamo i “Chioschi”. Non
          sono, come nelle altre città, dei rivenditori di giornali o di libri;
          a Catania i chioschi offrono ai loro clienti la possibilità di
          dissetarsi e contemporaneamente ristorarsi assaporando innumerevoli
          fragranze di sciroppi misti ad acqua seltz, cioè acqua
          particolarmente frizzante e spruzzata freddissima e ad alta
          pressione direttamente nei bicchieri. Tenterò in seguito di fare una
          lista dei gusti, ma nonostante il mio impegno, sono sicuro di
          dimenticarne qualcuno; mi scuso per ciò con chi abitualmente li
          produce, inventa o consuma.Questa prelibatezza, esclusivamente
          catanese, è la particolarità che un turista dovrebbe immediatamente
          cogliere non appena viene a visitare la città. D ’altronde lo
          ripeto, i chioschi o “ciospi” come si dice in dialetto, si trovano
          dappertutto ed è facilissimo incontrarne a decine passeggiando per la
          città.La struttura tipica del “ciospo” è generalmente a base
          circolare, ma anche a volte ottagonale o rettangolare, con ampi
          ripiani rivolti agli avventori nei quali questi ultimi sono soliti
          appoggiarsi ad osservare la preparazione della bevanda appena
          ordinata. All’interno della struttura i loro gestori si muovono con
          grande abilità e destrezza, soddisfacendo rapidamente le richieste
          dei propri clienti.  
           
			
			 
          
          
           Sul
          ripiano di lavoro non può mancare uno strumento fondamentale per la
          preparazione della bevanda: lo spremiagrumi. Ormai quest’ultimo
          è di tipo elettrico, ma qualcuno utilizza ancora una specie di
          pinza-morsa che provvede a schiacciare il mezzo limone per prelevarne
          il succo.La preparazione avviene così: in un bicchiere, generalmente
          in vetro, del diametro di circa cinque centimetri ed alto circa
          dodici, viene versata una quantità di sciroppo, ben calibrata dall’esperienza
          del “barman”, viene quindi spremuto il limone e successivamente
          aggiunta l’acqua seltz fino al riempimento del bicchiere.Questo è
          soltanto una delle varie tipologie di bevande richieste dai tanti che
          accalcano i chioschi in tutte le ore della giornata, sia nei periodi
          estivi che in quelli invernali, a tal punto da essere diventati un
          vero e proprio punto d’incontro e una tappa fissa dell’uscita
          serale per i cittadini di Catania.Ma i chioschi non preparano
          esclusivamente queste bibite, essi hanno una vastissima scelta di
          bevande.     
			
			    
			Il “frappé alla nutella“, per esempio, è uno dei preparati
          preferiti dai più giovani che i chioschi di Catania si vantano di
          aver ideato per primi.Il Tamarindo, utile per digerire dopo un’abbuffata.
          Si beve fino a metà bicchiere facendo aggiungere solo allora una
          punta i bicarbonato. A quel punto di corsa tutto giù d’un sorso e
          la digestione è garantita.Un altro preparato tipico è il “Mistofrutta”
          realizzato unendo insieme vari pezzetti ti frutta fresca tagliati a
          cubetti irrorati da sciroppo alla frutta e seltz.Ogni chiosco ha una
          sua specialità, ma posso affermare che tutti preparano delle ottime
          bevande. 
          Ho visitato molte città d’Italia e da nessuna parte ho trovato un
          “ciospo” come questi appena descritti, tuttalpiù ho trovato
          piccoli bar con cornetti e caffé, ma mai un chiosco alla Catanese e
          questo è un altro aspetto che ci rende orgogliosi di essere catanese.
			
           
			        
			PALAZZO MAZZONE 
			 
			
			(Via Umberto angolo via Grotte 
			Bianche,anno di costruzione 1904 circa,autore Tommaso Malerba) 
			
			  
			
			
			 Edificato 
			nel 1904 circa il palazzo Mazzone sorge in una zona di espansione 
			tardo ottocentesca.  
			
			Realizzato in pieno eclettismo 
			catanese esso rappresenta una delle prime esperienze costruttive 
			documentate di Tommaso Malerba. 
			
			L' edificio si contrappone su via 
			Umberto a Casa Nicotra che Carlo Sada costruisce qualche anno prima 
			e che progetta a partire dal 1898. 
			
			La facciata viene liberamente 
			figurata secondo un originale stile moresco, consono al gusto 
			dell'esotico e del meraviglioso ,utilizzato maggiormente nelle 
			abitazioni con giardino.  
			
			Il Malerba accentua il tema del 
			contrasto con le architetture adiacenti utilizzando un linguaggio 
			ricco di chiaroscuri, di trafori,di archetti,di intrecci,di 
			superfici decorate,inscenando un paesaggio d'invenzione.  
			
			La caratterizzazione stilistica 
			rimane tuttavia decorativa e la tipologia distributiva dell'edificio 
			è tradizionale. Rilevante la connotazione ibrida del lessico che 
			Malerba utilizza per l'architettura della facciata. Il repertorio 
			formale eterogeneo dell'apparato decorativo attinge 
			indifferentemente da più stili accentuando la caratteristica 
			eclettica e sperimentale del suo autore. La struttura compositiva 
			della facciata principale è sorretta da una sequenza di pieni e 
			vuoti costituiti dalla presenza di piccole logge caratterizzate da 
			un arco polilobato. 
			
			Questo seguendo la logica 
			dell'ordine architettonico ,si arricchisce e si slancia mentre la 
			costruzione cresce fino a raggiungere l'ultimo piano. La geometria 
			complessiva viene imbrigliata verticalmente da paraste aggettanti e 
			orizzontalmente da un sistema di trabeazioni che marcano i livelli 
			di calpestio ,da cornici d'imposta degli archi delle aperture e da 
			un fastoso cornicione di coronamento.  
			
			L' aggetto dei balconi e della 
			cornice di coronamento è caratterizzato da mensole a stalattiti 
			secondo il tradizionale linguaggio dell'architettura araba. I fregi 
			sulla facciata interpretano stilemi ad intrecci sia di tradizione 
			islamica che di tradizione nord europea secondo la cultura eclettica 
			e anticonformista della fine dell'Ottocento.  
			
			(Descrizione della Soprintendenza 
			ai beni culturali) 
			
			Note e foto di Milena Palermo per 
			Obiettivo catania -
			
			https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/ 
			  
			    
			
			   | 
       
     
    
   
          
  
    
    
      
        | 
            L'intitolazione
          alla memoria dello scrittore e fotografo Giovanni Verga avvenne solo
          in pieno XX secolo. In precedenza la piazza, del tutto periferica
          rispetto alla città era un vero e proprio campo di addestramento
          militare e portava il generico nome di "piazza d'Armi". La
          piazza aveva un'estensione maggiore dell'attuale ed era di forma
          rettangolare. Nei primi anni del XX secolo venne scelta per allestirvi
          l'importante "Esposizione agricola siciliana del 1907" e in
          seguito a ciò la piazza venne ribattezzata "piazza
          Esposizione" nome rimasto nella memoria popolare fino a tempi
          recenti. L'incarico dell'allestimento delle strutture che avrebbero
          ospitato l'Esposizione venne affidato all'ingegnere Luciano Franco che
          realizzò le opere, nello spirito del primo Novecento catanese,
          secondo lo stile liberty. Il "Padiglione Reale" fu
          realizzato da Salvatore De Gregorio, mentre Alessandro Abate si
          occupò di decorare il Vestibolo, in corrispondenza del quale si
          stagliava la cupola del "Grande Ottagono". Le decorazioni di
          Abate raffiguravano scene di lavoro dei contadini etnei, colti dalla
          grazia divina della dea Cerere. Da qui si aveva accesso al giardino,
          abbellito da diversi chioschi, posizionato al centro, dal quale era
          possibile addentrarsi nei quattro padiglioni, introdotti da archi. Il
          Chiosco Inserra di Tommaso Malerba, riconosciuto come un capolavoro,
          andò distrutto. 
          Mappa cittadina dei primi anni del XX secolo nella quale risulta già
          apposto il nome di piazza Esposizione alla vecchia "piazza
          d'armi"  
          Nel 1936, sul lato nord della piazza, ebbero inizio i lavori di
          costruzione del maestoso Palazzo di Giustizia (terminati nel 1953) a
          cui si accede per mezzo di un'imponente scalinata in basalto lavico
          dominata da una statua in bronzo raffigurante la dea della giustizia,
          con bilancia e spada nelle mani, posta all'ingresso. La statua, alta
          sette metri e mezzo, fu scolpita da Mimì Maria Lazzaro nel 1953 e
          trasferita e posizionata tra i pilastri dell'ingresso nel 1955 a cura
          del Genio civile. Sul lato a sud-ovest, fu realizzata una caserma dei
          Carabinieri al posto della vecchia caserma. 
          
           La piazza acquisì progressivamente sempre più importanza in seguito
          all'espansione della città verso nord 
          Nel 1975 al centro della parte sud della piazza, di fronte all'attuale
          palazzo dell'hotel Excelsior, venne posizionata la Fontana dei
          Malavoglia; questa incorpora un complesso scultoreo di grande impatto
          emotivo, una delle ultime opere dello scultore catanese Carmelo
          Mendola (1895-1976), che rappresenta il naufragio della
          "Provvidenza" scena chiave del racconto verista verghiano I
          Malavoglia. 
          http://it.wikipedia.org/wiki/Piazza_Giovanni_Verga 
            
			
			
			
			  
			  
			  
          L'ex
          Piazza esposizione. 
          Nel
          1907 si inaugurò L'Esposizione agricola siciliana, in stile liberty,
          alla quale intervenne il sindaco Consoli. Nel suo discorso inaugurale
          sostenne che Catania era la seconda città d'Italia grazie ai traffici
          del porto commerciale, e fra le prime città industrializzate, grazie
          alle fabbriche degli zolfi e delle tintorie. 
            
          
			
			  
            
          All'Espo
          intervennero i primi artisti liberty della città. L'ingegnere Luciano
          Franco si occupò della disposizione dell'insieme degli edifici nella
          piazza d'Armi (odierna piazza G. Verga), costituendo una galleria
          quadrangolare con al centro un giardino ornato da chioschi. Lo stile
          scelto per il prospetto esterno e per le facciate prospicienti il
          giardino fu quello dell'Arte Nuova. Egli volle introdurre anche uno
          stile locale, il saraceno, nel grande arco d'ingresso che ha una curva
          araba. Il vestibolo, a cui si giungeva attraversando l'arco, era a
          pianta quasi quadrata. 
          Da
          qui due porte conducevano alle gallerie della mostra. In asse con il
          vestibolo sorgeva il grande Ottagono, con otto pilastri e otto guglie.
          Dodici porte vi si aprivano. La cupola era alta trenta metri. Dal
          vestibolo i visitatori entravano nel giardino, circondato da gallerie
          su tre lati. Quattro archi arabi stilizzati si aprivano sui tre lati,
          mentre dal quarto si accedeva al complesso delle Belle Arti.
          Capolavoro dell'espò fu il distrutto Chiosco Inserra di Tommaso
          Malerba. Esso aveva già il tipico elemento liberty della facciata,
          l'apertura tripartita arcuata, inserita in una architettura eclettica
          di gusto gotico- orientaleggiante. Alessandro Abate aveva decorato la
          volta del vestibolo d'ingresso, ove apparivano ai quattro capi: Labor,
          Ars, Voluntas, Aeconomia, insieme ad immagini di contadini al lavoro,
          incorniciati da disegni floreali. Sullo sfondo troneggiava l'Etna e,
          nell'azzurro del cielo, la dea Cerere, sopra una quadriga, distribuiva
          corone ai contadini intenti al lavoro della mietitura e dell'aratura. 
          
			http://www.cataniatradizioni.it/storia/piazza%20esposizione.htm 
            
          
			  
          L’odierna
          Piazza Giovanni Verga è stata soggetta nel tempo a cambiamenti
          determinati dall’azione degli uomini. 
          Originariamente chiamata Piazza Regina Bianca, dalla Regina Siciliana
          Bianca di Navarra che nel 1402 sposò Re Martino I , successivamente
          prese il nome di “Piazza d’Armi” perché pensarono di adibirla
          per esercitazioni e manifestazioni militari. Conservò questa
          denominazione fino al 1907 quando ospitò un’importante esposizione
          agricola, da allora prese il nome di Piazza Esposizione, in ricordo di
          quella fortunata manifestazione inaugurata da Re Vittorio Emanuele
          III. Altri toponimi, ormai totalmente scomparsi, per Piazza Verga,
          sono “O locu Asmundu”, dal casato degli antichi proprietari,
          oppure “Massa-uà” perché i catanesi pronunciavano così il nome
          di Massaua, che un certo Manara aveva dato ad una trattoria da lui
          aperta in quel luogo verso il 1885, decorandola con scene della guerra
          d’Africa. Poi la piazza fu lentamente circondata da edifici, uno dei
          primi fu la caserma dei carabinieri. Intorno al 1930 il centro della
          piazza fu adibito a campo di calcio. Oggi la Piazza Verga è una delle
          più belle e luminose della Catania moderna. Tra il 1936 e il 1953 fu
          costruito il grandioso edificio del Palazzo di Giustizia. 
          All’ingresso, tra i pilastri c’è la grande statua della Dea della
          Giustizia scolpita dall’artista M. M. Lazzaro. Sopra la sua corona
          è raffigurata la storia della Giustizia. La statua, alta 7 m. e mezzo
          sostiene nelle palmi delle mani, due uomini per stabilirne la
          colpevolezza o l’innocenza. Di fronte al palazzo di Giustizia si
          trova il moderno ed elegante Hotel Excelsior. Al centro della piazza
          si trova la bellissima fontana dei Malavoglia. L’opera è dello
          scultore Carmelo Mendola ( 1895-1976 ) e fu inaugurata nel 1975. Il
          gruppo scultoreo riproduce la scena del drammatico naufragio della “Provvidenza”
          descritto nel romanzo di Verga “I Malavoglia”. 
          http://giornale.scuolacavourcatania.com/citt%C3%A0111.asp 
			  
			  
			
			  
            
          
			
			
			
            
          
			
			  
            
			Perchè si chiamava 
			anche Piazza Esposizione 
          
			Nel 1907 si inaugurò 
			L'Esposizione agricola siciliana, in stile liberty, alla quale 
			intervenne il sindaco Consoli. Nel suo discorso inaugurale sostenne 
			che Catania era la seconda città d'Italia grazie ai traffici del 
			porto commerciale, e fra le prime città industrializzate, grazie 
			alle fabbriche degli zolfi e delle tintorie. 
			All'Espo intervennero i primi artisti liberty della città. 
			L'ingegnere Luciano Franco si occupò della disposizione dell'insieme 
			degli edifici nella piazza d'Armi (odierna piazza G. Verga), 
			costituendo una galleria quadrangolare con al centro un giardino 
			ornato da chioschi. Lo stile scelto per il prospetto esterno e per 
			le facciate prospicienti il giardino fu quello dell'Arte Nuova. Egli 
			volle introdurre anche uno stile locale, il saraceno, nel grande 
			arco d'ingresso che ha una curva araba. Il vestibolo, a cui si 
			giungeva attraversando l'arco, era a pianta quasi quadrata. 
			Da qui due porte conducevano alle gallerie della mostra. In asse con 
			il vestibolo sorgeva il grande Ottagono, con otto pilastri e otto 
			guglie. Dodici porte vi si aprivano. La cupola era alta trenta 
			metri. Dal vestibolo i visitatori entravano nel giardino, circondato 
			da gallerie su tre lati. Quattro archi arabi stilizzati si aprivano 
			sui tre lati, mentre dal quarto si accedeva al complesso delle Belle 
			Arti. Capolavoro dell'espò fu il distrutto Chiosco Inserra di 
			Tommaso Malerba. Esso aveva già il tipico elemento liberty della 
			facciata, l'apertura tripartita arcuata, inserita in una 
			architettura eclettica di gusto gotico- orientaleggiante. Alessandro 
			Abate aveva decorato la volta del vestibolo d'ingresso, ove 
			apparivano ai quattro capi: Labor, Ars, Voluntas, Aeconomia, insieme 
			ad immagini di contadini al lavoro, incorniciati da disegni 
			floreali. Sullo sfondo troneggiava l'Etna e, nell'azzurro del cielo, 
			la dea Cerere, sopra una quadriga, distribuiva corone ai contadini 
			intenti al lavoro della mietitura e dell'aratura. 
			
			
			
			http://www.cataniatradizioni.it/storia/piazza%20esposizione.htm 
			  
          
			
			
			  
			  
			  
          Quando
          il Catania giocava qui. 
          
     
          La
          storia del calcio Catanese comincia nel 1908, anno per altri versi
          infausto e triste in quanto il terremoto aveva spazzato via le città
          di Messina e Reggio Calabria.E’ il 19 giugno quando il Corriere di
          Catania annuncia la nascita, in riva allo stretto, di una società
          sportiva pro educazione fisica per le province di Catania e Messina,
          che grazie alla generosità dell’Amministrazione Comunale catanese
          dell’epoca, avrà uno stadio in Piazza d’Armi o Piazza
          Esposizione, (l’attuale Piazza Verga).La Società è la "Pro
          Patria", guidata dal presidente comm. Francesco Sturso D’Aldobrando,
          che promuove molte attività e molti sport: oltre il calcio anche la
          ginnastica, la scherma, l’alpinismo, l’aeronautica, l’automobilismo,
          ecc. 
			  
			
			
			  
			  
			
			 
          La prima partita ufficiale della squadra di football "Pro
          Patria" si svolge a Catania il 30 giugno 1909, in onore dei
          congressisti della Lega Nazionale e dei componenti della flotta del
          Mediterraneo, contro la squadra della Corazzata "Regina
          Margherita" che si trovava a passare dal porto di Catania. L’incontro
          terminò con il risultato di parità ,una rete per parte. La
          formazione schierata era la seguente:Vassallo: Gismondo Bianchi;
          Messina Slaiter Caccamo; Gregorio Binning Cocuzza Ventimiglia
          Pappalardo (Spedini), nomi che a quei tempi rappresentarono il
          pionierismo del calcio catanese.  
            
          
			
			 
    		
     
    Da
    quella partita in poi, ogni qual volta una nave arrivava a Catania i ragazzi
    della Società si precipitavano a organizzare un incontro. Al seguito della
    squadra c’era anche un fotografo animato da una tenacia incredibile, tale
    da fargli trascinare dalla città fino a Fontanarossa quella pesante
    macchina fotografica, con relativo cavalletto, per immortalare gli atleti
    nelle loro fasi di gioco. Tra i calciatori di questa prima fase di
    pionierismo ricordiamo il Generale Spedini, ala sinistra molto veloce, e il
    portiere Roberto Nicotra
    (entrambi saranno travolti dal ciclone della 1ª Guerra Mondiale e ricordati
    come eroi), il dott. Cocuzza, valido centravanti, e il dott. Pappalardo, che
    partecipò alla Coppa Lipton, una manifestazione che a quel tempo rivestiva
    una certa importanza. Il 23 luglio si svolse un altro incontro al giardino
    Bellini con i componenti di una nave inglese che si trovava alla fonda nel
    porto di Catania, il "Broyser". I catanesi in quell’occasione
    subirono una sonora sconfitta per sette a zero.A questo punto il calcio si
    comincia a modificare: iniziano i campionati, nasce e si affianca alla
    "Pro Patria", lo "Sport Club Trinacria", con l’intenzione
    di forgiare nuovi atleti. Fu cosi che la "Pro Patria" si
    trasformò in "Associazione Sportiva Catanese" e accolse parecchi
    giovani alla ricerca di un sano svago.L’Amministrazione Comunale nel
    mentre provvide a costruire in piazza Esposizione un campo di calcio con due
    tribune, con una capienza di cinquemila posti.Il calcio a Catania aveva
    superato la fase pionieristica e soprattutto la 1ª Guerra Mondiale, quindi
    cominciò ad avere una sua collocazione in campo nazionale.Nel 1929 si
    costituisce a Catania la Società "SS. Catania" 
			  
			
			
			  
      
    
	
	  
      
          
			 
          
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VENTUN ANNI PER UN MONUMENTO 
 
Fra le opere pubbliche che negli anni 
cinquanta presero il via ma non giunsero al traguardo ha un posto di rilievo, 
per l'interesse emotivo e per le polemiche che suscitò,il completamento 
artistico alla piazza Verga,cioè la fontana dei Malavoglia. Fu un capitolo 
straordinariamente lungo e travagliato,insolito per un'era in cui gli atti 
amministrativi si svolgevano con rapidità:durò ventun anni, uno sproposito.
 
Cominciò col "Bando di concorso per 
l'erezione di un monumento a Giovanni Verga in Catania ", pubblicato sulla 
Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 10 novembre 1956.Premi:un milione 
al vincitore. 500.000 lire al secondo, 300.000 lire al terzo;compenso per 
l'esecuzione 16 milioni.  
Quell'argomento era già stagionato:si pensi 
ad esempio che, secondo il bando originario, fra il materiale documentario che 
ai concorrenti sarebbe stato fornito era prevista una planimetria della zona 
<<come sarà per risultare dopo il compimento delle costruzioni in corso nella 
piazza >>.Ma quando dopo lunghi perditempo procedurali esso fu pubblicato, erano 
<<state ormai ultimate le costruzioni in corso nella detta Piazza >>,per cui 
quella planimetria risultava <<superata>>dagli eventi. 
Al concorso parteciparono 20 fra artisti e 
architetti. Rimasero infine in ballottaggio 4 bozzetti.Si diede luogo a un 
concorso di secondo grado che indicò come vincente il progetto dello scultore 
catanese CARMELO MENDOLA.Non era un monumento del tipo tradizionale, con 
basamento e busto di Verga; neanche gli altri, del resto, erano tradizionali. La 
proposta di Mendola raffigurava la fontana con la barca dei Malavoglia in preda 
alla tempesta. Ma fra ricorsi,contestazioni, invalidazione dei giudizi della 
commissione (per dimissioni di qualche suo membro),remore d'ogni genere, 
riesami, persino uno storno del finanziamento regionale da un capitolo 
all'altro,scioperi,aumenti di costo della manodopera, contrasti tecnici sulla 
realizzazione dell'impianto idraulico, polemiche pseudo-dottrinali che fecero 
ridere l'italia e indignare Catania, anticipazione da parte dello scultore delle 
somme per la fusione dell'opera in una fonderia napoletana, passarono anni su 
anni.  
Mendola, presentato alla giuria il 
modellino-progetto, ne realizzò in piccolo (un metro di diametro)una copia 
funzionante, con gli effetti d'acqua e quelli di luce;lo sistemò nel bellissimo 
giardino di casa sua, in via Ingegnere;e li accolse migliaia e migliaia di 
visitatori. Ogni volta accendeva il suggestivo impianto di illuminazione e 
metteva in movimento con un altro motore elettrico le acque del mare furioso;al 
centro di quel turbine, la <<Provvidenza >><<stava per spaccarsi come un guscio 
di noce sullo "scoglio dei colombi">>;e 'Ntoni, <<colla voce soffocata dalla 
tempesta >>,col suo volto contratto e disperato,urlando <<Chi è?chi è che 
grida?>>,riassumeva quel dramma del mare. 
I visitatori ne restavano emozionati.Molti 
erano colti da un brivido, come se i tre personaggi sulla barca, anziché di 
bronzo, fossero di carne e ossa.Ma com'è mai possibile, essi si chiedevano, che 
non si riesca a chiudere questo incantesimo?L' incantesimo si chiuse la sera del 
25 ottobre 1975,quando finalmente la fontana fu inaugurata, con solennità. Mendola ci aveva impegnato un quarto della sua vita, un'ansia logorante e molte 
decine di milioni, denaro che in massima parte, ancorché svalutato, i suoi eredi 
avrebbero recuperato anni più tardi. 
Dopo l'inaugurazione, ogni sera egli andava a 
visitare la sua opera, pellegrino stanco e felice. Quattro mesi e mezzo dopo,il 
5 febbraio 1976,mentre in lontananza rintronavano i <<baiocchi>>di Sant'Agata ed 
egli montava in auto per tornarsene a casa,lo colse un'emorragia cerebrale, che 
due giorni dopo lo stroncò.-(Salvatore Nicolosi) 
Ps da anni la bellissima Provvidenza di 
piazza Verga è <<morta>>,preda di vandali ,immondizia, senza più il mare in 
tempesta e senza illuminazione......piange il cuore a chi come me ne ha un 
vivissimo e caro ricordo 
	
(articolo del giornalista Salvatore Nicolosi) 
	
  
			
	
				
					
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		scena girata in 
		Piazza G. Verga 
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			"LA STATUA DELLA POLEMICA " 
			
			È un titolo appropriato per la 
			meravigliosa statua della Giustizia posta davanti all'ingresso del
			
			 Palazzo 
			di Giustizia di piazza G.Verga poiché non poche furono le polemiche 
			che si scatenarono al momento della sua collocazione.Se oggi noi 
			tutti possiamo ammirare questa scultura bronzea alta ben 7,50 metri 
			è solo grazie alla pazienza e perseveranza del grande Sindaco avv. 
			Luigi La Ferlita che per sedare ogni discussione, dispose la sua 
			collocazione nel posto in cui era stata destinata. 
			
			Le polemiche sorsero a causa 
			della rappresentazione operata dal maestro Domenico Maria Lazzaro 
			autore della statua bronzea che doveva abbellire l'ingresso del 
			nuovo Palazzo di Giustizia di Catania.  
			
			Erano gli inizi degli anni 
			Cinquanta e sulla rivista locale si inasprirono le polemiche con 
			toni piuttosto accesi e due schieramenti ben precisi e quindi c'era 
			chi la disprezzava dicendo " che razza di giustizia vuol 
			rappresentare questa statua senza spada e senza la tradizionale 
			bilancia?È un'infamia, un disonore per Catania e per i catanesi. Non 
			la vogliamo!". 
			
			Per contro ,i sostenitori 
			dell'opera rispondevano che aveva fatto bene lo scultore a rompere 
			gli schemi tradizionali "Ma quale spada!Quale bilancia!Qui abbiamo 
			la più moderna e,al tempo stesso, la più antica concezione della 
			Giustizia, nelle cui mani campeggia l'uomo :il reo a destra e 
			l'innocente a sinistra. È l'uomo che viene soppesato e giudicato 
			,non una qualsiasi mercanzia .E poi ,cosa vanno cercando gli 
			sprovveduti denigratori?Ignorano di certo l'illustre precedente di 
			Giotto .Vadano a vedere nella Cappella degli Scrovegni a Padova!" 
			
			Infatti l'illustre Mimì Lazzaro 
			si era proprio ispirato a Giotto per la statua che fu adeguatamente 
			esposta e spiegata sulla Rivista Catanese ma ovviamente l'ignoranza 
			la fa da padrona: 
			
			"La statua rappresenta una figura 
			di donna, alta sette metri e mezzo ,che sostiene, nelle palme delle 
			mani due uomini per stabilirne la colpevolezza e l'innocenza, il 
			tutto in bronzo fuso del peso di cinque tonnellate. L' artista si è 
			ispirato a una pittura di Giotto nella Cappella degli Scrovegni e ne 
			rappresenta le figure all'impiedi con un ricco manto a pieghe per 
			intonarsi al progetto dell'architetto Fichera che la vide appunto in 
			posizione verticale e in composizione ritmica con i pilastri del 
			progetto. La sua forma classicheggiante si armonizza perfettamente 
			con il complesso architettonico del Palazzo " 
			
			Fonte:Lucio Sciacca 
			
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	Largo dei Vespri 
	
	IL PALAZZO DI ALESSANDRO VUCETICH A 
	CATANIA 
	
	I catanesi non sanno chi sia questo 
	Carneade anche se tutti hanno ammirato il bel palazzetto che porta il suo 
	nome e che, affacciandosi sul largo dei Vespri insieme a quello progettato 
	dall’architetto Mascali, segna la quinta urbana dell’inizio di viale XX 
	Settembre. 
	
	Il bolognese Alessandro Vucetich, 
	medaglia di bronzo al valor militare nella prima guerra mondiale, venne 
	dunque a Catania nel ’23, ingegnere capo sezione e poi direttore 
	dell’ufficio tecnico del Comune , ma non si limitò al suo ruolo 
	“istituzionale”, sentendo di essere investito del compito di “dover 
	provvedere alle cure di questa bisognevole città”, anche, forse, nella 
	speranza di riuscire ad arrotondare lo stipendio comunale. 
	
	Catania, la sua vitalità, il suo nero e 
	tardo barocco, forse anche il vulcano, osservato a debita distanza dalle 
	belle terrazze delle ville di viale Regina Margherita, gli ispirarono una 
	serie di studi, spesso solo pensati, fermati sulla carta e non attuati, ma 
	iconoclasti e dissacranti, catastrofici nel senso greco del termine. Catania 
	fu per lui una palestra di sperimentazioni più che ardite, azzardate e 
	temerarie. 
	
	 (Franz Cannizzo) 
	
	___________________________ 
	
	  
	
	
	  
	
	Il Palazzo Vucetich (Largo dei Vespri, 
	12), realizzato intorno al 1930 dall’ingegnere Alessandro Vucetich, fa da 
	pendent a quello progettato di Silvestro Mascali: le due costruzioni che 
	presentano un fronte arrotondato sul loro punto focale, creano una soluzione 
	urbanistica interessante e movimentata che ha precedenti nella complessa 
	spazialità delle città barocche. E’ troppo ardito il riferimento alla piazza 
	del Popolo di Roma, ma i due palazzi hanno la stessa funzione delle due 
	chiese romane che, come questi palazzi, definiscono un’area di sosta 
	raccolta ma non rigidamente definita anzi aperta su diversi assi viari. 
	Palazzo Vucetich è uno dei più tipici esempi di architetture dèco a Catania. 
	La sequenza dei quattro piani è movimentata da diversi elementi decorativi: 
	le botteghe al piano terra hanno ampie aperture a tutto sesto, le finestre 
	del primo piano, anch’esse a tutto sesto, sono inserite entro due lunghe 
	paraste terminanti con una sfera piatta. Il secondo piano ha balconi più 
	lineari con cornici rettangolari e infine l’ultimo piano presenta una 
	sequenza di finestre con cornici mistilinee di ispirazione eclettica. Il 
	prospetto lungo il viale principale è decorato con leggeri rilievi scultorei 
	e movimentato dalla presenza delle bow windows, elementi tratti dal 
	repertorio architettonico dell’Europa centro-settentrionale. 
	
	  
          
  
	
	  
  
	  
  
    
    
      
        | 
           
			 SICILIA
          - Ville, palazzi e cappelle: dal Liberty al Déco
           
          LA SICILIA Sabato
          21 Gennaio 2012 - Progetti e progettisti dal modernismo internazionale
          al razionalismo di regime 
           Tra le sezioni della mostra
          quella sull'architettura è la più
          interessante e completa. Le foto di ville, palazzi, edifici pubblici e
          cappelle funerarie - e la presentazione dei diversi stili ed autori -
          raccontano «le esperienze e la personalità dei principali
          protagonisti del dibattito architettonico catanese negli anni
          1870-1939» e della tutela che la sovrintendenza ha assicurato a
          questo patrimonio  monumentale alla realizzazione del quale ha
          contribuito anche una schiera di decoratori, stuccatori ed ebanisti
          che hanno concorso a creare il particolare Liberty catanese e spinto
          verso un'innovativa produzione industriale. 
          Inumerosi pannelli raccontano gli eccessi dell'architettura di
          quell'epoca, dal modernismo internazionale del Liberty ai tardivi eco
          del Barocco, all'opposizione al moderno, al dèco, all'approccio
          tradizionalista ed eclettico fino a quello razionalista d'impronta
          fascista. E raccontano «di architetti e artisti sempre in bilico tra
          modernità e conservazione, tradizione e innovazione, artisti che
          hanno creato opere in grado di fotografare una società dinamica e in
          continuo mutamento». Così sotto gli occhi del visitatore scorrono
          immagini che parlano della nobiltà e dell'alta borghesia del tempo,
          del palcoscenico delle loro ville e palazzi e degli architetti cui si
          affidarono. E sono  Francesco Fichera,
           progettista della clinica
          Vagliasindi di piazza Cavour, del garage Musumeci di piazza Bovio, del
          palazzo della Società elettrica di piazza Trento, di casa Lazzara in
          via De Felice e di tanti altri edifici. E poi i palazzi di
           Tommaso
          Malerba, il Monte di Pietà di
           Luciano Nicolosi, e le opere di
           Paolo
          Lanzerotti
           dal negozio Pirelli di Corso Italia, al cinema Diana, a
          Villa Pancari ad Ognina. E ancora i progetti degli architetti
           Carmelo
          Aloisi,
           autore del cine teatro Odeon, di Ernesto Basile, di
           Filadelfo
          Fichera,
           e di tanti altri ancora. Discorso a sé meritano i tanti
          palazzi e le cappelle funerarie progettate da
           Carlo Sada,
           il
          progettista del Teatro Massimo Bellini, alcuni dei cui disegni
          originari, di proprietà della sovrintendenza, sono esposti in uno
          spazio a sé. 
           
            
			  
			
			
			  
			
			ex Garage Musmeci - Piazza Bovio 
			- arch. F. Fichera 
            
          Villa
          Letizia, residenza dei Prefetti. 
          
			Nei
          ricordi dello scrittore Saverio Fiducia (1878-1970) viene evocata una Catania del tempo perduto,
          dei vecchi rioni, degli ampi spazi sciarosi “aspri e selvaggi” come le lave di Asmundo destinate,
          con l’espandersi della città, ad assumere nomi diversi: Massaua, piazza d’Armi, Esposizione
          e oggi piazza Verga. 
          L’asprezza dei luoghi viene testimoniata da vecchie foto della villa
          di Gabriello Carnazza e della moglie Clementina von Rintelen dove il futuro corso Italia è appena
          tracciato e le uniche costruzioni, sullo sfondo, sono quelle di via Umberto, nuova arteria portata a
          termine dall’amministrazione del sindaco avvocato Giuseppe Carnazza Puglisi. 
          Sulla famiglia catanese dei Carnazza, che vanta eminenti giuristi, parlamentari e legami parentali
          con lo storico Michele Amari, è prezioso il contributo di notizie e documentazioni fotografiche fornite
          da Lucrezia Paternò del Toscano, moglie del defunto ingegnere Arturo Carnazza e madre di
          Federico e Antonio, discendenti
          del bisnonno Gabriello. 
          
			Dalla
          nobildonna Paternò del Toscano apprendiamo che Gabriello e Carlo erano figli dell’avvocato e professore
          Giuseppe Carnazza Amari e Carlo, sposato ad Ada Trewhell, diede vita nel 1915 al
          “Giornale dell’Isola” poi affiancato da un supplemento letterario
          che promuoveva la collaborazione di esordienti letterati. 
          nel 1923 si segnalò il giovane Vitaliano Brancati. 
			
			Erika Abramo - dalla rivista della Provincia di Catania 
			  
			  
          
			
			  
            
            
          
            
            
              
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					Palazzo
                  Ferrarotto 
                  
					Viale
                  XX Settembre, 5 - Mariano Falcini 
                  
					
                  «Attribuito all’architetto Mariano Falcini, palazzo
                  Ferrarotto, noto anche come Palazzo Paternò Landolina,
                  presenta un impianto a corte, articolato volumetricamente
                  su tre piani conclusi dalla copertura a terrazza. L’accesso
                  principale sul viale XX Settembre avviene attraverso un
                  grande portale recante in chiave uno scudo gentilizio
                  coronato. Al piano terra il prospetto è impostato su un
                  basamento lavico, mentre il piano mezzano è arricchito da
                  una fascia a bugnato a corsi orizzontali. Le aperture sono
                  regolari e simmetricamente distribuite. Il piano nobile è
                  distinto da decorazioni pittoriche a graffito tra le porte
                  finestre, di maniera vasariana, eseguite del 1874 da
                  Alfonso Orabona (attivo a Catania tra il 1874 e il 1960) e da
                  Giacomo Salvador. Lo stesso partito decorativo si ripete
                  nella fascia di coronamento del sottotetto. Il palazzo
                  Ferrarotto venne ultimato nel 1892, ma preesisteva al
                  piano di ampliamento di Gentile Cusa del 1886». 
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					Palazzo
                  Vinci 
                  
					Viale
                  XX Settembre, 35 - Luigi Costantino 
                  
					
                  «Il commendatore Antonino Vinci, noto avvocato
                  catanese inserito nell’ambiente del Circolo Unione, fece
                  costruire il suo palazzo nei primi anni del Novecento
                  lungo il prestigioso viale XX Settembre, prolungamento
                  di viale Regina Margherita, dove, già dallo scorcio
                  dell’Ottocento, l’aristocrazia catanese esibiva le proprie
                  ricchezze erigendo eleganti ville urbane intonate
                  all’ecclettismo. Il palazzo, vincolato il 27 gennaio 1993,
                  fu progettato
                  dall’ingegnere palermitano Luigi Costantino. 
                  Gli interni mantengono i loro arredi e decori originari:
                  nell’insieme risulta una dimora tipica dell’alta
                  borghesia ancora legata a un lessico storicista, fatti salvi i
                  motivi decorativi non figurativi nei quali gli artisti hanno
                  modo di esprimere idee rinnovate provenienti 
                  dall’introduzione del modernismo in Sicilia». 
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					Villa
                  Feo 
                  
					Via
                  Vecchia Ognina, 128 - autore sconosciuto 
                  
					
                  «Di autore sconosciuto, Villa Feo è una delle residenze di
                  villeggiatura realizzata a partire
                  dalla fine dell’Ottocento in direzione del borgo di Ognina.
                  Di modesta dimensione,
                  successivamente ampliata e abbellita a partire dai primi anni
                  del 1900 e sino agli anni Venti,
                  la villa presenta un impianto distributivo semplice e regolare
                  a cui contrapporre un
                  composito gioco di volumi che trovano nella torretta angolare,
                  che accoglie la scala interna
                  di distribuzione per tutti i livelli, la principale
                  espressione. La villa presenta una sobria 
                  decorazione costituita da incorniciature che sottolineano le
                  aperture e da uno schematico
                  ordine architettonico che conclude i volumi principali con
                  lesene e trabeazioni. Singolare
                  l’apertura tripartita che caratterizza l’ultimo piano
                  della torretta belvedere dalla essenziale 
                  conclusione merlata di sapore orientaleggiante. L’edificio
                  presenta una scala a tenaglia
                  rivestita in marmo bianco che costituisce l’ingresso
                  principale e conserva esempi di ringhiere
                  in ferro battuto alcune delle quali originali. E’ sottoposta
                  a vincolo da 12 aprile 1989». 
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					Villa
                  Consoli Marano (1885) 
                  
					Via
                  Etnea, 569 - Salvatore Giuffrida 
                  
					«La
                  villa, progettata da Salvatore Giuffrida su commissione dell’industriale
                  Consoli Marano, è composta da due corpi parallelepipedi
                  collegati da una serra in ferro e vetro. Il prospetto
                  principale è impostato su un alto basamento a ricorsi
                  intervallati da listelli orizzontali in pietra bianca. L’ingresso
                  dell’edificio, rialzato e accessibile attraverso una scala,
                  è collocato all’interno di un arco ribassato posto sul
                  prospetto principale. Le pareti esterne presentano la
                  superficie muraria liscia e sono arricchite da un balcone
                  continuo con ringhiera sul quale si affacciano finestre
                  incorniciate da pietre da taglio. Nel giardino della villa
                  sorge un padiglione (chalet) di fine Ottocento, attribuito
                  dagli eredi di famiglia all’architetto Filadelfo Fichera
                  (1850-1909), che si mostra a pianta rettangolare con copertura
                  spiovente, rialzato ed accessibile mediante una scalinata in
                  marmo. Il prospetto principale è riccamente decorato da
                  rilievi figuranti scene di caccia, elementi floreali e statue
                  di nudi femminili». 
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					Palazzo
                  Zappalà Asmundo (1911) 
                  
					Via
                  Etnea, 544 - Salvatore Sciuto Patti 
                  
					«Tra
                  il 1909 e il 1911, l’ingegnere Salvatore Sciuto Patti
                  progetta per il barone Giuseppe Zappalà e la moglie, donna
                  Anna Grimaldi Asmundo, l’ultimo piano del loro palazzo posto
                  ad angolo tra via Etnea e piazza Borgo. I nuovi ambienti
                  vengono destinati ad una sorta di “laboratorio delle arti”
                  nei quali trovano posto il Teatro Minimo e il giardino d’inverno,
                  preziosi esempi di un rinnovamento culturale ed artistico nato
                  sulla scorta della corrente europea dell’art nouveau. La
                  luce e i colori che pervadono i nuovi ambienti sono ottenuti
                  dalle ricche finiture e dalle preziose decorazioni di
                  Alessandro Abate. A sud, aperta sulla terrazza, è la serra
                  per la quale l’architetto disegna diverse soluzioni seguendo
                  una moda travolgente in tutta Europa che, nello spirito delle
                  nuove correnti stilistiche, tende a contrapporre alle
                  classiche vetrate istoriate, tipiche delle decorazioni degli
                  edifici religiosi, la vetrata “profana” dai motivi liberty
                  e naturalistici. Sotto la spinta della creatività del
                  progettista lo spazio diventa un luogo di fusione delle arti,
                  una produzione che rappresenta 
                  una vera e propria esperienza di coinvolgimento collettivo
                  delle maestranze locali». 
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					Villa
                  Bonajuto 
                  
					Corso
                  Italia, 266 - Ing. Giovanni Severino - Arch. Paolo
                  Lanzerotti  
                  
					Villa Bonajuto, costruita nel 1929 su progetto
                  dell’ingegnere Giovanni Severino, venne ultimata
                  nel 1934 dal geometra Domenico Corsaro,
                  collaboratore di Paolo Lanzerotti, come attesta il
                  progetto originario presente all’Archivio storico
                  comunale. L’impianto è costituito da due piani
                  fuori terra ed è formato da tre volumi degradanti
                  lateralmente. Il prospetto su corso Italia è
                  caratterizzato dalla loggia-terrazza ad arco
                  ribassato sorretta da colonne, a di sopra della
                  quale è l’attico a torretta con balcone centrale
                  decorato da una mostra mistilinea. Sul prospetto
                  si apre una loggia semicircolare delimitata da una
                  balaustra le cui colonne sono sostegno del
                  balconcino del piano superiore sul quale si
                  affacciano tre aperture affiancate. Nel 1985 la villa
                  venne in gran parte demolita lasciandola mutilata
                  quasi dell’intera parte ovest. La sospensione e
                  l’imposizione del vincolo il 3 luglio 1985 hanno
                  scongiurato la perdita dell’insigne esempio di
                  architettura. Sono in corso lavori di restauro».  
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					Palazzo
                  Musumeci 
                  
					VIiale
                  XX Settembre 76 - Luciano Nicolosi
					
                   
					«Il
                  palazzo Musumeci, vincolato il 27 luglio 1984, di impostazione neoclassica, viene costruito ai primi del
                  Novecento su progetto attribuito all’ing. Luciano Nicolosi e
                  realizzato dall’impresa edile Alfio Distefano. L’edificio,
                  che si articola attorno ad un cortile interno, è costituito
                  da un piano rialzato e da un piano nobile, dalle facciate ad
                  intonaco rosa arricchite da paraste bugnate. L’ingresso all’edificio,
                  posto in posizione mediana rispetto alla facciata principale,
                  avviene attraverso un portale affiancato da colonne che
                  sorreggono il balcone del piano nobile, arricchito da una
                  balaustra a colonnine e sormontato da un frontone curvo
                  spezzato nel quale è posto uno scudo araldico. Le aperture
                  sono riquadrate da stipiti con cornici poco sporgenti e
                  balconi “alla romana” con balaustre, altre sono coronate
                  da un frontone triangolare spezzato e balconi aggettanti in
                  pietra, sorretti da mensole intagliate. Una ricca trabeazione
                  composta da un fregio decorato alternato a mensole intagliate
                  corre lungo il perimetro dell’edificio».  | 
               
              
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					Palazzo
                  Monaco 
                  viale XX Settembre 39 - Proprietà attuale: INPS
                   Uso attuale: sede degli uffici dell’INPS 
                  
					Anno di
                  costruzione: 1915 ca.  Architetto: Luciano Nicolosi,
                  rifacimenti di Paolo Lanzerotti 
                  Decoratori: Alessandro Abate (decorazioni pittoriche),
                  Salvatore Gregorietti (decorazioni pittoriche) Palazzo Monaco si presenta come un volume massiccio
                  vivacizzato più che nel disegno degli spazi nell’uso degli
                  elementi decorativi: le cariatidi e i telamoni dello scultore
                  Mario Moschetti, i vivaci inserimenti fitomorfi in ferro
                  battuto e i frontoni curvilinei spezzati da volute che cingono
                  i portali. All’interno il ruolo degli elementi decorativi
                  scultorei e pittorici è ancora più importante: gli ambienti
                  sono impreziositi dai ferri battuti, dagli elementi in ghisa,
                  dagli stucchi e soprattutto dai dipinti murari ai quali
                  lavorò Alessandro Abate, uno dei pittori più richiesti dalla
                  nobiltà e dall’alta borghesia di inizio Novecento, il
                  palermitano Salvatore Gregorietti e certamente altri anonimi
                  decoratori. Le stanze più importanti sono così animate da un
                  apparato che miscela linguaggi liberty e dèco: le
                  composizioni di figurine femminili e di puttini di intonazione
                  settecentesca, i paesaggi di gusto orientalista, i disegni di
                  fiori, nastri, foglie e animali di chiara impronta liberty
                  convivono con figure geometriche più tipicamente dèco come
                  il motivo dei dischi e delle onde.Curiosità: I Telamoni
                  derivano dal mito greco di Atlante che sorreggeva i pilastri
                  del cielo, la versione al femminile si chiama Cariatide e
                  cioè donna della Caria, regione dell'Anatolia conquistata dai
                  greci, le cui donne furono rese schiave per aver favorito i
                  Persiani. 
                  
					 Gli ambienti interni
                  sono impreziositi da un apparato decorativo che unisce
                  linguaggi liberty e déco. All’interno opere di Alessandro
                  Abate (1867-1957), Salvatore Gregorietti (1870-19529 e
                  sculture di Mario Moschetti (1879- 1960). Nel 1931 il palazzo
                  viene ceduto all’Inps che vi ha apportato alcune
                  modifiche». 
                    | 
               
             
            
           
            
            
            
          
			
			  
            
			  
			
			 A Catania tra
          gli autori più importanti del Liberty in architettura ricordiamo: 
			  
			
			 Ernesto Basile: Con villa Manganelli in Corso Italia n ° 37 di stile
          moderatamente Liberty (unica opera  architettonica a Catania del
          prestigioso autore), ancora presente nonostante l’intento, negli
          anni ’50 del secolo scorso, dei nuovi proprietari di demolirla e l’incendio
          doloso subito. 
          
          Francesco Fichera, allievo di
          Basile, ma indipendente nel gusto e
          nelle soluzioni creative, resta l’esempio più forte dell’architettura
          liberty catanese anche che permea di individualistiche stravaganze. 
           Esempi architettonici di notevole pregio di questo autore li
          ritroviamo in Villa Miranda al Viale XX Settembre n ° 64 (con la sua
          opera più ‘’basiliana’’ quasi un compendio dei più noti
          motivi stilistici del maestro), nella clinica Vagliasindi in Piazza
          Cavour n ° 19, nella
          Palazzina per la Società Elettrica in Piazza Trento e infine in villa
          Majorana in via Androne n ° 36 .  
          
          Paolo Lanzerotti: Poche cose rimangono di questo autore dopo le
          distruzioni delle sue opere migliori (Villa D’ Ayala che sorgeva
          all’incrocio tra Viale Libertà e Corso Italia, Villa per Lina
          Farnè alla Barriera e Villino Priolo in via Androne), ancora presenti
          sono Villa Pancari in via Acque Casse , Casa Lanzerotti e Casa Benati
          in via Oberdan 141 e 119 e la villetta in Via Vincenzo Giuffrida 35. 
          
          Tommaso Malerba: Ci rimane se pur continuamente irretito da insegne al
          neon di tutti gli stili e da periodiche tinteggiature ‘’parziali’’
          il graziosissimo negozio Frigeri, addossato all’abside della
          Collegiata, inoltre ricordiamo il palazzo Marano in Via Umberto 272 e
          Palazzo Abate in via Carmelo Abate 12. 
          
          Carlo Sada: 
			Milanese radicatosi  a Catania, l’architetto 
			mieteva successi professionali in città e provincia, diventando in 
			breve l’architetto alla moda: non c’era famiglia altolocata che non 
			se ne servisse e anche la media borghesia ritenne qualificante poter 
			sfoggiare un edificio di sua mano. Oltre al Teatro Massimo, progettò 
			i prospetti sia per il Palazzo del conte del Grado, in via Etnea, e 
			del Palazzetto Nicotra, in via Umberto. Altrettanto ricchi e 
			ridondanti di motivi decorativi erano i suoi progetti per gli 
			arredamenti di alcune residenze. A Grammichele (CT) si trova un 
			edificio nobiliare costruito da Sada, oltre all'attuale palazzo 
			comunale. Esempio 
			modernista realizzato dall’autore lo ritroviamo nella Clinica 
			Clementi di Piazza Santa Maria del Gesù.  
          Carmelo
          Malerba Guerrieri: Di questo autore ricordiamo Villa Ardizzone in
          viale Mario Rapisardi 114 in cui si trovano riunite scenografia
          barocca e ornamentazione liberty.  
			
			 Vanno infine citati 
			 Fabio Majorana (“Palazzo
          Rosa” in via 6 Aprile n. 19) e Fabio Cantarella (palazzo in via
          Caronda n. 90) 
            
          
			http://www.legambientecatania.it/Dossier/salvalarte/Salvalarte2008_%20Liberty.pdf 
            
            
			
			
			  
			
			Villa De Luca - Via Androne 
			
			  
			
			(anno di costruzione 
			1915 circa, autore Salvatore Giuffrida (attribuzione) 
			
			 Controversa è l'attribuzione 
			dell'autore della villa De Luca, a tutt'oggi sconosciuto, ritenuto 
			da taluni opera del geometra Salvatore Giuffrida, da altri di un 
			allievo della scuola di Francesco Fichera.  
			
			L' architettura si mostra in uno 
			scorcio angolare, distribuita su due piani e caratterizzata da una 
			loggia ottagonale architravata le cui colonne con capitelli sono il 
			sostegno del terrazzo sovrastante delimitato da un parapetto in 
			cemento e ferro battuto. I prospetti, al piano terra, presentano un 
			bugnato orizzontale sul quale si aprono finestre ad arco ribassato 
			con piattabanda in pietra, mentre le pareti del piano superiore sono 
			trattate con intonaco bianco e aperture ad arco e bifore contornate 
			da raggiera bugnate.  
			
			Medaglioni e girali floreali 
			decorano le lunette delle aperture e la fascia sottotetto. L' 
			accesso all'edificio avviene attraverso un cancello in ferro battuto 
			che immette nel giardino che circonda la villa. 
			
			(Descrizione della Soprintendenza 
			ai beni culturali) 
			
			  
			
			grazie a Milena Palermo per 
			Obiettivo Catania 
			
			
			https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/ 
			  
			  
			
			  
			
			CASA EMANUELE - Via Androne, 15 
			
			(anno di costruzione 
			1922,autore Francesco Fichera) 
			
			 In via Androne, nel tessuto 
			suburbano di fine '800 che ormai negli anni '20 comincia a prendere 
			spessore urbano, tra costruzioni neoclassiche e "moderne"tra cui la 
			Villa Majorana, lo stesso Francesco Fichera, a distanza di circa 10 
			anni dalla villa, progetta su un "lotto incluso ",allungato in 
			profondità e con breve affaccio su strada, una nuova tipologia di 
			palazzetto signorile a due elevazioni, con piano semicantinato, 
			interpretato formalmente in stile dèco. 
			
			  
			
			Con ambiti giorno posti sulla via 
			Androne e ambienti notte e di servizio sviluppati in profondità, 
			prospicienti sul piccolo giardino interno e la chiostrina ,egli 
			adegua le necessità della committenza alla irregolare forma del 
			terreno a disposizione.  
			
			Nell'unico prospetto su strada, 
			ornato e configurato secondo il gusto del nuovo stile "Anni '20",il 
			Fichera "disegna"con citazioni neobarocche astrattizzate la veste 
			decorativa della costruzione che si inserisce nel contesto 
			ambientale classicheggiante in modo lieve,ma non di poca forza 
			figurativa.  
			
			L' impaginato del prospetto 
			,organizzato su una superficie regolare di forma geometrica 
			quadrata, viene dal progettista, di fatto,modellato da due ali di 
			fabbrica appena aggettanti, che non determinano alcuna articolazione 
			all'interno ma hanno solo lo scopo di suddividere il piano-facciata 
			in 3 parti.Determinate da ribaltamenti in V2,esse si pongono come 
			parti correlate di un insieme, reso in equilibrio complessivo non 
			più statico ma di tipo dinamico.  
			
			Il Fichera consapevole degli 
			"effetti "che i rapporti e i criteri di ragione logica in funzione 
			di numeri irrazionali imprimono alle configurazioni, determina con 
			successivi ribaltamenti in V2,V6,V8,V9 anche gli allineamenti in 
			verticale, gli orizzontamenti e gli assi su cui pone e relaziona gli 
			elementi funzionali e decorativi dell'edificio.  
			
			Con propria sensibilità e cultura 
			artistica, il progettista propone un'armoniosa facciata-superficie 
			dinamica, ordinata e di qualità architettonica che però non ha 
			alcuna relazione col disegno in pianta degli ambiti (vedi ad 
			esempio, le nicchie poste nel prospetto che non vengono denunciate 
			all'interno),che "si espone "e si "esibisce ":fatta per apparire ed 
			essere ammirata. 
			
			Tra continuità col passato e 
			modernità, forme classiche geometrizzate (lesene, capitelli, 
			nicchie, dentelli, forte cornicione, decori a spirale);richiami 
			"viennesi"e di cultura tessile semperiana;ideologie dèco (lanterna 
			sull'ingresso, compostezza secessionista, intonaco indagato in 
			spessore e forme diverse, intonaco 
			listato,arricciato,borchie,perline a collane)l'oggetto 
			architettonico ideato dal Fichera vibra di spazialità e tensione 
			"ricreata",ma come un "oggetto autoreferenziale ",si "mostra "nello 
			spazio ma non "vive"lo spazio.  
			
			L' edificio ,oggi, si ritrova 
			inserito all'interno di una cortina edilizia alquanto disomogenea, 
			costituita da alti palazzi speculativi costruiti negli anni '50-'60 
			che incombono al suo intorno, ma esso emerge per la sua compostezza 
			e rigore formale, per l'austero e leggiadro disegno della facciata e 
			la ricercatezza nel trattamento dei materiali e dei dettagli 
			decorativi. La costruzione, di fatto, manifesta il suo intrinseco 
			valore simbolico di arte e di architettura qualificando 
			culturalmente il contesto urbano e l'ambiente che lo include. - 
			
			(Testo descrittivo della 
			dottoressa Mariateresa Galizia) 
			  
			
			grazie a Milena Palermo per 
			Obiettivo Catania 
			
			
			https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/ 
			
			  
			  
			  
			
			
			  
            
			
			Carlo
          Sada (Milano, 1849 – Catania, 1924) è stato un architetto italiano. 
          Iniziò
          gli studi presso le scuole serali dell’Accademia di Brera e in
          seguito si spostò a Roma presso l’Accademia di Santa Lucia. dove
          conseguì il titolo di architetto. 
          L’esperienza
          determinante per la sua carriera è data dal “Progetto per il
          completamento del teatro Nuovaluce" di Catania. 
          La
          vera scuola per Sada è stata il cantiere. Il suo maestro Andrea Scala
          riservava per sé la realizzazione dei progetti che redigeva, mentre
          affidava ai propri collaboratori i disegni esecutivi e la
          realizzazione delle proprie opere. Sada, anche da architetto
          affermato, continuò, invece, a spendere grandi energie nella
          direzione dei lavori, restringendo al minimo il margine di autonomia
          delle maestranze, alle quali forniva grandi quantità di particolari
          costruttivi e decorativi. 
          Nell’arco
          della sua attività egli redasse ben sette progetti per edifici
          teatrali e progettò anche un teatro per la città di S. Josè di Rio
          Prado, in Brasile, ma fu realizzato solo il Teatro Massimo Bellini di
          Catania. In realtà non si tratta di un progetto originale: in questo
          caso si trattò di un complesso lavoro di interpretazione e sintesi
          per il completamento di un’ opera già iniziata da altri. 
          Radicatosi
          intanto a Catania, l’architetto mieteva successi professionali in
          città e provincia, diventando in breve l’architetto alla moda: non
          c’era famiglia altolocata che non se ne servisse e anche la media
          borghesia ritenne qualificante poter sfoggiare un edificio di sua
          mano. Progettò i prospetti sia per il Palazzo del conte del Grado, in
          via Etnea, e del Palazzetto Nicotra, in via Umberto. Altrettanto
          ricchi e ridondanti di motivi decorativi erano i suoi progetti per gli
          arredamenti di alcune residenze. A Grammichele(CT) si trova un
          edificio nobiliare costruito da Sada, oltre all'attuale palazzo
          comunale. 
          Ha
          progettato i prospetti della Basilica Collegiata "Maria SS.
          dell'Elemosina", della Chiesa dell'Annunziata, della Chiesa del
          SS. Rosario di Biancavilla (Ct). È anche l'autore di diverse cappelle
          gentilizie nel Cimitero Monumentale di Catania: la cappella Sisto
          Alessi (1884), la cappella Spampinato (1900) e la cappella Tomaselli
          (1905). 
            
    		
    
        	
        
          
          
            
              | 
                 LE
                SUE OPERE PRINCIPALI  | 
             
            
              | 
                 
				
				   | 
              
                   
				  
				
				
				Ex
                Clinica Clementi 
                Anno di
                costruzione: 1901 - 1904 Architetti: Carlo Sada 
				-  
                
				L’edificio
                venne realizzato su progetto di Carlo Sada, autore del Teatro
                Massimo Bellini che in questo caso si esprime in un linguaggio
                profondamente rinnovato dall’ondata art nouveau che aveva
                conquistato la Sicilia insieme al resto d’Europa. Il risultato
                è intelligente, moderno e armonioso: la facciata imponente è
                svuotata da grandi aperture che consentono l’entrata da
                protagonista della luce, simbolo di salute e di prosperità per
                il sanatorio, uso originario dell’edificio. Il piano terra è
                forato dal grande portale centrale circoscritto da sei balconi;
                nel primo piano si ripete la stessa alternanza di vuoti e pieni
                con due grandi finestroni che delimitano un balcone a tre luci
                sormontato da un abbaino di forma circolare inserito entro
                complesse volute ed elementi decorativi che ricordano un gusto
                eclettico e un po’ pompier caro a Sada. Due grandi finestre
                sul tetto spiovente accentuano il ruolo primario della
                luminosità e concorrono a disegnare un corpo agile e vivace
                intriso dai principi fondamentali dell’architettura liberty:
                una struttura nella quale gli elementi portanti coincidono con
                quelli decorativi e nella quale la massa è il più possibile
                svuotata.  | 
             
            
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				Palazzo
                Libertini Scuderi  (1905) 
                
				Via
                Etnea, 478 -  Nella Palazzina Raddusa, poi di Schininà
                marchese di Santelia, e in seguito Libertini, vincolata il 19
                aprile 1984, Carlo Sada «si ispira al passato, ad un
                rinascimento rivisitato con il barocchetto alla francese
                semplificato nelle forme e nelle decorazioni. La redazione degli
                elaborati di progetto impegna l’architetto milanese per un
                lungo arco di tempo» e i disegni vengono pubblicati nel 1907
                nella rivista «L’Edilizia Moderna». «Sada realizza, tra due
                strade principali di Catania, un volume che con la sua massima
                regolarità d’impianto e simmetria dichiara la severità del
                prospetto principale di rappresentanza su via Etnea,
                contrapposto ad una maggiore apertura prospettica su via
                Caronda, dichiarata dal loggiato al piano terra, e da un’ulteriore
                suddivisione in elevazione. Dai due piani su via Etnea si giunge
                ai quattro su via Caronda. Su quest’ultima l’aspetto di
                intimità è accentuato da un giardino all’italiana»  | 
             
            
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				Palazzo
                del Grado (1907) 
                
				Via
                Etnea, 193  - «Agli inizi del ventesimo secolo i conti Del
                Grado incaricano l’architetto milanese Carlo Sada di redigere
                il progetto per la propria abitazione su via Etnea. Non si
                tratta di una costruzione ex novo, ma della ristrutturazione di
                un edificio preesistente, probabilmente realizzato all’inizio
                dell’Ottocento e articolato in due parti: un corpo destinato a
                residenza padronale su via Etnea ed uno destinato all’affitto
                su via Sant’Euplio. Tale scomposizione del volume è
                rispettata nel progetto di Sada e nella realizzazione. L’edificio,
                vincolato l’11 ottobre 2007, costituisce un esempio di
                architettura eclettica annoverabile nell’ambito dello stile
                Impero di impronta francese imposto a Parigi da Charles Garnier,
                lo stesso che ha ispirato l’architetto milanese in molte sue
                opere. Da sottolineare come Sada, nell’intervento di
                ristrutturazione, ricorra alla tecnologia del ferro. Questo
                materiale, con funzione di supporto alla muratura, gli consente
                la realizzazione di spazi liberi».  | 
             
            
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				   | 
              
                   
				  
				
				
				Teatro
                Massimo Bellini 
                
				Il
                teatro fu inaugurato la sera del 31 maggio 1890, con l'opera
                Norma del compositore catanese Vincenzo Bellini. Il progetto
                iniziale del teatro è dell'architetto Andrea Scala, in seguito
                vi apportò modifiche il suo collaboratore Carlo Sada, che gli
                succedette nella direzione dei lavori. 
                
				La
                facciata del teatro si ispira al classico sansoviniano della
                Biblioteca di Venezia. Il resto dell'immobile, però, se ne
                distacca nello sviluppo laterale, assumendo la forma di teatro. 
                
				La
                sala a quattro ordini di palchi oltre il loggione, è di grande
                ricchezza decorativa e di gusto aristocratico. Il soffitto è
                affrescato dal pittore Ernesto Bellandi con immagini di Bellini
                e delle sue maggiori opere: Norma, La sonnambula, I puritani e
                Il pirata. Il sipario storico, illustrante la Vittoria dei
                catanesi sui libici, è del pittore catanese Giuseppe Sciuti.
                Nel ridotto, molto ampio ed elegante tutto marmi e stucchi,
                notevole è la statua in bronzo di Vincenzo Bellini, opera di
                Salvo Giordano.  | 
             
            
              | 
                 
				
				 
                
                  | 
              
                 
				Villa
                Letizia Corso
                Italia  
				Le foto che riprendono la solitaria villa Carnazza, realizzata dall’architetto
          Carlo Sada, risalgono al 1903-1904 perché non vi è ancora traccia del giardino impiantato
          successivamente sulle rocce bonificate e della dependance adibita a studio professionale e per
          accogliere la biblioteca (ancora esistente in via Gabriello Carnazza) di testi giuridici che conserva anche
          i volumi scritti dallo stesso Gabriello che fu avvocato, docente di diritto romano all’università
          di Catania e ministro dei Lavori pubblici dal 1922 al 1924. 
          Dopo la scomparsa dell’illustre personaggio, la villa venne acquistata
          nel 1937 dall’Amministrazione provinciale per essere adibita a residenza del prefetto e prese
          il nome di “Villa Letizia”. Ad abitarvi, per primo, fu il prefetto
          conte Antonio Cesare Vittorelli. 
          Con l’acquisto dell’’ex villa Carnazza si erano raggiunti due obiettivi:
          conferire maggiore dignità al prefetto con una sede di rappresentanza
          prestigiosa e confortevole
          e rendere disponibile agli uffici provinciali l’ultimo piano dell’ex
          convento dei Minoriti adattato dal 1868 ad abitazione dei prefetti destinati alla città etnea. 
          Erika Abramo - dalla rivista della Provincia di Catania  | 
             
            
              | 
                 
				
				   | 
              
                 
				Palazzo
                Pancari Ferreri 
                Via
                Etnea, 306 - Anno Di Costruzione: 1881-1900/ inizio -
                Architetto: Carlo Sada (1849-1924) 
                
				L'edificio
                ubicato in Via Etnea, angolo Via Umberto I, insiste su un'area
                coinvolta dalle ristrutturazioni urbane di fine Ottocento. E a
                tale epoca (1875 prime proposte-1892 completamento) che risale
                la decisione del Consiglio comunale per l'allargamento della Via
                Santa Caterina, attuale Via Umberto I, in asse con l'ingresso
                della Villa Bellini. A seguito di tale intervento urbanistico la
                famiglia Fischetti commissiona nel 1881, all'architetto Carlo
                Sada, la costruzione del proprio palazzo. Nel progetto
                originario, come per le tre case signorili progettate
                dall'architetto milanese, sono previsti oltre all'abitazione del
                proprietario anche diversi appartamenti da destinare alla
                famiglia o ad affitto. Tipologicamente l'autore adotta soluzioni
                in uso nelle case di fitto milanesi, come la corte interna
                aperta su di un lato () le anticamere di disimpegno delle stanze
                raggruppate attorno alle scale principali di servizio. Nel 1885
                è previsto un ampliamento del corpo di fabbrica a nord
                della...ed alcune variazioni della copertura e alla fine
                dell'Ottocento l'edificio risulta quasi interamente completato.
                Agli inizi del Novecento il barone Pancari acquista il palazzo
                ed affida allo stesso Sada l'incarico di apportare modifiche
                all'esistente: il nuovo getto interessa la scala principale, il
                salone dell'appartamento del primo piano, i soffitti a volta ed
                infine viene richiesto all'architetto di completare
                l'arredamento dell'appartamento del piano nobile.  | 
             
           
          
         
            
    
            
          
			
			  
          
			Dopo
          solidi studi di matematica, Filadelfo Fichera (Catania 1850-1909)
          consegue, giovanissimo, nel Politecnico di Napoli la laurea in
          Ingegneria civile e Architettura. Tornato
          aCatania, acquista notorietà con la maestosa dimora realizzata per i
          Trigona duchi di Misterbianco, nel viale Regina Margherita. 
          Per l'inadeguatezza dei progetti Gravina e Sciuto-Cusson, nel 1876 gli
          viene affidato il difficile compito della sistemazione della nuova
          villa comunale, dedicata a Bellini, che doveva unire il settecentesco
          giardino-labirinto del principe di Biscari con i terreni dell'orto di
          San Salvatore. Supera le irregolarità planimetriche della vasta area
          di 7 ettari con brillanti soluzioni di ponti, di scalinate e con viali
          ed ampi spazi privilegia al funzionalità e la fruizione del parco
          valorizzandone la lussureggiante vegetazione che comprende le rarità
          botaniche del "Labirinto". 
          Dal 1897 sino alla prematura scomparsa avvenuta nel 1909, il Fichera,
          in qualità di direttore dell'Ufficio Tecnico Provinciale e Comunale
          di Catania, si occupa di problemi urbani di risanamento e opere
          pubbliche. 
          Con una autentica passione di
          archeologo, si impegna nella scoperta di monumenti del passato con la
          prospettiva di costituire una attrazione per il turismo. Espone queste
          convinzioni, valide e attualissime, nell'opera "Sul movimento dei
          forestieri in Catania". Tra i più importanti ritrovamenti
          archeologici ricordiamo: i resti medievali della casa Platamone, il
          portale della chiesa di S. Giovanni in Fleris nella via Cestaj, unica
          testimonianza della presenza dell'Ordine di Malta. 
          Nel 1903, durante la campagna di scavi decisa dal sindaco De Felice
          per riportare alla luce i ruderi dell'anfiteatro romano (II sec. a.C.)
          muore un operaio e come presunto responsabile viene arrestato il
          Fichera.   
          
          La notizia desta scalpore, molti pensano che l'incidente abbia fornito
          occasione di vendetta a personaggi che nel rigore morale del direttore
          dell'Ufficio tecnico avevano trovato ostacolo per lucrose speculazioni
          edilizie. 
          
          Dopo le vicissitudini del processo il Fichera viene assolto ma muore
          per i dispiaceri patiti e la tensione psichica con la quale seguiva le
          costruzione dell Ospizio per Ciechi "Ardizzone Gioeni",
          ultimato dal figlio Francesco ed inaugurato nel 1911 dai sovrani
          d'Italia. 
          La grandiosa e severa struttura, concepita in un rivisitato stile
          siculo-normanno con contaminazioni gotiche, interpreta felicemente le
          disposizioni testamentarie di Tommaso Ardizzone Gioeni, barone di S.
          Vito e ne esalta lo spirito filantropico. Viene considerata il
          capolavoro dell'architetto Filadelfo Fichera, sensibile ed illustre
          esponente della cultura eclettica e del funzionalismo. 
          Erika Abramo - da La Rivista della Provincia di Catania 
          
          
           
          
            
              
                | 
                   LE
                  SUE OPERE PRINCIPALI  | 
               
              
                | 
                   
					
					   | 
                
                   
					Villa
                  Duca Trigona di Misterbianco. 
                  
					Viale
                  Regina Margherita, Piazza Roma - Anno Di Costruzione: 1909
                  circa Architetto: Filadelfo Fichera (1850-1909), attribuito 
                  
					Ubicata
                  in posizione dominante, tra Piazza Roma e il Viale Regina
                  Margherita, la villa del Duca Trigona di Misterbianco viene
                  attribuita all'opera dell'architetto Filadelfo Fichera. Il
                  progettista raddoppia la partitura centrale del prospetto
                  principale realizzando un loggiato architravato ornata da
                  festoni, concluso da una balausttra con statuette
                  reggi-lampada, che anticipa il portale principale e
                  costituisce un trait d'union tra spazio interno ed esterno
                  conferendo alla villa cittadina un'area da residenza
                  suburbana. L'autore alterna con la stessa libertà progettuale
                  prospetti lisci a bugnati, finestre con cornici lineari e
                  balconi dal disegno più complesso. Infine corona il volume
                  con un fregio scultoreo di retaggio ottocentesco, decorata da
                  formelle con testine zoomorfe, patere e altorilievi con scene
                  di putti musicanti che sottolinea la grande terrazza di
                  copertura.  | 
               
              
                | 
                   
					
					   | 
                
                   
					Istituto
                  per ciechi Ardizzone Gioeni 
                  
					Via
                  Etnea, 595 - Catania 
                  
					L'stituto
                  dei Ciechi "Ardizzone Gioeni" nasce negli anni '90
                  per un atto di liberalità del filantropo Tommaso Ardizzone
                  Gioeni che, con testamento segreto del 10 marzo 1884, erigeva
                  ad erede universale del suo ingente patrimonio un
                  Ospizio-Spedale "in sollievo dei Ciechi indigenti d'ambo
                  i sessi''. La costruzione doveva aver luogo secondo "il
                  miglior sistema che per dette opere avranno adottate le
                  primarie città d'Italia". L'Opera venne progettata da
                  due tra i migliori architetti dell'epoca, Filadelfo Fichera ed
                  il di lui figlio Francesco che, alla morte del padre, la
                  portò a compimento. L'Istituto fu consegnato ai catanesi il
                  30 maggio 1911, inaugurato dai Sovrani d'Italia Vittorio
                  Emanuele III ed Elena di Montenegro, alla presenza del
                  Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti e del Cardinale
                  Giuseppe Francica Nava. 
                    
                 | 
               
              
                | 
                   
					
					   | 
                
                   
					Villa
                  Bellini 
                  
					
                  Oggi questo giardino così com'era non esiste più, parte ne
                  fu interrata, parte fu distrutta, forse in seguito alla
                  decadenza che seguì la morte del Principe. 
                  Il luogo venne riadattato ed i lavori proseguirono fino al
                  1865. In seguito il Comune riuscì anche ad acquistare terreni
                  limitrofi dai Padri Domenicani e dai Padri Cappuccini, allo
                  scopo di allargare l'area a disposizione. 
                  Dal 1877 iniziarono i lavori per collegare le nuove sezioni al
                  corpo già consolidato dei giardini pubblici, lavori che si
                  svolsero sotto la supervisione dell'ingegner Filadelfo
                  Fichera. Per il 1882 i lavori erano terminati ed era stato
                  creato un boschetto, solcato da un viale accessibile alle
                  carrozze, da una passeggiata pedonale, da un piazzale, e sulla
                  collinetta nord venne edificato anche un elegante chiosco,
                  ancor oggi distintivo del parco. L'inaugurazione del nuovo assetto avvenne nel 1883. Divenne
                  immediatamente uno dei luoghi di diporto più frequentati
                  della città, teatro di festeggiamenti, di eventi culturali,
                  mondani e musicali. 
                   
                 | 
               
              
                
				  | 
                
                   
					Villa
                  Consoli Marano 
                  
					Via
                  Etnea, 569/573 - Anno Di Costruzione: 1885 circa Architetto:
                  Salvatore Giuffrida (attivo 1800/fine) Filadelfo Fichera
                  (1850-1909) attribuito 
                  
					La
                  villa, progettata dal Salvatore Giuffrida su commissione
                  dell'industriale Consoli Marano, è composta da due corpi
                  parallelepipedi raccordati da una serra in ferro e vetro. Il
                  prospetto principale è impostato su un alto basamento a
                  ricorsi intervallati da listelli orizzontali in pietra bianca.
                  L'ingresso dell'edificio, rialzato ed accessibile grazia ad
                  una scala, è collocato all'interno di un arco ribassato posto
                  sul prospetto principale. Le pareti esterne presentano la
                  superficie muraria liscia e sono arricchite da un balcone
                  continuo con ringhiera sul quale si affacciano finestre
                  riquadrate in pietra da taglio. Nel giardino della villa sorge
                  un padiglione (Chialet) di fine Ottocento, attribuito dagli
                  eredi di famiglia all'architetto Filadelfo Fichera, che si
                  mostra a pianta rettangolare con copertura spiovente, rialzato
                  ed accessibile mediante una scalinata in marmo. Il prospetto
                  principale è riccamente decorato da rilievi raffiguranti
                  scene di caccia, elementi floreali e statue di nudi femminili;
                  le aperture sono caratterizzate da finestre tripartite ad arco
                  ribassato con colonnine nell'accordo delle aperture,
                  riquadrate da semplici cornici in terracotta a listelli. Lo
                  chalet è circondato per due lati da una grande
                  terrazza.   | 
               
              
                | 
                   
					
					   | 
                
                   
					Lavori
                  all'Anfiteatro 
                  
					Al
                  centro di piazza Stesicoro si apre una grande trincea che
                  racchiude alcuni resti dell’anfiteatro romano di Catania.
                  Alla fine del secolo scorso (come documentano numerose
                  fotografie) la piazza era completamente chiusa, anzi, nel
                  luogo ora occupato dallo scavo erano sistemate aiuole
                  ornamentali. I lavori per riportare alla luce l’anfiteatro
                  (già conosciuto dagli studiosi di storia catanese) furono
                  iniziati nel 1904, per volontà del sindaco De Felice che
                  affidò l’impresa all’architetto Filadelfo Fichera, e si
                  conclusero nella primavera del 1906. L’opera fu inaugurata
                  ufficialmente sei mesi dopo e, nel 1907, fu visitata da re
                  Vittorio Emanuele III che venne a Catania per inaugurare l’Esposizione
                  Agricola. Il grandioso monumento romano, uno dei più grandi d’Italia,
                  è nascosto quasi interamente sotto le moderne costruzioni ma
                  è visibile al di sotto del livello stradale dove si conserva
                  il corridoio che gira lungo il muro del podio; l’estensione
                  dell’edificio interessa molte vie che si irradiano dalla
                  piazza Stesicoro; 
                 | 
               
             
           
            
          
			  
          
			
			  
          Francesco
          Fichera (Catania, 16 giugno 1881 – 14 agosto 1950) è stato un
          architetto e ingegnere italiano. 
          Figlio dell'ingegnere Filadelfo Fichera, autore del Giardino Bellini
          di Catania, conseguì la laurea in ingegneria e si diplomò in
          architettura. A partire dal 1914 insegnò presso l'Università di
          Catania dove fu docente straordinario, e poi ordinario della cattedra
          di Disegno d’ornato e Architettura elementare. All'attività
          didattica affiancò lo studio dell'architettura con i suoi scritti su
          Luigi Vanvitelli e Giovanni Battista Vaccarini. Inoltre si dedicò
          alla libera professione con la realizzazione di numerose opere
          pubbliche e private, soprattutto nella sua città natale, Catania.
          Allievo di Ernesto Basile, si discosterà presto del liberty con
          richiami neo-normanni (cfr. villa Miranda a Catania) per avvicinarsi
          ad uno stile più razionale. Ebbe come allievo Rosario Marletta, che
          usò tuttavia un linguaggio diverso. 
          Ha
          anche scritto per il teatro Acceddi senza nidu (Uccelli senza nido),
          un dramma scritto per la compagnia di Angelo Musco e rappresentato la
          prima volta a Milano nell'inverno del 1916.
			 Il
          suo archivio è conservato presso la Biblioteca del Dipartimento di
          Architettura e Urbanistica della Facoltà di Ingegneria di Catania. 
          Principali opere: Palazzo delle Poste a Catania, Palazzo delle Poste a
          Siracusa, Villa
          Miranda, già del barone Reina dell'Aere a Catania (1908-09) (viale XX
          settembre n. 64),  
          Villa Scannapieco (1909) a Catania, con ampie arcate (via Duca degli
          Abruzzi), Villa Simili (1906-08) a Catania (già in viale XX
          Settembre, poi Corso Italia), Sport Club (1913) a Catania (già in via
          degli Archi), Cinema Olimpia (1913) a Catania, in Piazza Stesicoro,
          oggi è sede di un fast-food McDonald’s, Progetto per la Villa La
          Ghirlandina (1907, non realizzato) per il pensionato artistico
          nazionale a Roma, Cappella Fichera (1915) nel cimitero di Catania,
          Campanile (1916-24) della chiesa madre di Viagrande, Cappella Patanè
          (1918) nel cimitero di Catania, Istituto tecnico industriale De Felice
          (1919-29) a Catania, Istituto tecnico industriale Archimede a Catania,
          Palazzo delle Poste (1919-29) a Catania 
          Palazzo delle Poste (1922-29) a Siracusa, Villa Inga, Lido d'Albaro a
          Genova (1924-1927), Cappella Fortuna (1927) nel cimitero di Catania,
          Progetto per un Arco di Trionfo ai Caduti (non realizzato) a Palermo,
          Garage Musmeci (1928) a Catania (piazza Bovio), Palazzo di Giustizia
          (1937-55) a Catania, Villa Majorana (1911-13) a Catania (via Androne
          n. 36), con torre esagonale, Villa Mirone Deodato a Viagrande, Palazzo
          del Consiglio Provinciale dell'Economia Corporativa (1936-38) a
          Ragusa, oggi sede della Camera di Commercio, Palazzo Bonaventura a
          Giarre, Scuole comunali di Mineo, Clinica Vagliasindi (1911) a Catania
          (Piazza Cavour n. 19), Palazzina della Società Elettrica (1911-12) a
          Catania (Piazza Trento), Casa Toscano Lopò a Catania, Villa Iole
          Musco (1936) a Barriera del Bosco, Catania, progettata per l'amico
          Angelo Musco, con statue allegoriche dello scultore Carmelo Florio 
           http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Fichera
            
        
          
          
            
              | 
                   
                LE
                SUE OPERE PRINCIPALI  | 
             
            
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                 I.T.I.
                Archimede
                Viale Regina Margherita  | 
              Tribunale
                di Catania
                Piazza G. Verga | 
              Palazzo
                delle Poste
                Via Etnea | 
             
            
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              | I.T.C.
                De Felice
                Piazza Roma | 
              Garage
                Musmeci Piazza
                G. Bovio | 
              Palazzo
                Bonaventura Giarre | 
             
            
              | 
                 
				
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              | Casa
                Fichera Via
                Caronda | 
              ex
                Clinica Vagliasindi Piazza
                Cavour | 
             
            
              
				
				  | 
              
                 
				Villa
                Miranda 
                Viale XX Settembre, 64 - Anno Di Costruzione: (1905-1906) -
                Architetto: Francesco Fichera (1881-1950) 
                Villa Miranda, nota anche come Villa Reina dell'Aere del Conte,
                o Villa Dorina, si inserisce in quell'intensa attività edilizia
                che caratterizzò l'ambiente architettonico catanese nel primo
                ventennio del Novecento. Tipologicamente risponde alla tipica
                abitazione gentilizia su due elevazioni nella quale la soluzione
                ad angolo è risolta dalla torretta belvedere che si innesta
                sulla trabeazione e conferisce leggerezza a tutta la struttura.
                Il piano terra è trattato interamente in finto bugnato, mentre
                la superficie della dacciata del primo piano si presenta liscia,
                rafforzata dal bugnato delle paraste angolari. I prospetti sono
                scanditi dall'alternanza ritmica delle aperture, conferendo
                all'insieme un effetto chiaroscurale. Alcune aperture sono
                sormontate da ghiere di falsi conci, mentre altre presentano
                l'arco rinascimentale a raggiera bugnata. Motivi naturalistici a
                traforo decorano le cornici delle finestre di tutto l'edificio.
                Nel prospetto posteriore è presente una loggia con colonne al
                di sopra della quale è la piccola terrazza del piano
                superiore.   | 
             
            
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				Palazzina
                Energia Elettrica 
                
				Piazza
                Trento - Arch. Francesco Fichera 
                
				«L’edificio,
                vincolato il 7 agosto 2008, a pianta regolare, si sviluppa
                volumetricamente come un parallelepipedo nel quale la partitura
                centrale si mostra leggermente aggettante. Sopra un basamento in
                pietra lavica il prospetto presenta al piano terra un bugnato
                orizzontale arricchito da formelle color terracotta recanti l’effigie
                della Trinacria, mente il piano superiore, dal paramento murario
                liscio, è caratterizzato da un corpo centrale arricchito da tre
                aperture tripartite con parapetto a balaustra. Fasce marcapiano
                color terracotta corrono lungo il perimetro dell’edificio il
                cui coronamento è costituito da un terrazzo. Eleganti e
                raffinati gli arredi che Fichera disegna in armonia con la
                funzione che l’edificio ospita»  | 
             
            
              
				
				  | 
              
                 
				Palazzo
                Mirone 
                Ubicazione: C.so Italia, 147 - Anno di costruzione: 1937 -
                Architetti: Francesco Fichera 
                
				E’
                un esempio sobrio e riuscito dell’evoluzione di un artista
                che, partito da premesse e insegnamenti liberty, passa a un’impostazione
                dèco per poi adottare un linguaggio moderno e di chiara
                intonazione razionalista. Nel corso della nostra passeggiata è
                interessante soffermarsi su questa palazzina borghese proprio
                per notare l’armoniosa evoluzione stilistica dell’architettura
                di Francesco Fichera. Il piano terra dell’edificio risente
                ancora degli artifici del gusto decò con i due archi a tutto
                sesto che contengono una grande apertura rettangolare. Più
                mossi e lineari al tempo stesso il primo e il secondo piano
                caratterizzati dal rivestimento a cortina e da vivaci giochi di
                pieni e di vuoti creati dalle finestre e dai balconi posti negli
                angoli e tesi a svuotare la massa poderosa del cubo.  | 
             
            
              
				
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				Villa
                Josè - Musco 
                Via Leucatia, 47 - Anno Di Costruzione: 1900/inizio scuola di
                Francesco Fichera (1881-1950) 
                Di autore ignoto, villa Josè viene costruita nel primo quarto
                del XX secolo come testimonia il "piano topografico della
                città e suburbio di Catania" redatto nel 1928. La
                prossimità con la coeva Villa Jole e l'analogia di taluni
                aspetti tipologici spingono gli studiosi a ritenere la
                costruzione opera di allievi del più noto architetto Francesco
                Fichera. L'impianto volumetrico dell'edificio è costituito da
                due avancorpi laterali simmetrici e da un corpo centrale
                arretrato rispetto al filo di facciata, con portale d'ingresso
                sormontato da pensiline in ferro battuto, che riprende il motivo
                del timpano adottato nelle aperture. Nella parte sommitale, al
                centro, è posta una piccola altana con ringhiere e sostegni
                verticali in ferro battuto che sorreggono la copertura
                riprendendo forme dalla geometria rigorosa. I prospetti,
                trattati ad intonaco liscio di color rosa evidenziano l'attenta
                proporzione tra la superficie delle aperture e quelle della
                facciata. Le cornici marcapiano ed il fregio decorato con
                archetti contribuiscono ad equilibrare tra di loro i corpi di
                fabbrica. C.S.  | 
             
            
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				Casa Lazzara 
				
				Via De Felice, 32Anno Di 
				Costruzione (1919) 
				
				Architetto: Francesco Fichera 
				(1881-1950) 
				
				 Nel 1919 l'architetto 
				Francesco Fichera realizza Casa Lazzara. L'edificio dal precoce 
				tono dèco, appare costituito dall'accostamento di volumi puri - 
				la pseudo torretta d'ingresso e gli ambienti abitativi - nei 
				quali la rielaborazione dei repertori Liberty approda ai più 
				diffusi motivi iconografici del tempo. Nel candore che investe 
				l'intera facciata si manifesta l'idea tersa e schematica dei 
				modelli secessionisti; in essa, la linea perde la sua fluidità 
				per assumere un andamento ripiegato, a ricciolo, evidente sia 
				nelle lavorazioni del ferro battuto che nel decoro che conclude 
				l'ampia apertura arcuata e tripartita. Il senso dell'artificio 
				toglie il respiro naturale delle figure fito ed antropomorfe, 
				che rimandano al tema dei mascheroni teatrali coronati da 
				grappoli di frutta tondeggianti- Immancabile la presenza del 
				canestro di rose che conclude l'ultimo ordine della partitura 
				d'ingresso ed il ricorso al tema del ventaglio che appare nella 
				mofologia compositiva del balcone e nel decoro della ritmica 
				successione delle aperture del piano nobile, casa Lazzara 
				rappresenta uno dei migliori esempi d'architettura dèco 
				siciliana, nella quale Fichera riesce a coniugare motivi 
				iconografici propri dello stile, elementi caratterizzanti la 
				tradizione locale, come l'uso della pietra lavica e temi propri 
				del suo repertorio compositivo come la presenza della nicchia. 
				Rispetto al progetto originario, di cui si conserva uno schizzo 
				nell'archivio stocico del comune di Catania, si osserva la 
				sopraelevazione dell'ultimo piano nell'area della terrazza, 
				intervento che annulla l'originaria spinta verticale della 
				torretta. privando lo spazio esterno della progettata 
				"torretta". A.D. 
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				Villa
                Majorana 
                Via
                Androne, 36 - Anno Di Costruzione (1911-1913) Architetto:
                Francesco Fichera (1881-1950) 
                
				Costruita
                su progetto dell'architetto Francesco Fichera, la villa,
                circordata da un giardino con vegetazione mediterranea nasce
                come residenza della famiglia del professore Dante Majorana. La
                pianta ha uno sviluppo ad L ed i volumi sono articolati seguendo
                la morfologia irregolare del lotto nel quale l'edificio è
                collocato. L'accesso alla villa avviene mediante un corpo scala
                posto lateralmente in posizione asimmetrica. Il perno
                dell'edificio è dato dalla torretta angolare a sviluppo
                esagonale, decorata da una bordura scanalata che costituisce
                l'asse verticale su cui ruota tutto il resto dell'organismo. I
                prospetti sono caratterizzati da un sovrapporsi di fasce
                orizzontali bugnate ed intonacate, che conferiscono una
                soluzione di continuità. In corrispondenza del sottotetto è
                presente una cornice filiforme, con al centro formelle quadrate
                decorate, che ritroviamo nelle colonne della loggia. All'interno
                pregevoli pitture di Salvatore Di Gregorio (1859-1928). R.M. 
                  
               | 
             
           
          
         
            
			
			
			  
          
			Villa Majorana - Via Androne 
			
			  
			
			(anno di costruzione 
			1911-1913, autore Francesco Fichera) 
			
			Costruita su progetto 
			dell'architetto Francesco Fichera, la villa, circondata da un 
			giardino con vegetazione mediterranea, nasce come residenza della 
			famiglia del professore Dante Majorana.  
			
			La pianta ha uno sviluppo ad L e 
			i volumi sono articolati seguendo la morfologia irregolare del 
			terreno.  
			
			L' accesso alla villa avviene 
			mediante un corpo scala posto lateralmente in posizione asimmetrica. 
			Il perno dell'edificio è costituito dalla torretta angolare a 
			sviluppo esagonale che costituisce l'asse verticale su cui ruota 
			tutto il resto dell'organismo. I prospetti sono caratterizzati da un 
			sovrapporsi di fasce orizzontali bugnate e intonacate che 
			conferiscono all'insieme una soluzione di continuità.In 
			corrispondenza del sottotetto è presente una cornice filiforme, con 
			al centro formelle quadrate decorate ,che ritroviamo nelle colonne 
			della loggia.  
			
			All'interno pregevoli pitture di 
			Salvatore Di Gregorio (1859-1928) 
			
			(Descrizione della Soprintendenza 
			ai beni culturali) 
			
			  
			
			grazie a Milena Palermo per 
			Obiettivo Catania 
			
			
			https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/ 
			
			  
			  
			  
    
            
          
			
			  
          Progettò
          il palazzo Marano (1908), il negozio Frigerio (1909), il palazzo di
          piazza Duca di Camastra, la signorile palazzina del pittore Abate
          (1916). Per educazione e formazione fu il più mitteleuropeo degli
          architetti catanesi. 
          L’inaugurazione
          della Villa Bellini nel gennaio 1883 portò allo sviluppo edilizio
          delle zone circostanti, predisposto dal piano regolatore del Gentile
          Cusa per l’espansione del nucleo settecentesco in direzione Nord-Sud
          e Est-Ovest, con il prolungamento di viali da realizzarsi con assi
          ortogonali. Disegno urbanistico che riprendeva la norma progettuale
          del duca 
          di Camastra, del 1693. Nel piano di Gentile Cusa, il viale Regina
          Margherita e le zone adiacenti divennero quartieri residenziali dell’emergente
          ricca borghesia che affidava progetti di ville e palazzi ad architetti
          allora in auge. Nella Catania che va dalla seconda metà dell’Ottocento
          ai primi due decenni del Novecento all’opulenza di industriali,
          proprietari terrieri, commercianti, si accompagnava una grande
          vivacità culturale, scientifica, artistica, politica.  
          Tra
          i letterati Capuana, Verga, De Roberto, Martoglio. Tra i politici, Angelo Majorana e Giuseppe De Felice. Per il numero di teatri, café
          chantant, luoghi pubblici, banche, circoli, negozi, Catania era
          definita “la piccola Parigi”. Nel 1905 entrava in funzione il
          servizio di tram a trazione elettrica. L’eleganza, il decoro
          architettonico della città di arricchiva di opere pubbliche -come la
          Stazione ferroviaria (1866), il Teatro Massimo Bellini (1890) - e nell’edilizia
          privata, grazie al talento di ingegneri e architetti che operavano con
          uno stuolo di pittori, scultori, artigiani. Ricordiamo i protagonisti
          più noti dell’esaltante e irrepetibile crescita urbanistica della
          Catania del tempo. Il milanese Carlo Sada che si stabilì nella città
          etnea nel 1871 per coordinare i lavori del Teatro Massimo Bellini, il
          catanese Luciano Nicolosi (1855-1947), l’architetto Francesco
          Fichera (1881-1950) assistente di Ernesto Basile, e Paolo Lanzerotti
          (1875-1944). 
			  
			
			
			  
			
			Ex negozio Frigerio - Via 
			Manzoni/Via Collegiata (foto di Andrea Mirabella) 
			
			 
          Negli elementi costruttivi dei menzionati architetti prevalse il
          Liberty. Nel novero di questi geniali professionisti si colloca la
          figura e l’opera dell’ingegnere Tommaso Malerba (1866-1962). L’ambiente
          colto e raffinato della ricca famiglia dell’alta borghesia catanese
          in cui nasce fornisce a “Masino”, coccolato primogenito,
          importanti stimoli formativi, la possibilità di Malerba, il Genio
          dell’Architettura compiere gli studi a Napoli e conseguire la laurea
          in Ingegneria Civile, l’opportunità di lunghi soggiorni in Francia
          e in Germania dove può cogliere dal vivo codici e tecniche delle
          nuove espressioni architettoniche. L’itinerario di studio lo porta a
          risiedere a Venezia. L’elegante ingegnere dal portamento austero
          accentuato da imponenti baffi “prussiani” è un sensibile cultore
          del bello anche nei confronti del gentil sesso. Galeotto è l’incontro
          con una giovane donna intenta a dipingere sulle rive del Canal Grande.
          E’ la contessina Anna Pilo di Capaci, una bellezza luminosa. Dopo il
          matrimonio l’ingegnere fa ritorno a Catania, dove si inserisce nello
          studio di Carlo Sada. Rivela il suo talento nelle realizzazioni di
          opere autonome e originali come il Palazzo Mazzone in via Umberto, dai
          codici gotico-moreschi (1900). Viene insignito nel 1904 della Croce di
          Cavaliere della Corona d’Italia con la motivazione di “valoroso
          costruttore dei più eleganti palazzi catanesi”. Il riconoscimento
          più esaltante giunge in occasione dell’Esposizione Agricola
          Catanese del 1907. Il grandioso ma effimero progetto espositivo
          ispirato al Liberty diventa banco di prova per gli architetti che vi
          parteciparono. 
          Nel chiosco della ditta Inserra, produttrice di elementi di cemento
          armato, il Malerba esalta e utilizza la potenzialità del nuovo
          materiale da costruzione con l’eleganza dell’ingresso arcuato e
          tripartito, nell’ampia gamma di decorazioni floreali. 
          L’opera, decorata all’interno dal pittore Alessandro Abate, viene
          considerata il capolavoro della mostra. 
          L’elegante edifico con cappella privata e giardino interno nel quale
          Malerba abitò con la moglie, fu impietosamente abbattuto dalle ruspe
          per la realizzazione del corso Sicilia. L’anziano ingegnere, vedovo
          e senza prole, accudito da una governante, venne sistemato in un
          modesto appartamento. 
          Manteneva un aspetto signorile, baffi copiosi e fluenti, una mente
          lucidissima. Si spense serenamente nel 1962 all’età di 96 anni.
          Nessun funerale ufficiale, ne  nessun
          tributo al protagonista di un’epoca. 
          Erika
          Abramo - dalla rivista della Provincia di Catania 
          
			http://www.provincia.ct.it/informazioni/la-rivista/sommario/2007/Dicembre/filepdf/23-32.pdf 
            
            
          
            
              
                | 
                   LE
                  SUE OPERE PRINCIPALI  | 
               
              
                | 
                   
					
					   | 
                
                   
					Palazzo
                  Mazzone 
                  Via
                  Umberto I, 83 - Anno Di Costruzione: 1904 circa - Architetto:
                  Tommaso Malerba (1866-1962) 
                  
					Edificato
                  nel 1904 circa il Palazzo Mazzone sorge tra le vie Umberto I e
                  Grottebianche in una zona di espansione tardo ottocentesca.
                  Realizzato in pieno eclettismo catanese esso rappresenta una
                  delle prime esperienze costruttive documentate di Tommaso
                  Malerba. L'edificio si contrappone su Via Umberto I a casa
                  Nicotra che Carlo Sada costruisce qualche anno prima e che
                  progetta a partire dal 1898. La facciata viene liberamente
                  figurata secondo un originale stile "moresco",
                  consono al gusto dell'esotico e del meraviglioso utilizzato
                  maggiormente nelle abitazioni con giardino (Cfr. l'Arena
                  Pacini di Filadelfo Fichera oggi non più esistente). Il
                  Malerba accentua il tema del contrasto con le architetture
                  adiacenti utilizzando un linguaggio ricco di chiaroscuri, di
                  trafori di archetti, di intrecci, di superfici decorate,
                  inscenando un paesaggio d'invenzione. La caratterizzazione
                  stilistica rimane tuttavia decorativa e la tipologia
                  distributiva dell'edificio è tradizionale. Rilevante la
                  connotazione ibrida del lessico che il Malerba utilizza per
                  l'architettura della facciata. Il repertorio formale
                  eterogeneo dell'apparato decorativo attinge indifferentemente
                  da più stili accentuando la caratteristica eclettica e
                  sperimentale del suo autore. La struttura compositiva della
                  facciata principale è sorretta da una sequenza di pieni e
                  vuoti costituiti dalla presenza di piccole logge
                  caratterizzate da un arco polilobato, che seguendo la logica
                  dell'ordine architettonico, si arricchisce e si slancia mentre
                  la costruzione cresce fino a raggiungere l'ultimo piano. La
                  geometria complessiva viene imbrigliata verticalmente da
                  paraste aggettanti e orizzontalmente da un sistema di
                  trabeazioni, che marcano i livelli di calpestio, da cornici di
                  imposta degli archi delle aperture e da una fastoso fascione
                  di coronamento. L'aggetto dei balconi è della cornice di
                  coronamento è caratterizzato da mensole a stalattiti
                  (muquarnas) secondo il tradizionale lessico dell'architettura
                  araba. I fregi distribuiti sulla facciata interpretano stilemi
                  ad intrecci sia di tradizione islamica che di tradizione nord
                  europea secondo la cultura eclettica e anticonformista della
                  fine dell'Ottocento.  | 
               
              
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					Palazzina
                  Abate 
                  Via
                  Carmelo Abate, 12 - Anno Di Costruzione (1915-1918)
                  Architetto: Tommaso Malberba (1866-1962) 
                  
					Piccola,
                  modesta ed appartata, l'abitazione-studio del pittore
                  Alessandro Abate (1867-1953) realizzata su progetto di Tommaso
                  Malerba tra il 1915 ed il 1918 è un edificio che al tempo
                  stesso è residenza cittadina e casa di campagna. In questa
                  versatile tipologia Malerba sperimenta uno schema compositivo
                  di facciata formato da una singolare struttura a telaio la cui
                  modularità costituisce la regola e mette in rilievo le
                  eccezioni; egli infatti, lasciandosi guidare dalle esigenze
                  del committente realizza un partito architettonico simmetrico
                  al piano terra e asimmetrico al piano superiore. Sulla scia di
                  un'architettura con evidenti riferimenti ai modelli già
                  sperimentati a Palermo da Ernesto Basile, e che Francesco
                  Fichera propone in questi anni a Catania (ricordiamo il
                  Villini Simili del 1915), Malerba realizza la facciata
                  arricchendola con le incorniciature delle aperture e
                  impiegando alcune specchiature decorate a stucco; interpreta
                  inoltre con morbidi profili liberty, di figurazione geometrica
                  e fitomorfica, le lesene e le incorniciature principali. La
                  facciata tutta viene elaborata e decorata come se la palazzina
                  fosse un grande oggetto di arredo, una sorta di teca
                  strutturata da cornici e specchiature. Ai fianchi del primo
                  ordine una coppia di lesene binate presenta nel fusto
                  l'invenzione di un motivo a bugne 
                  raggruppate, esse incrociano la trabeazione del primo ordine
                  con un altro elemento decorativo singolare. In alto il volume
                  asimmetrico del corpo di fabbrica viene sottolineato dalla
                  prosecuzione delle lesene binate che svettano oltre la cornice
                  sommatale. La geometria elementare delle incorniciature viene
                  arricchita da elementi plastici che sottolineano i punti più
                  delicati degli innesti nell'ottica di rendere più vibrante la
                  sobria apparecchiatura ornamentale. I fregi contenuti nelle
                  aree circoscritte dalle cornici, si ripetono osservando la
                  giustapposizione dei piani. Singolare la decorazione nella
                  trabeazione del piano terreno costituita da elementi in
                  aggetto regolarmente interrotta dalle cornici verticali e che
                  accenna al balcone della tradizione. A conclusione
                  dell'edificio oltre la cornice del secondo piano, caratterizza
                  la facciata un doppio parapetto: pseudo il primo che si
                  raccorda con la cornice sottostante, reale quello più in
                  alto; entrambi ripetono lo schema a telaio del partito
                  sottostante.   | 
               
              
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					Palazzo
                  Marano Giuffrida 
					  
					Via
                  Umberto, 272  - er la II Esposizione agricola siciliana
                  di Catania del 1907, Tommaso Malerba elabora alcuni progetti
                  dalle caratteristiche forme composite come per esempio il
                  chiosco dei Fratelli Inserra. Dello stesso periodo è il
                  progetto per il palazzo Marano Giuffrida di via Umberto. 
                  Sulla scia del liberty Malerba caratterizza la serialità
                  delle apertura con una sequenza di incorniciature mistilinee
                  composite. Tradizione e modernismo convivono in una sorta di
                  esercizio di compenetrazione, di intrecci geometrici
                  fitomorfici che alludono a schemi ornamentali goticizzanti. E’
                  il coronamento del finestrone che realizza un inedito
                  singolare intreccio tra la cornice rettilinea dei piedritti e
                  quella curvilinea che conclude il finestrone. Il frontone
                  composito ad intrecci, messo a punto da Malerba per le
                  aperture, si riferisce ad uno schema già adottato per l‘Esposizione
                  del 1907 in cui si possono vedere analogie con il progetto
                  dell’ingresso del villino Deliella di Palermo di cui Ernesto
                  Basile pubblica un disegno, nel 1902, in “L’arte
                  decorativa moderna». 
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					Palazzo
                  Duca di Camastra Piazza
                  Duca di Camastra  
                 | 
               
              
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                | 
                     
                  LE
                  SUE OPERE PRINCIPALI  | 
               
              
                | 
                   
					
					   | 
                
                   
					Palazzo
                  Lanzerotti 
                  
					Via
                  Guglielmo Oberdan, 119 - Anno Di Costruzione: 1915 circa -
                  Architetto: Paolo Lanzerotti (1875-1944) 
                  
					Tipo
                  edilizio a pianta regolare, articolato su tre livelli, con
                  torretta angolare attualmente inglobata in una successiva
                  sopraelevazione. L'edificio, impostato su un basamento in
                  pietra lavica, presenta le pareti esterne intonacate
                  riquadrate da cornici marcapiano, decorate e delimitate da
                  paraste e ricorsi angolari a bugnato. A piano terra sono
                  presenti aperture rettangolari tripartite da esili colonnine
                  riquadrate da semplici cornici, mentre il piano superiore è
                  caratterizzato da finestre bipartite, con cornici decorate e
                  scandite da paraste, che si aprono su un balcone delimitato da
                  parapetto in pietra traforato a motivi romboidali. Aperture
                  tripartite con archetti a tutto sesto, che rimandano al tema
                  dell'oggiato, arricchiscono l'ultimo piano
                  dell'edificio.  
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					Palazzo
                  Berretta 
                  
					Via
                  Etnea 746 -
                  «Palazzetto, vincolato il 20 novembre 1984, su due livelli
                  con ingresso
                  laterale dalla semplice ed equilibrata volumetria. Il portale
                  d’ingresso è caratterizzato da una cornice bugnata e da una lunetta
                  arricchita da una decorazione in ferro battuto recante girale e motivi floreali.
                  Il prospetto, impostato su un basamento in pietra lavica, presenta al piano
                  terra sobrie finestre archivatrate, mentre al piano superiore vi sono
                  quattro balconi sorretti da mensole, con ringhiere decorate, le cui aperture
                  sono sormontate da un frontone triangolare aggettante. Secondo
                  quando documentato dall’ingegnere Michelangelo Mancini in una
                  relazione per il Kiwanis, l’architetto Paolo Lanzerotti progetta l’edificio
                  nella prima metà del novecento». 
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					Villa
                  Zingali Tetto 
                  
					Via
                  Etnea, 742 - 
                  «Costruita su progetto dell’architetto Paolo Lanzerotti come residenza del professore Zingali Tetto, la villa,
                  dichiarata di interesse storico artistico nel 25 febbraio 1984, si sviluppa su due elevazioni ed è caratterizzata da
                  una torre belvedere posta ad angolo. L’ingresso principale avviene attraverso un portale bugnato a tutto sesto
                  mediante il quale si accede all’atrio. Oltre è il giardino
                  che conserva ancora piante tipiche della tradizione siciliana. Le
                  finestre a piano terra sono ad arco a tutto sesto con cornice a raggiera, mentre le aperture ad arco ribassato
                  del primo piano mostrano balconi delimitati da parapetti con balaustrini. Di pari valore compositivo è la pregevole
                  veranda coperta che si affaccia sul giardino, opera di Salvatore Gregorietti (1870-1952), costituita da una
                  struttura in ferro e vetri policromi con disegni geometrici e floreali. La villa è di proprietà dell’Università ed è
                  sede del Museo universitario Casa della Città». 
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					Cinema
                  Diana 
                  
					Via
                  Umberto, 13 - «Il cinema Diana, progettato dall’architetto
                  Paolo Lanzerotti su commissione del barone Filippo Pancari,
                  vincolato il 31 marzo 1983, venne inaugurato e aperto al
                  pubblico il 24 dicembre 1925. L’edificio, in linea con il
                  filo stradale, si sviluppa su due livelli ed è impostato su
                  un basamento lavico. La facciata presenta un primo ordine
                  archivatrato scandito da paraste composite intervallate dalle
                  aperture dei vani d’ingresso di forma rettangolare, mentre
                  il secondo ordine è scandito da paraste ioniche ed è
                  caratterizzato dal motivo della finestra tripartita sormontata
                  da un timpano triangolare che rinnova il carattere monumentale
                  dell’edificio. All’esecuzione dell’opera contribuirono
                  noti artisti in gran parte catanesi, tra cui il professore
                  Gaetano D’Emanuele per le decorazioni pittoriche. Alla fine
                  del Novecento l’edificio perde la sua originaria
                  destinazione d’uso divenendo negozio.
					
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                | 
                   
					  
                 | 
                
                   
					Negozio
                  Pirelli 
                  
					Corso
                  Italia, 93 - 
                  «La composizione dei volumi risulta attenta e articolata. L’edificio, distribuito su due
                  livelli, presenta un prospetto simmetrico, con facciata centrale curva e due ali laterali con
                  grandi aperture quadrate. La facciata, priva di ogni applicazione
                  decorativa, forma lo spazio architettonico con la propria struttura e l’inserimento dei due balconi
                  contribuisce a collegare le ali del cilindro d’angolo. Caratteristica è la pensilina a
                  ventaglio che taglia l’edificio nel suo punto d’angolo e
                  conferisce leggerezza a tutta la composizione, evitando la monotonia di un
                  prospetto classico» 
                 | 
               
              
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					   | 
                
                   
					Villino
                  Citelli 
                  
					Via
                  Tomaselli, 31 - Anno Di Costruzione: (1904-1907); 1914 -
                  Architetto: Paolo Lanzerotti (1875-1944), attribuito -
                  Salvatore Sciuto Patti (1877-1926) 
                  
					Pur
                  in assenza di fonti, il progetto del villino del Dottore
                  Citelli, da adibire a studio e ad abitazione, viene attribuito
                  all'architetto Paolo Lanzerotti. L'edificio si sviluppa su tre
                  livelli; si accede mediante una breve scala dal corrimano
                  sorretto da balaustrini in finta pietra. Il prospetto è
                  caratterizzato da un apparato decorativo di gusto neo-gotico.
                  Al piano terra le finestre presentano lunette con rilievi
                  raffiguranti volti muliebri e figure allegoriche, mentre al
                  piano superiore si affaccia una loggia centrale tripartite da
                  colonnine tortili e due balconi con parapetto traforato
                  decorato da rombi e motivi floreali stilizzati. Corona la
                  facciata una fascia recante archi inflessi trilobati e
                  formelle che segna il periodo dell'edificio. Attraverso una
                  torretta merlata ornata da protomi si arriva alla copertura a
                  terrazza. Nei restanti prospetti ritroviamo lo stesso partito
                  decorativo. Nella parte retrostante del villino, tra il
                  giardino e la via Giovanni Paola si trova il volume della
                  "rimessa" progettata nel 1914 dall'ingegnere
                  Salvatore Sciuto Patti. Nel 1962 la villa viene donata dalla
                  famiglia all'Università degli Studi di Catania. C.S.  | 
               
              
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                Villa
                  Pancari Via
                  Acque Casse | 
                
				 
				Palazzo
                  Comm. Bruno Ispica
                  (RG) 
                 | 
               
              
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                   ex
                  BirrariaSvizzera Via
                  Etnea angolo Piazza Stesicoro. 
                 | 
                
				 
				Villa
                  Bonajuto Corso
                  Italia 
                 | 
               
             
           
            
          
			  
			  
			  
			
			
			VILLINO CITELLI  
			
			
			(Via Tomaselli, anno di 
			costruzione 1904/1907,autore Paolo Lanzerotti) 
			
			  
			
			Pur in assenza di fonti 
			documentarie,il progetto del villino del dottore Citelli, da adibire 
			a studio e abitazione, viene attribuito all'architetto Paolo 
			Lanzerotti. 
			
			  
			
			L' edificio si sviluppa su tre 
			livelli ai quali si accede mediante una breve scala dal corrimano 
			sorretto da balaustrini in finta pietra.  
			
			Il prospetto è caratterizzato da 
			un apparato decorativo di gusto neogotico.  
			
			Al piano terra le finestre 
			presentano timpani con altorilievi raffiguranti volti muliebri e 
			figure allegoriche, mentre al piano superiore si affacciano una 
			loggia centrale tripartita da colonnine tortili e due balconi con 
			parapetto traforato decorato da rombi e motivi floreali stilizzati. 
			Corona la facciata una fascia recante archi inflessi trilobati e 
			formelle in terracotta che segna il perimetro dell'edificio. 
			 
			
			Attraverso una torretta merlata, 
			ornata da protomi, si arriva alla copertura a terrazza. Nei restanti 
			prospetti ritroviamo lo stesso partito decorativo. Nella parte 
			retrostante del villino, tra il giardino e la via Giovanni Paola,si 
			trova il volume della rimessa progettata nel 1914 dall'ingegnere 
			Salvatore Sciuto Patti . 
			
			Nel 1962 la Villa viene donata 
			all'Università degli Studi di Catania dalla famiglia Citelli. 
			 
			
			(Descrizione della Soprintendenza 
			ai beni culturali) 
			
			  
			
			grazie a Milena Palermo per 
			Obiettivo Catania 
			
			
			https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/ 
            
			  
			  
            
          
          
			All'angolo
          fra Viale Libertà e Corso Italia, una volta c'era
          Villa D'Ayala, su progetto di Paolo Lanzerotti. 
			
			  
			
			  
			
			  
			
			  
        
        	
			LA TRISTE STORIA DEL CONTE 
			AYALA,CATANIA 
			
			 Questo scatto degli anni '30 
			dello scorso secolo,ritrae Villa Ayala e Villa Simili in Corso 
			Italia (ad angolo con Viale Libertà). 
			
			Villa Ayala fu un'opera dell'Arch.Paolo 
			Lanzerotti,realizzata nel 1914. Era una dimora fastosa,un vero e 
			proprio esempio di "Liberty" a Catania,che il Lanzerotti esegui' per 
			il Conte Saverio Francesco D'Ayala. 
			
			La Villa era composta da un piano 
			terrano e due piani sopraelevati,circondati da un giardino a 
			verde,che si può scorgere dalla foto postata. 
			
			Ma il Conte l'abitò solo per 
			pochi anni,a causa di evento triste,luttuoso. La Sua unica figlia 
			mori',a soli quattro anni,accidentalmente. 
			
			Cosa successe? La bimba si 
			arrampicò,purtroppo,nella ringhiera del lucernario,ma perse 
			l'equilibrio e precipitò nel salone sottostante,morendo,dopo un 
			tragico volo,sul colpo. 
			
			In conseguenza di questo ed 
			affranto dal dolore,il Conte Ayala vendette tutto e lasciò per 
			sempre Catania. 
			
			Villa Ayala fu abbattuta nel 1958 
			e al suo posto furono costruiti gli attuali alveari di cemento... 
			
			   
			
          
			
			
			
          
			  
          
			
			  
            
			
								
								  
			
  
			
  
			  
			  
			  
        
        	
			
			  
			
            
        
        	
			Palazzo Ferrarotto - Viale XX 
			Settembre, 5 - Mariano Falcini 
			  
			
			«Attribuito all’architetto 
			Mariano Falcini, palazzo Ferrarotto, noto anche come Palazzo Paternò 
			Landolina, presenta un impianto a corte, articolato volumetricamente 
			su tre piani conclusi dalla copertura a terrazza. L’accesso 
			principale sul viale XX Settembre avviene attraverso un grande 
			portale recante in chiave uno scudo gentilizio coronato. Al piano 
			terra il prospetto è impostato su un basamento lavico, mentre il 
			piano mezzano è arricchito da una fascia a bugnato a corsi 
			orizzontali. Le aperture sono regolari e simmetricamente 
			distribuite. Il piano nobile è distinto da decorazioni pittoriche a 
			graffito tra le porte finestre, di maniera vasariana, eseguite del 
			1874 da Alfonso Orabona (attivo a Catania tra il 1874 e il 1960) e 
			da Giacomo Salvador. Lo stesso partito decorativo si ripete nella 
			fascia di coronamento del sottotetto. Il palazzo Ferrarotto venne 
			ultimato nel 1892.  
			  
			
          
			
			  
			  
			
			  
			
			  
			
			
			  
			
			
			  
			
			Viale XX Settembre 
			  
			
			
			
			  
			  
            
                  
					 La
                  Villa Bonajuto,in Corso Italia a Catania, ha vissuto una
                  storia travagliata. Edificata intorno agli anni '30, su 1000
                  metri quadrati di terreno, l'abitazione è stata abbandonata
                  da circa vent'anni. 
                  Diversi tentativi di demolizione da parte della proprietà,
                  per erigere un palazzo, sono stati vanificati in seguito ad
                  alcuni provvedimenti giudiziari che hanno decretato la
                  sospensione dei lavori, in virtù dell'interesse storico del
                  monumento. La villa, che oggi per un terzo è diroccata, sarà
                  completamente ristrutturata, preservandone le particolarità
                  architettoniche. «Con la concessione della Sovrintendenza e
                  degli enti comunali preposti, la struttura originaria verrà
                  ricontestualizzata», ha spiegato l'architetto progettista,
                  Toti Contrafatto. L'interno, attualmente suddiviso in tre
                  elementi familiari e undici spazi per la servitù, sarà
                  ridisegnato. Saranno conservati i due piani, mentre nel
                  cortiletto interno verranno ricavate sei botteghe a uso
                  commerciale. http://www.unpodituttopertutti.it/index_file/villedicatania.htm 
            
          Villa
          Bonajuto rinasce dalle proprie ceneri. Ferita rimarginata 27 anni dopo
          lo scempio 
          Pinella Leocata - LA SICILIA Mercoledì 11 Gennaio 2012 
          Cade il
          telone e, come d'incanto, si materializza Villa Bonajuto, bella
          com'era 27 anni fa, prima che una benna l'aggredisse devastandola. Le
          ruspe entrarono in azione all'alba del 5 giugno 1985 con la rapidità
          vorace della speculazione edilizia, con la violenza di chi vuole
          piegare, con i fatti, la determinata resistenza degli organi di
          tutela. Per anni la sovrintendenza aveva lottato contro il progetto di
          costruire un palazzo al posto della villa in stile Decò. Per anni,
          senza demordere, si era appellata alle leggi preposte alla
          salvaguardia del patrimonio monumentale e paesaggistico e ora che
          stava per avere la meglio, superati mille ostacoli e un clima
          compiacente verso chi conta, i proprietari della villa tentano il
          blitz e danno avvio alla demolizione. Prima che sorga il sole.  
          Allora l'indignazione dei cittadini e l'intervento tempestivo della
          magistratura bloccarono lo scempio e la villa restò a brandelli per
          decenni, simbolo insieme della violenza della speculazione e della
          forza della legge. Allora la sovrintendenza, l'assessorato regionale
          ai Beni culturali e la magistratura decretarono che il danno andava
          riparato, che la parte della villa demolita andava riedificata com'era
          prima, che l'edificio - progettato dal geometra Domenico Corsaro con
          la probabile consulenza stilistica del grande architetto Paolo
          Lanzerotti - dovesse ritornare a vivere. La città ha dovuto attendere
          lunghi anni e adesso, infine, dopo un lavoro certosino, portato avanti
          al riparo degli sguardi, Villa Bonajuto è tornata. 
          I lavori sono stati condotti sulla base di un primo progetto redatto
          nel 2004 dall'architetto Toti Contraffatto e dall'ing. Salvatore
          Asero. Nel marzo 2009 l'edificio, di prorietà della famiglia
          Bonajuto, e la relativa concessione per i lavori vengono rilevati
          dalla Rosline, una società non catanese che si occupa di recupero di
          beni architettonici. Come progettisti subentrano l'ing. Maurizio
          Erbicella e l'arch. Antonio Iraci. 
          I primi tre mesi vengono dedicati a ripulire il giardino e le stanze
          dell'edificio ricoperti d'immondizia e di erbacce dopo decenni di
          abbandono.   Si è poi proceduto ai rilievi materici perché l'opera di
          ricucitura presuppone la conoscenza dei materiali usati in precedenza
          in modo che quelli nuovi collaborino e non contrastino con questi.
          Durante i rilievi i tecnici rilevarono che il progetto di recupero era
          stato elaborato sulla base di quello originale che non era stato del
          tutto rispettato nella costruzione della villa. Di qui la richiesta,
          nel dicembre 2010, di una variante poi autorizzata dalla
          sovrintendenza che ha seguito passo passo tutto l'intervento
          attraverso l'arch. Giuseppe Sciacca, incaricato dell'alta
          sorveglianza. 
          «Si è trattato di un lavoro folle - commenta l'ing. Erbicella -
          perché abbiamo dovuto ricostruire la parte distrutta, recuperare
          quella "morsa" dai mezzi meccanici, e rimuovere gli
          interventi di somma urgenza, tampognature comprese, effettuati dalla
          sovrintendenza per evitare che l'edificio crollasse. Questo significa
          che abbiamo fatto un lavoro certosino di monta e smonta, con notevoli
          problemi di sicurezza. Abbiamo fotografato tutto, smontato, catalogato
          e rimontato quanto era recuperabile. Così abbiamo fatto per il
          torrino che non era più in condizioni di sicurezza. Per quanto
          riguarda le parti mancanti abbiamo fatto un'attenta ricerca dei
          materiali che meglio si adattano all'esistente.  
			  
			
			  
			  
			
			E non è stato facile
          perché siamo dovuti risalire alle cave da cui erano stati prelevati.
          Non solo. Per lavorare il materiale lapideo, poiché la pietra risente
          del clima, e dunque degli sbalzi di temperatura e di umidità, abbiamo
          potuto operare solo in un determinato lasso di tempo. E gli effetti si
          possono notare all'angolo di coronamento dove la parte vecchia e
          quella nuova sono indistinguibili. La definizione degli interni, che
          non presentavano alcuna rifinitura di pregio, è rinviata a dopo, a
          quando sarà scelta la destinazione d'uso della villa». 
          
			  
           La società è intervenuta anche nel giardino esterno, un'area a forma
          di triangolo delimitata dalla villa, da corso Italia e v ia Vecchia Ognina. Qui si è utilizzato il salto di livello tra la strada e la
          quota del giardino per realizzare un seminterrato da destinare a spazi
          commerciali e un altro livello interrato da utilizzare come deposito.
          Il giardino sarà ricostituito a lavori ultimati. Tempo previsto
          ancora qualche mese, poi la villa demolita tornerà a far parte a
          pieno titolo del paesaggio catanese. Con soddisfazione di quanti amano
          la propria città. 
          http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getarticle&id=92613 
            
          A
          diffondere lo stile liberty nella città fu un imprenditore di origini
          umili, Mario Sangiorgi. 
          Egli fece realizzare il complesso del teatro-cafè-albergo-ristorante
          di via Di Sangiuliano, che ospitò illustri personaggi e diede
          prestigio alla città. 
          L'arch. Giuffrida e il decoratore Florio realizzarono la facciata
          eclettica con motivi goticizzanti, barocchi e nouveau. Il pittore
          decoratore Salvatore De Gregorio affrescò gli interni con un
          repertorio barocco-floreale. 
          Negli affreschi dominano i toni scuri del rosso bruno, del giallo
          ocra, dell'oro degli stucchi, che incorniciano scene mitologiche
          insieme a volute floreali. Nella sala che fu il Cafè Chantant è
          disegnata una sirena in un rigoglio floreale straordinario. 
          
			CORMORANO
          LEGAMBIENTE
          CULTURA
          SICILIA 
            
        
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			Villa Manganelli 
			Photogallery 
			
			  
			
			  
			
			   
			  
			  
          
			
			  
          
          Disegnata ad arte e poi costruita,fatta quasi scolpire da Ernesto
          Basile...Attraverso le pietre sembra narrare i conflitti fra le due
          famiglie che ancora continuano, i processi vinti e persi,gli incendi
          dolosi subiti e ormai passati.Le tante ferite che a tratti sembrano
          venire fuori dall’intonaco staccato e screpolato sulla facciata
          superiore gridano ai passanti indifferenti,attraverso le finestre
          tappate con mattoni che come l’urlo che risuona nelle nostre
          coscienze d’avanti al dipinto <<il grido>> di E.Munch
          senza parole con la loro sola presenza dalle aperture cellofanate
          delle torrette e dalle sue finestre scardinate e poi coperte con altri
          mattoni, appaiono come bocche chiuse e tappate da mani , bloccate da
          una burocrazia presieduta da uomini di potere omertosi che spesso nel
          loro susseguirsi ,nella loro massima aspirazione che è quella di
          mietere vittime come al tempo dell’inquisizione, anziché occuparsi
          della crescita e dello sviluppo della cultura e dell’arte della
          propria città...non permettono neanche di parlarne a chi desidera
          farlo. Quante memorie ,con qualche sprazzo di lustro,durato poco
          ,Luchino Visconti gira alcune riprese per il film “Il Gattopardo”.Quanti
          travestimenti per sopravvivere alla poca curanza dei suoi diversi
          fruitori,alle loro maldestre fattezze,in quanti luoghi si è
          trasformata: locali mondani,scuole da ballo,teatri,uffici,studi
          professionali,diversi gli usi,diverse le sorti. 
            
          
			
			  
            
          
			Arch.
          Ernesto Basile 
            
          ................ della volta spoglia di tutto. Nel fondo un soffitto in
          calcestruzzo...Con rammarico abbassando gli occhi e tuffandosi in quel
          blu del fondo della ceramica , un pò annerito di fumo, per guardarvi
          dentro in profondità...in un ‘onda di amarezza emerge la
          consapevolezza che questa antica Architettura non sarà mai più la
          residenza che era stata concepita e disegnata dal Basile , per
          coronare l’amore del principe e della principessa che mai potettero
          godere di tale dimora... Il tutto ci appare come realtà temporale in
          cui lo spazio e il tempo della vita presente sembrano fondersi con
          quelli del passato.Sarà come uno spettacolo, una messa in
          scena,assistervi significa parteciparvi,per trovarsi in una nuova
          disponibilità mentale di riflessione e sogno…L’arte spesso
          sopravvive ad eventi straordinari come questa ceramica e l’affresco. 
            
          
           
            
          Villa
          Cocuzza Del Grado 
          C.so
          Italia, 107 - Anno Di Costruzione: (1903-1908); 1934 - Architetto:
          Agatino Atanasio (1872-1946) - Benedetto Caruso (1870-1934) –
          attuale proprietà Di Bella 
          La
          villa nota anche come Del Grado, fu progettata tra il 1903 ed il 1908
          dall'ingegnere Agatino Atanasio su commissione del signor Salvatore
          Cigno. L'ediificio, mostra una volumetria compatta costituita da un
          corpo centrale, da quattro torrette con copertura a capanna collocate
          agli angoli ed è circondato da un giardino dall'essenze mediterranee.
          I prospetti presentano un rivestimento murario dai toni rosei con
          ricorsi orizzontali in falso bugnato. L'ingresso dell'edificio,
          accessibile grazie ad una scalinata esterna, è posto al di sotto di
          una loggia architravata sorretta da una coppia di colonne binate,
          opera giustapposta all'originario prospetto nel 1932 su progetto
          dell'architetto Benedetto Caruso. La loggia accoglie superiormente il
          terrazzo del primo piano, protetto da una balaustra a colonnine, su
          quale si affaccia un giardino d'inverno in ferro battuto e vetri
          policromi, anch'esso aggiunto in sostituzione della originaria
          copertura centrale a cupola. La villa esternamente è deliminata da
          una elegantissima ringhiera in ferro battuto di autore ignoto con
          motivi "a colpi di frusta", rifatta sul disegno originale.
          R.M. 
            
			
			
			
			
	
		  
			
			  
			
			  
			
			  
          
			
			  
			  
			  
           
          Con un pò di immaginazione ecco cancellarsi tutti i segni dei
          sorprusi subiti e rimettersi al proprio posto i merletti e le perle
          ricamate su i suoi abiti strappati e scoloriti ormai spogli e
          incantati ,ridisegnarsi ravvivandone i colori e i contorni delle parti
          dipinte sulle sue vesti, su quelle rotondità ormai appassite che come
          affreschi di volte minacciate dal tempo appaiono scoloriti e
          screpolati dall’incuria o addirittura dall’indifferenza di chi
          avrebbe dovuto prendersene cura...Il viaggio continua scendendo per i
          suoi seminterrati dove la parola Architettura Liberty non esiste più
          e semmai fosse esistita non se ne vede più traccia,ma sembrerà di
          avvertire dalle mura antiche in pietra lavica , un respiro che evoca
          parole come:Essere, Divenire. Sotto l’influsso di un ipnosi
          poetica... un’ arcana inquietudine mostra,le dame, i cavalieri,il
          principe e la principessa che non hanno potuto danzare il loro
          ballo,non hanno mai varcato la soglia della porta della residenza“Castello”e
          come in una strana ironia della sorte nessun altro, dopo di loro, ha
          trovato pace e lustro e potuto godere della dimora che doveva coronare
          un grande amore fino ad adesso non riconosciuto e preservato anche
          dopo la loro morte. Forse l’affresco e la formina che hanno
          resistito a tutte le varie peripezie desiderano e chiedono fermamente
          questo.L’importante non è tanto sapere cosa rappresentano lo stemma
          araldico e la formina rettangolare in ceramica da me fotografata...
          ma,facendo appello al subcosciente.  
            
          
			
			  
           Guardando Villa
          Manganelli,pensando al Basile alla sua linea parlante, ispirata, ad un
          certo rituale di quel fare tipico dell’ Architettura Modernista
          unica e monumentale...l’armonia delle pietre improvvisamente si
          dissolvono nella nostra mente per diventare ombre colorate , per
          ritornare disegni tracciati dall’ombra proveniente dalla luce in un
          giuoco chiaroscurale che ne ridisegna i contorni magici e attraverso
          la nostra costante scoperta appaiono in continuo divenire . 
			  
			  
			
			
			  
			  
			Posandovi
          lo sguardo non più distratto e ascoltandola con l’ anima in
          relazione alla sua anima...sembrerà di risentire il sensuale batter
          del ferro,il picchiettio dell’incidere dello scalpellino sulle
          pietre, che come un battito di cuore di questa fabbrica risuonerà
          dentro di noi e per infine giungere al carezzevole e silenzioso fruire
          della matita sui fogli bianchi da disegno del Basile, facendo
          emozionare ancora una volta per evocare tutti quei discorsi che la
          linea parlante ha in sè, la possibilità della vita, del dare vita.
          Fantasmi allusivi i suoi abitanti (il principe e la principessa) Il
          braccio che si leva nell’ampio gesto di un saluto del principe tra i
          nastri e le braccia dei puttini dell’affresco del Gregorietti.Il
          passo lento e felpato , danzante della principessa , immersa fra le
          nuvole turchine...della formina in ceramica che in modo indelebile
          permangono e sopravvivono a tutto in segno del loro infinito amore. 
			  
			
			
			  
			  
			
			Il palazzo dell'ex Leonardo 
			da Vinci fino al 1965-66, poi, a distanza di anni, sede del 
			Provveditorato agli Studi della provincia di Catania, poi Istituto 
			Scolastico Savoia, poi, fino al 2012, sede dell'Istituto d'Arte. 
			  
			  
			
			
			  
			  
			
			Propongo l’adozione a distanza...di architetture e in generale di
          tutto quel vasto patrimonio artistico e culturale che come orfani sono
          troppo spesso abbandonati e lasciati in balia del tutto... perchè
          possano essere realizzate manifestazioni ed eventi che in modo
          correlato mettano in evidenza e permettano la raccolta di fondi a
          tutela del nostro Patrimonio Artistico e Culturale.
           
          
			http://tsunamiblog.myblog.it/archive/2011/03/19/a-villa-manganelli-tra-misteri-e-incantesimi-un-amore-indele.html 
			  
			  
			
			  
			
			Villa Manganelli con l'Etna alle spalle 
			  
			  
			
			
			 Palazzo 
			Monaco 
			
			viale XX Settembre 39 - Proprietà attuale: 
			INPS Uso attuale: sede degli uffici dell’INPS 
			
			  
			
			Anno di costruzione: 1915 ca. Architetto: 
			Luciano Nicolosi, rifacimenti di Paolo Lanzerotti 
			
			Decoratori: Alessandro Abate (decorazioni 
			pittoriche), Salvatore Gregorietti (decorazioni pittoriche) Palazzo 
			Monaco si presenta come un volume massiccio vivacizzato più che nel 
			disegno degli spazi nell’uso degli elementi decorativi: le cariatidi 
			e i telamoni dello scultore Mario Moschetti, i vivaci inserimenti 
			fitomorfi in ferro battuto e i frontoni curvilinei spezzati da 
			volute che cingono i portali. All’interno il ruolo degli elementi 
			decorativi scultorei e pittorici è ancora più importante: gli 
			ambienti sono impreziositi dai ferri battuti, dagli elementi in 
			ghisa, dagli stucchi e soprattutto dai dipinti murari ai quali 
			lavorò Alessandro Abate, uno dei pittori più richiesti dalla nobiltà 
			e dall’alta borghesia di inizio Novecento, il palermitano Salvatore 
			Gregorietti e certamente altri anonimi decoratori.  
			
			  
			
			  
			
			
			
			  
			
			foto di Salvo Puccio 
			
			  
			
			Le stanze più importanti sono 
			così animate da un apparato che miscela linguaggi liberty e dèco: le composizioni di figurine femminili e di puttini 
			di intonazione settecentesca, i paesaggi di gusto orientalista, i 
			disegni di fiori, nastri, foglie e animali di chiara impronta 
			liberty convivono con figure geometriche più tipicamente dèco come 
			il motivo dei dischi e delle onde.Curiosità: I Telamoni derivano dal 
			mito greco di Atlante che sorreggeva i pilastri del cielo, la 
			versione al femminile si chiama Cariatide e cioè donna della Caria, 
			regione dell'Anatolia conquistata dai greci, le cui donne furono 
			rese schiave per aver favorito i Persiani. 
			
			Gli ambienti interni sono 
			impreziositi da un apparato decorativo che unisce linguaggi liberty 
			e déco. All’interno 
			opere di Alessandro Abate (1867-1957), Salvatore Gregorietti 
			(1870-19529 e sculture di Mario Moschetti (1879- 1960). Nel 1931 il 
			palazzo viene ceduto all’Inps che vi ha apportato alcune modifiche». 
			
			  
            
          
			
			  
			
			Catania, Viale Jonio 
            
			  
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	VILLA CIGNO COCUZZA 
	 
	
	(Corso Italia, anno di costruzione 
	1903/1908 ,autore Agatino Atanasio) 
	  
	
	La villa,nota anche come Del Grado,fu 
	progettata tra il 1903 e il 1908 dall'ingegnere Agatino Atanasio su 
	commissione del signor Salvatore Cigno. 
	
	L' edificio mostra una volumetria 
	compatta costituita da un corpo centrale, da 4 torrette con copertura a 
	capanna collocate agli angoli ed è circondato da un giardino di essenze 
	mediterranee.  
	
	I prospetti presentano un rivestimento 
	murario dai toni rosei con ricorsi orizzontali in falso bugnato.  
	
	L' ingresso, accessibile da una scalinata 
	esterna, è posto al di sotto di una loggia architravata sorretta da una 
	coppia di colonne Bonate,opera giustapposta nel 1932 all'originario 
	prospetto su progetto dell'architetto Benedetto Caruso Puglisi (1870-1934). 
	
	La loggia accoglie superiormente il 
	terrazzo del primo piano, protetto da una balaustra a colonnine ,sul quale 
	si affaccia un giardino d'inverno in ferro battuto e vetri policromi 
	,anch'esso aggiunto in sostituzione della originaria copertura centrale a 
	cupola.  
	
	Elegantissima la ringhiera in ferro 
	battuto di autore ignoto ,con motivi a "colpi di frusta",rifatta dopo la 
	guerra.  
	
	(Descrizione della Soprintendenza ai beni 
	culturali) 
    
    
	Note e foto di Milena Palermo per 
	Obiettivo catania 
	
	 - 
	https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/ 
	
	  
	
	  
	
	
	
	  
    
   
	
	  
	  
	  
    
  
	
          
  
    
    
      
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  Parrocchie
   
    
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  CROCEFISSO DEI MIRACOLI   
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  E. Pantano 42 - 95129 Catania tel: 095 531590 
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   Piazza Bovio 29 - 95131 Catania (CT) tel:
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  DOMENICO 
    
  
	 
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  Via Santa Maddalena, 80 
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  095 314340 
         | 
        
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  - 
    
Arena
Adua - Catania (ct) - Largo Carmelo Amendola - 095 7169312  
  - 
    
Arena
Argentina - Catania (ct) - Via Vanasco 10 - 095 322030  
  - 
    
Excelsior
- Catania (ct) - via De Felice, 21 - 095 316699  
  - 
    
Lo
Pò - Catania (ct) - via Etnea, 256 - 095 326210  
  - 
    
Metropolitan
- Catania (ct) - via S. Euplio, 21 - -  
  - 
    
Odeon
- Catania (ct) - via F. Corridoni, 19 - 095 326324  
 
          
        INFORMAZIONI
        TURISTICHE 
        Azienda
        Provinciale Turismo: sede via Cimarosa, 10 tel. 095 7306222 - 095
        7306233 
        Ufficio
        porto: Molo Sporgente Centrale tel. 095 7306209 
        Ufficio
        Stazione Centrale FF.SS.: tel. 095 7306255 
        Ufficio
        Aeroporto: tel. 095 7306266 - 095 7306277 
        Ufficio
        via Etnea, 63: tel. 095 311768 
          
  
    
     
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FARMACIE  
          - 
            
   
          - 
            
BALSAMO
        GIUSEPPE V. Umberto, 125 095-311691  
          - 
            
BATTIATI
        MARILENA V. Umberto, 144 095-321920  
          - 
            
GUARNACCIA
        CONCETTA V. Umberto, 254 095-533945  
          - 
            
GUARNACCIA
        SOSSIO V.le Vittorio Veneto, 133 095-503937  
          - 
            
INTERNAZIONALE
        V. Vincenzo Giuffrida, 141 095-430346  
          - 
            
MORASCA
        MARIA V. Umberto, 155 095-321545  
          - 
            
PITTARI
        V. Torino, 70/76 095-439357  
          - 
            
ROMA
        C.so Martiri della Liberta', 16 095-530003  
          - 
            
SICILIA
        V. Francesco Crispi, 46 095-533998  
          
         
          
        Croce
        Rossa - tel. 7312601 - Croce Verde - tel. 373333 -
        493263 - Guardia Medica - tel. 377122 - 382113 
       
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