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Palazzo Pancari Ferreri
Via Etnea, 306 - Anno Di Costruzione: 1881-1900/ inizio - Architetto: Carlo Sada (1849-1924)

L'edificio ubicato in Via Etnea, angolo Via Umberto I, insiste su un'area coinvolta dalle ristrutturazioni urbane di fine Ottocento. E a tale epoca (1875 prime proposte-1892 completamento) che risale la decisione del Consiglio comunale per l'allargamento della Via Santa Caterina, attuale Via Umberto I, in asse con l'ingresso della Villa Bellini. A seguito di tale intervento urbanistico la famiglia Fischetti commissiona nel 1881, all'architetto Carlo Sada, la costruzione del proprio palazzo. Nel progetto originario, come per le tre case signorili progettate dall'architetto milanese, sono previsti oltre all'abitazione del proprietario anche diversi appartamenti da destinare alla famiglia o ad affitto. Tipologicamente l'autore adotta soluzioni in uso nelle case di fitto milanesi, come la corte interna aperta su di un lato () le anticamere di disimpegno delle stanze raggruppate attorno alle scale principali di servizio. Nel 1885 è previsto un ampliamento del corpo di fabbrica a nord della...ed alcune variazioni della copertura e alla fine dell'Ottocento l'edificio risulta quasi interamente completato. Agli inizi del Novecento il barone Pancari acquista il palazzo ed affida allo stesso Sada l'incarico di apportare modifiche all'esistente: il nuovo getto interessa la scala principale, il salone dell'appartamento del primo piano, i soffitti a volta ed infine viene richiesto all'architetto di completare l'arredamento dell'appartamento del piano nobile.

Il loro habitat naturale era la via Etnea, con particolare preferenza al tratto villa Bellini-piazza Stesicoro, ma il tempo maggiore lo trascorrevano davanti a Caviezel, il bar-pasticceria ubicato di fronte al cinema "Sala Roma", che da lì a poco sarebbe scomparso per far posto all'attuale casermone della Rinascente, e a pochi metri dall'Hotel CentraI Corona, oggi CentraI Palace. Davanti alle vetrine della pasticceria svizzera si riunivano in gruppetti di cinque o sei e lì, dalle undici alle quattordici circa, si svolgeva il quotidiano rito della "sfurbiciata". Si tagliavano i vestiti addosso a tutte le donne conosciute e non (tranne le madri e le sorelle, ovviamente) e si raccontavano, con dovizie di particolari stuzzicanti, avventure galanti vissute o ... sognate. Con linguaggio coloratissimo, non proprio da educande o da seminaristi.

LO sproloquiare s'interrompeva solo quando passava una bella donna, all'indirizzo della quale piovevano i complimenti più infocati. Ogni tanto un "guerriero del sesso" si staccava dal gruppetto, entrava da Caviezel, ne usciva poco dopo con un bicchiere di Campari Soda e con questo, tenuto in mano come un trofeo, tornava al suo posto, riappoggiava al muro le spalle e la pianta di un piede e cominciava a centellinare il suo aperitivo con la non chalance di una sofisticata nobildonna d'altri tempi.

Apparentemente sembravano uguali ai coetanei che stazionavano poco più in là, davanti a Savia e al giardino Bellini, ma, come detto, rispetto ai più popolari "picciotti di vita" avevano sicuramente più classe: provenivano quasi tutti dai licei classici cittadini, molti avevano già letto il Brancati di Don Giovanni in Sicilia, Il bell'Antonio e Paolo il caldo e alcuni anche il primo Patti di Quartieri alti, ogni tanto si "sparavano" qualche frase sentenziosa latina, citavano Cartesio e Kant, parlavano di Prévert, Sartre e Juliette Greco.

 

Non erano, insomma, degli sprovveduti, tutt'altro: una generazione cui la storia aveva assegnato il compito di concludere, con gli anni '60, una mitologia di gallismo che letteratura e cinematografia non sempre hanno saputo sfruttare adeguatamente; una generazione alla quale la guerra aveva negato fanciullezza e adolescenza; una generazione di ragazzi che, usciti dalla sfera erotico-letteraria di quel tempo, trovarono ben presto la strada giusta per imporsi nella vita con i frutti dei loro seri studi e della loro intelligenza. Molti di essi occupano ancora oggi posti di grande prestigio e responsabilità nell'amministrazione dello Stato o svolgono attività di liberi professionisti; qualcuno sfortunatamente ci ha preceduti nell'ultimo viaggio.
Fra tanti ne voglio ricordare particolarmente uno col quale giocavo a calcio nel campetto del collegio Leonardo da Vinci, allora in viale della Libertà; non giocava molto bene, anzi sarebbe più esatto dire che era alquanto "scarso", ma, in compenso, non si stancava mai quando parlava di donne e di sesso. Era eternamente disponibile e, spesso, con sussiegosa aria professionale e con un pizzico di mal celata civetteria, soleva definirsi modestamente un ''homo eroticus".

da "A Catania con amore" - di Lucio Sciacca - Edizioni Greco

In una citta' golosa e raffinata come Catania, la Pasticceria Savia incarna i fasti della dolcezza, tra cannoli invitanti e cassate variopinte, tra paste di mandorla e l'esplosione di colori del marzapane.

Come consuetudine cittadina,da piu' di Un Secolo, dal caffe' all'aperitivo,dall'arancina al pasticcino, a seconda dell'ora e degli impegni, la Pasticceria Savia e' la meta preferita da giovani e meno giovani impiegati e manager ranpanti nella pausa pranzo.

Fu fondata nel 1897 dai coniugi Angelo ed Elisabetta Savia in quella zona anticamente chiamata Piano di Nicosia. Da li' mosse i primi passi e accrebbe la sua esperienza grazie all'intuito e alla sagacia di Alfio e Carmelina Savia trovo' degna sistemazione nel cuore della citta';

Per i pochi che non lo sapessero la Pasticceria Savia si trova incastonata ad angolo tra la via Etnea e la Via Umberto, in quello che Federico de Roberto battezzo' col nome prestigioso di Salotto di Catania.

 

 

 

 

In quell'illustre angolo matura, grazie ad Angelo Savia, la tradizione dolciaria che trova i suoi punti di forza nell'eccelsa qualità delle materie prime, nella magistrale professionalita' e cortesia del suo personale e nel confezionamento dei prodotti sempre freschi e fragranti.

Forte di questi capisaldi la Pasticceria Savia ha iniziato un nuovo capitolo della sua storia Da oggi insieme ai nipoti Alessandro e Claudio, si presenta alla clientela in una veste completamente rinnovata, conservando sempre la qualita' e le tradizioni di un tempo.

da www.savia..it

 

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Pippo, il Re delle pernacchie

 

In ogni articolo che si rispetti i ringraziamenti si scorgono in coda all’elaborato;  nondimeno viceversa si apre oggi il mio. Propriamente con un tributo di sincera gratitudine a cantautori, poeti, scrittori e artisti che hanno solennizzato un uomo vissuto nella seconda metà del secolo scorso ai piedi del vulcano più alto d’Europa. Immortalato dal pittore francese Cristian Bernard, il suo ritratto spicca in un murales del bar Mokambo di Taormina mentre una sua foto in primo piano la copertina del Times anni fa guadagnò. È grazie a questi signori se tuttora egli sosta oltre i confini delle leggende nostrane.   

«Chi era in realtà Pippo? -si chiede Domenico Trischitta- Era l’ultimo testimone e, nello stesso tempo, personaggio del mondo brancatiano. Percorreva in lungo e largo i marciapiedi di via Etnea, dispensando sorrisi, ghigni beffardi e sonore pernacchie ai pochi nobili decaduti o agli impettiti politici che facevano passerella per elemosinare voti. Si era autodecorato con tre medaglie che gli penzolavano sulla giacca nera e unta di grasso».«Non sapremo mai –prosegue Aldo Motta- se Giuseppe Condorelli detto ’Pippo pernacchia’ fosse veramente babbo. O non piuttosto troppo sperto. Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, i suoi proiettavano candore e furbizia, dolcezza e scaltrezza; erano un insieme di sottile ingenuità mista ad una gentile velatura di mascalzoneria. Il suo viso rotondeggiante era spaccato da un sorriso permanente, bonario e forse anche misterioso.‘Frati mio –mi disse una volta-cu sti quattru sordi ca mi dati, a pernacchia mi nesci vascia e lenta’».«La pernacchia di Pippo –così Salvatore Scalia- s’innalzò in un ultimo acuto che incrinò l’aria cristallina della sera primaverile, sfiorò i balconi per perdersi tra i tetti bui, infine si esaurì in un lungo malinconico lamento».

Ora è sconfortata e ha smarrito il proverbiale humour ma, all’inizio degli anni Sessanta, questa città chiamata Catania è l’opulenta Milano del sud. L’atmosfera sognante della sua realtà urbana, dal salotto buono al cuore pulsante, la innalza a una delle più belle del reame. Quivi c’è la pasticceria svizzera Caviezel che rimane  in via Etnea, di fronte al piccolo gioiello liberty incastonato tra due antichi palazzi: il cine Sala Roma. Colà

un giovanotto riccioluto e piccolo di statura ha creato il suo quartier generale. Ha poco più di trent’anni, una rada peluria sul viso da simpatica canaglia e un cappellino di paglia in testa. Indossa camicia a fiori e giacca da yachtman con bottoni dorati, i suoi pantaloni di colore blu son lisi e spiegazzati.

Pippo è un talento della natura, un personaggio la cui nomea s’estende dalla costa ionica fin a Mascalucia, Belpasso e Sigonella Ha una funzione sociale, perché quando qualcuno vola più in alto della quota di competenza, scende in campo con arte e indirizza un chiaro messaggio al destinatario. Delle pernacchie, in fin dei conti, è il Re ma anche un po’ il Robin Hood. Porta pollice e indice alla bocca e con prepotenti deflagrazioni gli fa capire che è il caso di ridimensionarsi. Tali spifferi irrispettosi costano poche lire ma se paghi il doppio, può darsi che tremi tutta la via Etnea dai Quattro Canti fin al Duomo e a Porta Aci. L’intera città è sbeffeggiata dai frastuoni stravaganti del suo irridente trombone; per il suo esser senza tempo e convenzioni, per gli stentorei virtuosismi e la vita randagia suscita un oscuro turbamento nei concittadini. «Pernacchie così –ripetono i passanti- non ne fabbricano manco alla Fiat di Torino». «Chissà chi – dicono-gli prepara da mangiare  e chi gli assicura un tetto e un letto». Se gli si domanda «Pippo, ma perchè non ti sposi?» il giovanotto s’accarezza la barbetta e poi fa: «No, perchè poi mi si sciupa il viso».«Pippo pernacchia –parola di Piero Corigliano- è un vecchio fanciullo con gli occhietti da topolino, l’espressione un po’ beffarda, un po’ trasognata e un segno particolare sul labbro inferiore, una specie di tumefazione come quella del grande Armstrong. La sua popolarità supera quella di un deputato. Pippo è un grosso commerciante. Vende pernacchie. Ci vive. Potrebbe diventare ricco se lo volesse. La sua produzione fragorosa, inconfondibile e, fortunatamente, inodore, trova numerosi acquirenti. Un non siciliano stenterebbe  a credere che si possa campare tranquillamente prendendo a pernacchie il prossimo. Pippo non è un filosofo che protesta contro una società sperequata e malefatta; né s’intende di politica: è soltanto un istintivo che dileggia il prossimo per servirlo. A suo modo, è un uomo felice».

È  un sicario, ma non uno comune: un giullare buono camuffato da esecutore. Gli autobus di linea e quelli dell’Etna Trasporti lo portano con sè e lo mostrano come un trofeo: i conducenti alleviano la noia e si donano uno sfizio. Non appena scende giù, quello comincia a spernacchiare uomini e cose da un marciapiede all’altro. Come una stella del varietà, dapprima accenna un lieve inchino poi allarga in modo solenne le braccia; avvicina la mano alle labbra, gonfia le guance e s’esibisce con maestria. Col viso stravolto e grottesco, sorride beato e s’illude di aver il mondo ai piedi. Con la bella stagione si spinge in quel di Taormina e lo si vede bazzicare in corso Umberto a incuriosir i turisti americani che lo pagano bene per sbeffeggiare connazionali e travestiti di passaggio. Quando scompare dalla circolazione, la gente di Catania sta in angoscia fin quando Pippo non fa di nuovo capolino alla stazione, alla plaja o in via delle Finanze.

Passano gli anni, il signor Pernacchia invecchia e si trasforma in una specie di clochard con barba grigia,  braccia mulinanti e consueto sguardo di lince. Cappello da cowboy, aspetto trasandato, giubba scura con patacche lucenti: non più super-eroe ma fenomeno da baraccone. Ora l’andatura è caracollante come quella delle galline, indossa una stella da sceriffo sul petto e va in giro vestito più modestamente. In città l’atmosfera si fa nuvolosa, da tempo il volto fiero e ironico della Milano del sud non c’è più. Giuseppe Condorelli ha l’animo d’un bambino e i catanesi lo amano ancora; se qualcuno, però, gli grida «Talia cu c’è Pippo ‘Sala Roma’», perde le staffe e risponde con parolacce. Nessuno ha mai capito il perché.

«Mille lire una pernacchia, -ripete per le strade- duemila lire due pernacchie». Le sue vittime sono sempre i palloni gonfiati e -oggi come ieri- più importante è il bersaglio, più alta la tariffa. «Se non sei nell'attenzione delle pernacchie di Pippo, -è vox populi negli anni ottanta- non sei nessuno». Epperò i suoi motteggi hanno ancora un suono struggente, quasi celestiale che si ode a cento metri di distanza. «A chi si congratulava con lui –insiste Aldo Motta- per le tante onorificenze ricevute, rispondeva con modestia, mentre i suoi occhi birbanti lampeggiavano di contentezza: ’Sugnu sulamenti cavaleri’». «Quel giorno –riprende Domenico Trischitta-  era felice, era il 27 settembre, e ogni 27 andava a riscuotere lo stipendio dal suo datore di lavoro, il capo redattore de La Sicilia Piero Corigliano, che gli elargiva generosamente una somma per la sua singolare professionalità di artista dello sberleffo sonoro. Ma mentre gli dava il denaro, il giornalista si accorse che il fazzoletto di Pippo era sporco di sangue, gli chiese come mai e lui disse di essere raffreddato. Erano i primi sintomi di un tumore alla gola che lentamente gli avrebbe spento lo strumento e la vita».

«Quando Pippo morì, -congiunge il cerchio Santo Privitera- nella sua bara ci entrò così: con i suoi ‘allori’ conquistati grazie alle ‘colonne sonore’ intonate con maestria ai più meritevoli».

È il quindicesimo giorno del mese di marzo dell’anno domini millenovecentonovantatre.

«Ma vu ricordati a Pippo –canta Vincenzo Spampinato-  ca calava a via Etnea ca so stidda da sceriffu, sutta o suli o si chiuveva. Era bonu  era cuntentu ca so funcia e li mustazzi, chi pirnacchi a lu guvernu ca trimavunu i palazzi. Pippu su lu purtau lu ventu cu nu sgrusciu di carrozza, u distinu nfamu e tinti ci manciau li cannarozza»

 

Alessandro Russo - La Sicilia, 1 ottobre 2016 (il disegno è di Enzo Salanitro)

 

 

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Qualche consiglio su dove ripararsi dall'alta temperatura, onde evitare svenimenti per strada e concludere la serata la pronto soccorso.

Un piccolo segreto di Via Etnea. Non so se vi siete mai chiesti perché, nel tratto che va dal fotografo Marino fino a Palazzo Cantarella, un gruppetto di uomini sosta sempre proprio sul marciapiedi antistante l’ingresso del Palazzo delle Poste.

Nei caldi pomeriggi estivi sono sempre lì, ogni giorno, a sollevare al cielo i loro antichi racconti pregni di avventure a Taormina, delle serate al Lido dei Ciclopi negli anni Sessanta, delle loro carriere, di conquiste mai avvenute ma raccontate nei minimi dettagli, ma soprattutto di minchiate, tante minchiate che si sollevano al cielo come palloncini alla festa di Sant’Agata e che li fanno sentire ancora giovani quando arriva il momento di prendere il bus (se arriva) per tornare a casa.

Perché le sollevano proprio lì? Perché mi hanno raccontato che proprio in quei dieci metri di Via Etnea circola una corrente d’aria proveniente da Via Litrico, complice l’androne del Palazzo delle Poste, che genera un gradevole venticello che si incanala in quel tratto di strada come se fosse aria condizionata, capace di asciugare in un attimo qualsiasi indumento offeso dall’afa catanese.

Ecco (come da foto) perché stanno sempre lì, quasi a darsi spallate per ricevere ogni alito di brezza proveniente dalla Villa Bellini.

(M.R.)

 

 

Palazzo Carnazza Cocuzza

 

 

Via Etnea negli anni Sessanta

 

 

 

 

 

 

 

IL RINAZZO.

 

-Quando la più importante strada della città non si snodava lunga e diritta come ora,ma dopo breve e ondulato corso andava a morire sui muraglioni della Porta di Aci,quel tratto di periferia che ne restava fuori, altro non era che aperta campagna. Una campagna formata da terreni privi di rocce laviche alla superficie, permeabili e in prevalenza sabbiosi,dove la vegetazione s'infoltiva facilmente e dove, fino alla metà dell'Ottocento, prosperarono i cosiddetti ORTI DEL SALVATORE.

Forse per la natura stessa di quei terreni, il quartiere che via via andò formandosi a oriente del giardino biscariano, fra il Vico delle Fosse e l'ex Villa Maiorana (attuali via Sant'Euplio-palazzo delle Poste),la via Stesicorea, il vico Santa Caterina e la Grotta Bianca, si chiamò RINAZZO.

<<......Chi non lo conosce ancora, vada a vederlo nel suo interno, questo quartiere del Rinazzo;troverà un'intrigata tela di luride catapecchie, aggruppate senz'ordine e senza regola, attorniate da strette viuzze, ove regna l'umidità permanente, perché non vi penetra aria nè luce;ed è addirittura una succursale della vecchia CIVITA trapiantata al RINAZZO >>(M.Scammacca Asmundo-Appello al pubblico catanese sull'apertura d'una nuova strada dirimpetto la Villa Bellini- Catania, 1876)

Insomma un quartiere malandato nel cuore della città, un quartiere per il quale i tempi buoni sembrava non dovessero mai arrivare.

Invece, un bel giorno arrivarono;e arrivarono quasi contemporaneamente all'unità della Patria.

 

Fra il 1858 e il 1890 (il tempo non si misura ad anni,in fatto di opere pubbliche) maturarono eventi determinanti per la rinascita del Rinazzo.

Il primo di questi fu la trasformazione del LABERINTO biscariano in villa pubblica, cui fecero seguito la sistemazione della via Etnea fino al Borgo,l'illuminazione a gas,l'apertura della via Santa Caterina, la costruzione di alcuni grandiosi palazzi di fronte e di fianco al giardino Bellini, il conseguente spostamento del centro cittadino più a nord rispetto alla Marina e a piazza Duomo.

Per incidenza e vistosità, il fatto che merita di essere particolarmente ricordato è quello che ruota attorno all'apertura di via Santa Caterina (attuale via Umberto),ricco di spunti polemici e d'interventi politici,di proposte e di contropoposte;ricco,soprattutto, d'episodi nei quali l'interesse privato ebbe parte preminente, spesso a scapito di quello pubblico, e perciò stesso della Città.

Devesi premettere che i lavori di livellamento della via Etnea fino all'ingresso principale della Villa, iniziati in quello stesso scorcio di tempo, erano stati di non facile attuazione, specialmente nel raccordo delle varie pendenze;e, come al solito, avevano suscitato discussioni, critiche, interventi a livello di tecnici, di amministratori comunali, di privati.Si arrivò persino alle offese scritte,quando  - per citare un esempio  - l'ing. Ignazio Landolina, in un suo opuscolo stampato nel 1870 per i tipi della Gazzetta di Catania, diede del somaro all'ingegnere Eligio Sciuto,capo dell'ufficio tecnico comunale, colpevole, secondo lui,d'avere sbagliato tutto in quei lavori, i cui risultati furono <<così infelicissimi e mostruosi,da dare la esatta sensazione anche ad un cieco che per salire all'Etna la strada cominciasse a discendere......>>.

 

Al progetto d'apertura d'una strada dirimpetto l'ingresso centrale della Villa Bellini si perveniva dunque con gli animi ancora accesi e con le discordie fra i vari gruppi politici, dentro e fuori l'aula consiliare, più vive e insanabili che mai.

L' esito del risanamento del RINAZZO dipendeva in gran parte dalla realizzazione di questa strada, che si presentava complessa e delicata per gli oneri finanziari, i risvolti politici, le interferenze private che ne derivavano.

Per restare nei limiti di tempo e di spazio  - la questione comporterebbe più lungo esame  - diremo in succinto che le soluzioni presentate in Consiglio Comunale furono tre:

1) apertura d'una grande strada di 34 metri di larghezza in asse con l'ingresso della Villa;

2) apertura d'una strada, sempre dirimpetto all'ingresso della Villa, con larghezza costante di metri 14,e soppressione di gran parte della tortuosa via Santa Caterina;

3) allargamento della detta via Santa Caterina.

 

Il Rinazzo

 

Nel 1875 una commissione di esperti, dopo lungo e accurato studio, propose al Consiglio la soluzione numero due.

Ma,andando le cose alle lunghe,un anno e mezzo dopo, il consigliere comunale Michele Scammacca, che della prima soluzione era tenace assertore, dà alle stampe un opuscolo col quale mette in chiaro i retroscena, gli errori, i difetti della spinosa questione.

Rivolgendosi ai catanesi, il nobile Scammacca pone sotto accusa i colleghi del Consiglio, il Sindaco, gli Assessori, i quali non avvertono l'incidenza di un'ordinata espansione urbanistica, mentre  << I nostri padri,prevedendo uno sviluppo non facilmente rilevabile a quei tempi, prepararono l'avvenire grandioso ed estetico della città, con le bellissime strade della Stesicoro-Etnea, della Garibaldi, del Corso, dei Quattro Cantoni, della Vittoria.

Noi,"civilizzati posteri", abbiamo permesso, invece, il sorgere di quartieri come quelli del Carmine e di San Berillo, la fabbrica di case antigieniche e malsane, la costruzione di strade anguste e tortuose.....>>

 

 

Si scaglia, poi,contro i sostenitori degli interessi privati e contro i proprietari delle aree entro cui cadono opere di pubblica utilità, i quali << salvo poche,laudabili eccezioni, hanno scarso gusto estetico, ed anziché sollecitare, o spingere la civica amministrazione ad eseguire certe opere pubbliche, la osteggiano o profittano della sua scarsa energia per ottenere assegni di linea favorevoli soltanto ai loro ciechi interessi......>>.Conclude auspicando che <<dal fronte della Villa Bellini, nella direzione dell'est, s'apra una grande arteria larga non meno di 34 metri, che dia respiro alla città, accresca l'importanza della Villa, risollevi le sorti di un quartiere desolato......>>

Cinque anni dopo la nobile sortita dello Scammacca, precisamente il 21 dicembre 1881,nel palazzo di città si riunisce la commissione consiliare per discutere <<sui tre differenti progetti elaborati dall'ufficio tecnico per l'apertura d'una strada nel lato orientale del RINAZZO, di fronte al giardino Bellini >>.

Dopo ampia discussione, durata non sappiamo quanto,prende piede e si afferma il Voto ragionato del consigliere Carmelo Sciuto Patti,membro della detta commissione.

Signori - dice pressappoco lo Sciuto Patti  - perché lambiccarsi il cervello?Perché perdere tempo prezioso?Uno solo è il progetto da prendere in considerazione, quello che prevede l'allargamento della via Santa Caterina. Aprire una grande arteria?A qual pro?E perché?

 

VIDEO DELLA PASTICCERIA SAVIA

 

<<.....Quale sarebbe lo scopo di questa larghissima strada?A mio avviso, nessuno. Se si eccettui l'idea di aversi una larga via di riscontro all'ingresso del giardino Bellini, nessun'altra circostanza di utilità pubblica, sia d'igiene, sia d'estetica od altro, potrà mai giustificarla. L' igiene vi guadagnerà tanto con una strada larga trenta metri quanto con l'altra larga dieci......>>.

L' appassionato consigliere chiama quindi a sostegno del suo assunto le spese cui si andrebbe incontro, le difficoltà tecniche, le inutilità di una strada che si apra in asse con l'ingresso della Villa;la stoltezza di certi lussi,lo sperpero del pubblico danaro, se mai si dovesse optare per altra soluzione.

Con l'allargamento della via Santa Caterina, invece, tutto diverrà più semplice e più facile;non si affronteranno che spese irrilevanti e sacrifici lievi,non si avrà alcuna espropriazione di proprietà privata.

Il dibattito fu acceso, vivaci le polemiche.

L' anno successivo, per i tipi di Eugenio Coco,e forse ad iniziativa del giornale IL PLEBISCITO, veniva stampato altro opuscolo nel quale, rimescolandosi ancora la minestra della costruenda strada, si passavano in rassegna le interminabili tappe e le varie prese di posizione di tecnici e di politici.

<<......Noi non sappiamo se il Voto ragionato del prof. Sciuto Patti....sia stato ispirato dalla Curia Arcivescovile, nè se egli sia membro della Società Pia o Circolo di Sant'Agata o Circolo di Sant'Euplio o altro sodalizio, sappiamo però che l'egregio professore non doveva subordinare i suoi doveri di consigliere comunale alle esigenze della Curia che non doveva essere tirata in ballo, sebbene ne conosciamo la prevalenza nelle elezioni politiche ed amministrative.....>>.

Dopo lunga dissertazione, l'opuscolo conclude con l'auspicio che la bella e grande via dirimpetto l'ingresso del giardino Bellini sia al più presto realizzata, com'è nei voti d'ogni persona amante della propria città.

Sul finire del 1883,finalmente la decisione. Il Consiglio, disattesa ogni altra decisione, approvò il progetto per l'allargamento di via Santa Caterina fino alle Grotte Bianche (la strada successivamente e in periodi diversi,venne prolungata fino a piazza Iolanda).

Per la gioia dei pochi,la montagna aveva partorito il classico topolino, e la grande arteria di 34 metri vagheggiata dai molti, in asse con l'ingresso centrale della Villa Bellini, venne così trasformandosi in un budello, di fianco alla Villa stessa.

Ad alleggerire il peso di tanto affronto,s'incaricò Carlo Sada,realizzando per il RINAZZO una delle sue più rappresentative opere, il palazzo Pancari.

(di Lucio Sciacca, da "Catania com'era",edizione Ì Faraglioni, 1974)

 

 

 

 

Palazzo Delle Poste (Francesco Fichera 1881-1950)

 Un corpo decorativo coinvolge all'esterno l'edificio con motivi déco, classici e neobarocchi, visibili nel cornicione, nei capitelli, nei bottoni posti sotto di esso, nella trama dei cancelli, negli ordini architettonici, nei barocchi mascheroni che fuoriescono dalle chiavi di volta degli archi, ma soprattutto nel pesante bugnato rustico che corre lungo la parte basamentale della facciata. All'interno, una grande fascia periferica, destinata agli utenti, circonda un cortile centrale su cui affacciano gli uffici e gli sportelli. Sebbene l'opera di Fichera possa sembrare stilisticamente non interessante, in realtà le sue architetture, mascherate secondo il gusto eclettico alla moda, frutto di approfonditi studi, esprimono il rigore formale nella concezione degli spazi, la necessità della gerarchizzazione degli ambienti e della distinzione delle parti della facciata, nonchè un repertorio vasto di tipologie e di elementi architettonici a cui dare un nuovo stile, oppure... tutti gli stili.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Teatro Metropolitan di Catania è stato inaugurato nel 1954, gli architetti furono gli stessi del Sistina di Roma del quale ricorda molto la struttura, con i maggiori spazi disponibili. Si trova al centro della città.

Dopo una programmazione mista di Cinema e Teatro da 10 anni ormai la sua attività è esclusivamente teatrale, ospita una rassegna che è ormai arrivata alla trentatreesima edizione e varie altre rassegne, concerti e spettacoli vari organizzati dalla stessa gestione o da altri.

Attualmente gli abbonati della rassegna principale sono circa 9.000, mentre le presenze complessive durante l'anno si aggirano sulle 200.000

Per maggiori informazioni: Tel.: 095 322323 - Fax 095 316596  E-mail: info@metropolitan.catania.it

 

 

 

"Mi chianci u cori"

Mi chianci u cori, quannu viru chi fini sta facennu ‘sta città,

quannu caminu ppa via Etnea cco me canuzzu,

e viru tutti ‘sti cosi stotti peri peri.
Mi chianci u cori, a viriri tutta ‘sta genti abbiata pi strata, ca cecca

d’accucchiari quacche euru vinnennu i sò barattelli,
ma nuddu ci runa n’pocu di cunfirenza picchì su tutti a malura.
Mi chianci u cori, quannu viru 'sti carusiddi di oggi,

ca a’rucazioni non sannu mancu chi vvo’ diri,
e non mi fannu spirari nenti di bonu ppo futuru.
Mi chianci u cori, a viriri ca tutti si lamentunu, macari giustamente,

 ma ca poi non c’è nuddu ca si smovi u culu da seggia
pi fari quacche cosa di concretu.
Mi chianci u cori. E a furia di chianciri...

non m’aristanu cchiu’ lacrimi di jttari.

 

Testo e foto di Salvo Puccio.
 

 

 

 

 

angolo Via Andronico

 

 

 

La necropoli sotto la Rinascente

  di Livio Mario Cortese

 CATANIA - C'è un mondo nascosto sotto la città. Un mondo che trasuda storia, coperto da altra storia. Catania nasconde un cuore archeologico spesso sconosciuto ma che vale la pena di scoprire, addentrandosi sotto la superficie dove si trovano le testimonianze delle vite precedenti di una città rinata più volte su se stessa, che si intrecciano con la città moderna.

La Rinascente, via Etnea, pieno giorno. Si scende di qualche piano e, superato lo scarico merci, una porta introduce in un ambiente spoglio e piuttosto freddo, di cemento grezzo. Qui inizia uno spezzone della vastissima necropoli romana di Catania: è venuto alla luce oltre mezzo secolo fa, durante la costruzione dell’edificio. Le sepolture, vuote, si intervallano a tubature e pilastri delle fondamenta; in mezzo si apre un pozzo artesiano. Sulle pareti dei loculi, dove ancora resiste l’intonaco, si possono osservare tracce di colore giallo e rosso. Colpisce il contrasto tra queste pietre e il cemento. “Il ritrovamento risale agli anni ‘50”, ci racconta il dott. Andrea Patanè, della Soprintendenza ai Beni Culturali. “Fu demolito il palazzo Spitaleri-Trigona, danneggiato dai bombardamenti, e sostituito dallo stabile attuale: questo necessitava di piani molto interrati, anche per i pilastri delle fondamenta. Le tombe furono scoperte in quell’occasione, ma già nel 1928 se n’erano rinvenute altre durante la costruzione del palazzo delle Poste”.

Il centro di Catania sorge quindi su un antico cimitero romano. Negli anni ’60, in epoca di speculazione edilizia, non erano rari episodi simili. “Sotto la zona di via Dottor Consoli e via Androne, scavando altre fondamenta, fu dissotterrata un’altra grossa area sepolcrale, dove spiccava una piccola basilica. Il mosaico pavimentale è stato restaurato ed esposto al Castello Ursino, finché la ristrutturazione degli anni ’90 non ci ha costretti a smontarlo per conservarlo in un deposito, dove si trova tutt’ora”. Il rinvenimento del mosaico riveste una certa importanza storica. “Risale al V secolo d.C., al periodo dell’invasione dei Visigoti; denota tuttavia una forte disponibilità economica per l’ingaggio di artigiani qualificati, in un’epoca pur critica”.

Altri siti notevoli, l’ipogeo romano di via Ipogeo e quello entro il perimetro di villa Modica: l’uno visitabile, l’altro chiuso al pubblico. Diversi fattori, ci viene spiegato, non ne hanno favorito la visibilità. “Negli anni del boom edilizio”, prosegue Patane’, “la coscienza collettiva su questi fatti era scarsa. Del resto la prima legge sulla tutela dei beni archeologici risale al 1939. Tuttavia, proprio nella necropoli della Rinascente il professor Rizza procedette a operazioni di restauro. I ritrovamenti in viale Regina Margherita sono avvenuti sui terreni già di proprietà dei domenicani, espropriati dallo Stato unitario e poi acquistati dalle famiglie borghesi per costruirvi le famose ville liberty. Oggi, i beni sarebbero tutelati in modo ben più rigoroso, anche se nel caso di villa Modica i proprietari hanno sempre avuto la massima disponibilità verso la Soprintendenza in caso di sopralluoghi”.

Nell'insieme, la necropoli catanese si estende su tutta la zona a nord dell’anfiteatro e fuori dalle antiche mura, tra Palazzo Tezzano (dove altre sepolture romane sono emerse una ventina d’anni fa) e piazza S.Maria di Gesù. Alcuni luoghi, come quello sotto le Poste, non sono oggi fruibili; altri stanno conoscendo diversi processi di valorizzazione. “Un’idea potrebbe essere quella di proseguire, su questi siti, la collaborazione con l’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali del CNR. Grazie a loro è stato già allestito un modello 3D dell’anfiteatro. Anche le ricostruzioni interattive possono essere utili a mostrare punti non altrimenti visitabili dal pubblico, come alcune parti dell’anfiteatro impiegate come fognatura fino ad epoche recenti”.

Nell’immediato, la mostra “Catania all’epoca di Agata”, presso il Museo Diocesano, ospiterà alcuni pannelli esplicativi nei quali si parlerà anche delle sepolture sotto la Rinascente. Pannelli analoghi saranno posti nel grande magazzino in via Etnea, vista la volontà della società di rendere partecipi i clienti. Sul piano divulgativo, proseguiranno i piani didattici presentati alle scuole dalla Soprintendenza, comprendenti lezioni frontali e visite guidate nelle aree archeologiche di Catania e provincia.

31 Gennaio 2017

http://catania.livesicilia.it/2016/01/31/la-necropoli-romana-e-la-citta-da-valorizzare-viaggio-nella-catania-sepolta-sotto-i-palazzi_366640/

 

 

 

Palazzo Majorana Palazzo Papa

 

 

 

 

 

CHIESA E RECLUSORIO DEL LUME

Ciò che rimane della struttura di beneficenza oggi è solo la via Reclusorio del Lume traversa di piazza San Domenico. Sorgeva al posto di questo palazzo un istituto che ospitava le fanciulle disagiate in gran parte orfane che venivano istruite ed educate .Il reclusorio era stato fondato nel 1812 da un gruppo di sacerdoti e finanziato dal duca di Carcaci .L'istituito ospitava oltre 200 fanciulle .

Costruito dai F.lli Costanzo nel 1967/68, dal 1969 il pianterreno e parte del primo pinao divennero la sede della nuovissima facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Catania.

Annessa al Reclusorio una chiesa:

-Non ha prospetto perché è nell'interno del Reclusorio, però nel portone della via Androne che guarda a levante si osserva la seguente iscrizione :Reclusorio di M.SS.Del Lume .Su di questa sono le sigle di Maria sormontate da una corona di pietra calcare e da una croce più su.Innanzi agli stipiti del portone sono sculti da un lato due uccellini sotto una stella e dall'altro un'ancora e la iniziale M.

Passato il portone segue una scala di marmo, indi un uscio a destra che introduce nella sagrestia ove vedesi una lapide con la seguente iscrizione latina :

(Il sacerdote Martino Ursino consacrò questa cappella più decente dell'anteriore, sé stesso, e questa famiglia alla Madre SS. Del Lume il 10 agosto del 1824 ,anno 22* dalla fondazione dell'asceterio ).

Dalla sagrestia si passa nella sacra edicoletta di forma esagona ,la quale serve esclusivamente per le sole donzelle orfane ammesse nel Conservatorio.

Qui ammiransi un altarino sul quale è posta una grande tela rappresentante M.SS.Del Lume, due confessionari, un organo posticcio ed alcuni piccoli quadri .

A qualche metro dal pavimento si osserva tre grandi gelosie ,ed altre ancora ve ne sono più in su.Sulla volta, dalla quale pende un lampadario, vedesi il monogramma di Maria.

Nel dopoguerra (credo primi anni 60)il Reclusorio, non essendo più in uso da anni,fu abbattuto per la realizzazione di questa struttura

Nelle foto collage le prime due immagini sono riferibili alla posizione in cui sorgeva il Reclusorio del Lume, mentre nella foto sotto è ben visibile a destra l'edificio non più esistente

La tela di Maria Santissima del Lume è attualmente conservata nell'omonimo edificio del Corso Indipendenza

 

 

 

 

 

I giardini pubblici dedicati al Cigno di Catania

L'ingresso monumentale del giardino Bellini da via Etnea.Il giardino Bellini è il più antico dei quattro giardini principali di Catania. Dai catanesi è chiamato a villa e rappresenta la villa per antonomasia.

Il giardino risale al Settecento ed apparteneva al principe Ignazio Paternò Castello, che lo aveva voluto secondo le tipologie di allora con labirinti di siepi, statue e fontane a zampillo di foggia tale da creare giochi d'acqua. Venne acquistato dal comune di Catania nel 1854 dagli eredi del principe e venne dato incarico all'architetto catanese Landolina di renderlo atto al nuovo tipo di uso. Per far questo vennero acquistati degli orti privati adiacenti che incorporati ne ampliarono la superficie. Il Viale degli Uomini Illustri ad ovest venne inaugurato nel 1880 con i busti posti su colonne dei personaggi più famosi della storia italiana e catanese, ma già nel 1875 all'inizio del viale era stata posta la statua in bronzo di Giuseppe Mazzini.

 

I lavori vennero conclusi nel 1883. Il giardino divenne l'abituale meta delle famiglie catanesi che vi portavano i bambini a giocare mentre passeggiavano conversando con gli amici. L'ingresso monumentale di Via Etnea venne realizzato ed aperto nel 1932 e l'anno dopo, alla sommità dello scalone, nel piazzale soprastante il tunnel di via Sant'Euplio vennero collocate le statue monumentali che rappresentano le arti opera dello scultore Domenico Maria Lazzaro. Alla fine degli anni cinquanta venne riordinata la zona del tunnel di Via Sant'Euplio e quelle adiacenti. In quegli anni venne curato ampiamente l'aspetto floreale ed esperti giardinieri creavano veri e propri disegni ed iscrizioni nelle aiuole delle collinette gemelle. Poco tempo dopo venne incrementato il numero di voliere e di volatili esotici, quindi acquisiti ed allevati anche volatili acquatici come anatre e cigni, il cui habitat era stato attrezzato nelle grandi vasche e fontane di cui il giardino era dotato. Verso il 1960 il giardino divenne anche un piccolo zoo con volatili stanziali in libertà ed animali, come varie specie di scimmie, ed infine anche elefanti.

 

il padiglione cinese è andato distrutto per un incendio.A partire dalla metà degli anni settanta iniziò un progressivo ridimensionamento dei fondi stanziati per la manutenzione e la decadenza non tardò a manifestarsi. Le piogge rovinarono ampiamente le aiuole in pendenza della parte sud del giardino e le piante mal curate inselvatichirono. Quelle stagionali scomparvero addirittura. Non miglior sorte toccò agli animali che lentamente si ridussero. L'elefante indiano donato alla città dal circo Orfei, ultimo sopravvissuto del piccolo ma ricco zoo  del Bellini, morì alla metà degli anni ottanta. Il giardino Bellini di oggi è classificabile piuttosto come semplice parco alberato; nell'ultimo decennio è stato usato per manifestazioni culturali e religiose, per concerti canori ma non è più la meta di famiglie e bambini. 

 

 

Dopo anni di incertezza e abbandono in cui un incendio di origine non chiara ha distrutto totalmente il padiglione cinese posto alla sommità della collinetta nord, assieme al suo contenuto in libri e documenti, di recente si è ventilata la voce di una sua cessione a privati nell'ambito delle nuove politiche economiche del comune. Oggi la sua fruibilità è del tutto ridotta a causa di transenne e ponteggi che permettono solamente il transito nel senso della lunghezza nel viale alberato adiacente la via Sant'Euplio.

Uno dei quattro gruppi scultorei di D. M. Lazzaro (lato nord-ovest).Già di proprietà privata, ha la forma di un rettangolo piuttosto regolare e venne aperto al pubblico nel gennaio del 1883. Situato nel centro storico della città con l'ingresso principale sulla via Etnea, il giardino Bellini si estende su di una superficie di circa 72.000 metri quadri. L'ingresso da via Etnea avviene attraverso uno scalone, fiancheggiato da aiuole fiorite, che conduce ad un piazzale con al centro una grande vasca nella quale nuotano degli eleganti cigni. Sulla collinetta che fa da sfondo alla vasca, con un effetto scenografico molto apprezzabile, è sistemato un grande orologio il cui quadrante è costituito da piantine sempreverdi. Sopra di esso un calendario, che i giardinieri modificano ogni giorno, indica mese giorno ed anno.

La vasca dei cigni, l'orologio floreale ed il calendario; in alto sullo sfondo il padiglione della musica.La struttura del giardino nel suo complesso è costituita al suo interno da due colline simmetriche e da un grande viale che circonda, ad anello allungato, la collinetta nord. Concentrico ad esso vi è un altro viale pedonale collegato mediante vialetti contornati da siepi a labirinto alle varie piazzole ed aree nelle quali insistono grotticelle con giochi d'acqua e luoghi appartati con panchine. Alla sommità della collinetta sud è posto un chiosco in ferro battuto che contiene un palco per la musica nel quale fino agli anni sessanta venivano tenuti dei concerti di musica classica. Alla sommità dell'altra vi era un caratteristico chiosco in legno di forma circolare orientaleggiante in cui era ubicata una biblioteca. Il chiosco era un dono dell'imperatore della Cina. Questo si incendiò alla fine degli anni novanta e venne completamente distrutto. Lungo i viali secondari sono poste delle statue, fontane, vasche, voliere e chioschi. Sul lato ovest, parallelo alla via Salvatore Tomaselli, esiste il Viale degli Uomini Illustri, italiani e catanesi, che è fiancheggiato da busti, posti su colonne, rappresentanti le maggiori glorie della città. Una caratteristica, oggi perduta, erano le numerose grotte in pietra lavica al cui interno erano ricavate delle fontane con giochi d'acqua, spesso con pesci rossi nella vasca.

La flora è molto varia e presenta delle specie di provenienza subtropicale che si sono acclimatate molto bene. Esistono oltre cento specie diverse nelle quali si distinguono le palme presenti in un numero di varietà fuori dal comune. Molto presenti anche gli alberi di alto fusto come i platani ed enormi ficus magnolia dell'età di centinaia di anni oltre a numerose altre varietà di pini e di alberi sempreverdi.

Vista della vasca dei cigni guardando verso via Etnea dalla parte superiore dell'orologio floreale.Intorno agli anni sessanta, per oltre un decennio, al suo interno venne inserito un vero e proprio zoo con voliere ricche di molte varietà di uccelli, anatre, oche e cigni nelle varie vasche del giardino e pavoni in libertà, rettili e serpenti in apposite gabbie e varietà di scimmie ed altri piccoli animali, in un apposito recinto, anche alcuni elefantini tra cui un elefante indiano donato da un circo di passaggio, come simbolo della città di Catania. Le difficoltà economiche e una certa dose di insensibilità tuttavia depauperarono lentamente il prezioso patrimonio zoologico che piano piano si ridusse a zero e ridussero quello botanico.

Recentemente nel piazzale principale, posto fra le due collinette, nei mesi estivi sono stati organizzati concerti e spettacoli di vario genere ai quali potevano assistere anche 20.000 spettatori.

Nel 2006 è stato approntato un progetto di recupero funzionale[1] molto contestato perché stravolgerebbe l'aspetto globale architettonico e botanico del giardino Bellini[2].

Dopo 4 anni di chiusura al pubblico per lavori, il giardino Bellini è stato riconsegnato alla città il 23 settembre 2010, anniversario della morte di Vincenzo Bellini, con una pomposa cerimonia inaugurale che ha visto un concerto della banda dei carabinieri nel chiosco della musica da lungo tempo inattivo. Lo splendore dell'antico giardino è tuttavia offuscato dalla mancanza delle decorazioni floreali che ne costituivano l'attrazione e dall'assenza dei cigni di un tempo della grande vasca di ingresso, sostituiti da una scultura che rappresenta un gruppo di gru di cui molti hanno sottolineato la mancanza di alcuna attinenza col passato.[3]

Viale degli Uomini Illustri [modifica]
Il Viale degli Uomini Illustri, posto ad ovest del giardino, fu inaugurato nel 1880 con i busti dei personaggi più famosi della storia italiana e catanese posti su colonne; già nel 1875 all'inizio del viale era stata posta la statua in bronzo di Giuseppe Mazzini. I lavori si conclusero nel 1883. Nel corso degli ultimi decenni, a causa dell'incuria e della scarsa vigilanza, i busti sono stati oggetto di vandalismi ed asportazioni furtive. Dopo la riapertura del 23 settembre 2010 sono presenti:

Luigi Capuana Francesco Paolo Frontini Mario Rapisardi Gaetano Emanuel Calì Federico De Roberto Nino Martoglio Giovanni Verga Giovanni Grasso
Angelo Musco Francesco Pastura Stesicoro Il busto di Francesco Paolo Frontini, opera di Mimì Maria Lazzaro del 1957, trafugato negli anni ottanta.

 

 

 

Il Giardino del tempo ritrovato 

di Carmela Grasso, foto di Antonio Parrinello - da In Viaggio allegato a La Sicilia del 30.10.2010

 

Speriamo proprio di non sbagliarci se, passeggiando in questo autunno al Giardino Bellini - la "Villa" appena restituita ai catanesi e a tutti quei forestieri che, da tre secoli, vi si rifugiano in cerca di quiete - ci viene in mente quella frase "La città del tempo ritrovato" il claim, lo slogan, di uno dei tanti centri commerciali sorti come funghi nella provincia etnea. Spazi irreali, non-luoghi identici a Bolzano come a Ragusa, sfavillanti paesi dei balocchi dove il tempo è scandito dagli acquisti di tutti i generi, fatti o rimandati per ragioni di portafoglio. Spazi dove non è concesso pensare, tale è l'accanimento degli altoparlanti piazzati in ogni angolo.
Il tempo ritrovato, invece, crediamo sia qui e adesso, al Giardino Bellini dove in una calda mattina d'autunno scopriamo che la Catania sempre più frenetica e arrogante sa ancora cedere all'antico sortilegio di Madre Natura. Varcati i cancelli della Villa, c'è ancora una città che sa ascoltare il silenzio e il fruscio delle foglie all'ombra di alberi altissimi, sa rallentare i suoi ritmi, sa guardare in alto o spingersi lontano, fermarsi a leggere sotto i platani nella mega-panchina in ghisa che abbraccia il piazzale centrale, o spingersi più in alto, su quella piccola acropoli che è il piazzale del Chiosco della Musica. La sua seduta circolare è un irresistibile invito a divenire protagonisti dello spazio. Intorno è il bianco di gelsomini e boccioli di candide rose botaniche.

Quanti amori e promesse immaginiamo dentro questo cerchio magico. L'Etna, con il suo filo di fumo, giganteggia immobile sempre a nord, mentre questo monumento vegetale vivente, muto testimone delle stagioni, questo "bene da vivere" che è il Giardino Bellini racconta nuove storie: se i giovani siciliani la percorrono al ritmo della corsa - isolati dal mondo nel limbo del proprio Ipod - almeno tre continenti si danno appuntamento fra i suoi viali profumati di lavanda. Le lingue straniere si intrecciano fra loro, mentre i più giovani - bianchi, neri o gialli - hanno già assimilato la sicula cadenza. Un tempo, quello da "ritrovare" alla Villa Bellini, che lo contiene tutto: passato, presente e futuro. È memoria collettiva - di un'intera comunità - e memoria individuale quella singola la singola, e a volte intimissima, di ognuno di noi, legata com'è alle persone care della nostra vita e agli istanti intensi trascorsi con loro fra il verde di questi viali.

Un tempo e una storia "ritrovate" anche per il Giardino Bellini che, frutto dell'accorpamento in tre periodi diversi di tre differenti parchi privati, ha portato l'autrice del progetto di restauro, l'architetto romano Marina Galeazzi, a condurre quell'indagine storica e scientifica su genesi e trasformazioni del giardino mai redatta in quasi trecento anni di vita del parco. Una ricerca tra biblioteche civiche, archivio di Stato e collezioni private, con il supporto del Dau, il Dipartimento d'Architettura dell'Università di Catania, recuperando documenti storici e inediti che hanno fatto da viatico alla stesura di quello che è il primo restauro filologico dal 1854 a oggi. "Un'operazione complessa - spiega la Galeazzi - alla costante ricerca di un ragionevole equilibrio tra la conservazione del giardino, storicamente inteso, e il progetto di architettura quale strumento privilegiato in grado di rivelare l'istanza contemporanea e, al tempo stesso, l'essenza del luogo-giardino".
Un restauro, tuttavia, che nonostante il plauso di uno fra i maggiori paesaggisti italiani come Marco Dezzi Bardeschi e di uno storico come Giuseppe Giarrizzo, si è scontrato con la memoria personale di un attivo comitato di cittadini che, dopo lunghe trattative, è riuscito ad apportare modifiche, nel segno della tradizione, all'originario progetto della Galeazzi più dinamico e creativo tanto da essersi conquistato un posto di rilievo nella graduatoria europea del bando. Per quanto ci è dato ricordare, gli ultimi quarant'anni sono stati i più infelici per la Villa: animali in gabbia e cigni trucidati da balordi, auto in transito e in sosta, statue sfigurate, chiassose bancarelle per la Festa dei morti, giostrino dalle musiche assordanti e infine, nel 2001, l'incendio della palazzina cinese e della sua biblioteca, dove - si spera presto - potrebbe nascere un'esclusiva caffetteria circondata dal verde e in pieno cen-tro storico. Un po' di nostalgia la vivono di certo quei vecchietti che, tra le panchine del grande piazzale centrale - destinato a concerti ed eventi della città -rimpiangono quei curatissimi decori vegetali dove figurava sempre "la musica" - come ce l'ha definita in confidenza uno di loro - ovvero la chiave di violino, il simbolo dell'arte di Vincenzo Bellini. Se è vero che occorre aspettare la primavera perché il fianco della collina si ricopra per bene - le essenze appena trapiantate sono ancora basse e non in fioritura - è anche vero che di maestri giardinieri, come i dieci in dotazione alla villa fino a qualche decennio fa, non ne esistono quasi più.
Fra le novità introdotte dal restauro ecco scoperchiata la scala a lumaca dell'antica casina del principe Biscari che finora è stata celata alla vista ed era accessibile, a discrezione dei custodi, da un portoncino al piano inferiore.
Rinvenuta poi un'altra scala che conduceva alla stessa dimora e che adesso, sottoposta a un accurato intervento di recupero, è percorribile da tutti i visitatori e costituisce una emozionante "ascesa" al grande piazzale. Sfoggiano un bel naso nuovo, infine, le statue dei 47 uomini illustri deturpate dai vandali. Le associazioni di volontariato e le istituzioni si preparano a una inedita "gestione condivisa" della Villa, mentre i bambini attendono la primavera per testare i nuovi giochi loro promessi. Adesso che la città ha ritrovato la "sua" Villa - e uno spazio dove recuperare la qualità della vita - sarà il caso di cedere il passo a Madre Natura e lasciarle tutto il tempo di esprimersi. Come ha già fatto con il secolare Ficus Magnolioides, il grande patriarca vegetale dalle possenti radici aeree eletto dai bambini delle ultime generazioni - quelle che non si fanno più ritrarre immobili, con l'abitino della festa e le aiuole ornate alle spalle - il "più fantastico gioco" della Villa. 

 

 

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Il ristoro del Principe

In origine tu il giardino privato del Principe di Biscari Ignazio Paternò Castello, che nel 1719 edificò su una delle collinette anche una casina di cui non si hanno più tracce eccetto la scala riportata alla luce nel corso dei restauri oltre a un labirinto a cielo aperto con schiere di cipressi che in altre epoche è stato confuso con il criptoportico sotterraneo, la cui pianta - dopo l'intervento di restauro - è identificabile oggi al piano della passeggiata da un percorso di ciottoli bianchi. Quindi l'area ottocentesca definita dall'architetto Filadelfo Fichera con il sistema dei tre viali sull'antico impianto dell'orto benedettino del San Salvatore e evidenziata lungo la via sant'Euplio dalle cancellate in ghisa il cui cromatismo rimanda allo stile francese come il marchio di fabbrica delle straordinarie e aggraziate statue muliebri che ai lati del chioschetto della musica indicano le quattro stagioni. Ultimo ambito spazio-temporale quello del Novecento, con il "giardino di pietra", all'ingresso da via Etnea, progettato da Giuseppe Samonà, l'architetto e urbanista palermitano che nel 1930 vinse il concorso per la sistemazione della Villa per la quale realizzò anche il ponte sulla via Sant'Euplio.

 

 Se si esclude una perizia realizzata da Sebastiano Ittar nel '700 l'ultimo atto ufficiale, colto e di rilievo sul Giardino Bellini è quello di Guido Libertini dei 1931, in occasione della Mostra del Giardino Italiano di Firenze. Una guida di Catania dei 1899 paragona infine la veduta dalle due colline, quelle dell'ex palazzina cinese e del chiostro della musica, all'emozione che si prova a Roma dalla spianata del Pincio o a Firenze da Piazzale Michelangelo. "I viali di questo giardino - è scritte. - sono diversi e tortuosi, fittamente ombreggiati e tracciati tanto sul pendio delle due collinette come nei punti piani della villa. Diversi ponticelli, costruiti con vera eleganza, i sottopassaggi, un tunnel, le aiuole fiorite, i praticelli erbosi e ricchi di ogni specie di fiori, la fontana, il piazzale che divide le due colline, tutto si fonde per trasformare questo meraviglioso giardino in un luogo di delizie". (c.g.)

 

 

 

 

 

COME LA VEDE FRANCESCO RACITI

 

 

BREVE STORIA PER I 60 ANNI DI UN GRANDE OROLOGIO

di GIOVANNI SAGUTO (dalla pagina Facebook di Franz Cannizzo) https://www.facebook.com/franz.cannizzo

Era l’autunno del 1961, avevo appena compiuto 14 anni, mio fratello Alberto studiava a Roma e, come ogni pomeriggio, non avendo altro da fare dopo i compiti e dopo la tv dei ragazzi, mia madre mi spediva in negozio da papà con un perentorio “vai ad aiutare tuo padre”.

Allora papà aveva aperto da qualche anno un piccolo negozio di fronte la Villa Bellini e solo da poco eravamo andati ad abitare a pochi passi, bastava attraversare la via Etnea ed ero già arrivato.

Uno di questi pomeriggi venne in negozio il sindaco di allora,

l’avv. Salvatore Papale, con la sua signora. Dopo i convenevoli di rito, il sindaco cavò da una tasca del cappotto una cartolina a colori con un magnifico orologio floreale ritratto sulla sponda del lago di Ginevra. “Cavaliere, disse il sindaco, desidero che provveda all’istallazione di un orologio identico a questo sopra la vasca dei cigni al Giardino Bellini”.

Immagino che papà, a queste parole, abbia avuto un sussulto non indifferente, ma, conoscendolo, non si scompose minimamente e con grande sicurezza disse che avrebbe provveduto nei tempi stabiliti e prima della Festa di S. Agata.

Fino a quel momento la nostra famiglia si era interessata alla produzione di orologi da campanile e poi da salone, ma mai di orologi “floreali”.

Papà chiese subito consiglio a suo fratello,il mitico zio Mimì, trasferitosi a Roma da molti anni, ex professore di orologeria nonché orologiaio del Quirinale, il quale lo indirizzò ad una fabbrica svizzera, la Favag di Neuchatel.

 

In brevissimo tempo ricevette il preventivo che fu subito approvato dal Comune di Catania; fatto l’ordine, finalmente, dopo un paio di mesi, arrivarono diverse casse di legno con all’interno i vari componenti dell’impianto ed i manuali del montaggio rigorosamente in francese.

Toccò a me intervenire, visto che l’avevo studiato a scuola e poi avevo anche fatto la Scuola Radio Elettra per corrispondenza, quindi due fili li sapevo pure giuntare senza fare danni.

Ricordo con grande affetto il direttore del Giardino Bellini, dott. Malerba, personaggio sanguigno ed autoritario, che, con grande efficienza, attivò tutte le maestranze disponibili per la collocazione del macchinario, i collegamenti, e la realizzazione del quadrante con vari tipi di piantine.

Questo orologio fu collocato al posto del calendario il quale fu spostato un po’ più su sulla collinetta e, per renderlo più visibile, fu accorciata la colonna  che regge il busto di Bellini.

Prima della messa a dimora del macchinario bisognava fare le prove di funzionamento, cosicché mio padre ed io, con l’aiuto del dott. Malerba e di alcuni giardinieri, dopo la chiusura al pubblico della Villa, montammo tutto l’impianto in un angolo del piazzale del palco della musica.

Non potrò mai descrivere l’emozione che provai nel vedere partire quelle enormi lancette per posizionarsi all’ora stabilita ed andare avanti, dopo la collocazione definitiva nella sua dimora, secondo dopo secondo, fino ai giorni nostri.

 

I festeggiamenti in onore della Santa erano già cominciati, era il pomeriggio del 2 febbraio del 1962, le enormi luminarie erano state collocate, bisognava accendere il tutto ed inaugurare l’orologio floreale. Fu una cerimonia breve ed intensa e qui i miei ricordi si confondono tra i discorsi di circostanza del Sindaco Papale, dell’assessore ai Giardini Pubblici La Rosa ed i flash dei fotografi quando si scopre che il quadrante era completamente buio ed i piccoli faretti istallati per renderlo più visibile non erano sufficienti.

Panico totale, ma non c’era nulla da fare, io ero comunque strafelice per la riuscita del mio lavoro e con me mio padre, ma lui, come era suo stile, non lo dava a vedere".

 

 

 

LA MERIDIANA POLIEDRICA TRA GLI UOMINI ILLUSTRI

 Percorrendo il Viale degli Uomini Illustri, giunti nello slargo che sovrasta il Piazzale delle Carrozze, ci imbattiamo in una colonna che sorregge uno strano poliedro. Si tratta di un orologio solare invero particolare, perché ha la forma, insolita per una meridiana, di un dodecaedro regolare, cioè di un poliedro con dodici facce marmoree pentagonali.

 Le due facce orizzontali non possiedono indicazioni: quella inferiore perché di appoggio sulla colonna; quella superiore perché non visibile da chi osserva l’orologio. Su ciascuna delle restanti dieci, sono incisi gli alloggi per gli gnomoni (le asticciole di opportuna lunghezza la cui ombra indica le ore sulle meridiane) e i quadranti solari (le meridiane e le relative indicazioni orarie). Gli gnomoni originali, andati perduti o trafugati, non sono stati rimpiazzati; le meridiane e le ore sono invece ancora ben marcate e visibili.

 Invece che di un singolo orologio, sarebbe dunque più corretto parlare di dieci distinti orologi solari, che, grazie alla loro diversa inclinazione, potrebbero fornire le indicazioni orarie per l’intero arco diurno e per tutto l’anno solare. Tuttavia, ad oggi, l’orologio non è utilizzabile, sia perchè privo degli gnomoni, sia perchè posizionato ignorandone il corretto orientamento.

 Alcuni studiosi ritengono che la manifattura sia ottocentesca, attribuendo l’opera agli astronomi tedeschi Peters e Sartorius, autori di importanti meridiane ad Acireale e a Catania, nel periodo dal 1840 al 1843. Altri invece ritengono più probabile la provenienza dal sistema delle decorazioni del preesistente, settecentesco, “Labirinto Biscari”. Quest’ultima ipotesi sembra avvalorata sia dallo stile dei numeri incisi sul poliedro, sia dalla fattura e dal materiale della colonna di sostegno. E’ molto probabile infatti, per quest’ultima, una provenienza archeologica, verosimilmente dal Teatro Romano di Catania, indagato, negli anni '70 del settecento, proprio dal principe di Biscari.

 (foto e testo di Roberto Leone)

 

 

 

 

IL FICUS MONUMENTALE DELL’INGRESSO NORD

 Il Giardino Bellini ospita alcuni alberi di provenienza subtropicale che si sono acclimatati molto bene. Accedendo al Giardino dall’ingresso prospiciente la Piazza Roma, sulla parte destra dello slargo d’ingresso, è possibile ammirare un maestoso esemplare di Ficus magnolioides (specie nota anche come Ficus macrophylla). Quest’albero, ormai più che centenario, fu messo lì a dimora attorno al 1860. Esso sovrasta in altezza tutti gli alberi circostanti e il diametro del suo fusto misura quasi 6 metri.

 La specie è originaria delle foreste pluviali dell’Australia Orientale e, nel proprio habitat naturale, può raggiungere i 60 metri di altezza. E’ stata introdotta in Italia nella prima metà dell’Ottocento, trovando dimora in diversi orti botanici e parchi cittadini, a scopo soprattutto ornamentale. Le sue dimensioni, la conformazione e gli intrecci della chioma e del fusto, lo sviluppo di radici aeree, rendono infatti suggestiva la sua presenza nel verde urbano.

 In Sicilia questi alberi hanno trovato condizioni climatiche e di luminosità particolarmente favorevoli. Oltre a quello di Catania, si possono ammirare altri imponenti esemplari a Siracusa nella zona archeologica, a Trapani presso la Villa Margherita, e a Palermo presso la Villa Garibaldi e l’Orto botanico.

 (testo di Roberto Leone)

 

SOTTO QUEST'ALBERO FU GIRATA UNA SCENA DEL FILM "MIMI' METALLURGICO"

 

 

 

 

LA FONTANA OTTAGONALE DELL’INGRESSO SUD

 

Numerose fontane artistiche impreziosiscono, con i loro giochi d’acqua, il verde del Giardino Bellini. Entrando nel Giardino dall’ingresso di Via Salvatore Tomaselli, ci accoglie la fontana ottagonale riportata in fotografia.

 La fontana è semplice nelle forme, ma elegante ed eclettica nel gusto. Il basamento e la vasca di terra hanno sezione ottagonale; il profilo della vasca presenta una parete liscia, con un accenno di gradino, ed un parapetto con modanature curve. Dalla vasca si erge una colonna decorata con tori e scozie, che regge un catino polilobato quadrangolare da cui l'acqua deborda raggiungendo la vasca di terra. Lo zampillo sommitale scaturisce da un ulteriore elemento sagomato, posto al centro del catino. Il materiale impiegato per tutti gli elementi pare essere un tipo di travertino o comunque una pietra dura.

 Si intuisce subito che questa fontana, semplice e al contempo elegante, abbia avuto un nobile passato e che sia stata probabilmente smontata e ricollocata in quel punto per decorare degnamente il Giardino. Incerta è però la sua provenienza: alcuni studiosi ritengono che essa sia il riciclo di una perduta fontana ottagonale che fu prezioso elemento del preesistente “Labirinto Biscari”; altri invece che un tempo essa ornasse il chiostro del Convento di San Giuliano in Via Crociferi.

 (foto e testo di Roberto Leone)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IN MEMORIA DI GINO E TONY

 

la Villa nella mente (di Tano Giuffrida )
 
http://www.psicogiardinaggio.it/alberta/la%20villa%20nella%20mente.htm

La Villa nella mente del Catanese è il luogo della fanciullezza, dell’oasi in cui rifugiarsi durante la calura estiva, dove rilassarsi e svagarsi a contatto con la natura, con le cose belle e pacifiche, con il sonnecchiare, con il dolce schiamazzo dei giochi dei bimbi; il luogo dove meditare sull’umana esistenza e sul suo senso.

Ma non solo, la Villa è anche il luogo dei primi amori, delle coppiette abbracciate su panchine tranquille e appartate, delle fontane, delle vasche d’acqua con ninfee e papiri, delle fontanelle con acqua fresca dove d’estate prendere un sorso di refrigerio.
Il luogo dove andare quando si marina la scuola, il luogo dove dare un appuntamento ad un caro amico e con lui trascorrere dei piacevoli momenti, magari sorseggiando un selz con sciroppo e limone seduti vicino il chiosco delle bibite.

Un giardino amorevolmente progettato, sapientemente coltivato e amato dai rispettosi visitatori, un punto d’incontro all’interno di una città in perenne scontro, un punto di tregua e pace fisica e spirituale.

Al suo interno, un tempo, il gazebo era il luogo dei concerti di musica d’arte, e la palazzina cinese il tempio della cultura, dove venivano raccolti e messi a disposizione di tutti i libri... i libri, questi strani oggetti, destinati a bruciare con tutto il loro contenitore, come accade alla famosa biblioteca di Alessandria: anche Catania ha avuto il suo rogo forse meno famoso, ma altrettanto significativo del degrado mentale. In una palazzina completamente costruita in legno ripiena di libri, lasciata all’incuria del tempo con scarsissima manutenzione e nessun sistema antincendio, come si fa a pensare che un bel giorno non bruci tutto? no, non può accadere... e se per caso dovesse accadere, certo non si tratterebbe di un evento calcolato bensì di una disgrazia!
Per ogni Catanese di una certa età la scimmia Gina era più famosa di Cita, la scimmia di Tarzan: sì, è vero Gina era prigioniera in una gabbia, ma era coccolata e corteggiata più di una star e questo di sicuro la faceva vivere bene.

In quella Villa i pavoni erano animali domestici come le galline, liberi di girare tra gli altri abitanti del giardino; i cigni sguazzavano tranquilli nella grande fontana, mentre in altre vasche c’erano trampolieri e pellicani, e grandi voliere ospitavano svariati pennuti di ogni specie. La cronaca racconta che molti di quei volatili diventarono prede di caccia notturna per cittadini bracconieri improvvisati.

Grande evento fu l’arrivo di un elefante. Per lui fu costruito un recinto senza sbarre, e solo un piccolo fossato lo separava dai visitatori. La solita imbecillità umana non tenne conto che quello non era il suo habitat ideale: il fatto che il simbolo della città di Catania fosse un elefante non servì a proteggerlo per nulla e il tentativo di trasformare la villa in zoo finì con la morte del povero elefante poco tempo dopo.

Oggi accade spesso che si organizzino all’interno della Villa manifestazioni, anche valide, ma che attirano migliaia di partecipanti tutti insieme e per svariati giorni consecutivi, al termine dei quali tutti si meravigliano e gridano allo scandalo che non è rimasto più un filo d’erba, addossando la colpa dell’inciviltà ai partecipanti, di sicuro vandali o unni.

 

Tony vi fu portato anestetizato perchè la prima volta si pensò di portarlo alla Villa in "corteo", lo ricordo perchè ero presente, corteo che partì da piazza Alcalà (odierna piazza Falcone-Borsellino) - dove stanziava il circo Togni - ma giunto in piazza duomo, l'elefante si imbizzarri e vi fu un fuggi fuggi generale, io e mia nonna, assieme ad altri catanesi che assitevano al corteo, ci rifugiammo all'interno della villetta della cattedrale chiudendo i cancelli

.L'elefante inferocito distrusse alcune macchine parcheggiate vicino palazzo dei Chierici e dopo un bel po' i domatori del circo Togni riuscirono a prenderlo e quindi portarlo di nuovo nella gabbia del circo sita in piazza Alcalà. Per questo si decise di portare l'elefante al Giardino Bellini così come lo si vede nella foto.
Turi Salvatore Giordano

 

 

 

Gli elefanti pervenuti a Catania furon due. cominciamo con il piu' noto e cioe' ""tony da villa"", regalato dal circo darix togni(poiche' era gia'avanti con l'eta',arrivo' a ct nell'agosto del 1965 e mori' quasi due anni dopo nel maggio del 1967.

Solo pochi sanno e' il fatto che a catania prima diedero il nome tony (maschilismo imperante) e solo dopo si accorsero che si trattava di un'elefantessa...pertanto..tony da villa era una antonina.ma fu il secondo elefante arrivato a ct, infatti nel 1890 l'imperatore dell'etiopia """menelik""regalo' al re d'italia umberto I ,un elefantino,poiche' si trattava di un dono molto ingombrante da gestire,venne regalato a catania visto che' era l'emblema del suo stemma. i catanesi lo accettaron benissimo e lo chiamaron in onore di menelik """minnulicchiu""".ma ahime' duro' solo pochi giorni  e mori.per finire rispondo a coloro che confondevano tony da villa con gino da villa.

 

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sempre negli anni 60,quando catania era chiamata"" la milano del sud"" e la nostra villa era bellissima,pulitissima ed ospitava tantissimi animali,c'eran pure delle scimmie.la piu' famosa fu proprio ""gino"" ginu da villa""era un esemplare maschio infatti  venne pure chiamato ""u vastasu"""poiche' amava sempre grattarsi....i gioielli di famiglia .

per finire ,da queste nostre meravigliose storie di animali a catania , son venuti fuori due modi di dire tipicamente catanesi"""minnulicchiu"" e ""si chiu lariu di ginu da villa""....sperando di esser stato chiaro ...esaustivo ed aver risposto alle vostre domande

Gianni Sineri.

 

 

 

O piuttosto la colpa non è degli organizzatori, o di chi ha dato il permesso criminale di realizzare là dentro certe attività di massa?

Villa Bellini. A Catania tutto è dedicato a Vincenzo Bellini, grande musicista... ma Bellini ha vissuto e composto la sua musica a Parigi, avendo passato ben poco tempo nella città etnea. Non basta aver dato la natività ad un uomo illustre per potersene vantare, bisogna avergli dato anche qualcos’altro per poterlo osannare come rappresentativo del buon Catanese e per dedicargli ogni cosa, piazze, palazzi, monumenti, ville, pizze, pasta e torte.

Oggi la Villa ha la sua importanza solo nell’immaginario collettivo del Catanese, poiché sembra che ormai non importi più a nessuno di lei. Magari prima o poi qualcuno proporrà di fare in sua vece un bel posteggio, così utile in pieno centro... o meglio ancora, un centro commerciale... questo sì che sarebbe un servizio di pubblica utilità!!

Tanto a Catania il verde è sempre stato scarso e se si elimina il poco sopravvissuto si aiuta a completare un processo naturale di desertificazione.

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L'elefante Menelik

Il primo elefantino ospitato all'interno del Giardino Bellini.

Nel 1890, dopo il trattato di Uccialli, il negus Menelik II, in segno di amicizia, inviò in dono al re d'Italia Umberto I un piccolo elefante.

Il sovrano, a sua volta, regalò il pachiderma alla città di Catania, perchè nel suo stemma ha appunto un elefante.

La notizia della decisione reale venne accolta con entusiasmo dai catanesi, pochissimi dei quali avevano mai visto un elefante, ma con minor giubilo dalle autorità comunali, alle quali il dono del re pose subito dei gravi problemi: dove sistemare il bestione?

Fu allestito alla meglio un recinto in uno spiazzo del giardino Bellini in attesa di costruire un gabbione. L'elefante, subito battezzato dalla popolazione con il nome di Menelik, giunse in treno a Catania nella prima metà di giugno. Sfilò, seguito dalla folla, per le vie della città fino al giardino Bellini dove fu per pochi mesi motivo di curiosità.

Morì prima dello scadere dell'anno perchè- si scoprì poi- la sua cella era umida e buia, e perchè lo cibavano di erbe malsane. Fu imbalsamato e sistemato nel salone dell'istituto di Zoologia dell'università, in via Androne, dove ancora oggi si trova.

 Enc. di Catania Tringale Editore 1987

 

 

Piazzale delle Carrozze

 

I NUMERI DEL GIARDINO BELLINI

 

Superficie totale Mq.61640
Illuminazione: a copertura totale buona.
Arredo: panchine e beverini omogeneamente divisi lungo la superficie.
Pavimentazione strade e vicoli: 60% asfalto; 25 % mattonelle d'asfalto.
Pavimentazione con mosaici: 15% presenti lungo i viali della collina nord e della collina del datario.
Attrezzature sportive: presenti lungo il perimetro comprendente anche strutture per portatori di Handicap.
Servizi igienici: siti presso collina nord lato entrata piazza Roma.

Fontane: entrata piazza Roma "Samaritana" entrata via Etnea "Vasca dei Cigni".
Bambinopoli: sita di fronte collinetta nord.
Verde fruibile: parziale solo dove presenti attrezzature sportive.
Alberate presenti in N°711: Platani, Schinus, Ficus m., Ficus e., Ficus M., Nerium o., Ligustrum J., Ligustrum v., Pino p., Pinus r., Chorisia s., Casalpina t., Sophora j., Sophora p., Araucaria e., Araucaria c., Araucaria b., Erytrina f., Brachichiton a., Grevillea r., Ceratolina s., Citrus a., Phytolacca, Ulmus c., Magnolia g., Merita d., Cedrus d.. Albero secolare :Ficus Magnolideis situato entrata lato Piazza Roma. Palmizi presenti in N°247: Phoenix c., Phoenix d., Phoenix r., Phoenix ro., Chamaerops h., Trachicarpus f., Washigtonia f., washigtonia r., Livistona c., Livistona a., Erythea a., Howea f., Cycas r., Dracena d., Cordyline i., Yucca e.

Aperture e chiusura parco: a cura del V° Servizio Tutela Verde Pubblico nei seguenti orari estivo " 06.00-23.00 ", primaverile autunnale " 06.00-22.00 ", invernale " 06.00-21.00 ".

Impianto d'irrigazione: automatico telecontrollato

 

 

La Villa Bellini

Per i catanesi il Giardino Bellini è semplicemente ‘a Villa, luogo di svago, di relax, di passeggiate e di incontri.
Occupa, nel suo complesso, una superficie di 70.942 mq all'interno della quale si dispongono, aiuole fiorite, piazze per manifestazioni sportive e musicali, panchine per il riposo e la lettura, viali ombreggiati e fontane. Una parte dello spazio, oggi occupato dalla villa, costituiva l'antico‘Labirinto', pittoresco giardino che circondava un edificio realizzato, nel ‘700, da Ignazio Paternò Castello principe di Biscari.
L'abitudine di costruire giardini con percorsi intricati nei quali gli ospiti si potessero facilmente smarrire, era una delle tante mode diffuse nell'Europa del Settecento quando si fondevano e convivevano la razionalità e la fantasia, il gusto per le ‘meraviglie' e il rigore scientifico. Intorno alla metà dell'Ottocento il Comune di Catania acquistò la villa della famiglia Paternò Castello per costruirvi un parco pubblico. Negli anni successivi furono acquisiti nuovi terreni per dare ancora più spazio al giardino e consentire alla popolazione catanese di recarsi in un grande luogo verde, ricchissimo di decorazioni floreali, palmizi, alberi centenari e fontane.

 

 

 

Tra le pagine di una breve ma essenziale guida di Catania, edita nel 1899, troviamo una gustosa descrizione del giardino che, sin dalla sua apertura, fu considerato uno dei più belli d'Europa. "Il Giardino Bellini - leggiamo nella guida - è il ritrovo più simpatico e ameno della città. La sua posizione è incantevole. Da due collinette, che si ergono nel centro e che sono divise da un ampio piazzale, si domina buona parte della città, la distesa del mare e lo spettacolo maestoso dell'Etna. Per questa diversità di panorami che offre, il Giardino di Catania è considerato come uno dei migliori d'Europa. Chi guarda da una delle due colline, prova le stesse impressioni di chi sta a guardare Roma dalla spianata del Pincio o Firenze dal piazzale Michelangelo. I viali di questo giardino sono diversi e tortuosi, fittamente ombreggiati e tracciati tanto sul pendio delle due collinette, come nei punti piani della villa.

Diversi ponticelli, costruiti con vera eleganza, i sottopassaggi, un tunnel, le aiuole fiorite, i praticelli erbosi e ricchi di ogni specie di fiori, la fontana, il piazzale che divide le due colline, tutto si fonde per trasformare questo meraviglioso giardino in un luogo di delizie. Nell'estate vi si godono pomeriggi freschi, col riparo degli alti ed ombrosi alberi: meravigliosi tramonti per la calda orientale vivacità dei loro riflessi; le https://www.mimmorapisarda.it/2024/007.jpgserate si passano deliziosamente, quando sciami di signore popolano la villa illuminata fantasticamente e riccamente". Queste parole possono, ancora oggi, essere considerate pertinenti; l'atmosfera che si respira nella villa Bellini è la stessa che animava l'entusiasmo del nostro scrittore di guide. Nel 1932, l'antico ingresso sulla via Etnea venne reso monumentale; sempre quell'anno fu innalzato il cavalcavia sulla via Sant'Euplio e fu realizzata la grande vasca circolare nella quale vennero messi a dimora alcuni bellissimi cigni bianchi.

Nel 1933 l'artista M.M. Lazzaro collocò nel piazzale dell'ingresso principale le statue che personificano le arti.
Negli ultimi anni la villa Bellini accoglie spettacoli prestigiosi che allietano le serate dei catanesi e dei visitatori italiani e stranieri.
Bibliografia generale AA.VV., Enciclopedia di Catania, Catania 1987.
Guida di Catania e provincia, a c. di N. Recupero, Catania 1991.

Villa Bellini è il principale giardino pubblico della città. Occupa una superficie di 70.942 mq e deriva, attraverso vari processi di ampliamento e riadattamento, da un antico giardino settecentesco, del quale oggi restano poche tracce.

Il patrimonio botanico di Villa Bellini consiste, tra alberi e arbusti, in 106 specie di piante prevalentemente di origine esotica. Diversi sono gli esemplari ultracentenari che, per la loro maestosità, rendono pregevole il giardino.

 


Villa Bellini si presenta come un giardino formale e in parte bisimmetrico. La flora, per lo più di tipo subtropicale, è costituita da elementi che, tranne poche eccezioni, hanno ampia diffusione nel paesaggio verde cittadino.

In misura quantitativamente minore sono rappresentate specie del contingente mediterraneo (Ulmus canescens,Quercus ilex, Pinus halepensis, P. pinea, Cupressus sempervirens, Viburnum tinus).

La forma biologica dominante è quella fanerofitica, sia arborea che arbustiva la quale, nell'insieme, definisce
l'aspetto strutturale più significativo della copertura vegetale.
Sono presenti 106 specie, appartenenti a 83 generi e 54 famiglie; tra queste meritano menzione le numerose palme (Chamaerops humilis, Ph. canariensis, Ph. reclinata, Livistona chinensis, L. australis, Washingtonia filifera, W. robusta, Erythea armata, Trachycarpus fortunei, Howea forsteriana), varie specie di Araucaria (A. heterophylla, A. bidwillii,, A. columnaris A. cunninghamii) e Ficus (F. magnolioides, F. microcarpa, F. elastica), imponenti esemplari di Sophora japonica, Cupressus sempervirens, Phytolacca dioica, nonché filari di Platanus x hybrida e Schinus molle, componenti principali delle alberature dei viali.

Approfondimenti

Recupero e valorizzazione del verde storico "Giardino Bellini", per una migliore fruibilità anche ai fini ludico - spettacolari

 

 

 

GIARDINO BELLINI - gruppo facebook

 

 

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Palazzo Cannizzaro

SALENDO SALENDO........................

 

Il Palazzo Libertini Scuderi fu progettato nel 1875 dal giovanissimo architetto milanese Carlo Sada (1849-1924). Questi giunse a Catania dapprima come collaboratore del più anziano arch. Andrea Scala, per progettare e dirigere i lavori del Teatro Massimo Bellini, ma si rese ben presto autonomo rispetto al maestro. Divenne progettista di successo, molto richiesto dalle famiglie catanesi più facoltose, e rimase definitivamente a Catania, fino alla sua scomparsa. La redazione del progetto per la “Palazzina Raddusa” impegna l’Arch. Sada per un periodo piuttosto esteso, che inizia nell’aprile del 1875 e prosegue, per la redazione dei disegni esecutivi, fino al 1879.

Nel 1907 il progetto dell’edificio, divenuto intanto “Palazzo Libertini”, è riportato in un album di disegni destinati alla pubblicazione sulla rivista “L’Edilizia Moderna”.

Sono gli anni in cui, nel pieno della temperie storico-critico-estetica del periodo romantico che permea per intero l’Ottocento, l’Architettura rivolge il proprio interesse alla rivisitazione degli stili e dei caratteri costruttivi del passato, i quali, attraverso differenti linguaggi e variegati binomi stile-funzione adottati per le varie tipologie di edifici pubblici e/o privati in ragione delle specifiche destinazioni d’uso-ora, vengono rivisitati e riproposti con un repertorio che spazia dal neoromanico e dal neogotico, attraverso il neorinascimento, il neo barocco ed il neorococò di gusto francese, fino al neoclassicismo del primo Ottocento.

E’ questo ciò che in Architettura viene definito “Eclettismo”, un linguaggio espressivo composito che, attingendo agli stili ed agli schemi decorativi del passato, li miscela e li declina in varie forme, rendendoli persino compresenti anche nel medesimo edificio.

Fu commissionato al Sada dal cav. Giuseppe Paternò di Raddusa nel 1875 ed è l’unico palazzo in città che riecheggia nello stile il Rinascimento fiorentino, con un piano terra interamente rivestito da grosse bugne a guanciale, sovrastato da un piano primo intonacato in colore rosso-rosa antico. Successivamente, per un breve periodo fu proprietà del sig. Giuseppe Schininà, marchese di Sant’Elia; poi, nel 1901, fu acquistato dal Sen. Pasquale Libertini ed infine, nel 1941, dall’armatore Matteo Scuderi, i cui eredi lo detengono. Curiosamente lo stemma che compare sul fronte del portico antistante il giardino è quello della famiglia che possedette il palazzo per il periodo più breve, e cioè quello degli Schininà (una cometa sovrastante un giglio, su uno sfondo che sarebbe azzurro, se non fosse di pietra).

L’architetto milanese realizza, ubicato tra due vie principali della città, un volume che, per mezzo della simmetria e della regolarità dell’impianto compositivo, attesta sulla Via Etnea la severità del prospetto principale di rappresentanza, contrapposto ed alleggerito, sulla secondaria Via Caronda, per mezzo del loggiato ad ampie arcate al piano terra e del vuoto della terrazza sulla superiore elevazione, al di sopra della quale parapetto e cornice di coronamento occultano il piano in ammezzato con relativo terrazzo a livello.

Sicché dalle due elevazioni lungo la Via Etnea si passa alle quattro sulla Via Caronda, se si tiene conto anche del piano seminterrato che ospita alcuni servizi e le cantine.

 

 

Il prospetto principale si affaccia sulla Via Etnea, con un portone centrale e tre luci su ognuno dei due lati. Significativa la rinuncia alla realizzazione di botteghe al livello stradale ed ai proventi che da esse sarebbero derivati.

Le sette luci così ottenute si ripetono al piano primo, differenziate nei timpani, che si alternano nelle forme triangolari e ad arco. Quella centrale è arricchita da un balcone protetto da un grazioso parapetto con balaustre realizzate in pietra bianca. Le altre luci sono di fatto delle finestre in quanto non consentono di uscire all’aperto, ma si partono da terra e sono quindi anch’esse protette da una breve balaustrata. L’edificio si conclude in alto con un cornicione sostenuto da mensole a dentello, sormontato da un parapetto che nasconde alla vista la copertura in tegole.

Gli spigoli (vero quello sulla Via Cordaro, simulato l’altro), sono ben evidenziati con un gioco di bugne nella stessa pietra bianca, alternate a maggiore e minore estensione.

Al piano primo il Sada dispose gli ambienti di maggiore pregio allineati sulla Via Etnea, mentre sul retro, che si affaccia su un giardino confinante con la via Caronda, dispose gli ambienti minori o di servizio, a loro volta dotati di piano ammezzato. In conseguenza di ciò, sulla Via Cordaro, il prospetto mantiene lo stesso schema di quello presente sulla Via Etnea per metà della larghezza, per poi cambiare schema in corrispondenza degli ambienti di minore pregio.

Gli ambienti che si affacciano sulla Via Etnea sono cinque, tutti con funzione di rappresentanza e perciò riccamente decorati, sia alle pareti, sia ai soffitti. Il salone più grande è quello che corrisponde all’angolo con la Via Cordaro, dotato di una luce su quest’ultima strada e due sulla Via Etnea. Di grandi dimensioni anche il successivo vano, il secondo, dotato di due luci, tra cui quella che corrisponde al balcone principale. Il terzo, il quarto ed il quinto vano dispongono di una finestra ciascuna.

Dal portone sulla Via Etnea si accede ad un lungo androne che sfocia, dalla parte opposta, nel giardino prospiciente la Via Caronda. Lateralmente ad esso, sulla destra, è collocato lo scalone che conduce al piano primo e che consente di accedere, tramite uno spazio di disimpegno-guardaroba, sia all’appartamento, sia alla cucina non più in funzione e da qui ad un terrazza creata nell’incavo che presenta l’edificio sul lato di levante.

La terrazza poggia su un portico a tre luci ad arcate, sostenute da colonne, di cui quelle intermedie binate. Un gioco simile, ma con colonne dai capitelli più elaborati, si ripete sulle pareti che chiudono da tre lati la terrazza. Sul quarto lato essa si affaccia sul giardino sottostante, protetta da un’elegante balaustrata costituita da plinti rettangolari alternati a gruppi di quattro colonnine. Sui plinti centrali sono collocate quattro statue in terracotta, di provenienza lombarda, ad altezza naturale, raffiguranti le quattro stagioni.

In definitiva la facciata di levante, prospiciente la Via Caronda, benché meno visibile dal pubblico, è tutt’altro che una facciata secondaria, presentandosi anch’essa elegante e riccamente decorata, grazie anche al movimento determinato dal portico al piano terra, dalla sovrastante terrazza e dai due corpi di fabbrica laterali che si sporgono in avanti. I rivestimenti di questa facciata si ripetono uguali al piano primo (intonaco di color rosso antico), mentre il bugnato a guanciale di colore scuro utilizzato sulla Via Etnea è sostituito da un bugnato “a bugne piatte” color crema.

Lo scalone

Lo scalone principale del palazzo (non è il solo perché ne esistono altri due di servizio) è quello che conduce dal piano terra al piano primo e, data la notevole altezza tra i piani, esso consta di tre rampe.

E’ riccamente decorato in stile assolutamente classico. Le pareti offrono superfici rivestite con intonaco di gesso trattato magistralmente ad imitazione di marmi di varie tinte (nero, bianco di Carrara e giallo Siena), con disegni a riquadri. Sono minime le parti in marmo autentico.

In corrispondenza del piano primo (o piano nobile) il vano scala è in buona parte circoscritto da numerosi pregevoli infissi del tipo “a bussola” in legno e cristallo istoriato. Alcuni di essi sono presenti solo a scopo decorativo, in quanto di fatto non utilizzabili, ma riescono a portare un po’ di luce agli ambienti retrostanti. Tra un infisso e l’altro, con lo stesso metodo dell’imitazione del marmo, sono ricavate delle lesene (finte colonne a superficie piatta).

Al centro della parete che delimita il vano dello scalone dal terrazzo, campeggia una figura femminile in stucco ad alto rilievo, di grande eleganza, che rappresenta la Flora o la Primavera. Lo stile di quest’opera, che risente dell’influsso dell’Art Nouveau, più nota in Italia come “Stile Liberty”, fa ritenere che essa sia stata realizzata in una fase successiva.

 

 

Al di sopra della fascia occupata da questi infissi, interrotti dalle lesene, sono ricavati dei tableaux contenenti dei bassorilievi in stucco bianco, raffiguranti figure femminili, putti e temi mitologici.

Il soffitto del vano scala è anch’esso decorato a stucchi, nei colori bianco, grigio, azzurro e ocra chiara, con un grande riquadro al centro, riccamente lavorato a stucco con temi vegetali di tralci e fiori, contornato da una cornice a sua volta costituita da riquadri di minore dimensione.

Le decorazioni pittoriche dei saloni.

E’ possibile ipotizzare che per le decorazioni degli interni del palazzo l’arch. Sada – il quale generalmente nelle sue opere programmava, con la collaborazione di esperte maestranze, anche l’apparato decorativo interno – sia per quanto attiene agli stucchi ed alle dorature a porporina d’oro zecchino, copiosamente presenti nei saloni di rappresentanza, sia per le volte dipinte, abbia fatto ricorso alle medesime figure di decoratori che in quegli anni con lui collaboravano per il teatro massimo “V. Bellini”, ovvero il triestino Andrea Stella per quanto riguarda gli stucchi e le dorature ed il fiorentino Ernesto Bellandi per gli affreschi delle volte; più verosimilmente per quelli della volta del salone “rosso” d’angolo tra la Via Etnea e la Via Cordaro che, con l’Allegoria della Flora, sia nell’impianto compositivo, sia nella tecnica pittorica, richiamano il dipinto centrale della volta del Teatro, raffigurante l’Apoteosi di Bellini.

Nei quattro angoli della volta sono rappresentate 4 bellezze femminili dei quattro continenti: a sinistra di Venere l’Egitto, a destra le americhe, a sinistra in basso l’oriente e a destra in basso l’Europa.

 Sala delle arti: al centro della volta, immersi nel celeste chiarore di una giornata di primavera, puttini gioiosi e amorini (uno porta in mano l’arco per scoccare le frecce) intrecciano ghirlande di fiori; ai lati del pannello centrale della volta sono rappresentate, nelle vesti di splendide fanciulle, le arti: in alto in corrispondenza del pannello centrale, la scrittura, a sinistra del pannello centrale la musica e la scultura, in basso la poesia, a destra del pannello la pittura e l’architettura.

Sala della musica: pannello centrale con fanciulla inghirlandata, amorini che suonano e spartiti musicali; ai lati del pannello figure che si ispirano all’arte pompeiana e alle grottesche rinascimentali con personaggi che suonano vari strumenti musicali; agli angoli della volta sono rappresentate bellissime nature morte con strumenti tra i quali si riconoscono: strumenti a fiato, a corda e a percussione.

Camera da letto: allegoria del sonno nelle vesti di una bellissima fanciulla nuda addormentata sulle nuvole con la luna piena sullo sfondo.

Il giardino

E’ un classico giardino all’italiana, della superficie di circa 700 mq, che confina a nord con la Via Cordaro e ad est con la Via Caronda.

Il fulcro attorno al quale si svolge il giardino è una fontana di forma circolare, che ospita al centro una statua in terracotta raffigurante un putto con un delfino, circondata da ciuffi di falsi papiri (Cyperus alternifolius) immersi nell’acqua. La vasca è circondata da un camminamento pavimentato con ciottoli bianchi e neri che realizzano dei disegni geometrici. Nella posizione leggibile da chi proviene dalla villa compare la scritta “M. Scuderi” che ci fa comprendere che il pavimento è stato restaurato dopo il 1941, anno in cui il palazzo fu acquistato dall’armatore Matteo Scuderi. Su una pubblicazione edita nel 1990 dalla Soprintendenza ai B.B.C.C.A.A. di Catania appare il disegno del giardino differente da quello odierno, per cui si presume che l’Armatore Matteo Scuderi modificò non solo il pavimento, ma l’intero disegno delle aiuole.

Il resto del giardino è suddiviso in tante isole di forma per lo più rettangolare e tra un’isola e l’altra si insinuano altri camminamenti, o meglio altri vialetti, anch’essi pavimenti a ciottoli bianchi e neri, grazie ai quali è possibile avvicinarsi ad ogni angolo del giardino. Le isole sono circondate da una bordura realizzata con l’impiego di una della più familiare delle piante grasse che troviamo sui balconi di Sicilia, la portulacaria afra, priva di nome italiano, ma intesa familiarmente come “ricchezza”, forse perché le piccole e numerose foglie carnose ricordano tante lenticchie.

Queste bordure sono state lavorate secondo la classica arte topiaria, che consiste nel potare alberi e arbusti al fine di dare loro una forma geometrica, diversa da quella naturalmente assunta dalla pianta, per scopi ornamentali.

All’interno delle isole troviamo varie piante, tra cui la più vistosa è un magnifico ciuffo di Strelitzia augusta, alto non meno di quattro metri, posto alle spalle della fontana rispetto alla casa. Più vicina a questa troviamo due alberi ornamentali di notevole altezza: una magnolia (Magnolia grandiflora), bella specie presente in diverse piazze cittadine, e un’araucaria (Araucaria araucana), albero proveniente dall’emisfero australe.

Oltre alla Strelitzia augusta troviamo poi un esemplare di Strelitzia reginae e alcune cycas revoluta, una pianta che viene spesso confusa con le palme, ma che appartiene ad una famiglia del tutto diversa (le Cycadaceae) e che è nota, oltre che per la sua eleganza, per il fatto di essere un vero e proprio fossile vivente, cioè una pianta molto antica che ha conservato le sue caratteristiche nel tempo. Le cycas sono originarie dell’Asia tropicale, della Polinesia, dell’Africa orientale e dell’Australia.

(Ugo Mirone, Giambattista Condorelli, Maria Teresa Di Blasi – delegazione Fai di Catania)

http://www.girasicilia.it/patrizi-e-palazzi-visite-guidate-catania/

 

Catania, primi del Novecento. Largo Paisiello è uno degli spazi più eleganti della Catania sfarzosa ed artistica della Bell’Epoque. In questo periodo, infatti, la via Pacini è un viale ampio ed alberato che fa da monumentale scenografia ad uno dei teatri più in voga: l’Arena Pacini appunto. Inaugurata nel 1877, costruita interamente in legno con tre ordini di palchi, ospita spettacoli di notevole livello artistico, dalla lirica alla prosa all’operetta. Poco distante vi è l’Arena Gangi, grande cinema inaugurato nel 1918, capace di ospitare ben 4500 persone. Vengono demolite la prima nel 1936 (ormai abbandonata) e la seconda qualche anno più tardi (ultimo film proiettato: “Il pugnale cinese” nel settembre ’38) .

 

 

 

 

 

 

AL PRIMO MAESTRO DELLA DANZA RITMICA, CATANIA DEDICA UNA STATUA E UNA STRADA

 Vi è tra le opere decorative che adornano il Giardino Bellini una statua di marmo,quella che rappresenta il quasi mitico Androne, che per quanto non sia un'opera d'arte nel senso più nobile della parola,è per molti aspetti pregevole;voglio dire che ha pregi di fattura---impostazione,proporzioni, studiata esattezza di particolari anatomici che dimostrano come nell'Ottocento,anche per opere esclusivamente decorative,alle quali l'artista faceva a meno di apporre la firma, i canoni dell'insegnamento severo praticato allora nelle scuole d'arte, venissero scrupolosamente applicati.

Giacché quest'opera non ignobile, non risulta che sia firmata;lacuna anche questa che soltanto l'Archivio Comunale, distrutto nel sacrilego incendio del 1944,avrebbe, per noi studiosi ,potuto colmare. Comunque riferendomi al tempo in cui la statua venne collocata nel Giardino, cioè all'anno 1863 ed a quelli che lo seguirono---un quindicennio---fino a quando, come ho scritto altre volte, l'ingegnere Filadelfo Fichera, padre di Francesco, sistemò definitivamente il vecchio Labirinto biscariano, può pensarsi che autore dell'Androne sia stato lo scultore napoletano Tito Angelini, esecutore anche della Fontana dell'Amenano all'ingresso principale della piazza Alonzo Di Benedetto e del busto di Bellini nel Giardino stesso.

Debbo aggiungere, però, che anche osservando con attenzione la maniera con cui la statua è scolpita, essa fornisce pochi o punti addentellati perché si possa sicuramente affermare che sia dovuta all'Angelini; anzi,il modo come la parte anatomica appare condotta e amorosamente studiata ,è in palese contrasto con quanto vediamo nell'efebo rappresentante il fiume Amenano della fontana suddetta. Ma tant'è, quel che importa si è che l'opera, come ho detto, non è ignobile;ignobili invece sono stati coloro che in un tempo non lontano l'hanno vandalicamente deturpata, infrangendone il piffero e le dita delle mani. Da ciò il restauro recente, dovuto all'arte paziente dello scultore Salvo Giordano.

Se Androne è un mito ,esso è un mito squisitamente catanese,città musicale nel profondo e madre del più puro dei melodisti;anzi,secondo quanto scrisse l'illustre filologo Consoli,un'autentica gloria di Catania

Per Teofrasto,discepolo di Aristotele, Androne è tutt'altro che un mito;esso fu un flautista catanese che per primo applicò al corpo umano movimenti e ritmi suonando il flauto. Con buona pace però dell'antichissimo storico, asserire che il nostro lontano concittadino sia stato il primo a muovere ritmicamente il corpo sul suono del flauto, del piffero o comunque di uno strumento, come dire l'inventore della danza, è ipotesi del tutto azzardata;In quanto è pacifico che la danza nacque e nasce con l'uomo, e che ove all'uomo manchi uno strumento qualsiasi, basta a lui la voce per sostituirlo.

Ma i miti e le leggende valgono per quel che in essi v'è di poesia, cioè di bellezza, e vanno accettati senz'altro. Androne fu certamente, in remotissimi tempi, un danzatore famoso, se il nome di lui venne a noi tramandato con sì lusinghieri attributi;e se esso,sulla testimonianza del discepolo di Aristotele, fu come non dubito, un catanese;bene ha fatto chi ne ha voluto onorare la memoria innalzandogli una statua e dando il nome ad una via che è tra le più seducenti della città. -(Saverio Fiducia)

 (di Saverio Fiducia da Passeggiate Sentimentali)

 

CONSIGLI PER UNA SANA MATTINATA ....A CIOLLIARE!

A Catania l’aria è sempre calda e quando scoppia la primavera sembra già estate. Basta girovagare tra la Pescheria, vicino Piazza Duomo, e ‘a Fera o’ Luni, in piazza Carlo Alberto, e sarete subito catturati da profumi e sapori che sgomitano tra loro, talvolta scontrandosi, ma sempre lasciando un segno indelebile. E’ un vero e proprio risveglio dei sensi quello che ogni volta si compie, che sia una fritturina di pesce fresco o una classica pasta alla norma, fragrante di melanzane fritte ed avvolta nella ricotta salata spruzzata come neve calda, o delle frittelline di verdure, o i dolci di frutta martorana, colorati più di un quadro di Van Gogh, esagerati nel loro sapore unico.

 
- la mattina catanese non può che cominciare con una granita di mandorla o di caffè, con la brioche calda, naturalmente. E’ uno dei simboli della città, ottime quelle del Caffè Europa o di Ernesto, al lungomare, ma praticamente ovunque a Catania si possono gustare ottime granite. In qualunque momento della giornata e della notte.

- Assolutamente da non perdere un tuffo al mattino (l’ideale sarebbe molto presto) alla Pescheria, tra i banconi del pesce e i venditori dalla voce grossa che richiamano l’attenzione. Un quadro a tinte forti dipinto ogni mattina e dal forte profumo di mare, dove ognuno – compreso lo spettatore – ha la sua parte in primo piano. Se è già mezzogiorno, aperitivo al baretto della piazza, tra polpettine fritte di pesciolini, verdurine in pastella, o pesce freschissimo crudo e marinato: il sushi catanese. Se siete fortunati potrete scambiare quattro chiacchiere con il cuoco Carmelo Chiaramonte, ragusano di Modica ma "cuciniere" a Catania ed habitué del luogo.
- Da un teatro all’aria aperta ad un altro, ed eccovi in piazza Carlo Alberto, ‘a Fera o’ Luni per i catanesi, a caccia di occasioni e di piccoli affari. Un’esplosione di suoni, odori, colori, sapori, frutta colorata, pesci boccheggianti, carne macellata appesa a gocciolare e le urla dei venditori, poi, con la voce sempre rauca per lo sforzo di gridare. Se a questo punto volete provare un’esplosione di dolcezza dovete per forza assaggiare il cannolo di ricotta di Savia, di Spinello o di Scardaci, tutti in via Etnea.

- E’ ora di pranzo e che peccato dover rinunciare a qualcosa! Perdersi tra il profumo della ricotta calda e gli asparagi appena raccolti all’ombra del maniero di Federico II (Castello Ursino). Oppure deliziarsi con un piatto di spaghetti al nero di seppia o con i ricci di mare all’Antica Marina, nella piazza della Pescheria ormai vuota di banconi. Oppure sdraiati al sole sulle panchine della villa Bellini (da poco restituita alla città) assaporando il mitico arancino al sugo di Savia -quello con i pezzetti di bollito dentro - o le crispelle di ricotta e acciughe di Stella, la più antica crispelleria di Catania.

 

 

 

- Per dissetarsi, a Catania, è d’obbligo lo "sgriccio", un seltz limone e sale inventato dai fratelli Giammona, titolari del chiosco più famoso della città, quello in piazza Vittorio Emanuele da tutti conosciuta come “Piazza dei Chioschi”, appunto. Oltre al limone e sale, tanti sciroppi possono accompagnare le bollicine ma i più gettonati rimangono mandarino verde e tamarindo. Praticamente in tutte le piazze storiche di Catania c’è un chiosco per queste bevande: alla Pescheria, alla Fiera, in Piazza Jolanda, a San Cristoforo. Quello di Piazza Roma (di fronte l’ingresso nord di villa Bellini) è famoso per aver inventato il frappè alla nutella con le brioscine Tomarchio frullate dentro. Una bomba di dolcezza richiestissima dai giovanissimi e dai golosi di ogni età. A notte fonda, preferibilmente, al rientro dalla discoteca o per tirare tardi e sballarsi di Nutella.

 

 


- Cosa c’è di meglio nel pomeriggio che passeggiare per le vie del centro storico, inoltrandosi da Piazza Università nel dedalo di stradine che di notte diventano il teatro affollatissimo della movida cittadina ed arrivare a scoprire Piazza Duca di Genova, nel cuore del quartiere Civita oggi “vestita in fiore” e sbirciare dalle vetrate dei piani bassi del Palazzo Biscari, le pezze che diventeranno i vestiti opere d’arte intorno ai quali si muovono giovani apprendisti della stilista Marella Ferrera che proprio nel palazzo Biscari ha allestito il Museo della Moda.

 

vecchia cartolina di Piazza Vittorio Emanuele

 E dopo il museo è l’ora di un cono gelato leccato davanti al bellissimo teatro Massimo in piazza Bellini. Pistacchio, mandorla, nocciola, cioccolato, fragola con le fragoline di Noto sopra, fior di latte, puoi sbizzarrire la tua scelta, il godimento è assicurato.
- Tra i piatti tipici della cena catanese non può mancare il "masculinu con i piselli ed il finocchietto riccio", servito con la mollica abbrustolita sopra; oppure la carne di cavallo (bistecche o polpette) in via Plebiscito, nel cuore antico del quartiere San Cristoforo; oppure la grigliata di carne e le sfiziose “cipollate” (spiedini di pancetta e cipollina fresca alla brace) sotto le luci del Castello Ursino. E poi tirare tardi a sorseggiare cocktails seduti sulla scalinata Alessi, alle spalle della meravigliosa via Croficeri ed a migliaia di decibel dalle vicine suore Benedettine di clausura. Per chiudere, nel cuore della notte, con il cornetto caldo al pistacchio nella vicina Etoile.

http://www.risiu.it/index.php?path=ct

 

 

 

I CIOSPI  a cura di Salvo L.G. (www.catanesidov.it)
A Catania, sparsi in tutti i quartieri e quasi ad ogni angolo delle vie di maggior importanza, abbiamo i “Chioschi”. Non sono, come nelle altre città, dei rivenditori di giornali o di libri; a Catania i chioschi offrono ai loro clienti la possibilità di dissetarsi e contemporaneamente ristorarsi assaporando innumerevoli fragranze di sciroppi misti ad acqua seltz, cioè acqua particolarmente frizzante e spruzzata freddissima e ad alta pressione direttamente nei bicchieri. Tenterò in seguito di fare una lista dei gusti, ma nonostante il mio impegno, sono sicuro di dimenticarne qualcuno; mi scuso per ciò con chi abitualmente li produce, inventa o consuma.Questa prelibatezza, esclusivamente catanese, è la particolarità che un turista dovrebbe immediatamente cogliere non appena viene a visitare la città. D ’altronde lo ripeto, i chioschi o “ciospi” come si dice in dialetto, si trovano dappertutto ed è facilissimo incontrarne a decine passeggiando per la città.La struttura tipica del “ciospo” è generalmente a base circolare, ma anche a volte ottagonale o rettangolare, con ampi ripiani rivolti agli avventori nei quali questi ultimi sono soliti appoggiarsi ad osservare la preparazione della bevanda appena ordinata. All’interno della struttura i loro gestori si muovono con grande abilità e destrezza, soddisfacendo rapidamente le richieste dei propri clienti. 

Sul ripiano di lavoro non può mancare uno strumento fondamentale per la preparazione della bevanda: lo spremiagrumi. Ormai quest’ultimo è di tipo elettrico, ma qualcuno utilizza ancora una specie di pinza-morsa che provvede a schiacciare il mezzo limone per prelevarne il succo.La preparazione avviene così: in un bicchiere, generalmente in vetro, del diametro di circa cinque centimetri ed alto circa dodici, viene versata una quantità di sciroppo, ben calibrata dall’esperienza del “barman”, viene quindi spremuto il limone e successivamente aggiunta l’acqua seltz fino al riempimento del bicchiere.Questo è soltanto una delle varie tipologie di bevande richieste dai tanti che accalcano i chioschi in tutte le ore della giornata, sia nei periodi estivi che in quelli invernali, a tal punto da essere diventati un vero e proprio punto d’incontro e una tappa fissa dell’uscita serale per i cittadini di Catania.Ma i chioschi non preparano esclusivamente queste bibite, essi hanno una vastissima scelta di bevande.

 

 

 

Il “frappé alla nutella“, per esempio, è uno dei preparati preferiti dai più giovani che i chioschi di Catania si vantano di aver ideato per primi.Il Tamarindo, utile per digerire dopo un’abbuffata. Si beve fino a metà bicchiere facendo aggiungere solo allora una punta i bicarbonato. A quel punto di corsa tutto giù d’un sorso e la digestione è garantita.Un altro preparato tipico è il “Mistofrutta” realizzato unendo insieme vari pezzetti ti frutta fresca tagliati a cubetti irrorati da sciroppo alla frutta e seltz.Ogni chiosco ha una sua specialità, ma posso affermare che tutti preparano delle ottime bevande.
Ho visitato molte città d’Italia e da nessuna parte ho trovato un “ciospo” come questi appena descritti, tuttalpiù ho trovato piccoli bar con cornetti e caffé, ma mai un chiosco alla Catanese e questo è un altro aspetto che ci rende orgogliosi di essere catanese.

 

 

 

PALAZZO MAZZONE

(Via Umberto angolo via Grotte Bianche,anno di costruzione 1904 circa,autore Tommaso Malerba)

 

Edificato nel 1904 circa il palazzo Mazzone sorge in una zona di espansione tardo ottocentesca.

Realizzato in pieno eclettismo catanese esso rappresenta una delle prime esperienze costruttive documentate di Tommaso Malerba.

L' edificio si contrappone su via Umberto a Casa Nicotra che Carlo Sada costruisce qualche anno prima e che progetta a partire dal 1898.

La facciata viene liberamente figurata secondo un originale stile moresco, consono al gusto dell'esotico e del meraviglioso ,utilizzato maggiormente nelle abitazioni con giardino.

Il Malerba accentua il tema del contrasto con le architetture adiacenti utilizzando un linguaggio ricco di chiaroscuri, di trafori,di archetti,di intrecci,di superfici decorate,inscenando un paesaggio d'invenzione.

La caratterizzazione stilistica rimane tuttavia decorativa e la tipologia distributiva dell'edificio è tradizionale. Rilevante la connotazione ibrida del lessico che Malerba utilizza per l'architettura della facciata. Il repertorio formale eterogeneo dell'apparato decorativo attinge indifferentemente da più stili accentuando la caratteristica eclettica e sperimentale del suo autore. La struttura compositiva della facciata principale è sorretta da una sequenza di pieni e vuoti costituiti dalla presenza di piccole logge caratterizzate da un arco polilobato.

Questo seguendo la logica dell'ordine architettonico ,si arricchisce e si slancia mentre la costruzione cresce fino a raggiungere l'ultimo piano. La geometria complessiva viene imbrigliata verticalmente da paraste aggettanti e orizzontalmente da un sistema di trabeazioni che marcano i livelli di calpestio ,da cornici d'imposta degli archi delle aperture e da un fastoso cornicione di coronamento.

L' aggetto dei balconi e della cornice di coronamento è caratterizzato da mensole a stalattiti secondo il tradizionale linguaggio dell'architettura araba. I fregi sulla facciata interpretano stilemi ad intrecci sia di tradizione islamica che di tradizione nord europea secondo la cultura eclettica e anticonformista della fine dell'Ottocento.

(Descrizione della Soprintendenza ai beni culturali)

Note e foto di Milena Palermo per Obiettivo catania - https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/

 

 

 

 

L'intitolazione alla memoria dello scrittore e fotografo Giovanni Verga avvenne solo in pieno XX secolo. In precedenza la piazza, del tutto periferica rispetto alla città era un vero e proprio campo di addestramento militare e portava il generico nome di "piazza d'Armi". La piazza aveva un'estensione maggiore dell'attuale ed era di forma rettangolare. Nei primi anni del XX secolo venne scelta per allestirvi l'importante "Esposizione agricola siciliana del 1907" e in seguito a ciò la piazza venne ribattezzata "piazza Esposizione" nome rimasto nella memoria popolare fino a tempi recenti. L'incarico dell'allestimento delle strutture che avrebbero ospitato l'Esposizione venne affidato all'ingegnere Luciano Franco che realizzò le opere, nello spirito del primo Novecento catanese, secondo lo stile liberty. Il "Padiglione Reale" fu realizzato da Salvatore De Gregorio, mentre Alessandro Abate si occupò di decorare il Vestibolo, in corrispondenza del quale si stagliava la cupola del "Grande Ottagono". Le decorazioni di Abate raffiguravano scene di lavoro dei contadini etnei, colti dalla grazia divina della dea Cerere. Da qui si aveva accesso al giardino, abbellito da diversi chioschi, posizionato al centro, dal quale era possibile addentrarsi nei quattro padiglioni, introdotti da archi. Il Chiosco Inserra di Tommaso Malerba, riconosciuto come un capolavoro, andò distrutto.
Mappa cittadina dei primi anni del XX secolo nella quale risulta già apposto il nome di piazza Esposizione alla vecchia "piazza d'armi"

Nel 1936, sul lato nord della piazza, ebbero inizio i lavori di costruzione del maestoso Palazzo di Giustizia (terminati nel 1953) a cui si accede per mezzo di un'imponente scalinata in basalto lavico dominata da una statua in bronzo raffigurante la dea della giustizia, con bilancia e spada nelle mani, posta all'ingresso. La statua, alta sette metri e mezzo, fu scolpita da Mimì Maria Lazzaro nel 1953 e trasferita e posizionata tra i pilastri dell'ingresso nel 1955 a cura del Genio civile. Sul lato a sud-ovest, fu realizzata una caserma dei Carabinieri al posto della vecchia caserma.

 La piazza acquisì progressivamente sempre più importanza in seguito all'espansione della città verso nord
Nel 1975 al centro della parte sud della piazza, di fronte all'attuale palazzo dell'hotel Excelsior, venne posizionata la Fontana dei Malavoglia; questa incorpora un complesso scultoreo di grande impatto emotivo, una delle ultime opere dello scultore catanese Carmelo Mendola (1895-1976), che rappresenta il naufragio della "Provvidenza" scena chiave del racconto verista verghiano I Malavoglia.
http://it.wikipedia.org/wiki/Piazza_Giovanni_Verga

 

 

 

L'ex Piazza esposizione.

Nel 1907 si inaugurò L'Esposizione agricola siciliana, in stile liberty, alla quale intervenne il sindaco Consoli. Nel suo discorso inaugurale sostenne che Catania era la seconda città d'Italia grazie ai traffici del porto commerciale, e fra le prime città industrializzate, grazie alle fabbriche degli zolfi e delle tintorie.

 

 

All'Espo intervennero i primi artisti liberty della città. L'ingegnere Luciano Franco si occupò della disposizione dell'insieme degli edifici nella piazza d'Armi (odierna piazza G. Verga), costituendo una galleria quadrangolare con al centro un giardino ornato da chioschi. Lo stile scelto per il prospetto esterno e per le facciate prospicienti il giardino fu quello dell'Arte Nuova. Egli volle introdurre anche uno stile locale, il saraceno, nel grande arco d'ingresso che ha una curva araba. Il vestibolo, a cui si giungeva attraversando l'arco, era a pianta quasi quadrata.

Da qui due porte conducevano alle gallerie della mostra. In asse con il vestibolo sorgeva il grande Ottagono, con otto pilastri e otto guglie. Dodici porte vi si aprivano. La cupola era alta trenta metri. Dal vestibolo i visitatori entravano nel giardino, circondato da gallerie su tre lati. Quattro archi arabi stilizzati si aprivano sui tre lati, mentre dal quarto si accedeva al complesso delle Belle Arti. Capolavoro dell'espò fu il distrutto Chiosco Inserra di Tommaso Malerba. Esso aveva già il tipico elemento liberty della facciata, l'apertura tripartita arcuata, inserita in una architettura eclettica di gusto gotico- orientaleggiante. Alessandro Abate aveva decorato la volta del vestibolo d'ingresso, ove apparivano ai quattro capi: Labor, Ars, Voluntas, Aeconomia, insieme ad immagini di contadini al lavoro, incorniciati da disegni floreali. Sullo sfondo troneggiava l'Etna e, nell'azzurro del cielo, la dea Cerere, sopra una quadriga, distribuiva corone ai contadini intenti al lavoro della mietitura e dell'aratura.

http://www.cataniatradizioni.it/storia/piazza%20esposizione.htm

 

L’odierna Piazza Giovanni Verga è stata soggetta nel tempo a cambiamenti determinati dall’azione degli uomini.
Originariamente chiamata Piazza Regina Bianca, dalla Regina Siciliana Bianca di Navarra che nel 1402 sposò Re Martino I , successivamente prese il nome di “Piazza d’Armi” perché pensarono di adibirla per esercitazioni e manifestazioni militari. Conservò questa denominazione fino al 1907 quando ospitò un’importante esposizione agricola, da allora prese il nome di Piazza Esposizione, in ricordo di quella fortunata manifestazione inaugurata da Re Vittorio Emanuele III. Altri toponimi, ormai totalmente scomparsi, per Piazza Verga, sono “O locu Asmundu”, dal casato degli antichi proprietari, oppure “Massa-uà” perché i catanesi pronunciavano così il nome di Massaua, che un certo Manara aveva dato ad una trattoria da lui aperta in quel luogo verso il 1885, decorandola con scene della guerra d’Africa. Poi la piazza fu lentamente circondata da edifici, uno dei primi fu la caserma dei carabinieri. Intorno al 1930 il centro della piazza fu adibito a campo di calcio. Oggi la Piazza Verga è una delle più belle e luminose della Catania moderna. Tra il 1936 e il 1953 fu costruito il grandioso edificio del Palazzo di Giustizia.
All’ingresso, tra i pilastri c’è la grande statua della Dea della Giustizia scolpita dall’artista M. M. Lazzaro. Sopra la sua corona è raffigurata la storia della Giustizia. La statua, alta 7 m. e mezzo sostiene nelle palmi delle mani, due uomini per stabilirne la colpevolezza o l’innocenza. Di fronte al palazzo di Giustizia si trova il moderno ed elegante Hotel Excelsior. Al centro della piazza si trova la bellissima fontana dei Malavoglia. L’opera è dello scultore Carmelo Mendola ( 1895-1976 ) e fu inaugurata nel 1975. Il gruppo scultoreo riproduce la scena del drammatico naufragio della “Provvidenza” descritto nel romanzo di Verga “I Malavoglia”.
http://giornale.scuolacavourcatania.com/citt%C3%A0111.asp

 

 

 

 

 

Perchè si chiamava anche Piazza Esposizione

Nel 1907 si inaugurò L'Esposizione agricola siciliana, in stile liberty, alla quale intervenne il sindaco Consoli. Nel suo discorso inaugurale sostenne che Catania era la seconda città d'Italia grazie ai traffici del porto commerciale, e fra le prime città industrializzate, grazie alle fabbriche degli zolfi e delle tintorie.
All'Espo intervennero i primi artisti liberty della città. L'ingegnere Luciano Franco si occupò della disposizione dell'insieme degli edifici nella piazza d'Armi (odierna piazza G. Verga), costituendo una galleria quadrangolare con al centro un giardino ornato da chioschi. Lo stile scelto per il prospetto esterno e per le facciate prospicienti il giardino fu quello dell'Arte Nuova. Egli volle introdurre anche uno stile locale, il saraceno, nel grande arco d'ingresso che ha una curva araba. Il vestibolo, a cui si giungeva attraversando l'arco, era a pianta quasi quadrata.
Da qui due porte conducevano alle gallerie della mostra. In asse con il vestibolo sorgeva il grande Ottagono, con otto pilastri e otto guglie. Dodici porte vi si aprivano. La cupola era alta trenta metri. Dal vestibolo i visitatori entravano nel giardino, circondato da gallerie su tre lati. Quattro archi arabi stilizzati si aprivano sui tre lati, mentre dal quarto si accedeva al complesso delle Belle Arti. Capolavoro dell'espò fu il distrutto Chiosco Inserra di Tommaso Malerba. Esso aveva già il tipico elemento liberty della facciata, l'apertura tripartita arcuata, inserita in una architettura eclettica di gusto gotico- orientaleggiante. Alessandro Abate aveva decorato la volta del vestibolo d'ingresso, ove apparivano ai quattro capi: Labor, Ars, Voluntas, Aeconomia, insieme ad immagini di contadini al lavoro, incorniciati da disegni floreali. Sullo sfondo troneggiava l'Etna e, nell'azzurro del cielo, la dea Cerere, sopra una quadriga, distribuiva corone ai contadini intenti al lavoro della mietitura e dell'aratura.

http://www.cataniatradizioni.it/storia/piazza%20esposizione.htm

 

 

 

Quando il Catania giocava qui.

La storia del calcio Catanese comincia nel 1908, anno per altri versi infausto e triste in quanto il terremoto aveva spazzato via le città di Messina e Reggio Calabria.E’ il 19 giugno quando il Corriere di Catania annuncia la nascita, in riva allo stretto, di una società sportiva pro educazione fisica per le province di Catania e Messina, che grazie alla generosità dell’Amministrazione Comunale catanese dell’epoca, avrà uno stadio in Piazza d’Armi o Piazza Esposizione, (l’attuale Piazza Verga).La Società è la "Pro Patria", guidata dal presidente comm. Francesco Sturso D’Aldobrando, che promuove molte attività e molti sport: oltre il calcio anche la ginnastica, la scherma, l’alpinismo, l’aeronautica, l’automobilismo, ecc.

 

 


La prima partita ufficiale della squadra di football "Pro Patria" si svolge a Catania il 30 giugno 1909, in onore dei congressisti della Lega Nazionale e dei componenti della flotta del Mediterraneo, contro la squadra della Corazzata "Regina Margherita" che si trovava a passare dal porto di Catania. L’incontro terminò con il risultato di parità ,una rete per parte. La formazione schierata era la seguente:Vassallo: Gismondo Bianchi; Messina Slaiter Caccamo; Gregorio Binning Cocuzza Ventimiglia Pappalardo (Spedini), nomi che a quei tempi rappresentarono il pionierismo del calcio catanese. 

 

Da quella partita in poi, ogni qual volta una nave arrivava a Catania i ragazzi della Società si precipitavano a organizzare un incontro. Al seguito della squadra c’era anche un fotografo animato da una tenacia incredibile, tale da fargli trascinare dalla città fino a Fontanarossa quella pesante macchina fotografica, con relativo cavalletto, per immortalare gli atleti nelle loro fasi di gioco. Tra i calciatori di questa prima fase di pionierismo ricordiamo il Generale Spedini, ala sinistra molto veloce, e il portiere Roberto Nicotra (entrambi saranno travolti dal ciclone della 1ª Guerra Mondiale e ricordati come eroi), il dott. Cocuzza, valido centravanti, e il dott. Pappalardo, che partecipò alla Coppa Lipton, una manifestazione che a quel tempo rivestiva una certa importanza. Il 23 luglio si svolse un altro incontro al giardino Bellini con i componenti di una nave inglese che si trovava alla fonda nel porto di Catania, il "Broyser". I catanesi in quell’occasione subirono una sonora sconfitta per sette a zero.A questo punto il calcio si comincia a modificare: iniziano i campionati, nasce e si affianca alla "Pro Patria", lo "Sport Club Trinacria", con l’intenzione di forgiare nuovi atleti. Fu cosi che la "Pro Patria" si trasformò in "Associazione Sportiva Catanese" e accolse parecchi giovani alla ricerca di un sano svago.L’Amministrazione Comunale nel mentre provvide a costruire in piazza Esposizione un campo di calcio con due tribune, con una capienza di cinquemila posti.Il calcio a Catania aveva superato la fase pionieristica e soprattutto la 1ª Guerra Mondiale, quindi cominciò ad avere una sua collocazione in campo nazionale.Nel 1929 si costituisce a Catania la Società "SS. Catania"

 

 

 

VENTUN ANNI PER UN MONUMENTO

Fra le opere pubbliche che negli anni cinquanta presero il via ma non giunsero al traguardo ha un posto di rilievo, per l'interesse emotivo e per le polemiche che suscitò,il completamento artistico alla piazza Verga,cioè la fontana dei Malavoglia. Fu un capitolo straordinariamente lungo e travagliato,insolito per un'era in cui gli atti amministrativi si svolgevano con rapidità:durò ventun anni, uno sproposito.

Cominciò col "Bando di concorso per l'erezione di un monumento a Giovanni Verga in Catania ", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 10 novembre 1956.Premi:un milione al vincitore. 500.000 lire al secondo, 300.000 lire al terzo;compenso per l'esecuzione 16 milioni.

Quell'argomento era già stagionato:si pensi ad esempio che, secondo il bando originario, fra il materiale documentario che ai concorrenti sarebbe stato fornito era prevista una planimetria della zona <<come sarà per risultare dopo il compimento delle costruzioni in corso nella piazza >>.Ma quando dopo lunghi perditempo procedurali esso fu pubblicato, erano <<state ormai ultimate le costruzioni in corso nella detta Piazza >>,per cui quella planimetria risultava <<superata>>dagli eventi.

Al concorso parteciparono 20 fra artisti e architetti. Rimasero infine in ballottaggio 4 bozzetti.Si diede luogo a un concorso di secondo grado che indicò come vincente il progetto dello scultore catanese CARMELO MENDOLA.Non era un monumento del tipo tradizionale, con basamento e busto di Verga; neanche gli altri, del resto, erano tradizionali. La proposta di Mendola raffigurava la fontana con la barca dei Malavoglia in preda alla tempesta. Ma fra ricorsi,contestazioni, invalidazione dei giudizi della commissione (per dimissioni di qualche suo membro),remore d'ogni genere, riesami, persino uno storno del finanziamento regionale da un capitolo all'altro,scioperi,aumenti di costo della manodopera, contrasti tecnici sulla realizzazione dell'impianto idraulico, polemiche pseudo-dottrinali che fecero ridere l'italia e indignare Catania, anticipazione da parte dello scultore delle somme per la fusione dell'opera in una fonderia napoletana, passarono anni su anni.

Mendola, presentato alla giuria il modellino-progetto, ne realizzò in piccolo (un metro di diametro)una copia funzionante, con gli effetti d'acqua e quelli di luce;lo sistemò nel bellissimo giardino di casa sua, in via Ingegnere;e li accolse migliaia e migliaia di visitatori. Ogni volta accendeva il suggestivo impianto di illuminazione e metteva in movimento con un altro motore elettrico le acque del mare furioso;al centro di quel turbine, la <<Provvidenza >><<stava per spaccarsi come un guscio di noce sullo "scoglio dei colombi">>;e 'Ntoni, <<colla voce soffocata dalla tempesta >>,col suo volto contratto e disperato,urlando <<Chi è?chi è che grida?>>,riassumeva quel dramma del mare.

I visitatori ne restavano emozionati.Molti erano colti da un brivido, come se i tre personaggi sulla barca, anziché di bronzo, fossero di carne e ossa.Ma com'è mai possibile, essi si chiedevano, che non si riesca a chiudere questo incantesimo?L' incantesimo si chiuse la sera del 25 ottobre 1975,quando finalmente la fontana fu inaugurata, con solennità. Mendola ci aveva impegnato un quarto della sua vita, un'ansia logorante e molte decine di milioni, denaro che in massima parte, ancorché svalutato, i suoi eredi avrebbero recuperato anni più tardi.

Dopo l'inaugurazione, ogni sera egli andava a visitare la sua opera, pellegrino stanco e felice. Quattro mesi e mezzo dopo,il 5 febbraio 1976,mentre in lontananza rintronavano i <<baiocchi>>di Sant'Agata ed egli montava in auto per tornarsene a casa,lo colse un'emorragia cerebrale, che due giorni dopo lo stroncò.-(Salvatore Nicolosi)

Ps da anni la bellissima Provvidenza di piazza Verga è <<morta>>,preda di vandali ,immondizia, senza più il mare in tempesta e senza illuminazione......piange il cuore a chi come me ne ha un vivissimo e caro ricordo

(articolo del giornalista Salvatore Nicolosi)

 

https://www.mimmorapisarda.it/cine/padrino1.gif

scena girata in Piazza G. Verga

https://www.mimmorapisarda.it/cine/loc02.jpg

 

"LA STATUA DELLA POLEMICA "

È un titolo appropriato per la meravigliosa statua della Giustizia posta davanti all'ingresso del Palazzo di Giustizia di piazza G.Verga poiché non poche furono le polemiche che si scatenarono al momento della sua collocazione.Se oggi noi tutti possiamo ammirare questa scultura bronzea alta ben 7,50 metri è solo grazie alla pazienza e perseveranza del grande Sindaco avv. Luigi La Ferlita che per sedare ogni discussione, dispose la sua collocazione nel posto in cui era stata destinata.

Le polemiche sorsero a causa della rappresentazione operata dal maestro Domenico Maria Lazzaro autore della statua bronzea che doveva abbellire l'ingresso del nuovo Palazzo di Giustizia di Catania.

Erano gli inizi degli anni Cinquanta e sulla rivista locale si inasprirono le polemiche con toni piuttosto accesi e due schieramenti ben precisi e quindi c'era chi la disprezzava dicendo " che razza di giustizia vuol rappresentare questa statua senza spada e senza la tradizionale bilancia?È un'infamia, un disonore per Catania e per i catanesi. Non la vogliamo!".

Per contro ,i sostenitori dell'opera rispondevano che aveva fatto bene lo scultore a rompere gli schemi tradizionali "Ma quale spada!Quale bilancia!Qui abbiamo la più moderna e,al tempo stesso, la più antica concezione della Giustizia, nelle cui mani campeggia l'uomo :il reo a destra e l'innocente a sinistra. È l'uomo che viene soppesato e giudicato ,non una qualsiasi mercanzia .E poi ,cosa vanno cercando gli sprovveduti denigratori?Ignorano di certo l'illustre precedente di Giotto .Vadano a vedere nella Cappella degli Scrovegni a Padova!"

Infatti l'illustre Mimì Lazzaro si era proprio ispirato a Giotto per la statua che fu adeguatamente esposta e spiegata sulla Rivista Catanese ma ovviamente l'ignoranza la fa da padrona:

"La statua rappresenta una figura di donna, alta sette metri e mezzo ,che sostiene, nelle palme delle mani due uomini per stabilirne la colpevolezza e l'innocenza, il tutto in bronzo fuso del peso di cinque tonnellate. L' artista si è ispirato a una pittura di Giotto nella Cappella degli Scrovegni e ne rappresenta le figure all'impiedi con un ricco manto a pieghe per intonarsi al progetto dell'architetto Fichera che la vide appunto in posizione verticale e in composizione ritmica con i pilastri del progetto. La sua forma classicheggiante si armonizza perfettamente con il complesso architettonico del Palazzo "

Fonte:Lucio Sciacca

 

Largo dei Vespri

IL PALAZZO DI ALESSANDRO VUCETICH A CATANIA

I catanesi non sanno chi sia questo Carneade anche se tutti hanno ammirato il bel palazzetto che porta il suo nome e che, affacciandosi sul largo dei Vespri insieme a quello progettato dall’architetto Mascali, segna la quinta urbana dell’inizio di viale XX Settembre.

Il bolognese Alessandro Vucetich, medaglia di bronzo al valor militare nella prima guerra mondiale, venne dunque a Catania nel ’23, ingegnere capo sezione e poi direttore dell’ufficio tecnico del Comune , ma non si limitò al suo ruolo “istituzionale”, sentendo di essere investito del compito di “dover provvedere alle cure di questa bisognevole città”, anche, forse, nella speranza di riuscire ad arrotondare lo stipendio comunale.

Catania, la sua vitalità, il suo nero e tardo barocco, forse anche il vulcano, osservato a debita distanza dalle belle terrazze delle ville di viale Regina Margherita, gli ispirarono una serie di studi, spesso solo pensati, fermati sulla carta e non attuati, ma iconoclasti e dissacranti, catastrofici nel senso greco del termine. Catania fu per lui una palestra di sperimentazioni più che ardite, azzardate e temerarie.

 (Franz Cannizzo)

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Il Palazzo Vucetich (Largo dei Vespri, 12), realizzato intorno al 1930 dall’ingegnere Alessandro Vucetich, fa da pendent a quello progettato di Silvestro Mascali: le due costruzioni che presentano un fronte arrotondato sul loro punto focale, creano una soluzione urbanistica interessante e movimentata che ha precedenti nella complessa spazialità delle città barocche. E’ troppo ardito il riferimento alla piazza del Popolo di Roma, ma i due palazzi hanno la stessa funzione delle due chiese romane che, come questi palazzi, definiscono un’area di sosta raccolta ma non rigidamente definita anzi aperta su diversi assi viari. Palazzo Vucetich è uno dei più tipici esempi di architetture dèco a Catania. La sequenza dei quattro piani è movimentata da diversi elementi decorativi: le botteghe al piano terra hanno ampie aperture a tutto sesto, le finestre del primo piano, anch’esse a tutto sesto, sono inserite entro due lunghe paraste terminanti con una sfera piatta. Il secondo piano ha balconi più lineari con cornici rettangolari e infine l’ultimo piano presenta una sequenza di finestre con cornici mistilinee di ispirazione eclettica. Il prospetto lungo il viale principale è decorato con leggeri rilievi scultorei e movimentato dalla presenza delle bow windows, elementi tratti dal repertorio architettonico dell’Europa centro-settentrionale.

 

SICILIA - Ville, palazzi e cappelle: dal Liberty al Déco
LA SICILIA Sabato 21 Gennaio 2012 - Progetti e progettisti dal modernismo internazionale al razionalismo di regime
 Tra le sezioni della mostra quella sull'architettura è la più interessante e completa. Le foto di ville, palazzi, edifici pubblici e cappelle funerarie - e la presentazione dei diversi stili ed autori - raccontano «le esperienze e la personalità dei principali protagonisti del dibattito architettonico catanese negli anni 1870-1939» e della tutela che la sovrintendenza ha assicurato a questo patrimonio monumentale alla realizzazione del quale ha contribuito anche una schiera di decoratori, stuccatori ed ebanisti che hanno concorso a creare il particolare Liberty catanese e spinto verso un'innovativa produzione industriale.

Inumerosi pannelli raccontano gli eccessi dell'architettura di quell'epoca, dal modernismo internazionale del Liberty ai tardivi eco del Barocco, all'opposizione al moderno, al dèco, all'approccio tradizionalista ed eclettico fino a quello razionalista d'impronta fascista. E raccontano «di architetti e artisti sempre in bilico tra modernità e conservazione, tradizione e innovazione, artisti che hanno creato opere in grado di fotografare una società dinamica e in continuo mutamento». Così sotto gli occhi del visitatore scorrono immagini che parlano della nobiltà e dell'alta borghesia del tempo, del palcoscenico delle loro ville e palazzi e degli architetti cui si affidarono. E sono Francesco Fichera, progettista della clinica Vagliasindi di piazza Cavour, del garage Musumeci di piazza Bovio, del palazzo della Società elettrica di piazza Trento, di casa Lazzara in via De Felice e di tanti altri edifici. E poi i palazzi di Tommaso Malerba, il Monte di Pietà di Luciano Nicolosi, e le opere di Paolo Lanzerotti dal negozio Pirelli di Corso Italia, al cinema Diana, a Villa Pancari ad Ognina. E ancora i progetti degli architetti Carmelo Aloisi, autore del cine teatro Odeon, di Ernesto Basile, di Filadelfo Fichera, e di tanti altri ancora. Discorso a sé meritano i tanti palazzi e le cappelle funerarie progettate da Carlo Sada, il progettista del Teatro Massimo Bellini, alcuni dei cui disegni originari, di proprietà della sovrintendenza, sono esposti in uno spazio a sé.

 

 

ex Garage Musmeci - Piazza Bovio - arch. F. Fichera

 

Villa Letizia, residenza dei Prefetti.

Nei ricordi dello scrittore Saverio Fiducia (1878-1970) viene evocata una Catania del tempo perduto, dei vecchi rioni, degli ampi spazi sciarosi “aspri e selvaggi” come le lave di Asmundo destinate, con l’espandersi della città, ad assumere nomi diversi: Massaua, piazza d’Armi, Esposizione e oggi piazza Verga.
L’asprezza dei luoghi viene testimoniata da vecchie foto della villa di Gabriello Carnazza e della moglie Clementina von Rintelen dove il futuro corso Italia è appena tracciato e le uniche costruzioni, sullo sfondo, sono quelle di via Umberto, nuova arteria portata a termine dall’amministrazione del sindaco avvocato Giuseppe Carnazza Puglisi.
Sulla famiglia catanese dei Carnazza, che vanta eminenti giuristi, parlamentari e legami parentali con lo storico Michele Amari, è prezioso il contributo di notizie e documentazioni fotografiche fornite da Lucrezia Paternò del Toscano, moglie del defunto ingegnere Arturo Carnazza e madre di Federico e Antonio, discendenti del bisnonno Gabriello.

Dalla nobildonna Paternò del Toscano apprendiamo che Gabriello e Carlo erano figli dell’avvocato e professore Giuseppe Carnazza Amari e Carlo, sposato ad Ada Trewhell, diede vita nel 1915 al “Giornale dell’Isola” poi affiancato da un supplemento letterario che promuoveva la collaborazione di esordienti letterati.
nel 1923 si segnalò il giovane Vitaliano Brancati.

Erika Abramo - dalla rivista della Provincia di Catania

 

 

 

 

Palazzo Ferrarotto

Viale XX Settembre, 5 - Mariano Falcini

«Attribuito all’architetto Mariano Falcini, palazzo Ferrarotto, noto anche come Palazzo Paternò Landolina, presenta un impianto a corte, articolato volumetricamente su tre piani conclusi dalla copertura a terrazza. L’accesso principale sul viale XX Settembre avviene attraverso un grande portale recante in chiave uno scudo gentilizio coronato. Al piano terra il prospetto è impostato su un basamento lavico, mentre il piano mezzano è arricchito da una fascia a bugnato a corsi orizzontali. Le aperture sono regolari e simmetricamente distribuite. Il piano nobile è distinto da decorazioni pittoriche a graffito tra le porte finestre, di maniera vasariana, eseguite del 1874 da Alfonso Orabona (attivo a Catania tra il 1874 e il 1960) e da Giacomo Salvador. Lo stesso partito decorativo si ripete nella fascia di coronamento del sottotetto. Il palazzo Ferrarotto venne ultimato nel 1892, ma preesisteva al piano di ampliamento di Gentile Cusa del 1886».

Palazzo Vinci

Viale XX Settembre, 35 - Luigi Costantino

«Il commendatore Antonino Vinci, noto avvocato catanese inserito nell’ambiente del Circolo Unione, fece costruire il suo palazzo nei primi anni del Novecento lungo il prestigioso viale XX Settembre, prolungamento di viale Regina Margherita, dove, già dallo scorcio dell’Ottocento, l’aristocrazia catanese esibiva le proprie ricchezze erigendo eleganti ville urbane intonate all’ecclettismo. Il palazzo, vincolato il 27 gennaio 1993, fu progettato dall’ingegnere palermitano Luigi Costantino.
Gli interni mantengono i loro arredi e decori originari: nell’insieme risulta una dimora tipica dell’alta borghesia ancora legata a un lessico storicista, fatti salvi i motivi decorativi non figurativi nei quali gli artisti hanno modo di esprimere idee rinnovate provenienti
dall’introduzione del modernismo in Sicilia».

Villa Feo

Via Vecchia Ognina, 128 - autore sconosciuto

«Di autore sconosciuto, Villa Feo è una delle residenze di villeggiatura realizzata a partire dalla fine dell’Ottocento in direzione del borgo di Ognina. Di modesta dimensione, successivamente ampliata e abbellita a partire dai primi anni del 1900 e sino agli anni Venti, la villa presenta un impianto distributivo semplice e regolare a cui contrapporre un composito gioco di volumi che trovano nella torretta angolare, che accoglie la scala interna di distribuzione per tutti i livelli, la principale espressione. La villa presenta una sobria
decorazione costituita da incorniciature che sottolineano le aperture e da uno schematico ordine architettonico che conclude i volumi principali con lesene e trabeazioni. Singolare l’apertura tripartita che caratterizza l’ultimo piano della torretta belvedere dalla essenziale
conclusione merlata di sapore orientaleggiante. L’edificio presenta una scala a tenaglia rivestita in marmo bianco che costituisce l’ingresso principale e conserva esempi di ringhiere in ferro battuto alcune delle quali originali. E’ sottoposta a vincolo da 12 aprile 1989».

Villa Consoli Marano (1885)

Via Etnea, 569 - Salvatore Giuffrida

«La villa, progettata da Salvatore Giuffrida su commissione dell’industriale Consoli Marano, è composta da due corpi parallelepipedi collegati da una serra in ferro e vetro. Il prospetto principale è impostato su un alto basamento a ricorsi intervallati da listelli orizzontali in pietra bianca. L’ingresso dell’edificio, rialzato e accessibile attraverso una scala, è collocato all’interno di un arco ribassato posto sul prospetto principale. Le pareti esterne presentano la superficie muraria liscia e sono arricchite da un balcone continuo con ringhiera sul quale si affacciano finestre incorniciate da pietre da taglio. Nel giardino della villa sorge un padiglione (chalet) di fine Ottocento, attribuito dagli eredi di famiglia all’architetto Filadelfo Fichera (1850-1909), che si mostra a pianta rettangolare con copertura spiovente, rialzato ed accessibile mediante una scalinata in marmo. Il prospetto principale è riccamente decorato da rilievi figuranti scene di caccia, elementi floreali e statue di nudi femminili».

Palazzo Zappalà Asmundo (1911)

Via Etnea, 544 - Salvatore Sciuto Patti

«Tra il 1909 e il 1911, l’ingegnere Salvatore Sciuto Patti progetta per il barone Giuseppe Zappalà e la moglie, donna Anna Grimaldi Asmundo, l’ultimo piano del loro palazzo posto ad angolo tra via Etnea e piazza Borgo. I nuovi ambienti vengono destinati ad una sorta di “laboratorio delle arti” nei quali trovano posto il Teatro Minimo e il giardino d’inverno, preziosi esempi di un rinnovamento culturale ed artistico nato sulla scorta della corrente europea dell’art nouveau. La luce e i colori che pervadono i nuovi ambienti sono ottenuti dalle ricche finiture e dalle preziose decorazioni di Alessandro Abate. A sud, aperta sulla terrazza, è la serra per la quale l’architetto disegna diverse soluzioni seguendo una moda travolgente in tutta Europa che, nello spirito delle nuove correnti stilistiche, tende a contrapporre alle classiche vetrate istoriate, tipiche delle decorazioni degli edifici religiosi, la vetrata “profana” dai motivi liberty e naturalistici. Sotto la spinta della creatività del progettista lo spazio diventa un luogo di fusione delle arti, una produzione che rappresenta
una vera e propria esperienza di coinvolgimento collettivo delle maestranze locali».

Villa Bonajuto

Corso Italia, 266 - Ing. Giovanni Severino - Arch. Paolo Lanzerotti 

Villa Bonajuto, costruita nel 1929 su progetto dell’ingegnere Giovanni Severino, venne ultimata nel 1934 dal geometra Domenico Corsaro, collaboratore di Paolo Lanzerotti, come attesta il progetto originario presente all’Archivio storico comunale. L’impianto è costituito da due piani fuori terra ed è formato da tre volumi degradanti lateralmente. Il prospetto su corso Italia è caratterizzato dalla loggia-terrazza ad arco ribassato sorretta da colonne, a di sopra della quale è l’attico a torretta con balcone centrale decorato da una mostra mistilinea. Sul prospetto si apre una loggia semicircolare delimitata da una balaustra le cui colonne sono sostegno del balconcino del piano superiore sul quale si affacciano tre aperture affiancate. Nel 1985 la villa venne in gran parte demolita lasciandola mutilata quasi dell’intera parte ovest. La sospensione e l’imposizione del vincolo il 3 luglio 1985 hanno scongiurato la perdita dell’insigne esempio di architettura. Sono in corso lavori di restauro». 

Palazzo Musumeci

VIiale XX Settembre 76 - Luciano Nicolosi

«Il palazzo Musumeci, vincolato il 27 luglio 1984, di impostazione neoclassica, viene costruito ai primi del Novecento su progetto attribuito all’ing. Luciano Nicolosi e realizzato dall’impresa edile Alfio Distefano. L’edificio, che si articola attorno ad un cortile interno, è costituito da un piano rialzato e da un piano nobile, dalle facciate ad intonaco rosa arricchite da paraste bugnate. L’ingresso all’edificio, posto in posizione mediana rispetto alla facciata principale, avviene attraverso un portale affiancato da colonne che sorreggono il balcone del piano nobile, arricchito da una balaustra a colonnine e sormontato da un frontone curvo spezzato nel quale è posto uno scudo araldico. Le aperture sono riquadrate da stipiti con cornici poco sporgenti e balconi “alla romana” con balaustre, altre sono coronate da un frontone triangolare spezzato e balconi aggettanti in pietra, sorretti da mensole intagliate. Una ricca trabeazione composta da un fregio decorato alternato a mensole intagliate corre lungo il perimetro dell’edificio».

Palazzo Monaco
viale XX Settembre 39 - Proprietà attuale: INPS  Uso attuale: sede degli uffici dell’INPS

Anno di costruzione: 1915 ca.  Architetto: Luciano Nicolosi, rifacimenti di Paolo Lanzerotti
Decoratori: Alessandro Abate (decorazioni pittoriche), Salvatore Gregorietti (decorazioni pittoriche) Palazzo Monaco si presenta come un volume massiccio vivacizzato più che nel disegno degli spazi nell’uso degli elementi decorativi: le cariatidi e i telamoni dello scultore Mario Moschetti, i vivaci inserimenti fitomorfi in ferro battuto e i frontoni curvilinei spezzati da volute che cingono i portali. All’interno il ruolo degli elementi decorativi scultorei e pittorici è ancora più importante: gli ambienti sono impreziositi dai ferri battuti, dagli elementi in ghisa, dagli stucchi e soprattutto dai dipinti murari ai quali lavorò Alessandro Abate, uno dei pittori più richiesti dalla nobiltà e dall’alta borghesia di inizio Novecento, il palermitano Salvatore Gregorietti e certamente altri anonimi decoratori. Le stanze più importanti sono così animate da un apparato che miscela linguaggi liberty e dèco: le composizioni di figurine femminili e di puttini di intonazione settecentesca, i paesaggi di gusto orientalista, i disegni di fiori, nastri, foglie e animali di chiara impronta liberty convivono con figure geometriche più tipicamente dèco come il motivo dei dischi e delle onde.Curiosità: I Telamoni derivano dal mito greco di Atlante che sorreggeva i pilastri del cielo, la versione al femminile si chiama Cariatide e cioè donna della Caria, regione dell'Anatolia conquistata dai greci, le cui donne furono rese schiave per aver favorito i Persiani.

Gli ambienti interni sono impreziositi da un apparato decorativo che unisce linguaggi liberty e déco. All’interno opere di Alessandro Abate (1867-1957), Salvatore Gregorietti (1870-19529 e sculture di Mario Moschetti (1879- 1960). Nel 1931 il palazzo viene ceduto all’Inps che vi ha apportato alcune modifiche».

 

 

 

 

 

A Catania tra gli autori più importanti del Liberty in architettura ricordiamo:

 

 Ernesto Basile: Con villa Manganelli in Corso Italia n ° 37 di stile moderatamente Liberty (unica opera  architettonica a Catania del prestigioso autore), ancora presente nonostante l’intento, negli anni ’50 del secolo scorso, dei nuovi proprietari di demolirla e l’incendio doloso subito.
Francesco Fichera, allievo di Basile, ma indipendente nel gusto e nelle soluzioni creative, resta l’esempio più forte dell’architettura liberty catanese anche che permea di individualistiche stravaganze.
 Esempi architettonici di notevole pregio di questo autore li ritroviamo in Villa Miranda al Viale XX Settembre n ° 64 (con la sua opera più ‘’basiliana’’ quasi un compendio dei più noti motivi stilistici del maestro), nella clinica Vagliasindi in Piazza Cavour n ° 19, nella Palazzina per la Società Elettrica in Piazza Trento e infine in villa Majorana in via Androne n ° 36 .
Paolo Lanzerotti: Poche cose rimangono di questo autore dopo le distruzioni delle sue opere migliori (Villa D’ Ayala che sorgeva all’incrocio tra Viale Libertà e Corso Italia, Villa per Lina Farnè alla Barriera e Villino Priolo in via Androne), ancora presenti sono Villa Pancari in via Acque Casse , Casa Lanzerotti e Casa Benati in via Oberdan 141 e 119 e la villetta in Via Vincenzo Giuffrida 35.
Tommaso Malerba: Ci rimane se pur continuamente irretito da insegne al neon di tutti gli stili e da periodiche tinteggiature ‘’parziali’’ il graziosissimo negozio Frigeri, addossato all’abside della Collegiata, inoltre ricordiamo il palazzo Marano in Via Umberto 272 e Palazzo Abate in via Carmelo Abate 12.
Carlo Sada: Milanese radicatosi  a Catania, l’architetto mieteva successi professionali in città e provincia, diventando in breve l’architetto alla moda: non c’era famiglia altolocata che non se ne servisse e anche la media borghesia ritenne qualificante poter sfoggiare un edificio di sua mano. Oltre al Teatro Massimo, progettò i prospetti sia per il Palazzo del conte del Grado, in via Etnea, e del Palazzetto Nicotra, in via Umberto. Altrettanto ricchi e ridondanti di motivi decorativi erano i suoi progetti per gli arredamenti di alcune residenze. A Grammichele (CT) si trova un edificio nobiliare costruito da Sada, oltre all'attuale palazzo comunale. Esempio modernista realizzato dall’autore lo ritroviamo nella Clinica Clementi di Piazza Santa Maria del Gesù. 

Carmelo Malerba Guerrieri: Di questo autore ricordiamo Villa Ardizzone in viale Mario Rapisardi 114 in cui si trovano riunite scenografia barocca e ornamentazione liberty.

Vanno infine citati Fabio Majorana (“Palazzo Rosa” in via 6 Aprile n. 19) e Fabio Cantarella (palazzo in via Caronda n. 90)

 

http://www.legambientecatania.it/Dossier/salvalarte/Salvalarte2008_%20Liberty.pdf

 

 

Villa De Luca - Via Androne

 

(anno di costruzione 1915 circa, autore Salvatore Giuffrida (attribuzione)

 Controversa è l'attribuzione dell'autore della villa De Luca, a tutt'oggi sconosciuto, ritenuto da taluni opera del geometra Salvatore Giuffrida, da altri di un allievo della scuola di Francesco Fichera.

L' architettura si mostra in uno scorcio angolare, distribuita su due piani e caratterizzata da una loggia ottagonale architravata le cui colonne con capitelli sono il sostegno del terrazzo sovrastante delimitato da un parapetto in cemento e ferro battuto. I prospetti, al piano terra, presentano un bugnato orizzontale sul quale si aprono finestre ad arco ribassato con piattabanda in pietra, mentre le pareti del piano superiore sono trattate con intonaco bianco e aperture ad arco e bifore contornate da raggiera bugnate.

Medaglioni e girali floreali decorano le lunette delle aperture e la fascia sottotetto. L' accesso all'edificio avviene attraverso un cancello in ferro battuto che immette nel giardino che circonda la villa.

(Descrizione della Soprintendenza ai beni culturali)

 

grazie a Milena Palermo per Obiettivo Catania

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CASA EMANUELE - Via Androne, 15

(anno di costruzione 1922,autore Francesco Fichera)

 In via Androne, nel tessuto suburbano di fine '800 che ormai negli anni '20 comincia a prendere spessore urbano, tra costruzioni neoclassiche e "moderne"tra cui la Villa Majorana, lo stesso Francesco Fichera, a distanza di circa 10 anni dalla villa, progetta su un "lotto incluso ",allungato in profondità e con breve affaccio su strada, una nuova tipologia di palazzetto signorile a due elevazioni, con piano semicantinato, interpretato formalmente in stile dèco.

Con ambiti giorno posti sulla via Androne e ambienti notte e di servizio sviluppati in profondità, prospicienti sul piccolo giardino interno e la chiostrina ,egli adegua le necessità della committenza alla irregolare forma del terreno a disposizione.

Nell'unico prospetto su strada, ornato e configurato secondo il gusto del nuovo stile "Anni '20",il Fichera "disegna"con citazioni neobarocche astrattizzate la veste decorativa della costruzione che si inserisce nel contesto ambientale classicheggiante in modo lieve,ma non di poca forza figurativa.

L' impaginato del prospetto ,organizzato su una superficie regolare di forma geometrica quadrata, viene dal progettista, di fatto,modellato da due ali di fabbrica appena aggettanti, che non determinano alcuna articolazione all'interno ma hanno solo lo scopo di suddividere il piano-facciata in 3 parti.Determinate da ribaltamenti in V2,esse si pongono come parti correlate di un insieme, reso in equilibrio complessivo non più statico ma di tipo dinamico.

Il Fichera consapevole degli "effetti "che i rapporti e i criteri di ragione logica in funzione di numeri irrazionali imprimono alle configurazioni, determina con successivi ribaltamenti in V2,V6,V8,V9 anche gli allineamenti in verticale, gli orizzontamenti e gli assi su cui pone e relaziona gli elementi funzionali e decorativi dell'edificio.

Con propria sensibilità e cultura artistica, il progettista propone un'armoniosa facciata-superficie dinamica, ordinata e di qualità architettonica che però non ha alcuna relazione col disegno in pianta degli ambiti (vedi ad esempio, le nicchie poste nel prospetto che non vengono denunciate all'interno),che "si espone "e si "esibisce ":fatta per apparire ed essere ammirata.

Tra continuità col passato e modernità, forme classiche geometrizzate (lesene, capitelli, nicchie, dentelli, forte cornicione, decori a spirale);richiami "viennesi"e di cultura tessile semperiana;ideologie dèco (lanterna sull'ingresso, compostezza secessionista, intonaco indagato in spessore e forme diverse, intonaco listato,arricciato,borchie,perline a collane)l'oggetto architettonico ideato dal Fichera vibra di spazialità e tensione "ricreata",ma come un "oggetto autoreferenziale ",si "mostra "nello spazio ma non "vive"lo spazio.

L' edificio ,oggi, si ritrova inserito all'interno di una cortina edilizia alquanto disomogenea, costituita da alti palazzi speculativi costruiti negli anni '50-'60 che incombono al suo intorno, ma esso emerge per la sua compostezza e rigore formale, per l'austero e leggiadro disegno della facciata e la ricercatezza nel trattamento dei materiali e dei dettagli decorativi. La costruzione, di fatto, manifesta il suo intrinseco valore simbolico di arte e di architettura qualificando culturalmente il contesto urbano e l'ambiente che lo include. -

(Testo descrittivo della dottoressa Mariateresa Galizia)

 

grazie a Milena Palermo per Obiettivo Catania

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Carlo Sada (Milano, 1849 – Catania, 1924) è stato un architetto italiano.

Iniziò gli studi presso le scuole serali dell’Accademia di Brera e in seguito si spostò a Roma presso l’Accademia di Santa Lucia. dove conseguì il titolo di architetto.

L’esperienza determinante per la sua carriera è data dal “Progetto per il completamento del teatro Nuovaluce" di Catania.

La vera scuola per Sada è stata il cantiere. Il suo maestro Andrea Scala riservava per sé la realizzazione dei progetti che redigeva, mentre affidava ai propri collaboratori i disegni esecutivi e la realizzazione delle proprie opere. Sada, anche da architetto affermato, continuò, invece, a spendere grandi energie nella direzione dei lavori, restringendo al minimo il margine di autonomia delle maestranze, alle quali forniva grandi quantità di particolari costruttivi e decorativi.

Nell’arco della sua attività egli redasse ben sette progetti per edifici teatrali e progettò anche un teatro per la città di S. Josè di Rio Prado, in Brasile, ma fu realizzato solo il Teatro Massimo Bellini di Catania. In realtà non si tratta di un progetto originale: in questo caso si trattò di un complesso lavoro di interpretazione e sintesi per il completamento di un’ opera già iniziata da altri.

Radicatosi intanto a Catania, l’architetto mieteva successi professionali in città e provincia, diventando in breve l’architetto alla moda: non c’era famiglia altolocata che non se ne servisse e anche la media borghesia ritenne qualificante poter sfoggiare un edificio di sua mano. Progettò i prospetti sia per il Palazzo del conte del Grado, in via Etnea, e del Palazzetto Nicotra, in via Umberto. Altrettanto ricchi e ridondanti di motivi decorativi erano i suoi progetti per gli arredamenti di alcune residenze. A Grammichele(CT) si trova un edificio nobiliare costruito da Sada, oltre all'attuale palazzo comunale.

Ha progettato i prospetti della Basilica Collegiata "Maria SS. dell'Elemosina", della Chiesa dell'Annunziata, della Chiesa del SS. Rosario di Biancavilla (Ct). È anche l'autore di diverse cappelle gentilizie nel Cimitero Monumentale di Catania: la cappella Sisto Alessi (1884), la cappella Spampinato (1900) e la cappella Tomaselli (1905).

 

LE SUE OPERE PRINCIPALI

 

 

Ex Clinica Clementi
Anno di costruzione: 1901 - 1904 Architetti: Carlo Sada

L’edificio venne realizzato su progetto di Carlo Sada, autore del Teatro Massimo Bellini che in questo caso si esprime in un linguaggio profondamente rinnovato dall’ondata art nouveau che aveva conquistato la Sicilia insieme al resto d’Europa. Il risultato è intelligente, moderno e armonioso: la facciata imponente è svuotata da grandi aperture che consentono l’entrata da protagonista della luce, simbolo di salute e di prosperità per il sanatorio, uso originario dell’edificio. Il piano terra è forato dal grande portale centrale circoscritto da sei balconi; nel primo piano si ripete la stessa alternanza di vuoti e pieni con due grandi finestroni che delimitano un balcone a tre luci sormontato da un abbaino di forma circolare inserito entro complesse volute ed elementi decorativi che ricordano un gusto eclettico e un po’ pompier caro a Sada. Due grandi finestre sul tetto spiovente accentuano il ruolo primario della luminosità e concorrono a disegnare un corpo agile e vivace intriso dai principi fondamentali dell’architettura liberty: una struttura nella quale gli elementi portanti coincidono con quelli decorativi e nella quale la massa è il più possibile svuotata.

 

 

Palazzo Libertini Scuderi  (1905)

Via Etnea, 478 -  Nella Palazzina Raddusa, poi di Schininà marchese di Santelia, e in seguito Libertini, vincolata il 19 aprile 1984, Carlo Sada «si ispira al passato, ad un rinascimento rivisitato con il barocchetto alla francese semplificato nelle forme e nelle decorazioni. La redazione degli elaborati di progetto impegna l’architetto milanese per un lungo arco di tempo» e i disegni vengono pubblicati nel 1907 nella rivista «L’Edilizia Moderna». «Sada realizza, tra due strade principali di Catania, un volume che con la sua massima regolarità d’impianto e simmetria dichiara la severità del prospetto principale di rappresentanza su via Etnea, contrapposto ad una maggiore apertura prospettica su via Caronda, dichiarata dal loggiato al piano terra, e da un’ulteriore suddivisione in elevazione. Dai due piani su via Etnea si giunge ai quattro su via Caronda. Su quest’ultima l’aspetto di intimità è accentuato da un giardino all’italiana»

 

 

Palazzo del Grado (1907)

Via Etnea, 193  - «Agli inizi del ventesimo secolo i conti Del Grado incaricano l’architetto milanese Carlo Sada di redigere il progetto per la propria abitazione su via Etnea. Non si tratta di una costruzione ex novo, ma della ristrutturazione di un edificio preesistente, probabilmente realizzato all’inizio dell’Ottocento e articolato in due parti: un corpo destinato a residenza padronale su via Etnea ed uno destinato all’affitto su via Sant’Euplio. Tale scomposizione del volume è rispettata nel progetto di Sada e nella realizzazione. L’edificio, vincolato l’11 ottobre 2007, costituisce un esempio di architettura eclettica annoverabile nell’ambito dello stile Impero di impronta francese imposto a Parigi da Charles Garnier, lo stesso che ha ispirato l’architetto milanese in molte sue opere. Da sottolineare come Sada, nell’intervento di ristrutturazione, ricorra alla tecnologia del ferro. Questo materiale, con funzione di supporto alla muratura, gli consente la realizzazione di spazi liberi».

 

 

Teatro Massimo Bellini

Il teatro fu inaugurato la sera del 31 maggio 1890, con l'opera Norma del compositore catanese Vincenzo Bellini. Il progetto iniziale del teatro è dell'architetto Andrea Scala, in seguito vi apportò modifiche il suo collaboratore Carlo Sada, che gli succedette nella direzione dei lavori.

La facciata del teatro si ispira al classico sansoviniano della Biblioteca di Venezia. Il resto dell'immobile, però, se ne distacca nello sviluppo laterale, assumendo la forma di teatro.

La sala a quattro ordini di palchi oltre il loggione, è di grande ricchezza decorativa e di gusto aristocratico. Il soffitto è affrescato dal pittore Ernesto Bellandi con immagini di Bellini e delle sue maggiori opere: Norma, La sonnambula, I puritani e Il pirata. Il sipario storico, illustrante la Vittoria dei catanesi sui libici, è del pittore catanese Giuseppe Sciuti. Nel ridotto, molto ampio ed elegante tutto marmi e stucchi, notevole è la statua in bronzo di Vincenzo Bellini, opera di Salvo Giordano.

Villa Letizia Corso Italia 

Le foto che riprendono la solitaria villa Carnazza, realizzata dall’architetto Carlo Sada, risalgono al 1903-1904 perché non vi è ancora traccia del giardino impiantato successivamente sulle rocce bonificate e della dependance adibita a studio professionale e per accogliere la biblioteca (ancora esistente in via Gabriello Carnazza) di testi giuridici che conserva anche i volumi scritti dallo stesso Gabriello che fu avvocato, docente di diritto romano all’università di Catania e ministro dei Lavori pubblici dal 1922 al 1924.
Dopo la scomparsa dell’illustre personaggio, la villa venne acquistata nel 1937 dall’Amministrazione provinciale per essere adibita a residenza del prefetto e prese il nome di “Villa Letizia”. Ad abitarvi, per primo, fu il prefetto conte Antonio Cesare Vittorelli.
Con l’acquisto dell’’ex villa Carnazza si erano raggiunti due obiettivi: conferire maggiore dignità al prefetto con una sede di rappresentanza prestigiosa e confortevole e rendere disponibile agli uffici provinciali l’ultimo piano dell’ex convento dei Minoriti adattato dal 1868 ad abitazione dei prefetti destinati alla città etnea.
Erika Abramo - dalla rivista della Provincia di Catania

Palazzo Pancari Ferreri
Via Etnea, 306 - Anno Di Costruzione: 1881-1900/ inizio - Architetto: Carlo Sada (1849-1924)

L'edificio ubicato in Via Etnea, angolo Via Umberto I, insiste su un'area coinvolta dalle ristrutturazioni urbane di fine Ottocento. E a tale epoca (1875 prime proposte-1892 completamento) che risale la decisione del Consiglio comunale per l'allargamento della Via Santa Caterina, attuale Via Umberto I, in asse con l'ingresso della Villa Bellini. A seguito di tale intervento urbanistico la famiglia Fischetti commissiona nel 1881, all'architetto Carlo Sada, la costruzione del proprio palazzo. Nel progetto originario, come per le tre case signorili progettate dall'architetto milanese, sono previsti oltre all'abitazione del proprietario anche diversi appartamenti da destinare alla famiglia o ad affitto. Tipologicamente l'autore adotta soluzioni in uso nelle case di fitto milanesi, come la corte interna aperta su di un lato () le anticamere di disimpegno delle stanze raggruppate attorno alle scale principali di servizio. Nel 1885 è previsto un ampliamento del corpo di fabbrica a nord della...ed alcune variazioni della copertura e alla fine dell'Ottocento l'edificio risulta quasi interamente completato. Agli inizi del Novecento il barone Pancari acquista il palazzo ed affida allo stesso Sada l'incarico di apportare modifiche all'esistente: il nuovo getto interessa la scala principale, il salone dell'appartamento del primo piano, i soffitti a volta ed infine viene richiesto all'architetto di completare l'arredamento dell'appartamento del piano nobile.

 

 

Dopo solidi studi di matematica, Filadelfo Fichera (Catania 1850-1909) consegue, giovanissimo, nel Politecnico di Napoli la laurea in Ingegneria civile e Architettura. Tornato aCatania, acquista notorietà con la maestosa dimora realizzata per i Trigona duchi di Misterbianco, nel viale Regina Margherita.
Per l'inadeguatezza dei progetti Gravina e Sciuto-Cusson, nel 1876 gli viene affidato il difficile compito della sistemazione della nuova villa comunale, dedicata a Bellini, che doveva unire il settecentesco giardino-labirinto del principe di Biscari con i terreni dell'orto di San Salvatore. Supera le irregolarità planimetriche della vasta area di 7 ettari con brillanti soluzioni di ponti, di scalinate e con viali ed ampi spazi privilegia al funzionalità e la fruizione del parco valorizzandone la lussureggiante vegetazione che comprende le rarità botaniche del "Labirinto".
Dal 1897 sino alla prematura scomparsa avvenuta nel 1909, il Fichera, in qualità di direttore dell'Ufficio Tecnico Provinciale e Comunale di Catania, si occupa di problemi urbani di risanamento e opere pubbliche.
Con una autentica passione di archeologo, si impegna nella scoperta di monumenti del passato con la prospettiva di costituire una attrazione per il turismo. Espone queste convinzioni, valide e attualissime, nell'opera "Sul movimento dei forestieri in Catania". Tra i più importanti ritrovamenti archeologici ricordiamo: i resti medievali della casa Platamone, il portale della chiesa di S. Giovanni in Fleris nella via Cestaj, unica testimonianza della presenza dell'Ordine di Malta.
Nel 1903, durante la campagna di scavi decisa dal sindaco De Felice per riportare alla luce i ruderi dell'anfiteatro romano (II sec. a.C.) muore un operaio e come presunto responsabile viene arrestato il Fichera.  

La notizia desta scalpore, molti pensano che l'incidente abbia fornito occasione di vendetta a personaggi che nel rigore morale del direttore dell'Ufficio tecnico avevano trovato ostacolo per lucrose speculazioni edilizie.

Dopo le vicissitudini del processo il Fichera viene assolto ma muore per i dispiaceri patiti e la tensione psichica con la quale seguiva le costruzione dell Ospizio per Ciechi "Ardizzone Gioeni", ultimato dal figlio Francesco ed inaugurato nel 1911 dai sovrani d'Italia.
La grandiosa e severa struttura, concepita in un rivisitato stile siculo-normanno con contaminazioni gotiche, interpreta felicemente le disposizioni testamentarie di Tommaso Ardizzone Gioeni, barone di S. Vito e ne esalta lo spirito filantropico. Viene considerata il capolavoro dell'architetto Filadelfo Fichera, sensibile ed illustre esponente della cultura eclettica e del funzionalismo.
Erika Abramo - da La Rivista della Provincia di Catania

LE SUE OPERE PRINCIPALI

Villa Duca Trigona di Misterbianco.

Viale Regina Margherita, Piazza Roma - Anno Di Costruzione: 1909 circa Architetto: Filadelfo Fichera (1850-1909), attribuito

Ubicata in posizione dominante, tra Piazza Roma e il Viale Regina Margherita, la villa del Duca Trigona di Misterbianco viene attribuita all'opera dell'architetto Filadelfo Fichera. Il progettista raddoppia la partitura centrale del prospetto principale realizzando un loggiato architravato ornata da festoni, concluso da una balausttra con statuette reggi-lampada, che anticipa il portale principale e costituisce un trait d'union tra spazio interno ed esterno conferendo alla villa cittadina un'area da residenza suburbana. L'autore alterna con la stessa libertà progettuale prospetti lisci a bugnati, finestre con cornici lineari e balconi dal disegno più complesso. Infine corona il volume con un fregio scultoreo di retaggio ottocentesco, decorata da formelle con testine zoomorfe, patere e altorilievi con scene di putti musicanti che sottolinea la grande terrazza di copertura.

Istituto per ciechi Ardizzone Gioeni

Via Etnea, 595 - Catania

L'stituto dei Ciechi "Ardizzone Gioeni" nasce negli anni '90 per un atto di liberalità del filantropo Tommaso Ardizzone Gioeni che, con testamento segreto del 10 marzo 1884, erigeva ad erede universale del suo ingente patrimonio un Ospizio-Spedale "in sollievo dei Ciechi indigenti d'ambo i sessi''. La costruzione doveva aver luogo secondo "il miglior sistema che per dette opere avranno adottate le primarie città d'Italia". L'Opera venne progettata da due tra i migliori architetti dell'epoca, Filadelfo Fichera ed il di lui figlio Francesco che, alla morte del padre, la portò a compimento. L'Istituto fu consegnato ai catanesi il 30 maggio 1911, inaugurato dai Sovrani d'Italia Vittorio Emanuele III ed Elena di Montenegro, alla presenza del Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti e del Cardinale Giuseppe Francica Nava.

 

Villa Bellini

Oggi questo giardino così com'era non esiste più, parte ne fu interrata, parte fu distrutta, forse in seguito alla decadenza che seguì la morte del Principe.
Il luogo venne riadattato ed i lavori proseguirono fino al 1865. In seguito il Comune riuscì anche ad acquistare terreni limitrofi dai Padri Domenicani e dai Padri Cappuccini, allo scopo di allargare l'area a disposizione.
Dal 1877 iniziarono i lavori per collegare le nuove sezioni al corpo già consolidato dei giardini pubblici, lavori che si svolsero sotto la supervisione dell'ingegner Filadelfo Fichera. Per il 1882 i lavori erano terminati ed era stato creato un boschetto, solcato da un viale accessibile alle carrozze, da una passeggiata pedonale, da un piazzale, e sulla collinetta nord venne edificato anche un elegante chiosco, ancor oggi distintivo del parco. L'inaugurazione del nuovo assetto avvenne nel 1883. Divenne immediatamente uno dei luoghi di diporto più frequentati della città, teatro di festeggiamenti, di eventi culturali, mondani e musicali.

Villa Consoli Marano

Via Etnea, 569/573 - Anno Di Costruzione: 1885 circa Architetto: Salvatore Giuffrida (attivo 1800/fine) Filadelfo Fichera (1850-1909) attribuito

La villa, progettata dal Salvatore Giuffrida su commissione dell'industriale Consoli Marano, è composta da due corpi parallelepipedi raccordati da una serra in ferro e vetro. Il prospetto principale è impostato su un alto basamento a ricorsi intervallati da listelli orizzontali in pietra bianca. L'ingresso dell'edificio, rialzato ed accessibile grazia ad una scala, è collocato all'interno di un arco ribassato posto sul prospetto principale. Le pareti esterne presentano la superficie muraria liscia e sono arricchite da un balcone continuo con ringhiera sul quale si affacciano finestre riquadrate in pietra da taglio. Nel giardino della villa sorge un padiglione (Chialet) di fine Ottocento, attribuito dagli eredi di famiglia all'architetto Filadelfo Fichera, che si mostra a pianta rettangolare con copertura spiovente, rialzato ed accessibile mediante una scalinata in marmo. Il prospetto principale è riccamente decorato da rilievi raffiguranti scene di caccia, elementi floreali e statue di nudi femminili; le aperture sono caratterizzate da finestre tripartite ad arco ribassato con colonnine nell'accordo delle aperture, riquadrate da semplici cornici in terracotta a listelli. Lo chalet è circondato per due lati da una grande terrazza. 

Lavori all'Anfiteatro

Al centro di piazza Stesicoro si apre una grande trincea che racchiude alcuni resti dell’anfiteatro romano di Catania. Alla fine del secolo scorso (come documentano numerose fotografie) la piazza era completamente chiusa, anzi, nel luogo ora occupato dallo scavo erano sistemate aiuole ornamentali. I lavori per riportare alla luce l’anfiteatro (già conosciuto dagli studiosi di storia catanese) furono iniziati nel 1904, per volontà del sindaco De Felice che affidò l’impresa all’architetto Filadelfo Fichera, e si conclusero nella primavera del 1906. L’opera fu inaugurata ufficialmente sei mesi dopo e, nel 1907, fu visitata da re Vittorio Emanuele III che venne a Catania per inaugurare l’Esposizione Agricola. Il grandioso monumento romano, uno dei più grandi d’Italia, è nascosto quasi interamente sotto le moderne costruzioni ma è visibile al di sotto del livello stradale dove si conserva il corridoio che gira lungo il muro del podio; l’estensione dell’edificio interessa molte vie che si irradiano dalla piazza Stesicoro;

 

 

Francesco Fichera (Catania, 16 giugno 1881 – 14 agosto 1950) è stato un architetto e ingegnere italiano.
Figlio dell'ingegnere Filadelfo Fichera, autore del Giardino Bellini di Catania, conseguì la laurea in ingegneria e si diplomò in architettura. A partire dal 1914 insegnò presso l'Università di Catania dove fu docente straordinario, e poi ordinario della cattedra di Disegno d’ornato e Architettura elementare. All'attività didattica affiancò lo studio dell'architettura con i suoi scritti su Luigi Vanvitelli e Giovanni Battista Vaccarini. Inoltre si dedicò alla libera professione con la realizzazione di numerose opere pubbliche e private, soprattutto nella sua città natale, Catania. Allievo di Ernesto Basile, si discosterà presto del liberty con richiami neo-normanni (cfr. villa Miranda a Catania) per avvicinarsi ad uno stile più razionale. Ebbe come allievo Rosario Marletta, che usò tuttavia un linguaggio diverso.

Ha anche scritto per il teatro Acceddi senza nidu (Uccelli senza nido), un dramma scritto per la compagnia di Angelo Musco e rappresentato la prima volta a Milano nell'inverno del 1916. Il suo archivio è conservato presso la Biblioteca del Dipartimento di Architettura e Urbanistica della Facoltà di Ingegneria di Catania.
Principali opere: Palazzo delle Poste a Catania, Palazzo delle Poste a Siracusa, Villa Miranda, già del barone Reina dell'Aere a Catania (1908-09) (viale XX settembre n. 64), 
Villa Scannapieco (1909) a Catania, con ampie arcate (via Duca degli Abruzzi), Villa Simili (1906-08) a Catania (già in viale XX Settembre, poi Corso Italia), Sport Club (1913) a Catania (già in via degli Archi), Cinema Olimpia (1913) a Catania, in Piazza Stesicoro, oggi è sede di un fast-food McDonald’s, Progetto per la Villa La Ghirlandina (1907, non realizzato) per il pensionato artistico nazionale a Roma, Cappella Fichera (1915) nel cimitero di Catania, Campanile (1916-24) della chiesa madre di Viagrande, Cappella Patanè (1918) nel cimitero di Catania, Istituto tecnico industriale De Felice (1919-29) a Catania, Istituto tecnico industriale Archimede a Catania, Palazzo delle Poste (1919-29) a Catania
Palazzo delle Poste (1922-29) a Siracusa, Villa Inga, Lido d'Albaro a Genova (1924-1927), Cappella Fortuna (1927) nel cimitero di Catania, Progetto per un Arco di Trionfo ai Caduti (non realizzato) a Palermo, Garage Musmeci (1928) a Catania (piazza Bovio), Palazzo di Giustizia (1937-55) a Catania, Villa Majorana (1911-13) a Catania (via Androne n. 36), con torre esagonale, Villa Mirone Deodato a Viagrande, Palazzo del Consiglio Provinciale dell'Economia Corporativa (1936-38) a Ragusa, oggi sede della Camera di Commercio, Palazzo Bonaventura a Giarre, Scuole comunali di Mineo, Clinica Vagliasindi (1911) a Catania (Piazza Cavour n. 19), Palazzina della Società Elettrica (1911-12) a Catania (Piazza Trento), Casa Toscano Lopò a Catania, Villa Iole Musco (1936) a Barriera del Bosco, Catania, progettata per l'amico Angelo Musco, con statue allegoriche dello scultore Carmelo Florio 

http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Fichera

 

LE SUE OPERE PRINCIPALI

I.T.I. Archimede Viale Regina Margherita

Tribunale di Catania Piazza G. Verga Palazzo delle Poste Via Etnea

I.T.C. De Felice Piazza Roma Garage Musmeci Piazza G. Bovio Palazzo Bonaventura Giarre

Casa Fichera Via Caronda ex Clinica Vagliasindi Piazza Cavour

Villa Miranda
Viale XX Settembre, 64 - Anno Di Costruzione: (1905-1906) - Architetto: Francesco Fichera (1881-1950)
Villa Miranda, nota anche come Villa Reina dell'Aere del Conte, o Villa Dorina, si inserisce in quell'intensa attività edilizia che caratterizzò l'ambiente architettonico catanese nel primo ventennio del Novecento. Tipologicamente risponde alla tipica abitazione gentilizia su due elevazioni nella quale la soluzione ad angolo è risolta dalla torretta belvedere che si innesta sulla trabeazione e conferisce leggerezza a tutta la struttura. Il piano terra è trattato interamente in finto bugnato, mentre la superficie della dacciata del primo piano si presenta liscia, rafforzata dal bugnato delle paraste angolari. I prospetti sono scanditi dall'alternanza ritmica delle aperture, conferendo all'insieme un effetto chiaroscurale. Alcune aperture sono sormontate da ghiere di falsi conci, mentre altre presentano l'arco rinascimentale a raggiera bugnata. Motivi naturalistici a traforo decorano le cornici delle finestre di tutto l'edificio. Nel prospetto posteriore è presente una loggia con colonne al di sopra della quale è la piccola terrazza del piano superiore. 

Palazzina Energia Elettrica

Piazza Trento - Arch. Francesco Fichera

«L’edificio, vincolato il 7 agosto 2008, a pianta regolare, si sviluppa volumetricamente come un parallelepipedo nel quale la partitura centrale si mostra leggermente aggettante. Sopra un basamento in pietra lavica il prospetto presenta al piano terra un bugnato orizzontale arricchito da formelle color terracotta recanti l’effigie della Trinacria, mente il piano superiore, dal paramento murario liscio, è caratterizzato da un corpo centrale arricchito da tre aperture tripartite con parapetto a balaustra. Fasce marcapiano color terracotta corrono lungo il perimetro dell’edificio il cui coronamento è costituito da un terrazzo. Eleganti e raffinati gli arredi che Fichera disegna in armonia con la funzione che l’edificio ospita»

Palazzo Mirone
Ubicazione: C.so Italia, 147 - Anno di costruzione: 1937 - Architetti: Francesco Fichera

E’ un esempio sobrio e riuscito dell’evoluzione di un artista che, partito da premesse e insegnamenti liberty, passa a un’impostazione dèco per poi adottare un linguaggio moderno e di chiara intonazione razionalista. Nel corso della nostra passeggiata è interessante soffermarsi su questa palazzina borghese proprio per notare l’armoniosa evoluzione stilistica dell’architettura di Francesco Fichera. Il piano terra dell’edificio risente ancora degli artifici del gusto decò con i due archi a tutto sesto che contengono una grande apertura rettangolare. Più mossi e lineari al tempo stesso il primo e il secondo piano caratterizzati dal rivestimento a cortina e da vivaci giochi di pieni e di vuoti creati dalle finestre e dai balconi posti negli angoli e tesi a svuotare la massa poderosa del cubo.

Villa Josè - Musco
Via Leucatia, 47 - Anno Di Costruzione: 1900/inizio scuola di Francesco Fichera (1881-1950)
Di autore ignoto, villa Josè viene costruita nel primo quarto del XX secolo come testimonia il "piano topografico della città e suburbio di Catania" redatto nel 1928. La prossimità con la coeva Villa Jole e l'analogia di taluni aspetti tipologici spingono gli studiosi a ritenere la costruzione opera di allievi del più noto architetto Francesco Fichera. L'impianto volumetrico dell'edificio è costituito da due avancorpi laterali simmetrici e da un corpo centrale arretrato rispetto al filo di facciata, con portale d'ingresso sormontato da pensiline in ferro battuto, che riprende il motivo del timpano adottato nelle aperture. Nella parte sommitale, al centro, è posta una piccola altana con ringhiere e sostegni verticali in ferro battuto che sorreggono la copertura riprendendo forme dalla geometria rigorosa. I prospetti, trattati ad intonaco liscio di color rosa evidenziano l'attenta proporzione tra la superficie delle aperture e quelle della facciata. Le cornici marcapiano ed il fregio decorato con archetti contribuiscono ad equilibrare tra di loro i corpi di fabbrica. C.S.

 

Casa Lazzara

Via De Felice, 32Anno Di Costruzione (1919)

Architetto: Francesco Fichera (1881-1950)

 Nel 1919 l'architetto Francesco Fichera realizza Casa Lazzara. L'edificio dal precoce tono dèco, appare costituito dall'accostamento di volumi puri - la pseudo torretta d'ingresso e gli ambienti abitativi - nei quali la rielaborazione dei repertori Liberty approda ai più diffusi motivi iconografici del tempo. Nel candore che investe l'intera facciata si manifesta l'idea tersa e schematica dei modelli secessionisti; in essa, la linea perde la sua fluidità per assumere un andamento ripiegato, a ricciolo, evidente sia nelle lavorazioni del ferro battuto che nel decoro che conclude l'ampia apertura arcuata e tripartita. Il senso dell'artificio toglie il respiro naturale delle figure fito ed antropomorfe, che rimandano al tema dei mascheroni teatrali coronati da grappoli di frutta tondeggianti- Immancabile la presenza del canestro di rose che conclude l'ultimo ordine della partitura d'ingresso ed il ricorso al tema del ventaglio che appare nella mofologia compositiva del balcone e nel decoro della ritmica successione delle aperture del piano nobile, casa Lazzara rappresenta uno dei migliori esempi d'architettura dèco siciliana, nella quale Fichera riesce a coniugare motivi iconografici propri dello stile, elementi caratterizzanti la tradizione locale, come l'uso della pietra lavica e temi propri del suo repertorio compositivo come la presenza della nicchia. Rispetto al progetto originario, di cui si conserva uno schizzo nell'archivio stocico del comune di Catania, si osserva la sopraelevazione dell'ultimo piano nell'area della terrazza, intervento che annulla l'originaria spinta verticale della torretta. privando lo spazio esterno della progettata "torretta". A.D.

 

Villa Majorana
Via Androne, 36 - Anno Di Costruzione (1911-1913) Architetto: Francesco Fichera (1881-1950)

Costruita su progetto dell'architetto Francesco Fichera, la villa, circordata da un giardino con vegetazione mediterranea nasce come residenza della famiglia del professore Dante Majorana. La pianta ha uno sviluppo ad L ed i volumi sono articolati seguendo la morfologia irregolare del lotto nel quale l'edificio è collocato. L'accesso alla villa avviene mediante un corpo scala posto lateralmente in posizione asimmetrica. Il perno dell'edificio è dato dalla torretta angolare a sviluppo esagonale, decorata da una bordura scanalata che costituisce l'asse verticale su cui ruota tutto il resto dell'organismo. I prospetti sono caratterizzati da un sovrapporsi di fasce orizzontali bugnate ed intonacate, che conferiscono una soluzione di continuità. In corrispondenza del sottotetto è presente una cornice filiforme, con al centro formelle quadrate decorate, che ritroviamo nelle colonne della loggia. All'interno pregevoli pitture di Salvatore Di Gregorio (1859-1928). R.M.

 

 

Villa Majorana - Via Androne

 

(anno di costruzione 1911-1913, autore Francesco Fichera)

Costruita su progetto dell'architetto Francesco Fichera, la villa, circondata da un giardino con vegetazione mediterranea, nasce come residenza della famiglia del professore Dante Majorana.

La pianta ha uno sviluppo ad L e i volumi sono articolati seguendo la morfologia irregolare del terreno.

L' accesso alla villa avviene mediante un corpo scala posto lateralmente in posizione asimmetrica. Il perno dell'edificio è costituito dalla torretta angolare a sviluppo esagonale che costituisce l'asse verticale su cui ruota tutto il resto dell'organismo. I prospetti sono caratterizzati da un sovrapporsi di fasce orizzontali bugnate e intonacate che conferiscono all'insieme una soluzione di continuità.In corrispondenza del sottotetto è presente una cornice filiforme, con al centro formelle quadrate decorate ,che ritroviamo nelle colonne della loggia.

All'interno pregevoli pitture di Salvatore Di Gregorio (1859-1928)

(Descrizione della Soprintendenza ai beni culturali)

 

grazie a Milena Palermo per Obiettivo Catania

https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/

 

 

 

 

Progettò il palazzo Marano (1908), il negozio Frigerio (1909), il palazzo di piazza Duca di Camastra, la signorile palazzina del pittore Abate (1916). Per educazione e formazione fu il più mitteleuropeo degli architetti catanesi.

L’inaugurazione della Villa Bellini nel gennaio 1883 portò allo sviluppo edilizio delle zone circostanti, predisposto dal piano regolatore del Gentile Cusa per l’espansione del nucleo settecentesco in direzione Nord-Sud e Est-Ovest, con il prolungamento di viali da realizzarsi con assi ortogonali. Disegno urbanistico che riprendeva la norma progettuale del duca
di Camastra, del 1693. Nel piano di Gentile Cusa, il viale Regina Margherita e le zone adiacenti divennero quartieri residenziali dell’emergente ricca borghesia che affidava progetti di ville e palazzi ad architetti allora in auge. Nella Catania che va dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi due decenni del Novecento all’opulenza di industriali, proprietari terrieri, commercianti, si accompagnava una grande vivacità culturale, scientifica, artistica, politica. 

Tra i letterati Capuana, Verga, De Roberto, Martoglio. Tra i politici, Angelo Majorana e Giuseppe De Felice. Per il numero di teatri, café chantant, luoghi pubblici, banche, circoli, negozi, Catania era definita “la piccola Parigi”. Nel 1905 entrava in funzione il servizio di tram a trazione elettrica. L’eleganza, il decoro architettonico della città di arricchiva di opere pubbliche -come la Stazione ferroviaria (1866), il Teatro Massimo Bellini (1890) - e nell’edilizia privata, grazie al talento di ingegneri e architetti che operavano con uno stuolo di pittori, scultori, artigiani. Ricordiamo i protagonisti più noti dell’esaltante e irrepetibile crescita urbanistica della Catania del tempo. Il milanese Carlo Sada che si stabilì nella città etnea nel 1871 per coordinare i lavori del Teatro Massimo Bellini, il catanese Luciano Nicolosi (1855-1947), l’architetto Francesco Fichera (1881-1950) assistente di Ernesto Basile, e Paolo Lanzerotti (1875-1944).

 

Ex negozio Frigerio - Via Manzoni/Via Collegiata (foto di Andrea Mirabella)


Negli elementi costruttivi dei menzionati architetti prevalse il Liberty. Nel novero di questi geniali professionisti si colloca la figura e l’opera dell’ingegnere Tommaso Malerba (1866-1962). L’ambiente colto e raffinato della ricca famiglia dell’alta borghesia catanese in cui nasce fornisce a “Masino”, coccolato primogenito, importanti stimoli formativi, la possibilità di Malerba, il Genio dell’Architettura compiere gli studi a Napoli e conseguire la laurea in Ingegneria Civile, l’opportunità di lunghi soggiorni in Francia e in Germania dove può cogliere dal vivo codici e tecniche delle nuove espressioni architettoniche. L’itinerario di studio lo porta a risiedere a Venezia. L’elegante ingegnere dal portamento austero accentuato da imponenti baffi “prussiani” è un sensibile cultore del bello anche nei confronti del gentil sesso. Galeotto è l’incontro con una giovane donna intenta a dipingere sulle rive del Canal Grande. E’ la contessina Anna Pilo di Capaci, una bellezza luminosa. Dopo il matrimonio l’ingegnere fa ritorno a Catania, dove si inserisce nello studio di Carlo Sada. Rivela il suo talento nelle realizzazioni di opere autonome e originali come il Palazzo Mazzone in via Umberto, dai codici gotico-moreschi (1900). Viene insignito nel 1904 della Croce di Cavaliere della Corona d’Italia con la motivazione di “valoroso costruttore dei più eleganti palazzi catanesi”. Il riconoscimento più esaltante giunge in occasione dell’Esposizione Agricola Catanese del 1907. Il grandioso ma effimero progetto espositivo ispirato al Liberty diventa banco di prova per gli architetti che vi parteciparono.
Nel chiosco della ditta Inserra, produttrice di elementi di cemento armato, il Malerba esalta e utilizza la potenzialità del nuovo materiale da costruzione con l’eleganza dell’ingresso arcuato e tripartito, nell’ampia gamma di decorazioni floreali.
L’opera, decorata all’interno dal pittore Alessandro Abate, viene considerata il capolavoro della mostra.
L’elegante edifico con cappella privata e giardino interno nel quale Malerba abitò con la moglie, fu impietosamente abbattuto dalle ruspe per la realizzazione del corso Sicilia. L’anziano ingegnere, vedovo e senza prole, accudito da una governante, venne sistemato in un modesto appartamento.
Manteneva un aspetto signorile, baffi copiosi e fluenti, una mente lucidissima. Si spense serenamente nel 1962 all’età di 96 anni. Nessun funerale ufficiale, ne
nessun tributo al protagonista di un’epoca.

Erika Abramo - dalla rivista della Provincia di Catania

http://www.provincia.ct.it/informazioni/la-rivista/sommario/2007/Dicembre/filepdf/23-32.pdf

 

 

LE SUE OPERE PRINCIPALI

Palazzo Mazzone
Via Umberto I, 83 - Anno Di Costruzione: 1904 circa - Architetto: Tommaso Malerba (1866-1962)

Edificato nel 1904 circa il Palazzo Mazzone sorge tra le vie Umberto I e Grottebianche in una zona di espansione tardo ottocentesca. Realizzato in pieno eclettismo catanese esso rappresenta una delle prime esperienze costruttive documentate di Tommaso Malerba. L'edificio si contrappone su Via Umberto I a casa Nicotra che Carlo Sada costruisce qualche anno prima e che progetta a partire dal 1898. La facciata viene liberamente figurata secondo un originale stile "moresco", consono al gusto dell'esotico e del meraviglioso utilizzato maggiormente nelle abitazioni con giardino (Cfr. l'Arena Pacini di Filadelfo Fichera oggi non più esistente). Il Malerba accentua il tema del contrasto con le architetture adiacenti utilizzando un linguaggio ricco di chiaroscuri, di trafori di archetti, di intrecci, di superfici decorate, inscenando un paesaggio d'invenzione. La caratterizzazione stilistica rimane tuttavia decorativa e la tipologia distributiva dell'edificio è tradizionale. Rilevante la connotazione ibrida del lessico che il Malerba utilizza per l'architettura della facciata. Il repertorio formale eterogeneo dell'apparato decorativo attinge indifferentemente da più stili accentuando la caratteristica eclettica e sperimentale del suo autore. La struttura compositiva della facciata principale è sorretta da una sequenza di pieni e vuoti costituiti dalla presenza di piccole logge caratterizzate da un arco polilobato, che seguendo la logica dell'ordine architettonico, si arricchisce e si slancia mentre la costruzione cresce fino a raggiungere l'ultimo piano. La geometria complessiva viene imbrigliata verticalmente da paraste aggettanti e orizzontalmente da un sistema di trabeazioni, che marcano i livelli di calpestio, da cornici di imposta degli archi delle aperture e da una fastoso fascione di coronamento. L'aggetto dei balconi è della cornice di coronamento è caratterizzato da mensole a stalattiti (muquarnas) secondo il tradizionale lessico dell'architettura araba. I fregi distribuiti sulla facciata interpretano stilemi ad intrecci sia di tradizione islamica che di tradizione nord europea secondo la cultura eclettica e anticonformista della fine dell'Ottocento.

Palazzina Abate
Via Carmelo Abate, 12 - Anno Di Costruzione (1915-1918) Architetto: Tommaso Malberba (1866-1962)

Piccola, modesta ed appartata, l'abitazione-studio del pittore Alessandro Abate (1867-1953) realizzata su progetto di Tommaso Malerba tra il 1915 ed il 1918 è un edificio che al tempo stesso è residenza cittadina e casa di campagna. In questa versatile tipologia Malerba sperimenta uno schema compositivo di facciata formato da una singolare struttura a telaio la cui modularità costituisce la regola e mette in rilievo le eccezioni; egli infatti, lasciandosi guidare dalle esigenze del committente realizza un partito architettonico simmetrico al piano terra e asimmetrico al piano superiore. Sulla scia di un'architettura con evidenti riferimenti ai modelli già sperimentati a Palermo da Ernesto Basile, e che Francesco Fichera propone in questi anni a Catania (ricordiamo il Villini Simili del 1915), Malerba realizza la facciata arricchendola con le incorniciature delle aperture e impiegando alcune specchiature decorate a stucco; interpreta inoltre con morbidi profili liberty, di figurazione geometrica e fitomorfica, le lesene e le incorniciature principali. La facciata tutta viene elaborata e decorata come se la palazzina fosse un grande oggetto di arredo, una sorta di teca strutturata da cornici e specchiature. Ai fianchi del primo ordine una coppia di lesene binate presenta nel fusto l'invenzione di un motivo a bugne
raggruppate, esse incrociano la trabeazione del primo ordine con un altro elemento decorativo singolare. In alto il volume asimmetrico del corpo di fabbrica viene sottolineato dalla prosecuzione delle lesene binate che svettano oltre la cornice sommatale. La geometria elementare delle incorniciature viene arricchita da elementi plastici che sottolineano i punti più delicati degli innesti nell'ottica di rendere più vibrante la sobria apparecchiatura ornamentale. I fregi contenuti nelle aree circoscritte dalle cornici, si ripetono osservando la giustapposizione dei piani. Singolare la decorazione nella trabeazione del piano terreno costituita da elementi in aggetto regolarmente interrotta dalle cornici verticali e che accenna al balcone della tradizione. A conclusione dell'edificio oltre la cornice del secondo piano, caratterizza la facciata un doppio parapetto: pseudo il primo che si raccorda con la cornice sottostante, reale quello più in alto; entrambi ripetono lo schema a telaio del partito sottostante. 

 

Palazzo Marano Giuffrida

Via Umberto, 272  - er la II Esposizione agricola siciliana di Catania del 1907, Tommaso Malerba elabora alcuni progetti dalle caratteristiche forme composite come per esempio il chiosco dei Fratelli Inserra. Dello stesso periodo è il progetto per il palazzo Marano Giuffrida di via Umberto.
Sulla scia del liberty Malerba caratterizza la serialità delle apertura con una sequenza di incorniciature mistilinee composite. Tradizione e modernismo convivono in una sorta di esercizio di compenetrazione, di intrecci geometrici fitomorfici che alludono a schemi ornamentali goticizzanti. E’ il coronamento del finestrone che realizza un inedito singolare intreccio tra la cornice rettilinea dei piedritti e quella curvilinea che conclude il finestrone. Il frontone composito ad intrecci, messo a punto da Malerba per le aperture, si riferisce ad uno schema già adottato per l‘Esposizione del 1907 in cui si possono vedere analogie con il progetto dell’ingresso del villino Deliella di Palermo di cui Ernesto Basile pubblica un disegno, nel 1902, in “L’arte decorativa moderna».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Palazzo Duca di Camastra Piazza Duca di Camastra 

 

 

 

 

LE SUE OPERE PRINCIPALI

Palazzo Lanzerotti

Via Guglielmo Oberdan, 119 - Anno Di Costruzione: 1915 circa - Architetto: Paolo Lanzerotti (1875-1944)

Tipo edilizio a pianta regolare, articolato su tre livelli, con torretta angolare attualmente inglobata in una successiva sopraelevazione. L'edificio, impostato su un basamento in pietra lavica, presenta le pareti esterne intonacate riquadrate da cornici marcapiano, decorate e delimitate da paraste e ricorsi angolari a bugnato. A piano terra sono presenti aperture rettangolari tripartite da esili colonnine riquadrate da semplici cornici, mentre il piano superiore è caratterizzato da finestre bipartite, con cornici decorate e scandite da paraste, che si aprono su un balcone delimitato da parapetto in pietra traforato a motivi romboidali. Aperture tripartite con archetti a tutto sesto, che rimandano al tema dell'oggiato, arricchiscono l'ultimo piano dell'edificio. 

 

 

Palazzo Berretta

Via Etnea 746 - «Palazzetto, vincolato il 20 novembre 1984, su due livelli con ingresso laterale dalla semplice ed equilibrata volumetria. Il portale d’ingresso è caratterizzato da una cornice bugnata e da una lunetta arricchita da una decorazione in ferro battuto recante girale e motivi floreali. Il prospetto, impostato su un basamento in pietra lavica, presenta al piano terra sobrie finestre archivatrate, mentre al piano superiore vi sono quattro balconi sorretti da mensole, con ringhiere decorate, le cui aperture sono sormontate da un frontone triangolare aggettante. Secondo quando documentato dall’ingegnere Michelangelo Mancini in una relazione per il Kiwanis, l’architetto Paolo Lanzerotti progetta l’edificio nella prima metà del novecento».

 

Villa Zingali Tetto

Via Etnea, 742 - «Costruita su progetto dell’architetto Paolo Lanzerotti come residenza del professore Zingali Tetto, la villa, dichiarata di interesse storico artistico nel 25 febbraio 1984, si sviluppa su due elevazioni ed è caratterizzata da una torre belvedere posta ad angolo. L’ingresso principale avviene attraverso un portale bugnato a tutto sesto mediante il quale si accede all’atrio. Oltre è il giardino che conserva ancora piante tipiche della tradizione siciliana. Le finestre a piano terra sono ad arco a tutto sesto con cornice a raggiera, mentre le aperture ad arco ribassato del primo piano mostrano balconi delimitati da parapetti con balaustrini. Di pari valore compositivo è la pregevole veranda coperta che si affaccia sul giardino, opera di Salvatore Gregorietti (1870-1952), costituita da una struttura in ferro e vetri policromi con disegni geometrici e floreali. La villa è di proprietà dell’Università ed è sede del Museo universitario Casa della Città».

Cinema Diana

Via Umberto, 13 - «Il cinema Diana, progettato dall’architetto Paolo Lanzerotti su commissione del barone Filippo Pancari, vincolato il 31 marzo 1983, venne inaugurato e aperto al pubblico il 24 dicembre 1925. L’edificio, in linea con il filo stradale, si sviluppa su due livelli ed è impostato su un basamento lavico. La facciata presenta un primo ordine archivatrato scandito da paraste composite intervallate dalle aperture dei vani d’ingresso di forma rettangolare, mentre il secondo ordine è scandito da paraste ioniche ed è caratterizzato dal motivo della finestra tripartita sormontata da un timpano triangolare che rinnova il carattere monumentale dell’edificio. All’esecuzione dell’opera contribuirono noti artisti in gran parte catanesi, tra cui il professore Gaetano D’Emanuele per le decorazioni pittoriche. Alla fine del Novecento l’edificio perde la sua originaria destinazione d’uso divenendo negozio.

Negozio Pirelli

Corso Italia, 93 - «La composizione dei volumi risulta attenta e articolata. L’edificio, distribuito su due livelli, presenta un prospetto simmetrico, con facciata centrale curva e due ali laterali con grandi aperture quadrate. La facciata, priva di ogni applicazione decorativa, forma lo spazio architettonico con la propria struttura e l’inserimento dei due balconi contribuisce a collegare le ali del cilindro d’angolo. Caratteristica è la pensilina a ventaglio che taglia l’edificio nel suo punto d’angolo e conferisce leggerezza a tutta la composizione, evitando la monotonia di un prospetto classico»

Villino Citelli

Via Tomaselli, 31 - Anno Di Costruzione: (1904-1907); 1914 - Architetto: Paolo Lanzerotti (1875-1944), attribuito - Salvatore Sciuto Patti (1877-1926)

Pur in assenza di fonti, il progetto del villino del Dottore Citelli, da adibire a studio e ad abitazione, viene attribuito all'architetto Paolo Lanzerotti. L'edificio si sviluppa su tre livelli; si accede mediante una breve scala dal corrimano sorretto da balaustrini in finta pietra. Il prospetto è caratterizzato da un apparato decorativo di gusto neo-gotico. Al piano terra le finestre presentano lunette con rilievi raffiguranti volti muliebri e figure allegoriche, mentre al piano superiore si affaccia una loggia centrale tripartite da colonnine tortili e due balconi con parapetto traforato decorato da rombi e motivi floreali stilizzati. Corona la facciata una fascia recante archi inflessi trilobati e formelle che segna il periodo dell'edificio. Attraverso una torretta merlata ornata da protomi si arriva alla copertura a terrazza. Nei restanti prospetti ritroviamo lo stesso partito decorativo. Nella parte retrostante del villino, tra il giardino e la via Giovanni Paola si trova il volume della "rimessa" progettata nel 1914 dall'ingegnere Salvatore Sciuto Patti. Nel 1962 la villa viene donata dalla famiglia all'Università degli Studi di Catania. C.S.

 

 

 

 

 

 

 

 

  Villa Pancari Via Acque Casse

Palazzo Comm. Bruno Ispica (RG)

ex BirrariaSvizzera Via Etnea angolo Piazza Stesicoro.

Villa Bonajuto Corso Italia

 

 

 

 

VILLINO CITELLI

(Via Tomaselli, anno di costruzione 1904/1907,autore Paolo Lanzerotti)

 

Pur in assenza di fonti documentarie,il progetto del villino del dottore Citelli, da adibire a studio e abitazione, viene attribuito all'architetto Paolo Lanzerotti.

L' edificio si sviluppa su tre livelli ai quali si accede mediante una breve scala dal corrimano sorretto da balaustrini in finta pietra.

Il prospetto è caratterizzato da un apparato decorativo di gusto neogotico.

Al piano terra le finestre presentano timpani con altorilievi raffiguranti volti muliebri e figure allegoriche, mentre al piano superiore si affacciano una loggia centrale tripartita da colonnine tortili e due balconi con parapetto traforato decorato da rombi e motivi floreali stilizzati. Corona la facciata una fascia recante archi inflessi trilobati e formelle in terracotta che segna il perimetro dell'edificio.

Attraverso una torretta merlata, ornata da protomi, si arriva alla copertura a terrazza. Nei restanti prospetti ritroviamo lo stesso partito decorativo. Nella parte retrostante del villino, tra il giardino e la via Giovanni Paola,si trova il volume della rimessa progettata nel 1914 dall'ingegnere Salvatore Sciuto Patti .

Nel 1962 la Villa viene donata all'Università degli Studi di Catania dalla famiglia Citelli.

(Descrizione della Soprintendenza ai beni culturali)

 

grazie a Milena Palermo per Obiettivo Catania

https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/

 

 

 

 

All'angolo fra Viale Libertà e Corso Italia, una volta c'era Villa D'Ayala, su progetto di Paolo Lanzerotti.

 

LA TRISTE STORIA DEL CONTE AYALA,CATANIA

 Questo scatto degli anni '30 dello scorso secolo,ritrae Villa Ayala e Villa Simili in Corso Italia (ad angolo con Viale Libertà).

Villa Ayala fu un'opera dell'Arch.Paolo Lanzerotti,realizzata nel 1914. Era una dimora fastosa,un vero e proprio esempio di "Liberty" a Catania,che il Lanzerotti esegui' per il Conte Saverio Francesco D'Ayala.

La Villa era composta da un piano terrano e due piani sopraelevati,circondati da un giardino a verde,che si può scorgere dalla foto postata.

Ma il Conte l'abitò solo per pochi anni,a causa di evento triste,luttuoso. La Sua unica figlia mori',a soli quattro anni,accidentalmente.

Cosa successe? La bimba si arrampicò,purtroppo,nella ringhiera del lucernario,ma perse l'equilibrio e precipitò nel salone sottostante,morendo,dopo un tragico volo,sul colpo.

In conseguenza di questo ed affranto dal dolore,il Conte Ayala vendette tutto e lasciò per sempre Catania.

Villa Ayala fu abbattuta nel 1958 e al suo posto furono costruiti gli attuali alveari di cemento...

 

 

 

 

 

 

 

 

Palazzo Ferrarotto - Viale XX Settembre, 5 - Mariano Falcini

 

«Attribuito all’architetto Mariano Falcini, palazzo Ferrarotto, noto anche come Palazzo Paternò Landolina, presenta un impianto a corte, articolato volumetricamente su tre piani conclusi dalla copertura a terrazza. L’accesso principale sul viale XX Settembre avviene attraverso un grande portale recante in chiave uno scudo gentilizio coronato. Al piano terra il prospetto è impostato su un basamento lavico, mentre il piano mezzano è arricchito da una fascia a bugnato a corsi orizzontali. Le aperture sono regolari e simmetricamente distribuite. Il piano nobile è distinto da decorazioni pittoriche a graffito tra le porte finestre, di maniera vasariana, eseguite del 1874 da Alfonso Orabona (attivo a Catania tra il 1874 e il 1960) e da Giacomo Salvador. Lo stesso partito decorativo si ripete nella fascia di coronamento del sottotetto. Il palazzo Ferrarotto venne ultimato nel 1892.

 

 

 

 

 

Viale XX Settembre

 

 

 

La Villa Bonajuto,in Corso Italia a Catania, ha vissuto una storia travagliata. Edificata intorno agli anni '30, su 1000 metri quadrati di terreno, l'abitazione è stata abbandonata da circa vent'anni.
Diversi tentativi di demolizione da parte della proprietà, per erigere un palazzo, sono stati vanificati in seguito ad alcuni provvedimenti giudiziari che hanno decretato la sospensione dei lavori, in virtù dell'interesse storico del monumento. La villa, che oggi per un terzo è diroccata, sarà completamente ristrutturata, preservandone le particolarità architettoniche. «Con la concessione della Sovrintendenza e degli enti comunali preposti, la struttura originaria verrà ricontestualizzata», ha spiegato l'architetto progettista, Toti Contrafatto. L'interno, attualmente suddiviso in tre elementi familiari e undici spazi per la servitù, sarà ridisegnato. Saranno conservati i due piani, mentre nel cortiletto interno verranno ricavate sei botteghe a uso commerciale.
http://www.unpodituttopertutti.it/index_file/villedicatania.htm

 

Villa Bonajuto rinasce dalle proprie ceneri. Ferita rimarginata 27 anni dopo lo scempio
Pinella Leocata - LA SICILIA Mercoledì 11 Gennaio 2012
Cade il telone e, come d'incanto, si materializza Villa Bonajuto, bella com'era 27 anni fa, prima che una benna l'aggredisse devastandola. Le ruspe entrarono in azione all'alba del 5 giugno 1985 con la rapidità vorace della speculazione edilizia, con la violenza di chi vuole piegare, con i fatti, la determinata resistenza degli organi di tutela. Per anni la sovrintendenza aveva lottato contro il progetto di costruire un palazzo al posto della villa in stile Decò. Per anni, senza demordere, si era appellata alle leggi preposte alla salvaguardia del patrimonio monumentale e paesaggistico e ora che stava per avere la meglio, superati mille ostacoli e un clima compiacente verso chi conta, i proprietari della villa tentano il blitz e danno avvio alla demolizione. Prima che sorga il sole.

Allora l'indignazione dei cittadini e l'intervento tempestivo della magistratura bloccarono lo scempio e la villa restò a brandelli per decenni, simbolo insieme della violenza della speculazione e della forza della legge. Allora la sovrintendenza, l'assessorato regionale ai Beni culturali e la magistratura decretarono che il danno andava riparato, che la parte della villa demolita andava riedificata com'era prima, che l'edificio - progettato dal geometra Domenico Corsaro con la probabile consulenza stilistica del grande architetto Paolo Lanzerotti - dovesse ritornare a vivere. La città ha dovuto attendere lunghi anni e adesso, infine, dopo un lavoro certosino, portato avanti al riparo degli sguardi, Villa Bonajuto è tornata.
I lavori sono stati condotti sulla base di un primo progetto redatto nel 2004 dall'architetto Toti Contraffatto e dall'ing. Salvatore Asero. Nel marzo 2009 l'edificio, di prorietà della famiglia Bonajuto, e la relativa concessione per i lavori vengono rilevati dalla Rosline, una società non catanese che si occupa di recupero di beni architettonici. Come progettisti subentrano l'ing. Maurizio Erbicella e l'arch. Antonio Iraci.
I primi tre mesi vengono dedicati a ripulire il giardino e le stanze dell'edificio ricoperti d'immondizia e di erbacce dopo decenni di abbandono. Si è poi proceduto ai rilievi materici perché l'opera di ricucitura presuppone la conoscenza dei materiali usati in precedenza in modo che quelli nuovi collaborino e non contrastino con questi. Durante i rilievi i tecnici rilevarono che il progetto di recupero era stato elaborato sulla base di quello originale che non era stato del tutto rispettato nella costruzione della villa. Di qui la richiesta, nel dicembre 2010, di una variante poi autorizzata dalla sovrintendenza che ha seguito passo passo tutto l'intervento attraverso l'arch. Giuseppe Sciacca, incaricato dell'alta sorveglianza.
«Si è trattato di un lavoro folle - commenta l'ing. Erbicella - perché abbiamo dovuto ricostruire la parte distrutta, recuperare quella "morsa" dai mezzi meccanici, e rimuovere gli interventi di somma urgenza, tampognature comprese, effettuati dalla sovrintendenza per evitare che l'edificio crollasse. Questo significa che abbiamo fatto un lavoro certosino di monta e smonta, con notevoli problemi di sicurezza. Abbiamo fotografato tutto, smontato, catalogato e rimontato quanto era recuperabile. Così abbiamo fatto per il torrino che non era più in condizioni di sicurezza. Per quanto riguarda le parti mancanti abbiamo fatto un'attenta ricerca dei materiali che meglio si adattano all'esistente.

 

 

E non è stato facile perché siamo dovuti risalire alle cave da cui erano stati prelevati. Non solo. Per lavorare il materiale lapideo, poiché la pietra risente del clima, e dunque degli sbalzi di temperatura e di umidità, abbiamo potuto operare solo in un determinato lasso di tempo. E gli effetti si possono notare all'angolo di coronamento dove la parte vecchia e quella nuova sono indistinguibili. La definizione degli interni, che non presentavano alcuna rifinitura di pregio, è rinviata a dopo, a quando sarà scelta la destinazione d'uso della villa».

 

 La società è intervenuta anche nel giardino esterno, un'area a forma di triangolo delimitata dalla villa, da corso Italia e via Vecchia Ognina. Qui si è utilizzato il salto di livello tra la strada e la quota del giardino per realizzare un seminterrato da destinare a spazi commerciali e un altro livello interrato da utilizzare come deposito. Il giardino sarà ricostituito a lavori ultimati. Tempo previsto ancora qualche mese, poi la villa demolita tornerà a far parte a pieno titolo del paesaggio catanese. Con soddisfazione di quanti amano la propria città.
http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getarticle&id=92613

 

A diffondere lo stile liberty nella città fu un imprenditore di origini umili, Mario Sangiorgi.
Egli fece realizzare il complesso del teatro-cafè-albergo-ristorante di via Di Sangiuliano, che ospitò illustri personaggi e diede prestigio alla città.
L'arch. Giuffrida e il decoratore Florio realizzarono la facciata eclettica con motivi goticizzanti, barocchi e nouveau. Il pittore decoratore Salvatore De Gregorio affrescò gli interni con un repertorio barocco-floreale.
Negli affreschi dominano i toni scuri del rosso bruno, del giallo ocra, dell'oro degli stucchi, che incorniciano scene mitologiche insieme a volute floreali. Nella sala che fu il Cafè Chantant è disegnata una sirena in un rigoglio floreale straordinario.

CORMORANO LEGAMBIENTE CULTURA SICILIA

 

 

Villa Manganelli Photogallery

 

 

 

 

 

Disegnata ad arte e poi costruita,fatta quasi scolpire da Ernesto Basile...Attraverso le pietre sembra narrare i conflitti fra le due famiglie che ancora continuano, i processi vinti e persi,gli incendi dolosi subiti e ormai passati.Le tante ferite che a tratti sembrano venire fuori dall’intonaco staccato e screpolato sulla facciata superiore gridano ai passanti indifferenti,attraverso le finestre tappate con mattoni che come l’urlo che risuona nelle nostre coscienze d’avanti al dipinto <<il grido>> di E.Munch senza parole con la loro sola presenza dalle aperture cellofanate delle torrette e dalle sue finestre scardinate e poi coperte con altri mattoni, appaiono come bocche chiuse e tappate da mani , bloccate da una burocrazia presieduta da uomini di potere omertosi che spesso nel loro susseguirsi ,nella loro massima aspirazione che è quella di mietere vittime come al tempo dell’inquisizione, anziché occuparsi della crescita e dello sviluppo della cultura e dell’arte della propria città...non permettono neanche di parlarne a chi desidera farlo. Quante memorie ,con qualche sprazzo di lustro,durato poco ,Luchino Visconti gira alcune riprese per il film “Il Gattopardo”.Quanti travestimenti per sopravvivere alla poca curanza dei suoi diversi fruitori,alle loro maldestre fattezze,in quanti luoghi si è trasformata: locali mondani,scuole da ballo,teatri,uffici,studi professionali,diversi gli usi,diverse le sorti.

 

 

Arch. Ernesto Basile

 

................ della volta spoglia di tutto. Nel fondo un soffitto in calcestruzzo...Con rammarico abbassando gli occhi e tuffandosi in quel blu del fondo della ceramica , un pò annerito di fumo, per guardarvi dentro in profondità...in un ‘onda di amarezza emerge la consapevolezza che questa antica Architettura non sarà mai più la residenza che era stata concepita e disegnata dal Basile , per coronare l’amore del principe e della principessa che mai potettero godere di tale dimora... Il tutto ci appare come realtà temporale in cui lo spazio e il tempo della vita presente sembrano fondersi con quelli del passato.Sarà come uno spettacolo, una messa in scena,assistervi significa parteciparvi,per trovarsi in una nuova disponibilità mentale di riflessione e sogno…L’arte spesso sopravvive ad eventi straordinari come questa ceramica e l’affresco.

 

 

Villa Cocuzza Del Grado

C.so Italia, 107 - Anno Di Costruzione: (1903-1908); 1934 - Architetto: Agatino Atanasio (1872-1946) - Benedetto Caruso (1870-1934) – attuale proprietà Di Bella

La villa nota anche come Del Grado, fu progettata tra il 1903 ed il 1908 dall'ingegnere Agatino Atanasio su commissione del signor Salvatore Cigno. L'ediificio, mostra una volumetria compatta costituita da un corpo centrale, da quattro torrette con copertura a capanna collocate agli angoli ed è circondato da un giardino dall'essenze mediterranee. I prospetti presentano un rivestimento murario dai toni rosei con ricorsi orizzontali in falso bugnato. L'ingresso dell'edificio, accessibile grazie ad una scalinata esterna, è posto al di sotto di una loggia architravata sorretta da una coppia di colonne binate, opera giustapposta all'originario prospetto nel 1932 su progetto dell'architetto Benedetto Caruso. La loggia accoglie superiormente il terrazzo del primo piano, protetto da una balaustra a colonnine, su quale si affaccia un giardino d'inverno in ferro battuto e vetri policromi, anch'esso aggiunto in sostituzione della originaria copertura centrale a cupola. La villa esternamente è deliminata da una elegantissima ringhiera in ferro battuto di autore ignoto con motivi "a colpi di frusta", rifatta sul disegno originale. R.M.

 

 

 

 

 

 

Con un pò di immaginazione ecco cancellarsi tutti i segni dei sorprusi subiti e rimettersi al proprio posto i merletti e le perle ricamate su i suoi abiti strappati e scoloriti ormai spogli e incantati ,ridisegnarsi ravvivandone i colori e i contorni delle parti dipinte sulle sue vesti, su quelle rotondità ormai appassite che come affreschi di volte minacciate dal tempo appaiono scoloriti e screpolati dall’incuria o addirittura dall’indifferenza di chi avrebbe dovuto prendersene cura...Il viaggio continua scendendo per i suoi seminterrati dove la parola Architettura Liberty non esiste più e semmai fosse esistita non se ne vede più traccia,ma sembrerà di avvertire dalle mura antiche in pietra lavica , un respiro che evoca parole come:Essere, Divenire. Sotto l’influsso di un ipnosi poetica... un’ arcana inquietudine mostra,le dame, i cavalieri,il principe e la principessa che non hanno potuto danzare il loro ballo,non hanno mai varcato la soglia della porta della residenza“Castello”e come in una strana ironia della sorte nessun altro, dopo di loro, ha trovato pace e lustro e potuto godere della dimora che doveva coronare un grande amore fino ad adesso non riconosciuto e preservato anche dopo la loro morte. Forse l’affresco e la formina che hanno resistito a tutte le varie peripezie desiderano e chiedono fermamente questo.L’importante non è tanto sapere cosa rappresentano lo stemma araldico e la formina rettangolare in ceramica da me fotografata... ma,facendo appello al subcosciente. 

 

Guardando Villa Manganelli,pensando al Basile alla sua linea parlante, ispirata, ad un certo rituale di quel fare tipico dell’ Architettura Modernista unica e monumentale...l’armonia delle pietre improvvisamente si dissolvono nella nostra mente per diventare ombre colorate , per ritornare disegni tracciati dall’ombra proveniente dalla luce in un giuoco chiaroscurale che ne ridisegna i contorni magici e attraverso la nostra costante scoperta appaiono in continuo divenire .

 

 

 

Posandovi lo sguardo non più distratto e ascoltandola con l’ anima in relazione alla sua anima...sembrerà di risentire il sensuale batter del ferro,il picchiettio dell’incidere dello scalpellino sulle pietre, che come un battito di cuore di questa fabbrica risuonerà dentro di noi e per infine giungere al carezzevole e silenzioso fruire della matita sui fogli bianchi da disegno del Basile, facendo emozionare ancora una volta per evocare tutti quei discorsi che la linea parlante ha in sè, la possibilità della vita, del dare vita. Fantasmi allusivi i suoi abitanti (il principe e la principessa) Il braccio che si leva nell’ampio gesto di un saluto del principe tra i nastri e le braccia dei puttini dell’affresco del Gregorietti.Il passo lento e felpato , danzante della principessa , immersa fra le nuvole turchine...della formina in ceramica che in modo indelebile permangono e sopravvivono a tutto in segno del loro infinito amore.

 

 

Il palazzo dell'ex Leonardo da Vinci fino al 1965-66, poi, a distanza di anni, sede del Provveditorato agli Studi della provincia di Catania, poi Istituto Scolastico Savoia, poi, fino al 2012, sede dell'Istituto d'Arte.

 

 

 

Propongo l’adozione a distanza...di architetture e in generale di tutto quel vasto patrimonio artistico e culturale che come orfani sono troppo spesso abbandonati e lasciati in balia del tutto... perchè possano essere realizzate manifestazioni ed eventi che in modo correlato mettano in evidenza e permettano la raccolta di fondi a tutela del nostro Patrimonio Artistico e Culturale.

http://tsunamiblog.myblog.it/archive/2011/03/19/a-villa-manganelli-tra-misteri-e-incantesimi-un-amore-indele.html

 

 

 

Palazzo Monaco

viale XX Settembre 39 - Proprietà attuale: INPS Uso attuale: sede degli uffici dell’INPS

 

Anno di costruzione: 1915 ca. Architetto: Luciano Nicolosi, rifacimenti di Paolo Lanzerotti

Decoratori: Alessandro Abate (decorazioni pittoriche), Salvatore Gregorietti (decorazioni pittoriche) Palazzo Monaco si presenta come un volume massiccio vivacizzato più che nel disegno degli spazi nell’uso degli elementi decorativi: le cariatidi e i telamoni dello scultore Mario Moschetti, i vivaci inserimenti fitomorfi in ferro battuto e i frontoni curvilinei spezzati da volute che cingono i portali. All’interno il ruolo degli elementi decorativi scultorei e pittorici è ancora più importante: gli ambienti sono impreziositi dai ferri battuti, dagli elementi in ghisa, dagli stucchi e soprattutto dai dipinti murari ai quali lavorò Alessandro Abate, uno dei pittori più richiesti dalla nobiltà e dall’alta borghesia di inizio Novecento, il palermitano Salvatore Gregorietti e certamente altri anonimi decoratori.

 

 

foto di Salvo Puccio

 

Le stanze più importanti sono così animate da un apparato che miscela linguaggi liberty e dèco: le composizioni di figurine femminili e di puttini di intonazione settecentesca, i paesaggi di gusto orientalista, i disegni di fiori, nastri, foglie e animali di chiara impronta liberty convivono con figure geometriche più tipicamente dèco come il motivo dei dischi e delle onde.Curiosità: I Telamoni derivano dal mito greco di Atlante che sorreggeva i pilastri del cielo, la versione al femminile si chiama Cariatide e cioè donna della Caria, regione dell'Anatolia conquistata dai greci, le cui donne furono rese schiave per aver favorito i Persiani.

Gli ambienti interni sono impreziositi da un apparato decorativo che unisce linguaggi liberty e déco. All’interno opere di Alessandro Abate (1867-1957), Salvatore Gregorietti (1870-19529 e sculture di Mario Moschetti (1879- 1960). Nel 1931 il palazzo viene ceduto all’Inps che vi ha apportato alcune modifiche».

 

 

Catania, Viale Jonio

 

 

 

 

 

 

 

VILLA CIGNO COCUZZA

(Corso Italia, anno di costruzione 1903/1908 ,autore Agatino Atanasio)

 

La villa,nota anche come Del Grado,fu progettata tra il 1903 e il 1908 dall'ingegnere Agatino Atanasio su commissione del signor Salvatore Cigno.

L' edificio mostra una volumetria compatta costituita da un corpo centrale, da 4 torrette con copertura a capanna collocate agli angoli ed è circondato da un giardino di essenze mediterranee.

I prospetti presentano un rivestimento murario dai toni rosei con ricorsi orizzontali in falso bugnato.

L' ingresso, accessibile da una scalinata esterna, è posto al di sotto di una loggia architravata sorretta da una coppia di colonne Bonate,opera giustapposta nel 1932 all'originario prospetto su progetto dell'architetto Benedetto Caruso Puglisi (1870-1934).

La loggia accoglie superiormente il terrazzo del primo piano, protetto da una balaustra a colonnine ,sul quale si affaccia un giardino d'inverno in ferro battuto e vetri policromi ,anch'esso aggiunto in sostituzione della originaria copertura centrale a cupola.

Elegantissima la ringhiera in ferro battuto di autore ignoto ,con motivi a "colpi di frusta",rifatta dopo la guerra.

(Descrizione della Soprintendenza ai beni culturali)

Note e foto di Milena Palermo per Obiettivo catania

 - https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/

 

 

 

 

Parrocchie

 

S..S. CROCEFISSO DEI MIRACOLI  

Via E. Pantano 42 - 95129 Catania tel: 095 531590
S. BERILLO IN S. M. DEGLI AMMALATI

Piazza Bovio 29 - 95131 Catania (CT) tel: 095 530604
S. MARIA DELL'AIUTO 

Via Consolato Della Seta 59 - 95121 Catania (CT) tel: 095 345344

SAN DOMENICO

 


Chiesa San Domenico?
Via Santa Maddalena, 80
95124 Catania
095 314340

  •  

  • Arena Adua - Catania (ct) - Largo Carmelo Amendola - 095 7169312

  • Arena Argentina - Catania (ct) - Via Vanasco 10 - 095 322030

  • Excelsior - Catania (ct) - via De Felice, 21 - 095 316699

  • Lo Pò - Catania (ct) - via Etnea, 256 - 095 326210

  • Metropolitan - Catania (ct) - via S. Euplio, 21 - -

  • Odeon - Catania (ct) - via F. Corridoni, 19 - 095 326324

 

INFORMAZIONI TURISTICHE

Azienda Provinciale Turismo: sede via Cimarosa, 10 tel. 095 7306222 - 095 7306233

Ufficio porto: Molo Sporgente Centrale tel. 095 7306209

Ufficio Stazione Centrale FF.SS.: tel. 095 7306255

Ufficio Aeroporto: tel. 095 7306266 - 095 7306277

Ufficio via Etnea, 63: tel. 095 311768

 

 

 

  • FARMACIE

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  • BALSAMO GIUSEPPE V. Umberto, 125 095-311691

  • BATTIATI MARILENA V. Umberto, 144 095-321920

  • GUARNACCIA CONCETTA V. Umberto, 254 095-533945

  • GUARNACCIA SOSSIO V.le Vittorio Veneto, 133 095-503937

  • INTERNAZIONALE V. Vincenzo Giuffrida, 141 095-430346

  • MORASCA MARIA V. Umberto, 155 095-321545

  • PITTARI V. Torino, 70/76 095-439357

  • ROMA C.so Martiri della Liberta', 16 095-530003

  • SICILIA V. Francesco Crispi, 46 095-533998

Croce Rossa - tel. 7312601 - Croce Verde - tel. 373333 - 493263 - Guardia Medica - tel. 377122 - 382113

 

in sottofondo            PRIMOSOLE                        Vincenzo Spampinato